ALLEGATI al Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
- alla Parte seconda
- alla Parte terza
- alla Parte quarta
- alla Parte quinta
- alla Parte quinta-bis
- alla Parte sesta
ALLEGATO I - Criteri per la verifica di assoggettabilità di piani e programmi di cui all'articolo 12.
1. Caratteristiche del piano o del programma, tenendo conto in particolare, dei seguenti elementi:
• in quale misura il piano o il programma stabilisce un quadro di riferimento per progetti ed altre attività, o per quanto riguarda l'ubicazione, la natura, le dimensioni e le condizioni operative o attraverso la ripartizione delle risorse;
• in quale misura il piano o il programma influenza altri piani o programmi, inclusi quelli gerarchicamente ordinati;
• la pertinenza del piano o del programma per l'integrazione delle considerazioni ambientali, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile;
• problemi ambientali pertinenti al piano o al programma;
• la rilevanza del piano o del programma per l'attuazione della normativa comunitaria nel settore dell'ambente (ad es. piani e programmi connessi alla gestione dei rifiuti o alla protezione delle acque).
2. Caratteristiche degli impatti e delle aree che possono essere interessate, tenendo conto in particolare, dei seguenti elementi:
• probabilità, durata, frequenza e reversibilità degli impatti;
• carattere cumulativo degli impatti;
• natura transfrontaliera degli impatti;
• rischi per la salute umane o per l'ambiente (ad es. in caso di incidenti);
• entità ed estensione nello spazio degli impatti (area geografica e popolazione potenzialmente interessate);
• valore e vulnerabilità dell'area che potrebbe essere interessata a causa:- delle speciali caratteristiche naturali o del patrimonio culturale,
- del superamento dei livelli di qualità ambientale o dei valori limite dell'utilizzo intensivo del suolo;• impatti su aree o paesaggi riconosciuti come protetti a livello nazionale, comunitario o internazionale
ALLEGATO I-bis, ex art. 35 del decreto-legge n. 77 del 2021
(allegato introdotto dall'art. 18,
comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 77 del 2021)
ALLEGATO II - Progetti di competenza statale
1) Raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate al giorno di carbone o di scisti bituminosi, nonché terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto.
2) Installazioni relative a:
- centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW;
- centrali per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a 30 MW incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti;
- impianti per l'estrazione dell'amianto, nonché per il trattamento e la trasformazione dell'amianto e dei prodotti contenenti amianto;
- centrali nucleari e altri reattori nucleari, compreso lo smantellamento e lo smontaggio di tali centrali e reattori (esclusi gli impianti di ricerca per la produzione delle materie fissili e fertili, la cui potenza massima non supera 1 kW di durata permanente termica);
- impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 150 MW;
(fattispecie aggiunta dall'art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
- impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 30 MW , calcolata sulla base del solo progetto sottoposto a valutazione ed escludendo eventuali impianti o progetti localizzati in aree contigue o che abbiano il medesimo centro di interesse ovvero il medesimo punto di connessione e per i quali sia già in corso una valutazione di impatto ambientale o sia già stato rilasciato un provvedimento di compatibilità ambientale;
(fattispecie aggiunta dall'art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, poi modificata dall'art. 10, comma 1, lettera d), numero 1.1), legge n. 91 del 2022)
- impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica con potenza complessiva superiore a 10 MW, calcolata sulla base del solo progetto sottoposto a valutazione ed escludendo eventuali impianti o progetti localizzati in aree contigue o che abbiano il medesimo centro di interesse ovvero il medesimo punto di connessione e per i quali sia già in corso una valutazione di impatto ambientale o sia già stato rilasciato un provvedimento di compatibilità ambientale;
(fattispecie aggiunta dall'art. 31, comma 6, della legge n. 108 del 2021, poi modificata dall'art. 10, comma 1, lettera d), numero 1.2), legge n. 91 del 2022)
3) Impianti destinati:
- al ritrattamento di combustibili nucleari irradiati;
- alla produzione o all'arricchimento di combustibili nucleari;
- al trattamento di combustibile nucleare irradiato o di residui altamente radioattivi;
- allo smaltimento definitivo dei combustibili nucleari irradiati;
- esclusivamente allo smaltimento definitivo di residui radioattivi;
- esclusivamente allo stoccaggio (previsto per più di dieci anni) di combustibile nucleare irradiato o di residui radioattivi in un sito diverso da quello di produzione.
4) (soppresso dall'art. 10, comma 1, lettera d), numero 2=, legge n. 91 del 2022)
4-bis) Elettrodotti aerei
per il trasporto di energia elettrica, con tensione nominale superiore a
100 kV e con tracciato di lunghezza
superiore a 10 Km.
(numero introdotto dall'art. 36, comma 7-bis,
lettera a), legge n. 221 del 2012, poi modificato dall'art.
8, comma
2, legge n. 221 del 2015,
poi dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
4-ter) (punto abrogato dall'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 104 del 2017)
5) Acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio.
6) Impianti chimici integrati, ossia impianti per la produzione su scala industriale, mediante processi si trasformazione chimica, di sostanze, in cui si trovano affiancate varie unità produttive funzionalmente connesse tra di loro:
- per la fabbricazione di prodotti chimici organici di base, con capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie (1) di seguito indicate:
Classe di prodotto | Soglie* (Gg/anno) |
a) idrocarburi semplici (lineari o anulari, saturi o insaturi, alifatici o aromatici) | 200 |
b) idrocarburi ossigenati, segnatamente alcoli, aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, esteri, acetati, eteri, perossidi, resine, epossidi | 200 |
c) idrocarburi solforati | 100 |
d) idrocarburi azotati, segnatamente ammine, amidi, composti nitrosi, nitrati o nitrici, nitrili, cianati, isocianati | 100 |
e) idrocarburi fosforosi | 100 |
f) idrocarburi alogenati | 100 |
g) composti organometallici | 100 |
h) materie plastiche di base (polimeri, fibre sintetiche, fibre a base di cellulosa) |
100 |
i) gomme sintetiche | 100 |
- per la fabbricazione di prodotti chimici organici di base, con capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie (2) di seguito indicate:
Classe di prodotto | Soglie* (Gg/anno) |
j) gas, quali ammoniaca, cloro o cloruro di idrogeno, fluoro o fluoruro di idrogeno, ossidi di carbonio, composti di zolfo, ossidi di azoto, idrogeno, biossido di zolfo, bicloruro di carbonile | 100 |
k) acidi, quali acido cromico, acido fluoridrico, acido fosforico, acido nitrico, acido cloridrico, acido solforico, oleum e acidi solforati | 100 |
l) basi, quali idrossido d'ammonio, idrossido di potassio, idrossido di sodio | 100 |
(1) Le soglie della tabella sono riferite alla somma delle
capacità produttive relative ai singoli composti che sono riportati in
un'unica riga.
(2) Le soglie della tabella sono riferite alla somma delle
capacità produttive relative ai singoli composti che sono riportati in
un'unica riga.
- per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto, potassio (fertilizzanti semplici o composti) con capacità produttiva complessiva annua superiore a 300 milioni di chilogrammi (intesa come somma delle capacità produttive relative ai singoli composti elencati nella presente classe di prodotto).
7) perforazione di pozzi finalizzati alla
ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma
e in mare;
7.1) coltivazione di idrocarburi liquidi
e gassosi, sulla terraferma e in mare, per un quantitativo estratto
superiore a 500 tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m 3 al
giorno per il gas naturale;
(numero introdotto dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
7.2) rilievi geofisici attraverso l’uso
della tecnica airgun o esplosivo.
7-bis) Impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare.
7-ter) Attività di esplorazione in mare e sulla terraferma per lo stoccaggio geologico di biossido di carbonio a norma del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico.
7-quater) Impianti geotermici pilota di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni, nonché attività di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche in mare.
7-quinquies ) attività di ricerca e
coltivazione delle seguenti sostanze minerali:
- minerali utilizzabili per l’estrazione di metalli, metalloidi e loro composti;
- grafite, combustibili solidi, rocce asfaltiche e bituminose;
- sostanze radioattive.
8) Stoccaggio:
- di petrolio con capacità complessiva superiore a 40.000 m3 ; di prodotti chimici, prodotti petroliferi e prodotti petrolchimici con capacità complessiva superiore a 200.000 tonnellate;
(trattino così sostituito dall'art. 50, comma 1, decreto-legge n. 76 del 2020)
- superficiale di gas naturali con una capacità complessiva superiore a 40.000 m3;
- sotterraneo artificiale di gas combustibili in serbatoi con una capacità complessiva superiore a 80.000 m3;
- di prodotti di gas di petrolio liquefatto e di gas naturale liquefatto con capacità complessiva superiore a 20.000 m3;
- di prodotti combustibili solidi con capacità complessiva superiore a 150.000 tonnellate.
9) Condutture di diametro superiore a 800
mm e di lunghezza superiore a 40 km per il trasporto di gas, petrolio e
prodotti chimici e per il trasporto dei flussi di biossido di carbonio (CO
2 ) ai fini dello stoccaggio geologico, comprese le relative stazioni di
spinta.
(numero così sostituito dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
10) Opere relative a:
- tronchi ferroviari per il traffico a grande distanza nonché aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1.500 metri di lunghezza;
- autostrade e strade extraurbane principali;
(fattispecie così modificata dall'art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
- strade extraurbane a quattro o più corsie o adeguamento di strade extraurbane esistenti a due corsie per renderle a quattro o più corsie, con una lunghezza ininterrotta di almeno 10 km;
(fattispecie così modificata dall'art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
- parcheggi interrati che interessano superfici superiori ai 5 ha, localizzati nei centri storici o in aree soggette a vincoli paesaggistici decretati con atti ministeriali o facenti parte dei siti UNESCO.
11) Porti marittimi commerciali, nonché vie navigabili e
porti per la navigazione interna accessibili a navi di stazza superiore
a 1350 tonnellate, nonché porti con funzione turistica e da diporto
quando lo specchio d’acqua è superiore a 10 ettari o le aree esterne
interessate superano i 5 ettari oppure i moli sono di lunghezza
superiore ai 500 metri. Terminali marittimi, da intendersi quali moli,
pontili, boe galleggianti, isole a mare per il carico e lo scarico dei
prodotti, collegati con la terraferma e l'esterno dei porti (esclusi gli
attracchi per navi traghetto), che possono accogliere navi di stazza
superiore a 1350 tonnellate, comprese le attrezzature e le opere
funzionalmente connesse.
(numero così modificato dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
12) Interventi per la difesa del mare:
- terminali per il carico e lo scarico degli idrocarburi e sostanze pericolose;
- piattaforme di lavaggio delle acque di zavorra delle navi;
- condotte sottomarine per il trasporto degli idrocarburi;
- sfruttamento minerario piattaforma continentale.
13) impianti destinati a trattenere, regolare o
accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o che
determinano un volume d'invaso superiore ad 1.000.000 m3,
nonché
impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini
energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che
determinano un volume d'invaso superiore a 100.000 m3, con esclusione
delle opere di confinamento fisico finalizzate alla messa in sicurezza
dei siti inquinati.
14) Trivellazioni in profondità per lo stoccaggio dei
residui nucleari.
15) Interporti finalizzati al trasporto merci e in favore dell'intermodalità di cui alla legge 4 agosto 1990, n. 240 e successive modifiche, comunque comprendenti uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione.
16) Opere ed interventi relativi a trasferimenti d'acqua che prevedano o possano prevedere trasferimento d'acqua tra regioni diverse e ciò travalichi i comprensori di riferimento dei bacini idrografici istituiti a norma della legge 18 maggio 1989, n. 183.
17) Stoccaggio di gas combustibile e di CO2 in serbatoi sotterranei naturali in unità geologiche profonde e giacimenti esauriti di idrocarburi.
17-bis) Impianti per la cattura di flussi
di CO
(numero così modificato dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
17-ter)
(numero soppresso dall'art.
10 del decreto-legge n. 39 del 2022)
18) Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l'estensione di per sè sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato.
ALLEGATO II-bis - Progetti
sottoposti alla verifica di assoggettabilità di competenza statale
(allegato introdotto dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
1. Industria energetica ed estrattiva:
a) impianti termici per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica complessiva superiore a 50 MW;
b) installazioni di oleodotti e gasdotti e condutture per il trasporto di flussi di CO 2 ai fini dello stoccaggio geologico superiori a 20 km;
c) impianti per la cattura di flussi di CO 2 provenienti da impianti che non rientrano negli allegati II e III al presente decreto ai fini dello stoccaggio geologico a norma del decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162, e successive modificazioni;
d) elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 kV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 Km.
2. Progetti di infrastrutture:
a) interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali;
b) porti e impianti portuali marittimi, fluviali e lacuali, compresi i porti con funzione peschereccia, vie navigabili;
c) strade extraurbane secondarie di interesse nazionale;
d) acquedotti con una lunghezza superiore ai 20 km;
e) aeroporti (progetti non compresi nell’Allegato II) ;
f) porti con funzione turistica e da diporto, quando lo specchio d’acqua è inferiore o uguale a 10 ettari, le aree esterne interessate non superano i 5 ettari e i moli sono di lunghezza inferiore o uguale a 500 metri;
g) coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi, sulla terraferma e in mare, per un quantitativo estratto fino a 500 tonnellate al giorno per il petrolio e a 500.000 m 3 al giorno per il gas naturale;
h) modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato II, o al presente allegato già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli impatti ambientali significativi e negativi (modifica o estensione non inclusa nell’allegato II).
ALLEGATO III - Progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano
a) Recupero di suoli dal mare per una superficie che superi i 200 ettari.
b) Utilizzo non energetico di acque superficiali nei casi in cui al derivazione superi i 1.000 litri al secondo e di acque sotterranee ivi comprese acque minerali e termali, nei casi in cui la derivazione superi i 100 litri al secondo.
c) (lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 104 del 2017)
c-bis) Impianti
eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con
potenza complessiva superiore a 1 MW, qualora disposto all’esito della
verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 19;
(lettera così sostituita dall'art. 22 del d.lgs.
n. 104 del 2017)
d) Impianti industriali destinati:
- alla fabbricazione di pasta per carta a partire dal legno o da altre materie fibrose;
- alla fabbricazione di carta e cartoni con capacità di produzione superiore a 200 tonnellate al giorno.
e) Impianti chimici integrati, ossia impianti per la produzione su scala industriale, mediante processi di trasformazione chimica, di sostanze, in cui si trovano affiancate varie unità produttive funzionalmente connesse tra di loro:
- per la fabbricazione di prodotti chimici inorganici di base (progetti non inclusi nell'Allegato II);
- per la fabbricazione di prodotti chimici inorganici di base (progetti non inclusi nell'Allegato II);
- per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto, potassio (fertilizzanti semplici o composti) (progetti non inclusi nell'Allegato II);
- per la fabbricazione di prodotti di base fitosanitari e di biocidi;
- per la fabbricazione di prodotti farmaceutici di base mediante procedimento chimico o biologico;
- per la fabbricazione di esplosivi.
f) Trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici per una capacità superiore alle 35.000 t/anno di materie prime lavorate.
g) Produzione di pesticidi, prodotti farmaceutici, pitture e vernici, elastomeri e perossidi, per insediamenti produttivi di capacità superiore alle 35.00 t/anno di materie prime lavorate.
h)
(lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs.
n. 104 del 2017)
h-bis) (lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs.
n. 104 del 2017)
i) Impianti per la concia del cuoio e del pellame qualora la capacità superi le 12 tonnellate di prodotto finito al giorno.
l) (lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 104 del 2017)
m) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D1, D5, D9, D10 e D11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
n) Impianto di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento di cui all'allegato B, lettere D9, D10 e D11, ed allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
o) Impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi mediante operazioni di raggruppamento o ricondizionamento preliminari e deposito preliminare, con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D13 e D14, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
p) Discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva superiore a 100.000 m3 (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); discariche di rifiuti speciali non pericolosi (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 152/2006), ad esclusione delle discariche per inerti con capacità complessiva sino a 100.000 m3.
q) Impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi mediante operazioni di deposito preliminare, con capacità superiore a 150.000 m3 oppure con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettera D15, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
r) Impianti di depurazione delle acque con potenzialità superiore a 100.00 abitanti equivalenti.
s) Cave e torbiere con più di 500.000 m3/a di materiale estratto o di un'area interessata superiore a 20 ettari.
t) Dighe e altri impianti destinati a trattenere,
regolare o accumulare le acque in modo durevole, ai fini non energetici,
di altezza superiore a 10 m e/o di capacitò superiore a 100.000 m3, con
esclusione delle opere di confinamento fisico finalizzate alla messa in
sicurezza dei siti inquinati.
u) Attività di coltivazione sulla terraferma delle
sostanze minerali di miniera di cui all'art. 2, comma 2 del R.D. 29
luglio 1927, n. 1443, fatta salva la disciplina delle acque minerali e
termali di cui alla precedente lettera b);
(lettera così
modificata dall'art. 19, comma 1, lettera b-bis, della legge n. 108 del 2021)
v) Attività di coltivazione sulla terraferma degli
idrocarburi liquidi e gassosi delle risorse geotermiche, con esclusione
degli impianti geotermici pilota di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del
decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni;
z) (lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs.
n. 104 del 2017)
aa) Impianti di smaltimento di rifiuti mediante
operazioni di iniezione in profondità, lagunaggio, scarico di rifiuti
solidi nell'ambiente idrico, compreso il seppellimento nel sottosuolo
marino, deposito permanente (operazioni di cui all'allegato B, lettere
D3, D4, D6, D7 e D12, della parte quarta del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152).
ab) (lettera abrogata dall'art. 26, comma 1, d.lgs. n. 104 del 2017)
ac) Impianti per l'allevamento intensivo di pollame o di suini con più di:
- 85.000 posti per polli da ingrasso, 60.000 per galline;
- 3.000 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg) o
- 900 posti per scrofe.
ad) Impianti destinati a ricavare metalli grezzi non ferrosi da minerali, nonché concentrati o materie prime secondarie attraverso procedimenti metallurgici, chimici o elettrolitici.
ae) Sistemi di ricarica artificiale delle acque freatiche in cui il volume annuale dell'acqua ricaricata sia superiore a 10 milioni di metri cubi.
af) Opere per il trasferimento di risorse idriche tra
bacini imbriferi inteso a prevenire un'eventuale penuria di acqua, per
un volume di acque trasferite superiore a 100 milioni di metri cubi
all'anno. In tutti gli altri casi, opere per il trasferimento di risorse
idriche tra bacini imbriferi con un'erogazione media pluriennale del
bacino in questione superiore a 100 milioni di metri cubi all'anno. In
tutti gli altri casi, opere per il trasferimento di risorse idriche tra
bacini imbriferi con un'erogazione media pluriennale del bacino in
questione superiore a 2.000 milioni di metri cubi all'anno e per un
volume di acque trasferite superiore al 5% di detta erogazione. In
entrambi i casi sono esclusi i trasferimenti di acqua potabile
convogliata in tubazioni.
af-bis) Strade urbane di scorrimento;
(lettera così sostituita dall'art. 22 del d.lgs.
n. 104 del 2017)
ag) Ogni modifica o estensione dei progetti elencati nel presente allegato, ove la modifica o l'estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato.
ALLEGATO IV - Progetti sottoposti alla Verifica di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.
1. Agricoltura
a) cambiamento di uso di aree non coltivate, semi-naturali o naturali per la loro coltivazione agraria intensiva con una superficie superiore a 10 ettari;
b) iniziale forestazione di una superficie superiore a 20 ettari; deforestazione allo scopo di conversione di altri usi del suolo di una superficie superiore a 5 ettari;
c) Impianti per l'allevamento intensivo di animali il cui numero complessivo di capi sia maggiore di quello derivante dal seguente rapporto: 40 quintali di peso vivo di animali per ettaro di terreno funzionalmente asservito all'allevamento. Sono comunque esclusi, indifferentemente dalla localizzazione, gli allevamenti con numero di animali inferiore o uguale a: 1.000 avicoli, 800 cunicoli, 120 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg) o 45 posti per scrofe, 300 ovicaprini, 50 posti bovini;
d) i progetti di gestione delle risorse idriche per l'agricoltura, compresi i progetti di irrigazione e di drenaggio delle terre, per una superficie superiore ai 300 ettari;
e) impianti di piscicoltura intensiva per superficie complessiva oltre i 5 ettari;
f) progetti di ricomposizione fondiaria che interessano una superficie superiore a 200 ettari.
2. Industria energetica ed estrattiva
(punto così sostituito dall'art. 22 del d.lgs.
n. 104 del 2017)
a) attività di ricerca sulla terraferma delle sostanze minerali di miniera di cui all’articolo 2, comma 2, del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, ivi comprese le risorse geotermiche con esclusione degli impianti geotermici pilota di cui all’articolo 1, comma 3-bis, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, e successive modificazioni, incluse le relative attività minerarie fatta salva la disciplina delle acque minerali e termali di cui alla lettera b) dell’allegato III alla parte seconda;
(lettera così modificata dall'art. 19, comma 1, lettera b-bis, della legge n. 108 del 2021)b) impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva superiore a 1 MW;
c) impianti industriali per il trasporto del vapore e dell’acqua calda, che alimentano condotte con una lunghezza complessiva superiore ai 20 km;
(le lettere b) e c) si devono ritenete integrate dall'articolo 6, comma 9-bis, del decreto legislativo n. 28 del 2011, introdotto dall'art. 31, comma 2, del decreto-legge n. 77 del 2010, che recita «9-bis. Per l'attività di costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 10 MW connessi alla rete elettrica di media tensione e localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale si applica la procedura abilitativa semplificata di cui ai commi seguenti. Le soglie di cui all’Allegato IV, punto 2, lettera b), alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per la procedura di verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale di cui all’articolo 19 del medesimo decreto, si intendono per questa tipologia di impianti elevate a 10 MW purché il proponente alleghi alla dichiarazione di cui al comma 2 una autodichiarazione che l’impianto non si trova all’interno di aree fra quelle specificamente elencate e individuate dall’Allegato 3, lettera f), al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010. Si potrà procedere a seguito della procedura di cui sopra con edificazione diretta degli impianti fotovoltaici anche qualora la pianificazione urbanistica richieda piani attuativi per l’edificazione»)
d) impianti eolici per la produzione di energia elettrica sulla terraferma con potenza complessiva superiore a 1 MW;
e) estrazione di sostanze minerali di miniera di cui all’articolo 2, comma 2, del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, mediante dragaggio marino e fluviale;
f) agglomerazione industriale di carbon fossile e lignite;
g) impianti di superficie dell’industria di estrazione di carbon fossile e di minerali metallici nonché di scisti bituminose;
h) impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW e, per i soli impianti idroelettrici che rientrano nella casistica di cui all’articolo 166 del presente decreto ed all’articolo 4, punto 3.b, lettera i), del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 6 luglio 2012, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, con potenza nominale di concessione superiore a 250 kW;
i) impianti di gassificazione e liquefazione del carbone.
3. Lavorazione dei metalli e dei prodotti minerali
a) impianti di arrostimento o sinterizzazione di minerali metalliferi che superino i 5.000 m2 di superficie impegnata o 50.000 m3 di volume;
b) impianti di produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o secondaria) compresa la relativa colata continua di capacità superiore a 2, 5 tonnellate all'ora;
c) impianti destinati alla trasformazione dei metalli ferrosi mediante:- laminazione a caldo con capacità superiore a 20 tonnellate di acciaio grezzo al'ora,
- forgiatura con magli la cui energia di impatto supera 50 kJ per maglio e allorché la potenza calorifera è superiore a 20 MW;
- applicazione di strati protettivi di metallo fuso con una capacità di trattamento superiore a 2 tonnellate di acciaio grezzo all'ora;d) fonderie di metalli ferrosi con una capacità di produzione superiore a 20 tonnellate al giorno;
e) impianti di fusione e lega di metalli non ferrosi, compresi i prodotti di recupero (affinazione, formatura in fonderia) con una capacità di fusione superiore a 10 tonnellate per il piombo e il cadmio o a 50 tonnellate per tutti gli altri metalli al giorno;
f) impianti per il trattamento di superficie di metalli e materia plastiche mediante processi elettrolitici o chimici qualora le vasche destinate al trattamento abbiano un volume superiore a 30 m3;
g) impianti di costruzione e montaggio di auto e motoveicoli e costruzioni dei relativi motori; impianti per la costruzione e riparazione di aeromobili; costruzione di materiale ferroviario e rotabile che superino 10.000 m2 di superficie impegnata o 50.000 m3 di volume;
h) cantieri navali di superficie complessiva superiore a 2 ettari;
i) imbutitura di fondo con esplosivi che superino 5.000 m2 di superficie impegnata o 50.000 m3 di volume;
l) cockerie (distillazione a secco di carbone);
m) fabbricazione di prodotti ceramici mediante cottura, in particolare tegole, mattoni, mattoni refrattari, piastrelle, gres o porcellane, con capacità di produzione di oltre 75 tonnellate al giorno e/o con capacità di forno superiore a 4 metri cubi e con densità di colata per forno superiore a 300 kg al metro cubo;
n) impianti per la fusione di sostanze minerali, compresi quelli destinati alla produzione di fibre minerali, con capacità di fusione di oltre 20 tonnellate al giorno;
o) impianti per la produzione di vetro compresi quelli destinati alla produzione di fibre di vetro, con capacità di fusione di oltre 20 tonnellate al giorno;
p) impianti destinati alla produzione di cinkler (cemento) in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 500 tonnellate al giorno oppure di calce viva in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 50 tonnellate al giorno, o in latri tipi di forni aventi una capacità di produzione do oltre 50 tonnellate al giorno.
4. Industria dei prodotti alimentari
a) impianti per il trattamento e la trasformazione di materie prime animali (diverse dal latte) con una capacità di produzione di prodotti finiti di oltre 75 tonnellate al giorno;
b) impianti per il trattamento e la trasformazione di materie prime vegetali con una capacità di produzione di prodotti finiti di oltre 300 tonnellate al giorno su base trimestrale;
c) impianti per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari con capacità di lavorazione superiore a 200 tonnellate al giorno su base annua;
d) impianti per la produzione di birra o malto con capacità di produzione superiore a 500.000 hl/anno;
e) impianti per la produzione di farina di pesce o di olio di pesce con capacità di lavorazione superiore a 50.000 q/anno di prodotto lavorato;
e)impianti per la produzione di dolciumi e sciroppi che superino 50 .000 m3 di volume;
f) macelli aventi una capacità di produzione di carcasse superiori a 50 tonnellate al giorno e impianti per l'eliminazione o il recupero di carcasse e di residui di animali con una capacità di trattamento di oltre 10 tonnellate al giorno;
g)impianti per la produzione di farina di pesce o di olio di pesce con capacità di lavorazione superiore a 50.000 q/anno di prodotto lavorato;
h) molitura dei cereali, industria dei prodotti amidacei, industria dei prodotti alimentari per zootecnia che superino 5.000 m2 di superficie impegnata o 50.000 m3 di volume;
i) zuccherifici, impianti per la produzione di lieviti con capacità di produzione o raffinazione superiore a 10.000 t/giorno di barbabietole.
5. Industria dei tessili, del cuoio, del legno della carta
a) impianti di fabbricazione di pannelli di fibre, pannelli di particelle e compensati, di capacità superiore alle 50.000 t/anno di materie lavorate;
b) impianti per la produzione e la lavorazione di cellulosa, fabbricazione di carta e cartoni di capacità superiore a 50 tonnellate al giorno;
c) impianti per il pretrattamento (operazioni quali il lavaggio, l'imbianchimento, la mercerizzazione) o la tintura di fibre tessili, di lana la cui capacità di trattamento supera le 10 tonnellate al giorno;
d) impianti per la concia del cuoio e del pellame qualora la capacità superi le 3 tonnellate di prodotto finito al giorno.
6. Industria della gomma e delle materie plastiche
a) fabbricazione e trattamento di prodotti a base di elastomeri con almeno 25.000 tonnellate/anno di materie prime lavorate.
7. Pogetti di infrastrutture
a) progetti di sviluppo di zone industriali o produttive con una superficie interessata superiore ai 40 ettari;
b) progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari; progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari; costruzione di centri commerciali di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 "Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59"; parcheggi di uso pubblico con capacità superiori a 500 posti auto;
c) piste da sci di lunghezza superiore a 1,5 km o che impegnano una superficie superiore a 5 ettari nonché impianti meccanici di risalita, escluse le sciovie e le monofuni a collegamento permanente aventi lunghezza inclinata non superiore a 500 metri, con portata oraria massima superiore a 1800 persone;
d) derivazione di acque superficiali ed opere connesse che prevedano derivazioni superiori a 200 litri al secondo o di acque sotterranee che prevedano derivazioni superiori a 50 litri al secondo, nonché le trivellazioni finalizzate alla ricerca per derivazioni di acque sotterranee superiori a 50 litri al secondo;
e), f), g) (lettere soppresse dal d.lgs. n. 104 del 2017)
h) strade extraurbane secondarie non comprese nell’allegato II-bis e strade urbane con lunghezza superiore a 1.500 metri non comprese nell’allegato III;
(lettera così sostituita dall'art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
i) linee ferroviarie a carattere regionale o locale;
l) sistemi di trasporto a guida vincolata (tramvie e metropolitane), funicolari o linee simili di tipo particolare, esclusivamente o principalmente adibite al trasporto di passeggeri;
m) (lettera soppressa dal d.lgs. n. 104 del 2017)
n) opere costiere destinate a combattere l'erosione e lavori marittimi volti a modificare la costa, mediante la costruzione di dighe, moli ed altri lavori di difesa del mare;
o) opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione e interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale;
p), q) (lettere soppresse dal d.lgs. n. 104 del 2017)
r) impianti di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi, mediante operazioni di raggruppamento o di ricondizionamento preliminari, con capacità massima complessiva superiore a 20 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D13 e D14 del decreto legislativo 152/2006);
s) impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento (operazioni di cui all'allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
t) impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di deposito preliminare con capacità massima superiore a 30.000 m3 oppure con capacità superiore a 40 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettera D15 della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
u) discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva inferiore ai 100.000 m3 (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152);
v) impianti di depurazione delle acque con potenzialità superiore a 10.000 abitanti equivalenti;
z) (lettera soppressa dal d.lgs. n. 104 del 2017)
z.a) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15, ed all'allegato C, lettere da R2 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
z.b) Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ad esclusione degli impianti mobili volti al recupero di rifiuti non pericolosi provenienti dalle operazioni di costruzione e demolizione, qualora la campagna di attività abbia una durata inferiore a novanta giorni, e degli altri impianti mobili di trattamento dei rifiuti non pericolosi, qualora la campagna di attività abbia una durata inferiore a trenta giorni. Le eventuali successive campagne di attività sul medesimo sito sono sottoposte alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA qualora le quantità siano superiori a 1.000 metri cubi al giorno.
(lettera così modificata dall'art. 35, comma 1. lettera l-bis), della legge n. 108 del 2021)
8. Altri progetti
a) villaggi turistici di superficie superiore a 5 ettari, centri residenziali turistici ed esercizi alberghieri con oltre 300 posti-letto o volume edificato superiore a 25.000 m3 o che occupano una superficie superiore ai 20 ettari, esclusi quelli ricedenti all'interno di centri abitati;
b) piste permanenti per corse e prove di automobili, motociclette ed altri veicoli a motore;
c) centri di raccolta, stoccaggio e rottamazione di rottami di ferro, autoveicoli e simili con superficie superiore a 1 ettaro;
d) banchi di prova per motori, turbine, reattori quanto l'area impegnata supera i 500 m2;
e) fabbricazione di fibre minerali artificiali che superino 5.000 m2 di superficie impegnata o 50.000 m3 di volume;
f) fabbricazione, condizionamento, carico o messa in cartucce di esplosivi con almeno 25.000 tonnellate/anno di materie prime lavorate;
g) stoccaggio di petrolio, prodotti petroliferi, petrolchimici e chimici pericolosi, a sensi della legge 29 maggio 1974, n. 256, e successive modificazioni, con capacità complessiva superiore a 1.000 m3;
h) recupero di suoli dal mare per una superficie che superi i 10 ettari;
i) cave e e torbiere;
l) trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici per una capacità superiore a 10.000 t/anno di materie prime lavorate;
m) produzione di pesticidi, prodotti farmaceutici, pitture e vernici, elastomeri e perossidi, per insediamenti produttivi di capacità superiore alle 10.000 t/anno in materie prime lavorate;
n) depositi di fanghi diversi da quelli disciplinati dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con capacità superiore a 10.00 metri cubi;
o) impianti per il recupero o la distruzione di sostanze esplosive;
p) stabilimenti di squartamento con capacità di produzione superiore a 50 tonnellate al giorno;
q) terreni da campeggio e caravaning a carattere permanente con capacità superiore a 300 posti roulotte caravan o di superficie superiore a 5 ettari;
r) parchi tematici di superficie superiore a 5 ettari;
s) progetti di cui all'allegato III, che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e che non sono utilizzati per più di due anni;
s-bis) Impianti di desalinizzazione con capacita' pari o superiore a 200 l/s;
(lettera inserita dall'art. 10 del decreto-legge n. 39 del 2023)
t) modifiche o estensioni di progetti di cui all'allegato III o all'allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente (modifica o estensione non inclusa nell'allegato III).
ALLEGATO IV-bis - Contenuti dello Studio Preliminare Ambientale di cui all’articolo 19
1. Descrizione del progetto, comprese in particolare:
a) la descrizione delle caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto e, ove pertinente, dei lavori di demolizione;
b) la descrizione della localizzazione del progetto, in particolare per quanto riguarda la sensibilità ambientale delle aree geografiche che potrebbero essere interessate.
2. La descrizione delle componenti dell’ambiente sulle quali il progetto potrebbe avere un impatto rilevante.
3. La descrizione di tutti i probabili effetti rilevanti del progetto sull’ambiente, nella misura in cui le informazioni su tali effetti siano disponibili, risultanti da:
a) i residui e le emissioni previste e la produzione di rifiuti, ove pertinente;
b) l’uso delle risorse naturali, in particolare suolo, territorio, acqua e biodiversità.
4. Nella predisposizione delle informazioni e dei dati di cui ai punti da 1 a 3 si tiene conto, se del caso, dei criteri contenuti nell’allegato V.
5. Lo Studio Preliminare Ambientale tiene conto, se del caso, dei risultati disponibili di altre pertinenti valutazioni degli effetti sull’ambiente effettuate in base alle normative europee, nazionali e regionali e può contenere una descrizione delle caratteristiche del progetto e/o delle misure previste per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi.
ALLEGATO V - Criteri per la Verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 19
1. Caratteristiche dei progetti
Le caratteristiche dei progetti debbono essere considerate tenendo conto, in particolare:
a) delle dimensioni e della concezione dell’insieme del progetto;
b) del cumulo con altri progetti esistenti e/o approvati;
c) dell’utilizzazione di risorse naturali, in particolare suolo, territorio, acqua e biodiversità;
d) della produzione di rifiuti;
e) dell’inquinamento e disturbi ambientali;
f) dei rischi di gravi incidenti e/o calamità attinenti al progetto in questione, inclusi quelli dovuti al cambiamento climatico, in base alle conoscenze scientifiche;
g) dei rischi per la salute umana quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelli dovuti alla contaminazione dell’acqua o all’inquinamento atmosferico.
2. Localizzazione dei progetti.
Deve essere considerata la sensibilità ambientale delle aree geografiche che possono risentire dell’impatto dei progetti, tenendo conto, in particolare:
a) dell’utilizzazione del territorio esistente e approvato;
b) della ricchezza relativa, della disponibilità, della qualità e della capacità di rigenerazione delle risorse naturali della zona (comprendenti suolo, territorio, acqua e biodiversità) e del relativo sottosuolo;
c) della capacità di carico dell’ambiente naturale, con particolare attenzione alle seguenti zone:
c1) zone umide, zone riparie, foci dei fiumi;
c2) zone costiere e ambiente marino;
c3) zone montuose e forestali;
c4) riserve e parchi naturali;
c5) zone classificate o protette dalla normativa nazionale; i siti della rete Natura 2000;
c6) zone in cui si è già verificato, o nelle quali si ritiene che si possa verificare, il mancato rispetto degli standard di qualità ambientale pertinenti al progetto stabiliti dalla legislazione dell’Unione;
c7) zone a forte densità demografica;
c8) zone di importanza paesaggistica, storica, culturale o archeologica;
c9) territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
3. Tipologia e caratteristiche dell’impatto potenziale.
I potenziali impatti ambientali dei progetti debbono essere considerati in relazione ai criteri stabiliti ai punti 1 e 2 del presente allegato con riferimento ai fattori di cui all’articolo 5, comma 1, lettera c),
del presente decreto, e tenendo conto, in particolare:a) dell’entità ed estensione dell’impatto quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, area geografica e densità della popolazione potenzialmente interessata;
b) della natura dell’impatto;
c) della natura transfrontaliera dell’impatto;
d) dell’intensità e della complessità dell’impatto;
e) della probabilità dell’impatto;
f) della prevista insorgenza, durata, frequenza e reversibilità dell’impatto;
g) del cumulo tra l’impatto del progetto in questione e l’impatto di altri progetti esistenti e/o approvati;
h) della possibilità di ridurre l’impatto in modo efficace.
ALLEGATO VI - Contenuti del Rapporto ambientale di cui all'articolo 13
Le informazioni da fornire con i rapporti ambientali che devono accompagnare le proposte di piani e di programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica sono:
a) illustrazione dei contenuti, degli obiettivi principali del piano o programma e del rapporto con altri pertinenti piani o programmi;
b) aspetti pertinenti dello stato attuale dell'ambiente e sua evoluzione probabile senza l'attuazione del piano o del programma;
c) caratteristiche ambientali, culturali e paesaggistiche delle aree che potrebbero essere significativamente interessate;
d) qualsiasi problema ambientale esistente, pertinente al piano o programma, ivi compresi in particolare quelli relativi ad aree di particolare rilevanza ambientale, culturale e paesaggistica, quali le zone designate come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, nonché i territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità, di cui all'art. 21 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228.
e) obiettivi di protezione ambientale stabiliti a livello internazionale, comunitario o degli Stati membri, pertinenti al piano o al programma, e il modo in cui, durante la sua preparazione, si è tenuto conto di detti obiettivi e di ogni considerazione ambientale;
f) possibili impatti significativi sull'ambiente, compresi aspetti quali la biodiversità, la popolazione, la salute umana, la flora e la fauna, il suolo, l'acqua, l'aria, i fattori climatici, i beni materiali, il patrimonio culturale, anche architettonico e archeologico, il paesaggio e l'interrelazione tra i suddetti fattori. Devono essere considerati tutti gli impatti significativi, compresi quelli secondari, cumulativi, sinergici, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi;
g) misure previste per impedire, ridurre e compensare nel modo più completo possibile gli eventuali impatti negativi significativi sull'ambiente dell'attuazione del piano o del programma;
h) sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate e una descrizione di come è stata effettuata la valutazione, nonché le eventuali difficoltà incontrate (ad esempio carenze tecniche o difficoltà derivanti dalla novità dei problemi e delle tecniche per risolverli) nella raccolta delle informazioni richieste;
i) descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio e controllo degli impatti ambientali significativi derivanti dall'attuazione del piani o del programma proposto definendo, in particolare, le modalità di raccolta dei dati e di elaborazione degli indicatori necessari alla valutazione degli impatti, la periodicità della produzione di un rapporto illustrante i risultati della valutazione degli impatti e le misure correttive da adottare;
j) sintesi non tecnica delle informazioni di cui alle lettere precedenti.
ALLEGATO VII - Contenuti dello Studio di impatto ambientale di cui
all'articolo 22
(allegato così sostituito dall'art.
22 del d.lgs. n. 104 del 2017)
1. Descrizione del progetto, comprese in particolare:
a) la descrizione dell’ubicazione del progetto, anche in riferimento alle tutele e ai vincoli presenti;
b) una descrizione delle caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto, compresi, ove pertinenti, i lavori di demolizione necessari, nonché delle esigenze di utilizzo del suolo durante le fasi di costruzione e di funzionamento;
c) una descrizione delle principali caratteristiche della fase di funzionamento del progetto e, in particolare dell’eventuale processo produttivo, con l’indicazione, a titolo esemplificativo e non esaustivo, del fabbisogno e del consumo di energia, della natura e delle quantità dei materiali e delle risorse naturali impiegate (quali acqua, territorio, suolo e biodiversità);
d) una valutazione del tipo e della quantità dei residui e delle emissioni previsti, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e del sottosuolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione, e della quantità e della tipologia di rifiuti prodotti durante le fasi di costruzione e di funzionamento;
e) la descrizione della tecnica prescelta, con riferimento alle migliori tecniche disponibili a costi non eccessivi, e delle altre tecniche previste per prevenire le emissioni degli impianti e per ridurre l’utilizzo delle risorse naturali, confrontando le tecniche prescelte con le migliori tecniche disponibili.
2. Una descrizione delle principali alternative ragionevoli del progetto (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelle relative alla concezione del progetto, alla tecnologia, all’ubicazione, alle dimensioni e alla portata) prese in esame dal proponente, compresa l’alternativa zero, adeguate al progetto proposto e alle sue caratteristiche specifiche, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale, e la motivazione della scelta progettuale, sotto il profilo dell’impatto ambientale, con una descrizione delle alternative prese in esame e loro comparazione con il progetto presentato.
3. La descrizione degli aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente (scenario di base) e una descrizione generale della sua probabile evoluzione in caso di mancata attuazione del progetto, nella misura in cui i cambiamenti naturali rispetto allo scenario di base possano essere valutati con uno sforzo ragionevole in funzione della disponibilità di informazioni ambientali e conoscenze scientifiche.
4. Una descrizione dei fattori specificati all’articolo 5, comma 1, lettera c), del presente decreto potenzialmente soggetti a impatti ambientali dal progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, salute umana, biodiversità (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, fauna e flora), al territorio (quale, a titolo esemplificativo e non esaustivo, sottrazione del territorio), al suolo (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, erosione, diminuzione di materia organica, compattazione, impermeabilizzazione), all’acqua (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, modificazioni idromorfologiche, quantità e qualità), all’aria, ai fattori climatici (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, emissioni di gas a effetto serra, gli impatti rilevanti per l’adattamento), ai beni materiali, al patrimonio culturale, al patrimonio agroalimentare, al paesaggio, nonché all’interazione tra questi vari fattori.
5. Una descrizione dei probabili impatti ambientali rilevanti del progetto proposto, dovuti, tra l’altro:
a) alla costruzione e all’esercizio del progetto, inclusi, ove pertinenti, i lavori di demolizione;
b) all’utilizzazione delle risorse naturali, in particolare del territorio, del suolo, delle risorse idriche e della biodiversità, tenendo conto, per quanto possibile, della disponibilità sostenibile di tali risorse;
c) all’emissione di inquinanti, rumori, vibrazioni, luce, calore, radiazioni, alla creazione di sostanze nocive e allo smaltimento dei rifiuti;
d) ai rischi per la salute umana, il patrimonio culturale, il paesaggio o l’ambiente (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, in caso di incidenti o di calamità);
e) al cumulo con gli effetti derivanti da altri progetti esistenti e/o approvati, tenendo conto di eventuali criticità ambientali esistenti, relative all’uso delle risorse naturali e/o ad aree di particolare sensibilità ambientale suscettibili di risentire degli effetti derivanti dal progetto;
f) all’impatto del progetto sul clima (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, natura ed entità delle emissioni di gas a effetto serra) e alla vulnerabilità del progetto al cambiamento climatico;
g) alle tecnologie e alle sostanze utilizzate.
La descrizione dei possibili impatti ambientali sui fattori specificati all’articolo 5, comma 1, lettera c), del presente decreto include sia effetti diretti che eventuali effetti indiretti, secondari, cumulativi, transfrontalieri, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi del progetto. La descrizione deve tenere conto degli obiettivi di protezione dell’ambiente stabiliti a livello di Unione o degli Stati membri e pertinenti al progetto.
6. La descrizione da parte del proponente dei metodi di previsione utilizzati per individuare e valutare gli impatti ambientali significativi del progetto, incluse informazioni dettagliate sulle difficoltà incontrate nel raccogliere i dati richiesti (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, carenze tecniche o mancanza di conoscenze) nonché sulle principali incertezze riscontrate.
7. Una descrizione delle misure previste per evitare, prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi identificati del progetto e, ove pertinenti, delle eventuali disposizioni di monitoraggio (quale, a titolo esemplificativo e non esaustivo, la preparazione di un’analisi ex post del progetto). Tale descrizione deve spiegare in che misura gli impatti ambientali significativi e negativi sono evitati, prevenuti, ridotti o compensati e deve riguardare sia le fasi di costruzione che di funzionamento.
8. La descrizione degli elementi e dei beni culturali e paesaggistici eventualmente presenti, nonché dell’impatto del progetto su di essi, delle trasformazioni proposte e delle misure di mitigazione e compensazione eventualmente necessarie.
9. Una descrizione dei previsti impatti ambientali significativi e negativi del progetto, derivanti dalla vulnerabilità del progetto ai rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti per il progetto in questione. A tale fine potranno essere utilizzate le informazioni pertinenti disponibili, ottenute sulla base di valutazioni del rischio effettuate in conformità della legislazione dell’Unione (a titolo e non esaustivo la direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio o la direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio), ovvero di valutazioni pertinenti effettuate in conformità della legislazione nazionale, a condizione che siano soddisfatte le prescrizioni del presente decreto. Ove opportuno, tale descrizione dovrebbe comprendere le misure previste per evitare o mitigare gli impatti ambientali significativi e negativi di tali eventi, nonché dettagli riguardanti la preparazione a tali emergenze e la risposta proposta.
10. Un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse sulla base dei punti precedenti.
11. Un elenco di riferimenti che specifichi le fonti utilizzate per le descrizioni e le valutazioni incluse nello Studio di Impatto Ambientale.
12. Un sommario delle eventuali difficoltà, quali lacune tecniche o mancanza di conoscenze, incontrate dal proponente nella raccolta dei dati richiesti e nella previsione degli impatti di cui al punto 5.
ALLEGATO VIII - Inquadramento generale
A- Le installazioni, gli impianti o le parti di impianti
utilizzati
per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi
prodotti e
processi non rientrano nel Titolo III-bis alla Parte
Seconda.
B- I valori soglia riportati di seguito si riferiscono in
genere
alle capacità di produzione o alla resa. Qualora uno stesso
gestore
ponga in essere varie attività elencate alla medesima voce
in una
stessa installazione o in una stessa località, si sommano
le
capacità di tali attività. Per le attività di gestione
dei
rifiuti, tale calcolo si applica al livello delle attività
5.1 e
5.3, lettere a) e b).
C - Nell'ambito delle categorie di attività di cui al punto
4
(industria chimica), si intende per produzione la produzione
su scala
industriale mediante trasformazione chimica o biologica
delle
sostanze o dei gruppi di sostanze di cui ai punti da 4.1 a
4.6.
D- In mancanza di specifici indirizzi interpretativi emanati
ai
sensi dell'articolo 29-quinquies e di linee guida
interpretative
emanate dalla Commissione Europea, le autorità competenti
valuteranno autonomamente:
a) il rapporto tra le attività di gestione dei rifiuti descritte nel presente Allegato e quelle descritte agli Allegati B e C alla Parte Quarta; e
b) l'interpretazione del termine "scala industriale" in riferimento alle attività dell'industria chimica descritte nel presente Allegato.
Categorie di attività di cui all'articolo 6, comma 13.
1. Attività energetiche
1.1. Combustione di combustibili in installazione con una
potenza
termica nominale totale pari o superiore a 50 MW
1.2. Raffinazione di petrolio e di gas
1.3. Produzione di coke
1.4. Gassificazione o liquefazione di:
a) carbone;
b) altri combustibili in installazioni con una potenza termica nominale totale pari o superiore a 20 MW.
1.4-bis attività svolte su terminali di rigassificazione e altre installazioni localizzate in mare su piattaforme off-shore, esclusi quelli che non effettuino alcuno scarico (ai sensi del Capo II del Titolo IV alla Parte Terza) e le cui emissioni in atmosfera siano esclusivamente riferibili ad impianti ed attività scarsamente rilevanti di cui alla Parte I dell'Allegato IV alla Parte Quinta.
2. Produzione e trasformazione dei metalli
2.1. Arrostimento o sinterizzazione di minerali metallici
compresi
i minerali solforati
2.2. Produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o
secondaria),
compresa la relativa colata continua di capacità superiore
a 2,5 Mg
all'ora
2.3. Trasformazione di metalli ferrosi mediante:
a) attività di laminazione a caldo con una capacità superiore a 20 Mg di acciaio grezzo all'ora;
b) attività di forgiatura con magli la cui energia di impatto supera 50 kJ per maglio e allorché la potenza calorifica è superiore a 20 MW;
c) applicazione di strati protettivi di metallo fuso con una capacità di trattamento superiore a 2 Mg di acciaio grezzo all'ora.
2.4. Funzionamento di fonderie di metalli ferrosi con una
capacità
di produzione superiore a 20 Mg al giorno.
2.5. Lavorazione di metalli non ferrosi:
a) produzione di metalli grezzi non ferrosi da minerali, nonché concentrati o materie prime secondarie attraverso procedimenti metallurgici, chimici o elettrolitici;
b) fusione e lega di metalli non ferrosi, compresi i prodotti di recupero e funzionamento di fonderie di metalli non ferrosi, con una capacità di fusione superiore a 4 Mg al giorno per il piombo e il cadmio o a 20 Mg al giorno per tutti gli altri metalli;
2.6. Trattamento di superficie di metalli o materie plastiche mediante processi elettrolitici o chimici qualora le vasche destinate al trattamento utilizzate abbiano un volume superiore a 30 m³.
3. Industria dei prodotti minerali
3.1. Produzione di cemento, calce viva e ossido di magnesio:
a) Produzione di clinker (cemento) in forni rotativi la cui capacità di produzione supera 500 Mg al giorno oppure altri forni aventi una capacità di produzione di oltre 50 Mg al giorno;
b) produzione di calce viva in forni aventi una capacità di produzione di oltre 50 Mg al giorno;
c) produzione di ossido di magnesio in forni aventi una capacità di produzione di oltre 50 Mg al giorno.
3.2. Produzione di amianto o fabbricazione di prodotti
dell'amianto
3.3. Fabbricazione del vetro compresa la produzione di fibre
di vetro, con capacità di fusione di oltre 20 Mg al giorno
3.4. Fusione di sostanze minerali compresa la produzione di
fibre
minerali, con una capacità di fusione di oltre 20 Mg al
giorno
3.5. Fabbricazione di prodotti ceramici mediante cottura, in
particolare tegole, mattoni, mattoni refrattari, piastrelle,
gres o
porcellane con una capacità di produzione di oltre 75 Mg al
giorno.
4. Industria chimica
4.1. Fabbricazione di prodotti chimici organici, e in particolare:
a) idrocarburi semplici (lineari o anulari, saturi o insaturi, alifatici o aromatici);
b) idrocarburi ossigenati, segnatamente alcoli, aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, esteri e miscele di esteri, acetati, eteri, perossidi e resine epossidiche;
c) idrocarburi solforati;
d) idrocarburi azotati, segnatamente amine, amidi, composti nitrosi, nitrati o nitrici, nitrili, cianati, isocianati;
e) idrocarburi fosforosi;
f) idrocarburi alogenati;
g) composti organometallici;
h) materie plastiche (polimeri, fibre sintetiche, fibre a base di cellulosa);
i) gomme sintetiche;
l) sostanze coloranti e pigmenti;
m) tensioattivi e agenti di superficie.
4.2. Fabbricazione di prodotti chimici inorganici, e in particolare:
a) gas, quali ammoniaca, cloro o cloruro di idrogeno, fluoro e fluoruro di idrogeno, ossidi di carbonio, composti di zolfo, ossidi di azoto, idrogeno, biossido di zolfo, bicloruro di carbonile;
b) acidi, quali acido cromico, acido fluoridrico, acido fosforico, acido nitrico, acido cloridrico, acido solforico, oleum e acidi solforati;
c) basi, quali idrossido d'ammonio, idrossido di potassio, idrossido di sodio;
d) sali, quali cloruro d'ammonio, clorato di potassio, carbonato di potassio, carbonato di sodio, perborato, nitrato d'argento;
e) metalloidi, ossidi metallici o altri composti inorganici, quali carburo di calcio, silicio, carburo di silicio.
4.3. Fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto
o
potassio (fertilizzanti semplici o composti)
4.4. Fabbricazione di prodotti fitosanitari o di biocidi
4.5. Fabbricazione di prodotti farmaceutici compresi i
prodotti
intermedi
4.6. Fabbricazione di esplosivi
5. Gestione dei rifiuti
5.1. Lo smaltimento o il recupero di rifiuti pericolosi, con capacità di oltre 10 Mg al giorno, che comporti il ricorso ad una o più delle seguenti attività:
a) trattamento biologico;
b) trattamento fisico-chimico;
c) dosaggio o miscelatura prima di una delle altre attività di cui ai punti 5.1 e 5.2;
d) ricondizionamento prima di una delle altre attività di cui ai punti 5.1 e 5.2;
e) rigenerazione/recupero dei solventi;
f) rigenerazione/recupero di sostanze inorganiche diverse dai metalli o dai composti metallici;
g) rigenerazione degli acidi o delle basi;
h) recupero dei prodotti che servono a captare le sostanze inquinanti;
i) recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori;
j) rigenerazione o altri reimpieghi degli oli;
k) lagunaggio.
5.2. Smaltimento o recupero dei rifiuti in impianti di incenerimento dei rifiuti o in impianti di coincenerimento dei rifiuti:
a) per i rifiuti non pericolosi con una capacità superiore a 3 Mg all'ora;
b) per i rifiuti pericolosi con una capacità superiore a 10 Mg al giorno.
5.3.
a) Lo smaltimento dei rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 50 Mg al giorno, che comporta il ricorso ad una o più delle seguenti attività ed escluse le attività di trattamento delle acque reflue urbane, disciplinate al paragrafo 1.1 dell'Allegato 5 alla Parte Terza:
1) trattamento biologico;
2) trattamento fisico-chimico;
3) pretrattamento dei rifiuti destinati all'incenerimento o al coincenerimento;
4) trattamento di scorie e ceneri;
5) trattamento in frantumatori di rifiuti metallici, compresi i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e i veicoli fuori uso e relativi componenti.b) Il recupero, o una combinazione di recupero e smaltimento, di rifiuti non pericolosi, con una capacità superiore a 75 Mg al giorno, che comportano il ricorso ad una o più delle seguenti attività ed escluse le attività di trattamento delle acque reflue urbane, disciplinate al paragrafo 1.1 dell'Allegato 5 alla Parte Terza:
1) trattamento biologico;
2) pretrattamento dei rifiuti destinati all'incenerimento o al coincenerimento;
3) trattamento di scorie e ceneri;
4) trattamento in frantumatori di rifiuti metallici, compresi i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche e i veicoli fuori uso e relativi componenti.
Qualora l'attività di trattamento dei rifiuti consista unicamente nella digestione anaerobica, la soglia di capacità di siffatta attività è fissata a 100 Mg al giorno.
5.4. Discariche, che ricevono più di 10 Mg di rifiuti al
giorno o
con una capacità totale di oltre 25000 Mg, ad esclusione
delle
discariche per i rifiuti inerti.
5.5. Accumulo temporaneo di rifiuti pericolosi non
contemplati al
punto 5.4 prima di una delle attività elencate ai punti
5.1, 5.2,
5.4 e 5.6 con una capacità totale superiore a 50 Mg,
eccetto il
deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui
sono
generati i rifiuti.
5.6. Deposito sotterraneo di rifiuti pericolosi con una
capacità
totale superiore a 50 Mg.
6. Altre attività
6.1. Fabbricazione in installazioni industriali di:
a) pasta per carta a partire dal legno o da altre materie fibrose;
b) carta o cartoni con capacità di produzione superiore a 20 Mg al giorno;
c) uno o più dei seguenti pannelli a base di legno: pannelli a fibre orientate (pannelli OSB), pannelli truciolari o pannelli di fibre, con una capacità di produzione superiore a 600 m³ al giorno.
6.2. Pretrattamento (operazioni di lavaggio, imbianchimento,
mercerizzazione) o tintura di fibre tessili o di tessili la
cui
capacità di trattamento supera le 10 Mg al giorno.
6.3. Concia delle pelli qualora la capacità di trattamento
superi
le 12 Mg al giorno di prodotto finito.
6.4.
a) Funzionamento di macelli aventi una capacità di produzione di carcasse di oltre 50 Mg al giorno;
b) Escluso il caso in cui la materia prima sia esclusivamente il latte, trattamento e trasformazione, diversi dal semplice imballo, delle seguenti materie prime, sia trasformate in precedenza sia non trasformate destinate alla fabbricazione di prodotti alimentari o mangimi da:1) solo materie prime animali (diverse dal semplice latte) con una capacità di produzione di prodotti finiti di oltre 75 Mg al giorno;
2) solo materie prime vegetali con una capacità di produzione di prodotti finiti di oltre 300 Mg al giorno o 600 Mg al giorno se l'installazione è in funzione per un periodo non superiore a 90 giorni consecutivi all'anno;
3) materie prime animali e vegetali, sia in prodotti combinati che separati, quando, detta "A" la percentuale (%) in peso della materia animale nei prodotti finiti, la capacità di produzione di prodotti finiti in Mg al giorno è superiore a:
- 75 se A è pari o superiore a 10; oppure
- [300 - (22,5 × A)] in tutti gli altri casi
L'imballaggio non è compreso nel peso finale del prodotto.c) Trattamento e trasformazione esclusivamente del latte, con un quantitativo di latte ricevuto di oltre 200 Mg al giorno (valore medio su base annua).
6.5. Lo smaltimento o il riciclaggio di carcasse o di
residui di
animali con una capacità di trattamento di oltre 10 Mg al
giorno.
6.6. Allevamento intensivo di pollame o di suini:
a) con più di 40000 posti pollame;
b) con più di 2000 posti suini da produzione (di oltre 30 kg); o
c) con più di 750 posti scrofe.
6.7. Trattamento di superficie di materie, oggetti o
prodotti
utilizzando solventi organici, in particolare per
apprettare,
stampare, spalmare, sgrassare, impermeabilizzare, incollare,
verniciare, pulire o impregnare, con una capacità di
consumo di
solventi organici superiore a 150 kg all'ora o a 200 Mg
all'anno.
6.8. Fabbricazione di carbonio (carbone duro) o grafite per
uso
elettrico mediante combustione o grafitizzazione.
6.9. Cattura di flussi di CO2 provenienti da installazioni
che
rientrano nel presente Allegato ai fini dello stoccaggio
geologico in
conformità decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 162.
6.10. Conservazione del legno e dei prodotti in legno con
prodotti
chimici con una capacità di produzione superiore a 75 m³ al
giorno
eccetto il trattamento esclusivamente contro l'azzurratura.
6.11. Attività di trattamento a gestione indipendente di
acque
reflue non coperte dalle norme di recepimento della
direttiva
91/271/CEE, ed evacuate da un'installazione in cui è svolta
una
delle attività di cui al presente Allegato."
ALLEGATO IX - Elenco delle autorizzazioni ambientali sostituite dalla autorizzazione integrata ambientale
(allegato così sostituito dall'art. 26,
comma 2, d.lgs. n. 46 ddel 2014)
1. Autorizzazione alle emissioni in atmosfera, fermi
restando i
profili concernenti aspetti sanitari (titolo I della parte
quinta del
presente decreto).
2. Autorizzazione allo scarico (Capo II del Titolo IV della
Parte
Terza).
3. Autorizzazione unica per gli impianti di smaltimento e
recupero
dei rifiuti (articoli 208 e 210)
4. Autorizzazione allo smaltimento degli apparecchi
contenenti
PCB-PCT (decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 209,
articolo 7).
5. Autorizzazione all'utilizzo dei fanghi derivanti dal
processo di
depurazione in agricoltura (decreto legislativo 27 gennaio
1992, n.
99, articolo 9)
6. Autorizzazione allo scarico rilasciata dal Magistrato
alle Acque
di Venezia, limitatamente alle condizioni di esercizio degli
scarichi
idrici e alle modalità di controllo di tali condizioni
(decreto-legge 29 marzo 1995, n. 96, convertito con
modificazioni
nella legge 31 maggio 1995, n. 206, articolo 2, comma 2).".
ALLEGATO X - Elenco indicativo delle principali sostanze inquinanti di cui è obbligatorio tener conto se pertinenti per stabilire i valori limite di emissione
Aria:
1. Ossidi di zolfo e altri composti dello zolfo.
2. Ossidi di azoto e altri composti dell'azoto.
3. Monossido di carbonio.
4. Composti organici volatili.
5. Metalli e relativi composti.
6. Polveri, comprese le particelle sottili.
7. Amianto (particelle in sospensione e fibre).
8. Cloro e suoi composti.
9. Fluoro e suoi composti.
10. Arsenico e suoi composti.
11. Cianuri.
12. Sostanze e preparati di cui sono comprovate proprietà cancerogene, mutagene o tali da poter influire sulla riproduzione quando sono immessi nell'atmosfera.
13. Policlorodibenzodiossina (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF).
Acqua:
1. Composti organoalogenati e sostanze che possono dar loro origine nell'ambiente idrico.
2. Composti organofosforici.
3. Composti organici dello stagno.
4. Sostanze e preparati di cui sono comprovate proprietà cancerogene, mutagene o tali da poter influire sulla riproduzione in ambiente idrico o con il concorso dello stesso.
5. Idrocarburi persistenti e sostanze organiche tossiche persistenti e bioaccumulabili.
6. Cianuri.
7. Metalli e loro composti.
8. Arsenico e suoi composti.
9. Biocidi e prodotti fitosanitari.
10. Materie in sospensione.
11. Sostanze che contribuiscono all'eutrofizzazione (nitrati e fosfati, in particolare).
12. Sostanze che esercitano un'influenza sfavorevole sul bilancio di ossigeno (misurabili con parametri quali BOD, COD).
13. sostanze prioritarie di cui
all'articolo
74, comma 2, lettera ff).
ALLEGATO XI - Categorie da tenere presenti in generale o in un caso particolare nella determinazione delle migliori tecniche disponibili, secondo quanto definito all'art. 5, comma 1, lettera 1-ter), tenuto conto dei costi e dei benefici che possono risultare da un'azione e del principio di precauzione e prevenzione.
(allegato aggiunto dal d.lgs. n. 128 del
2010)
1. Impiego di tecniche a scarsa produzione di rifiuti.
2. Impiego di sostanze meno pericolose.
3. Sviluppo di tecniche per il ricupero e il riciclo delle sostanze emesse e usate nel processo, e, ove opportuno, dei rifiuti.
4. Processi, sistemi o metodi operativi comparabili, sperimentati con successo su scala industriale.
5. Progressi in campo tecnico e evoluzione, delle conoscenze in campo scientifico.
6. Natura, effetti e volume delle emissioni in questione.
7. Date di messa in funzione degli impianti nuovi o esistenti.
8. Tempo necessario per utilizzare una migliore tecnica disponibile.
9. Consumo e natura delle materie prime ivi compresa l'acqua usata nel processo e efficienza energetica.
10. Necessità di prevenire o di ridurre al minimo l'impatto globale sull'ambiente delle emissioni e dei rischi.
11. Necessità di prevenire gli incidenti e di ridurne le conseguenze per l'ambiente.
12. Informazioni pubblicate dalla Commissione europea ai sensi dell'art. 16, paragrafo 2, della direttiva 96/61/CE, o da organizzazioni internazionali.
ALLEGATO XII - Categorie di impianti relativi alle attività industriali di cui all'allegato 8, soggetti ad autorizzazione integrata ambientale statale
(allegato aggiunto dal d.lgs. n. 128 del 2010)
1) Raffinerie di petrolio greggio (escluse le imprese che producono soltanto lubrificanti dal petrolio greggio), nonché impianti di gassificazione e di liquefazione di almeno 500 tonnellate (Mg) al giorno di carbone o di scisti bituminosi;
2) Centrali termiche ed altri impianti di combustione con potenza termica di almeno 300 MW;
3) Acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio;
4) Impianti chimici con capacità produttiva complessiva annua per classe di prodotto, espressa in milioni di chilogrammi, superiore alle soglie di seguito indicate:
Soglie*
Classe di prodotto |
Gg/ anno |
a) idrocarburi semplici (lineari o anulari, saturi o insaturi, alifatici o aromatici) | 200 |
b) idrocarburi ossigenati, segnatamente alcoli, aldeidi, chetoni, acidi carbossilici, esteri, acetati, eteri, perossidi, resine, epossidi | 200 |
c) idrocarburi solforati | 100 |
d) idrocarburi azotati, segnatamente ammine, amidi, composti nitrosi, nitrati o nitrici, nitrili, cianati, isocianati | 100 |
e) idrocarburi fosforosi | 100 |
f) idrocarburi alogenati | 100 |
g) composti organometallici | 100 |
h) materie plastiche di base (polimeri, fibre sintetiche, fibre a base di cellulosa) | 100 |
i) gomme sintetiche | 100 |
l) gas, quali ammoniaca, cloro o cloruro di idrogeno, fluoro o fluoruro di idrogeno, ossidi di carbonio, composti di zolfo, ossidi di azoto, idrogeno, biossido di zolfo, bicloruro di carbonile | 100 |
m) acidi, quali acido cromico, acido fluoridrico, acido fosforico, acido nitrico, acido cloridrico, acido solforico, oleum e acidi solforati | 100 |
n) basi, quali idrossido d'ammonio, idrossido di potassio, idrossido di sodio | 100 |
o) fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti) |
300 |
* Le soglie della tabella sono riferite alla somma delle capacità produttive relative ai singoli composti che sono riportati in un'unica riga.
5) Impianti funzionalmente connessi a uno degli impianti di cui ai punti precedenti, localizzati nel medesimo sito e gestiti dal medesimo gestore, che non svolgono attività di cui all'allegato VIII;
6) Altri impianti rientranti nelle categorie di cui all'allegato VIII
localizzati interamente in mare.
ALLEGATO XII-bis - Linee
guida sui criteri da tenere in considerazione per l'applicazione
dell'articolo 29-sexies, comma 9-bis
(allegato aggiunto dall'art. 26, comma 6,
d.lgs. n. 46 del 2014)
Le deroghe di cui all'articolo 29-sexies, comma 9-bis, sono tipicamente ammesse nei seguenti casi, resi evidenti da un'analisi costi-benefici allegata all'istanza e verificata dall'autorità competente nel corso dell'istruttoria:
a) il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL non garantisce alcun effetto benefico nello specifico contesto ambientale, se confrontato alle prestazioni garantite con l'autorizzazione in corso di definizione;
b) il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL non garantisce, rispetto alle prestazioni garantite con l'autorizzazione in corso di definizione, significativi effetti benefici nello specifico contesto ambientale, mentre di contro richiede notevoli investimenti da parte del gestore;
c) il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL permetterebbe di conseguire benefici effetti ambientali che, nello specifico contesto, possono essere garantiti negli stessi tempi e con investimenti notevolmente minori finanziando azioni di soggetti non sottoposti alla disciplina IPPC;
d) il particolare assetto impiantistico o i vincoli determinati dalla collocazione geografica dell'installazione (prescrizioni paesaggistiche di VIA ad es.) determinano un costo di implementazione delle migliori tecniche disponibili di riferimento sproporzionato rispetto a quello medio richiesto alle altre installazioni del settore;
e) il particolare assetto impiantistico o la collocazione geografica fanno sì che il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL non possa essere conseguito con la sola implementazione delle migliori tecniche disponibili di riferimento;
f) è opportuno concedere al gestore una dilazione dei tempi per il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL per consentirgli di raggiungere il punto di pareggio in relazione agli nvestimenti già effettuati, per l'adeguamento alle migliori tecniche disponibili, in attuazione della autorizzazione in corso di rinnovo o riesame;
g) è opportuno concedere al gestore una dilazione dei tempi per il raggiungimento di limiti corrispondenti ai BAT-AEL per consentirgli di raggiungere almeno il punto di pareggio in relazione agli investimenti già effettuati, in considerazione di particolari caratteristiche tecniche delle installazioni e dei processi produttivi che rendono possibile l'applicazione di talune BAT solo attraverso il completo rifacimento delle unità tecniche interessate, e non solo delle parti oggetto delle BAT;
h) degli impianti e dei processi produttivi che rendono possibile l'applicazione di talune BAT solo attraverso il completo rifacimento delle unità produttive;
i) l'installazione, o la parte di installazione, è utilizzata per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi prodotti o processi
j) altri casi particolari legati ad assetto impiantistico, contesto ambientale e collocazione geografica, riconosciuti dall'autorità competente.
ALLEGATO 1 - Monitoraggio e
classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualita' ambientale -
ALLEGATO 2 Criteri per la classificazione dei corpi idrici a destinazione
funzionale
ALLEGATO 3 Rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici e analisi
dell'impatto esercitato dall'attivita' antropica
ALLEGATO 4 Contenuti dei piani Parte a. Piani di gestione dei bacini idrografici
Parte b. Piani di tutela delle acque
ALLEGATO 5 Limiti di emissione degli scarichi idrici
ALLEGATO 6 Criteri per la individuazione delle aree sensibili
ALLEGATO 7 Parte a - Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola - Parte b -
Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari
ALLEGATO 8 Elenco indicativo dei principali inquinanti
ALLEGATO 9 Aree protette
ALLEGATO 10 Analisi economica
ALLEGATO 11 Elenco indicativo delle misure supplementari da inserire nei
programmi di misure
Allegato 1 - Monitoraggio e classificazione
delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale
(sostituito dall'allegato I al
d.m. n. 260 del 2010)
A.3. Monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque
superficiali
(Restano ferme le disposizioni sull’attività di
monitoraggio da eseguire secondo le indicazioni di cui al presente punto A.3, ai
sensi dell'art. 1, coma 2, del d.m. n. 260 de 2010)
A.3.1. Parte generale
A.3.1.1. Tipi di monitoraggio
Il monitoraggio si articola in
1. sorveglianza
2. operativo
3. indagine
Le Regioni sentite le Autorità di bacino nell’ambito del proprio territorio definiscono un programma di monitoraggio di sorveglianza e un programma di monitoraggio operativo.
I programmi di monitoraggio hanno valenza sessennale al fine di contribuire alla predisposizione dei piani di gestione e dei piani di tutela delle acque. Il primo periodo sessennale è 2010-2015. Il programma di monitoraggio operativo può essere comunque modificato sulla base delle informazioni ottenute dalla caratterizzazione di cui all’Allegato 3 del presente decreto legislativo. Resta fermo che il primo monitoraggio di sorveglianza e quello operativo sono effettuati nel periodo 2008-2009. I risultati dei monitoraggi sono utilizzati per la stesura dei piani di gestione, da predisporre conformemente alle specifiche disposizioni della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 e anche sulla base dei Piani di tutela regionali, adeguati alla normativa vigente.
In taluni casi può essere necessario istituire anche programmi di monitoraggio d'indagine. I programmi di monitoraggio per le aree protette di cui all’articolo 117 e all’Allegato 9 alla parte terza del presente decreto legislativo, definiti ai sensi del presente Allegato, si integrano con quelli già in essere in attuazione delle relative direttive.
Le Regioni forniscono una o più mappe indicanti la rete di monitoraggio di sorveglianza e operativa. Le mappe con le reti di monitoraggio sono parte integrante del piano di gestione e del piano di tutela delle acque.
La scelta del programma di monitoraggio, che comprende anche l’individuazione dei siti, si basa sulla valutazione del rischio di cui all’Allegato 3, punto 1.1, sezione C del presente decreto legislativo; è soggetta a modifiche e aggiornamenti, al fine di tenere conto delle variazioni dello stato dei corpi idrici. Rimangono, invece, fissi i siti della rete nucleo di cui al punto A.3.2.4 del presente Allegato che sono sottoposti a un monitoraggio di sorveglianza con le modalità di cui al medesimo punto A.3.2.4.
A.3.1.2. Obiettivi del monitoraggio
L’obiettivo del monitoraggio è quello di stabilire un quadro generale coerente ed esauriente dello stato ecologico e chimico delle acque all’interno di ciascun bacino idrografico ivi comprese le acque marino-costiere assegnate al distretto idrografico in cui ricade il medesimo bacino idrografico e permettere la classificazione di tutti i corpi idrici superficiali, «individuati» ai sensi dell’Allegato 3, punto 1.1, sezione B del presente decreto legislativo, in cinque classi.
Le autorità competenti nel definire i programmi di monitoraggio assicurano all’interno di ciascun bacino idrografico:
- la scelta dei corpi idrici da sottoporre al monitoraggio di sorveglianza e/o operativo in relazione alle diverse finalità dei due tipi di controllo;
- l’individuazione di siti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata per la valutazione dello stato ecologico e chimico, tenendo conto ai fini dello stato ecologico delle indicazioni minime riportate nei protocolli di campionamento.
In particolari corpi idrici per alcuni elementi di qualità con grande variabilità naturale o a causa di pressioni antropiche, può essere necessario un monitoraggio più intensivo (per numero di siti e frequenze di campionamento) al fine di ottenere livelli alti o comunque sufficienti di attendibilità e precisione nella valutazione dello stato di un corpo idrico.
Per la categoria «Acque di Transizione», per il primo anno dall’avvio del monitoraggio, è consentito di procedere in deroga rispetto a quanto previsto nel protocollo ICRAM, relativamente all’individuazione degli habitat da monitorare ed al conseguente posizionamento dei siti di misura.
In questo caso, nel primo anno il monitoraggio è comunque condotto in conformità alle disposizioni del presente decreto legislativo e volto a raccogliere gli elementi conoscitivi necessari all’individuazione degli habitat per l’adeguamento dei piani di monitoraggio negli anni successivi.
A.3.1.3. Progettazione del monitoraggio e valutazione del rischio
Sulla base di quanto disposto nell’Allegato 3 al presente decreto legislativo nella sezione relativa alle pressioni e agli impatti (punto 1.1 sezione C), i corpi idrici sono assegnati ad una delle categorie di rischio ivi elencate.
Tab. 3.1. Categorie del rischio
Categoria del rischio |
Definizione |
a |
Corpi idrici a rischio |
b |
Corpi idrici probabilmente a rischio |
|
(in base ai dati disponibili non è possibile assegnare la categoria di rischio sono pertanto necessarie ulteriori informazioni) |
c |
Corpi idrici non a rischio |
Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato nei corpi idrici rappresentativi per ciascun bacino idrografico, e fondamentalmente appartenenti alle categorie «b» e «c» salvo le eccezioni di siti in corpi idrici a rischio importanti per la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica o particolarmente significativi su scala di bacino o laddove le Regioni ritengano opportuno effettuarlo, sulla base delle peculiarità del proprio territorio.
La priorità dell’attuazione del monitoraggio di sorveglianza è rivolta a quelli di categoria «b» al fine di stabilire l’effettiva condizione di rischio. Il monitoraggio operativo è, invece, programmato per tutti i corpi idrici a rischio rientranti nella categoria «a».
Come riportato nella sezione C del punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo, tra i corpi idrici a rischio possono essere inclusi anche corpi idrici che, a causa dell’importanza delle pressioni in essi incidenti, sono a rischio per il mantenimento dell’obiettivo buono.
A.3.2. Progettazione del monitoraggio di sorveglianza
A.3.2.1. Obiettivi
Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato per:
• integrare e convalidare i risultati dell’analisi dell’impatto di cui alla sezione C del punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo;
• la progettazione efficace ed effettiva dei futuri programmi di monitoraggio;
• la valutazione delle variazioni a lungo termine di origine naturale (rete nucleo);
• la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica (rete nucleo);
• tenere sotto osservazione l’evoluzione dello stato ecologico dei siti di riferimento;
• classificare i corpi idrici.
I risultati di tale monitoraggio sono riesaminati e utilizzati, insieme ai risultati dell’analisi dell’impatto di cui all’Allegato 3 del presente decreto legislativo, per stabilire i programmi di monitoraggio successivi.
Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato per almeno un anno ogni sei anni (arco temporale di validità di un piano di gestione).
A.3.2.2. Selezione dei corpi idrici e dei siti di monitoraggio
Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato su un numero sufficiente e, comunque, rappresentativo di corpi idrici al fine di fornire una valutazione dello stato complessivo di tutte le acque superficiali di ciascun bacino e sotto-bacino idrografico compreso nel distretto idrografico.
Nel selezionare i corpi idrici rappresentativi, le Autorità competenti, assicurano che il monitoraggio sia effettuato in modo da rispettare gli obiettivi specificati al punto A.3.2.1 del presente Allegato comprendendo anche i seguenti siti:
• nei quali la proporzione del flusso idrico è significativa nell’ambito dell’intero bacino idrografico;
• a chiusura di bacino e dei principali sottobacini;
• nei quali il volume d'acqua presente è significativo nell'ambito del bacino idrografico, compresi i grandi laghi e laghi artificiali;
• in corpi idrici significativi che attraversano la frontiera italiana con altri Stati membri;
• identificati nel quadro della decisione 77/795/CEE sullo scambio di informazioni;
• necessari per valutare la quantità d'inquinanti trasferiti attraverso le frontiere italiane con altri Stati membri e nell'ambiente marino;
• identificati per la definizione delle condizioni di riferimento;
• di interesse locale.
A.3.2.3. Monitoraggio e validazione dell’analisi di rischio
Qualora la valutazione del rischio, effettuata sulla base dell’attività conoscitiva pregressa, abbia una bassa attendibilità (es. per insufficienza dei dati di monitoraggio pregressi, mancanza di dati esaustivi sulle pressioni esistenti e dei relativi impatti), il primo monitoraggio di sorveglianza può essere esteso ad un maggior numero di siti e corpi idrici, rispetto a quelli necessari nei successivi programmi di sorveglianza.
Contestualmente, al fine di completare il processo dell’analisi puntuale delle pressioni e degli impatti, viene effettuata, secondo le modalità riportate nell’Allegato 3, punto 1.1, sezione C del presente decreto legislativo, un’indagine integrativa dettagliata delle attività antropiche insistenti sul corpo idrico ed un’analisi della loro incidenza sulla qualità dello stesso per ottenere le informazioni necessarie per l’assegnazione definitiva della classe di rischio.
I corpi idrici che a seguito della suddetta attività vengono identificati come a rischio sono inseriti nell’elenco dei corpi idrici già identificati come a rischio e come tali assoggettati al programma di monitoraggio operativo.
A.3.2.4. Valutazione delle variazioni a lungo termine in condizioni naturali o risultanti da una diffusa attività antropica: definizione della rete nucleo
Il monitoraggio di sorveglianza è finalizzato altresì a fornire valutazioni delle variazioni a lungo termine dovute sia a fenomeni naturali sia a una diffusa attività antropica.
Per rispondere agli obiettivi, di cui al punto A.3.2.1 del presente Allegato, di valutare le variazioni sia naturali sia antropogeniche a lungo termine, è selezionato un sottoinsieme di punti fissi denominato rete nucleo.
Per le variazioni a lungo termine di origine naturale sono considerati, ove esistenti, i corpi idrici identificati come siti di riferimento di cui al punto 1.1.1 dell’Allegato 3 al presente decreto legislativo, in numero sufficiente per lo studio delle variazioni a lungo termine per ciascun bacino idrografico, tenendo conto dei diversi tipi di corpo idrico presenti. Qualora, per determinati tipi ed elementi biologici relativi non esistano siti di riferimento o non siano in numero sufficiente per una corretta analisi a lungo termine, si considerano in sostituzione siti in stato buono.
La valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica richiede la scelta di corpi idrici e, nel loro ambito, di siti rappresentativi di tale attività per la determinazione o la conferma dell’impatto.
Il monitoraggio di sorveglianza nei siti della rete nucleo ha un ciclo più breve e più precisamente triennale con frequenze di campionamento di cui alle tabelle 3.6 e 3.7 del presente Allegato.
I primi risultati del monitoraggio di sorveglianza effettuato nella rete nucleo costituiscono il livello di riferimento per la verifica delle variazioni nel tempo. Rispetto a tale livello di riferimento sono valutati la graduale riduzione dell’inquinamento da parte di sostanze dell’elenco di priorità (indicate al punto A.2.6) e delle altre sostanze inquinanti di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo, nonché i risultati dell’arresto e della graduale eliminazione delle emissioni e perdite delle sostanze pericolose prioritarie.
A.3.2.5. Selezione degli elementi di qualità
Nel monitoraggio di sorveglianza per la valutazione e classificazione dello stato ecologico sono monitorati, almeno per un periodo di un anno, i parametri indicativi di tutti gli elementi di qualità biologici idromorfologici, fisico-chimici di cui al punto A.1 del presente Allegato (fatto salve le eccezioni previste al punto A.3.5) e le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo. In riferimento a queste ultime il monitoraggio è obbligatorio qualora siano scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o sottobacino. Per quantità significativa si intende la quantità di sostanza inquinante che potrebbe compromettere il raggiungimento di uno degli obiettivi di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo; ad esempio uno scarico si considera significativo qualora abbia impattato un’area protetta o ha causato superamenti di qualsiasi standard di cui al punto A.2.7 del presente Allegato o ha causato effetti tossici sull’ecosistema.
La selezione delle sostanze chimiche da controllare nell’ambito del monitoraggio di sorveglianza si basa sulle conoscenze acquisite attraverso l’analisi delle pressioni e degli impatti. Inoltre la selezione è guidata anche da informazioni sullo stato ecologico laddove risultino effetti tossici o evidenze di effetti ecotossicologici. Quest’ultima ipotesi consente di identificare quelle situazioni in cui vengono introdotti nell’ambiente prodotti chimici non evidenziati dall’analisi degli impatti e per i quali è pertanto necessario un monitoraggio d’indagine. Anche i dati di monitoraggio pregressi costituiscono un supporto per la selezione delle sostanze chimiche da monitorare.
Per quanto riguarda invece la valutazione e classificazione dello stato chimico sono da monitorare le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato per le quali a seguito di un’analisi delle pressioni e degli impatti, effettuata per ciascuna singola sostanza dell’elenco di priorità, risultano attività che ne comportano scarichi, emissioni, rilasci e perdite nel bacino idrografico o sottobacino.
Nell’analisi delle attività antropiche che possono provocare la presenza nelle acque di sostanze dell’elenco di priorità, è necessario tener conto non solo delle attività in essere ma anche di quelle pregresse. La selezione delle sostanze chimiche è supportata da documentazione tecnica relativa all’analisi delle pressioni e degli impatti, che costituisce parte integrante del programma di monitoraggio da inserire nei piani di gestione e nei piani di tutela delle acque. Qualora non vi siano informazioni sufficienti per effettuare una valida e chiara selezione delle sostanze dell’elenco di priorità, a fini precauzionali e di indagine, sono da monitorare tutte le sostanze di cui non si possa escludere a priori la presenza nel bacino o sottobacino.
A.3.2.6. Monitoraggio di sorveglianza stratificato
Nel monitoraggio di sorveglianza non sono da monitorare necessariamente nello stesso anno tutti i corpi idrici selezionati. Il programma di sorveglianza può, pertanto, prevedere che i corpi idrici siano monitorati anche in anni diversi, con un intervallo temporale preferibilmente non superiore a 3 anni, nell’arco del periodo di validità del piano di gestione e del piano di tutela delle acque. In tal caso, nei diversi anni è consentito un monitoraggio stratificato effettuando il controllo a sottoinsiemi di corpi idrici, identificati sulla base di criteri geografici (ad esempio corpi idrici di un intero bacino o sottobacino). Comunque, tutti i corpi idrici inclusi nel programma di sorveglianza sono da monitorare in tempo utile, per consentire la verifica dell’obiettivo ambientale e la predisposizione del nuovo Piano di gestione.
Il monitoraggio stratificato può essere applicato a decorrere dal 2010.
A.3.3. Monitoraggio operativo delle acque superficiali
A.3.3.1. Obiettivi
Il monitoraggio operativo è realizzato per:
• stabilire lo stato dei corpi idrici identificati «a rischio» di non soddisfare gli obiettivi ambientali dell’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo;
• valutare qualsiasi variazione dello stato di tali corpi idrici risultante dai programmi di misure;
• classificare i corpi idrici
A.3.3.2. Selezione dei corpi idrici
Il monitoraggio operativo è effettuato per tutti i corpi idrici:
• che sono stati classificati a rischio di non raggiungere gli obiettivi ambientali sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti e/o dei risultati del monitoraggio di sorveglianza e/o da precedenti campagne di monitoraggio;
• nei quali sono scaricate e/o immesse e/o rilasciate e/o presenti le sostanze riportate nell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato.
Ove tecnicamente possibile è consentito raggruppare corpi idrici secondo i criteri riportati al punto A.3.3.5 del presente Allegato e limitare il monitoraggio solo a quelli rappresentativi.
A.3.3.3. Selezione dei siti di monitoraggio
I siti di monitoraggio sono selezionati come segue:
• per i corpi idrici soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte d’inquinamento puntuale, i punti di monitoraggio sono stabiliti in numero sufficiente per poter valutare l’ampiezza e l’impatto delle pressioni della fonte d’inquinamento. Se il corpo è esposto a varie pressioni da fonte puntuale, i punti di monitoraggio possono essere identificati con la finalità di valutare l’ampiezza dell’impatto dell'insieme delle pressioni;
• per i corpi soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte diffusa, nell’ambito di una selezione di corpi idrici, si situano punti di monitoraggio in numero sufficiente e posizione adeguata a valutare ampiezza e impatto delle pressioni della fonte diffusa. La selezione dei corpi idrici deve essere effettuata in modo che essi siano rappresentativi dei rischi relativi alle pressioni della fonte diffusa e dei relativi rischi di non raggiungere un buono stato delle acque superficiali;
• per i corpi idrici esposti a un rischio di pressione idromorfologica significativa vengono individuati, nell'ambito di una selezione di corpi, punti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata, per valutare ampiezza e impatto delle pressioni idromorfologiche. I corpi idrici selezionati devono essere rappresentativi dell’impatto globale della pressione idromorfologica a cui sono esposti tutti i corpi idrici.
Nel caso in cui il corpo idrico sia soggetto a diverse pressioni significative è necessario distinguerle al fine di individuare le misure idonee per ciascuna di esse. Conseguentemente si considerano differenti siti di monitoraggio e diversi elementi di qualità. Qualora non sia possibile determinare l’impatto di ciascuna pressione viene considerato l’impatto complessivo.
A.3.3.4. Selezione degli elementi di qualità
Per i programmi di monitoraggio operativo devono essere selezionati i parametri indicativi degli elementi di qualità biologica, idromorfologica e chimico-fisica più sensibili alla pressione o pressioni significative alle quali i corpi idrici sono soggetti.
Nelle seguenti tabelle 3.2, 3.3, 3.4 e 3.5 vengono riportati, a titolo indicativo, gli elementi di qualità più idonei per specifiche pressioni per fiumi, laghi, acque di transizione e acque marinocostiere. Quando più di un elemento è sensibile a una pressione, si scelgono, sulla base del giudizio esperto dell’autorità competente, gli elementi più sensibili per la categoria di acque interessata o quelli per i quali si disponga dei sistemi di classificazione più affidabili.
Tra le sostanze chimiche quelle da monitorare sono da individuare, come nel monitoraggio di sorveglianza, sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti. Le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato sono monitorate qualora vengano scaricate, immesse o vi siano perdite nel corpo idrico indagato. Le altre sostanze riportate all’Allegato 8 del presente decreto legislativo sono monitorate qualora tali scarichi, immissioni o perdite nel corpo idrico siano in quantità significativa da poter essere un rischio per il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo.
Tab. 3.2. Elementi di qualità più sensibili alle pressioni che incidono sui fiumi
Tab. 3.3. Elementi di qualità più sensibili alle pressioni che incidono sui laghi
Tab. 3.4. Elementi di qualità sensibili alle pressioni che incidono sulle acque di transizione
Tab. 3.5. Elementi di qualità sensibili alle pressioni che incidono sulle acque marino-costiere
A.3.3.5. Raggruppamento dei corpi idrici
Al fine di conseguire il miglior rapporto tra costi del monitoraggio ed informazioni utili alla tutela delle acque ottenute dallo stesso, è consentito il raggruppamento dei corpi idrici e tra questi sottoporre a monitoraggio operativo solo quelli rappresentativi, nel rispetto di quanto riportato al presente paragrafo.
Il raggruppamento può essere applicato qualora l’Autorità competente al monitoraggio sia in possesso delle informazioni necessarie per effettuare le decisioni di gestione su tutti i corpi idrici del gruppo. In ogni caso, è necessario che il raggruppamento risulti tecnicamente e scientificamente giustificabile e le motivazioni dello stesso siano riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque assieme al protocollo di monitoraggio ed è comunque escluso nel caso di pressioni puntuali significative.
Il raggruppamento dei corpi idrici individuati è altresì applicabile solo nel caso in cui per gli stessi esistano tutte le seguenti condizioni:
a) appartengono alla stessa categoria ed allo stesso tipo;
b) sono soggetti a pressioni analoghe per tipo, estensione e incidenza;
c) presentano sensibilità paragonabile alle suddette pressioni;
d) presentano i medesimi obiettivi di qualità da raggiungere;
e) appartengono alla stessa categoria di rischio.
Qualora si faccia ricorso al raggruppamento è possibile monitorare, di volta in volta, i diversi corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo allo scopo di avere una migliore rappresentatività dell’intero raggruppamento.
La classe di qualità risultante dai dati di monitoraggio effettuato sul/i corpo/i idrico/i rappresentativi del raggruppamento, si applica a tutti gli altri corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo.
Per le caratteristiche fisiografiche delle acque lacustri italiane si ritiene non appropriata l’applicazione del raggruppamento per il monitoraggio di questa categoria di corpi idrici.
A.3.4. Ulteriori indicazioni per la selezione dei siti di monitoraggio
All’interno di un corpo idrico selezionato per il monitoraggio, sono individuati uno o più siti di monitoraggio. Per sito si intende una stazione di monitoraggio, individuata da due cooordinate geografiche, rappresentativa di un’area del corpo idrico. Qualora non sia possibile monitorare nel sito individuato tutti gli elementi di qualità, si individuano sotto-siti, all’interno della stessa area, i cui dati di monitoraggio si integrano con quelli rilevati nel sito principale.
In tal caso i sotto-siti sono posizionati in modo da controllare la medesima ampiezza e il medesimo insieme di pressioni.
Nella rappresentazione cartografica va riportato unicamente il sito principale.
In merito al monitoraggio biologico è opportuno individuare e selezionare l’habitat dominante che sostiene l’elemento di qualità più sensibile alla pressione.
Nel determinare gli habitat da monitorare si tiene conto anche di quanto riportato, sull’argomento, nei singoli protocolli di campionamento.
I siti sono localizzati ad una distanza dagli scarichi tale da risultare esterne all’area di rimescolamento delle acque (di scarico e del corpo recettore) in modo da valutare la qualità del corpo idrico recettore e non quella degli apporti. A tal fine può essere necessario effettuare misure di variabili chimico-fisiche (quali temperatura e conducibilità) onde dimostrare l’avvenuto rimescolamento.
In base alla scala ed alla grandezza della pressione, la Regione identifica l’ubicazione e la distribuzione dei siti di campionamento.
Nei casi in cui il corpo idrico è soggetto a una o più pressioni che causano il rischio del non raggiungimento degli obiettivi, i siti sono ubicati all’interno della zona d’impatto, conosciuta o prevista, per monitorare che gli obiettivi vengano raggiunti e che le misure di contenimento stabilite siano adatte alle pressioni esistenti.
A.3.5 Frequenze
Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato, per almeno 1 anno ogni sei anni (periodo di validità di un piano di gestione del bacino idrografico), salvo l’eccezione della rete nucleo che è controllata ogni tre anni. Il ciclo del monitoraggio operativo varia invece in funzione degli elementi di qualità presi in considerazione così come indicato nelle note delle seguenti tabelle 3.6 e 3.7.
Nelle suddette tabelle sono riportate le frequenze di campionamento nell’anno di monitoraggio di sorveglianza e operativo, per fiumi e laghi e per acque di transizione e marino-costiere. Nell’ambito del monitoraggio operativo è possibile ridurre le frequenze di campionamento solo se giustificabili sulla base di conoscenze tecniche e indagini di esperti. Queste ultime, riportate in apposite relazioni tecniche, sono inserite nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.
Nella progettazione dei programmi di monitoraggio si tiene conto della variabilità temporale e spaziale degli elementi di qualità biologici e dei relativi parametri indicativi. Quelli molto variabili possono richiedere una frequenza di campionamento maggiore rispetto a quella riportata nelle tabelle 3.6 e 3.7. Può essere inoltre previsto anche un programma di campionamento mirato per raccogliere dati in un limitato ma ben definito periodo durante il quale si ha una maggiore variabilità.
Nel caso di sostanze che possono avere un andamento stagionale come ad esempio i prodotti fitosanitari e i fertilizzanti, le frequenze di campionamento possono essere intensificate in corrispondenza dei periodi di massimo utilizzo.
L’Autorità competente, per ulteriori situazioni locali specifiche, può prevedere per ciascuno degli elementi di qualità da monitorare frequenze più ravvicinate al fine di ottenere una precisione sufficiente nella validazione delle valutazioni dell’analisi degli impatti.
Al contrario, per le sostanze chimiche dell’elenco di priorità e per tutte le altre sostanze chimiche per le quali nel primo monitoraggio di sorveglianza vengono riscontrate concentrazioni che garantiscono il rispetto dello standard di qualità, le frequenze di campionamento nei successivi monitoraggi di sorveglianza possono essere ridotte. In tal caso le modalità e le motivazioni delle riduzioni sono riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.
Tab. 3.6. Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per fiumi e laghi.
ELEMENTI DI QUALITA' |
FIUMI |
LAGHI |
|||
BIOLOGICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (2) |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (2) |
|
Fitoplancton |
|
|
6 volte (3) |
6 volte (3) |
|
Macrofite |
2 volte (4) |
2 volte (4) |
1 volta (5) |
1 volta (5) |
|
Diatomee |
2 volte in coincidenza con il campionamento dei macroinvertebrati (6) |
2 volte, in coincidenza con il campionamento dei macroinvertebrati (6) |
|
|
|
Macroinvertebrati |
3 volte (7) |
3 volte (7) |
almeno 2 volte (5) |
almeno 2 volte (5) |
|
Pesci |
1 volta (8) |
1 volta (8) |
1 volta (9) |
1 volta (9) |
|
IDROMORFOLOGICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO |
|
Continuità |
1 volta |
1 volta (10) |
|
|
|
Idrologia |
Continuo (11) |
Continuo (11) |
Continuo (12) |
Continuo (12) |
|
Morfologia (13) |
alterazione morfologica |
1 volta |
1 volta (10) |
1 volta |
1 volta (10) |
|
caratterizzazione degli habitat prevalenti (14) |
1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macroinvertebrati |
1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macroinvertebrati |
1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macroinvertebrati |
1 volta in coincidenza con uno dei campionamenti dei macroinvertebrati |
FISICO-CHIMICI E CHIMICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (15) |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (15) |
|
Condizioni termiche |
Trimestrale e |
Trimestrale e |
Bimestrale e |
Bimestrale e |
|
Ossigenazione |
comunque in |
comunque in |
comunque in |
comunque in |
|
Conducibilità |
coincidenza |
coincidenza |
coincidenza |
coincidenza |
|
Stato dei nutrienti |
del |
del |
del |
con il |
|
Stato di acidificazione |
campionamento dei macroinvertebrati e/o delle diatomee |
campionamento dei macroinvertebrati e/o delle diatomee. |
campionamento del fitoplancton |
campionamento del fitoplancton |
|
Altre sostanze non appartenenti all’elenco di priorità (16) |
- trimestrale nella matrice acqua. Possibilmente in coincidenza con campionamento dei macroinvertebrati e /o delle diatomee |
- trimestrale nella matrice acqua. Nell’anno del monitoraggio biologico i campionamenti sono effettuati possibilmente in coincidenza con quelli dei macroinvertebrati e /o delle diatomee. |
- trimestrale in colonna d’acqua |
- trimestrale in colonna d’acqua |
|
Sostanze dell'elenco di priorità (17) |
- mensile nella matrice acqua |
- mensile nella matrice acqua |
- mensile in colonna d’acqua |
- mensile in colonna d’acqua |
Le frequenze riportate in tabella per fiumi e laghi sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui al manuale APAT 46/2007 e quaderni e notiziari CNR-IRSA.
Note alla tabella Tab. 3.6.
(1) Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale fatte salve le eccezioni previste in tabella per l’idrologia dei fiumi e per i siti della rete nucleo.
(2) Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, salvo il fitoplancton nei laghi, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni.
(3) Nei laghi che presentano un periodo di copertura glaciale il numero dei campioni viene ridotto di conseguenza. Nel monitoraggio di sorveglianza, per i laghi per i quali non ci siano dati tali da poter fornire un’attendibile classificazione è necessario avviare una prima campagna di monitoraggio per un totale di almeno 18 campioni (circa tre anni). Per i corpi idrici lacustri rientranti nella rete nucleo, il ciclo di monitoraggio è annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella. Il ciclo del monitoraggio operativo è sempre annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella.
(4) Monitoraggio facoltativo per i fiumi ricadenti nelle idroecoregioni alpine e per i fiumi grandi e molto grandi così come definiti nella sezione A punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo.
(5) Monitoraggio non richiesto per gli invasi, così come definiti nella sezione A al punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo.
(6) La frequenza di campionamento è aumentata a 3 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi.
(7) La frequenza di campionamento è ridotta a 2 volte per i fiumi temporanei mentre è aumentata a 4 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi.
(8) Nel caso di corsi d’acqua temporanei il monitoraggio dei pesci è facoltativo.
(9) Per gli invasi, così come definiti nella sezione A al punto 1.1 dell’Allegato 3, il monitoraggio dei pesci è facoltativo.
(10) Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni.
(11) Le misurazioni in continuo sono da prevedersi per i siti idrologicamente significativi della rete, è possibile utilizzare interpolazioni per gli altri siti.
(12) E’ preferibile l'uso di stazioni idrologiche automatiche, in loro assenza è necessaria la misura di livello con frequenza mensile, incrementata a settimanale in caso di siccità con forti prelievi di acqua e, possibilmente, giornaliera in caso forti precipitazioni.
(13) Nelle more della pubblicazione di un metodo ufficiale, le Regioni utilizzano metodologie di rilevamento già in essere.
(14) Gli habitat prevalenti sono caratterizzati a partire dal 2010 sulla base dei criteri tecnici pubblicati dai competenti istituti scientifici nazionali.
(15) Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale.
(16) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico.
(17) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.
Tab. 3.7. Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per acque di transizione e marino-costiere.
Elementi di qualità |
ACQUE DI TRANSIZIONE |
ACQUE MARINO-COSTIERE |
||
BIOLOGICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (2) |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (2) |
Fitoplancton |
4 volte (3) |
4 volte (3) |
6 volte |
6 volte |
Fanerogame |
1 volta |
1 volta |
1 volta (4) |
1 volta (4) |
Macroalghe |
2 volte |
2 volte |
1 volta |
1 volta |
Macroinvertebrati |
2 volte |
1 volta |
2 volte (5) |
2 volte (5) |
Pesci |
2 volte |
2 volte |
|
|
IDROMORFOLOGICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO |
Profondità e morfologia del fondale |
1 volta |
1 volta (6) |
1 volta |
1 volta (6) |
Natura e composizione del substrato |
In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame |
In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrat i bentonici e Fanerogame |
In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame |
In coincidenza del campionamento degli elementi biologici Macroinvertebrati bentonici e Fanerogame |
Struttura della zona intertidale (copertura e composizione della vegetazione) |
1 volta (7) |
1 volta (7) |
|
|
Regime di marea |
da definire in base alle caratteristiche del corpo idrico (8) |
da definire in base alle caratteristiche del corpo idrico (8) |
|
|
Regime correntometrico |
|
|
1 volta |
1 volta (6) |
FISICO-CHIMICI E CHIMICI |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (9) |
SORVEGLIANZA (1) |
OPERATIVO (9) |
Condizioni termiche |
Trimestrale e |
Trimestrale e |
Bimestrale e |
Bimestrale e |
Ossigenazione |
comunque in |
comunque in |
comunque in |
comunque in |
Salinità |
coincidenza |
coincidenza |
coincidenza |
coincidenza |
Stato dei nutrienti |
del |
del |
del |
del |
Stato di acidificazione |
campionamento del fitoplancton, macrofite e fauna ittica (10) |
campionamento del fitoplancton, macrofite e fauna ittica (10) |
campionamento del fitoplancton e fanerogame (11) |
campionamento del fitoplancton e delle fanerogame (11) |
Altre sostanze non appartenenti all’elenco di priorità (12) |
trimestrale in colonna d’acqua e annuale in sedimenti |
trimestrale in colonna d’acqua e annuale in sedimenti |
trimestrale in colonna d’acqua e annuale in sedimenti |
trimestrale in colonna d’acqua e annuale in sedimenti |
Sostanze dell'elenco di priorità (13) (14) |
mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota |
mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota |
mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota |
mensile in colonna d’acqua e annuale in sedimenti o biota |
Le frequenze riportate in tabella per le acque di transizione e marino-costiere sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui ai manuali ICRAM ed ISPRA.
Note alla tabella Tab. 3.7.
(1) Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale eccetto per i siti della rete nucleo e, limitatamente alle acque di transizione, per la struttura della zona intertidale e del regime di marea (vedi rispettivamente nota 7 e 8).
(2) Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni, salvo il fitoplancton che è controllato ogni anno secondo le frequenze riportate in tabella.
(3) Campionamento stagionale.
(4) Campionamento da effettuarsi tra giugno e settembre.
(5) Campionamento semestrale.
(6) Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni.
(7) Entrambi i monitoraggi (sorveglianza e operativo) sono effettuati con cicli non superiori a 3 anni.
(8) Bilancio idrologico da eseguire ogni 3 anni, mediante misure distribuite nel tempo, con cadenze che dipendono dalle caratteristiche morfologiche ed idrodinamiche del corpo idrico da monitorare.
(9) Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale.
(10) Per la fauna ittica sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche, di ossigenazione e di salinità.
(11) Per le fanerogame sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche e della trasparenza.
(12) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico.
(13) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.
(14) In merito alla frequenza di campionamento nei sedimenti, ulteriori criteri sono indicati al punto A.2.6.1 del presente Allegato.
A.3.6 . Monitoraggio d’indagine
Il monitoraggio d’indagine è richiesto in casi specifici e più precisamente:
• quando sono sconosciute le ragioni di eventuali superamenti (ad esempio quando non si ha chiara conoscenza delle cause del mancato raggiungimento del buono stato ecologico e/o chimico, ovvero del peggioramento dello stato delle acque);
• quando il monitoraggio di sorveglianza indica per un dato corpo idrico il probabile rischio di non raggiungere gli obiettivi, di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo, e il monitoraggio operativo non è ancora stato definito, al fine di avere un quadro conoscitivo più dettagliato sulle cause che impediscono il raggiungimento degli obiettivi;
• per valutare l'ampiezza e gli impatti dell'inquinamento accidentale.
I risultati del monitoraggio costituiscono la base per l'elaborazione di un programma di misure volte al raggiungimento degli obiettivi ambientali e di interventi specifici atti a rimediare agli effetti dell'inquinamento accidentale.
Tale tipo di monitoraggio può essere più intensivo sia in termini di frequenze di campionamento che di numero di corpi idrici o parti di essi.
Rientrano nei monitoraggi di indagine gli eventuali controlli investigativi per situazioni di allarme o a scopo preventivo per la valutazione del rischio sanitario e l’informazione al pubblico oppure i monitoraggi di indagine per la redazione di autorizzazioni preventive (es. prelievi di acqua o scarichi). Questo tipo di monitoraggio può essere considerato come parte dei programmi di misure richiesti dall’art. 116 del presente decreto legislativo e può includere misurazioni in continuo di alcuni prodotti chimici e/o l’utilizzo di determinandi biologici anche se non previsti dal regolamento per quella categoria di corpo idrico. L’Autorità competente al monitoraggio definisce gli elementi (es. ulteriori indagini su sedimenti e biota, raccolta ed elaborazione di dati sul regime di flusso, morfologia ed uso del suolo, selezione di sostanze inquinanti non rilevate precedentemente ecc.) e i metodi (ad es. misure ecotossicologiche, biomarker, tecniche di remote sensing) più appropriati per lo studio da realizzare sulla base delle caratteristiche e problematiche dell’area interessata.
Il monitoraggio d’indagine non è usato per classificare direttamente, ma contribuisce a determinare la rete operativa di monitoraggio. Pur tuttavia i dati che derivano da tale tipo di monitoraggio possono essere utilizzati per la classificazione qualora forniscano informazioni integrative necessarie a un quadro conoscitivo più di dettaglio.
A.3.7. Aree protette
Per le aree protette, i programmi di monitoraggio tengono
conto di quanto già riportato al punto A.3.1.1 del presente Allegato. I
programmi di monitoraggio esistenti ai fini del controllo delle acque per la
vita dei pesci e dei molluschi di cui all’articolo 79 del presente decreto
legislativo costituiscono parte integrante del
monitoraggio di cui dal presente Allegato.
(punto così modificato dall'art. 17, comma 3,
legge n. 116 del 2014)
A.3.8. Acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile
I corpi idrici superficiali individuati a norma dell'articolo 82 del presente decreto legislativo che forniscono in media più di 100 m3 al giorno sono designati come siti di monitoraggio da eseguire secondo le modalità riportate ai paragrafi precedenti e sono sottoposti ad un monitoraggio supplementare al fine di soddisfare i requisiti previsti dal Decreto Legislativo del 02/02/2001 n. 31.
Il monitoraggio suppletivo, da effettuarsi annualmente secondo la frequenza di campionamento riportata nella tab. 3.8, riguarda tutte le sostanze dell'elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato scaricate e/o immesse e/o rilasciate, nonché tutte le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo scaricate e/o immesse e/o rilasciate in quantità significativa da incidere negativamente sullo stato del corpo idrico.
Nel monitoraggio si applicano i valori di parametro previsti dall’Allegato 1 del decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 31 nei casi in cui essi risultino più restrittivi dei valori individuati per gli stessi parametri nelle tabelle 1/A, 1/B e 2B del presente Allegato. I parametri di cui alla tabella 1/A, indipendentemente dalla presenza di scarichi, immissioni o rilasci conosciuti, sono comunque tutti parte integrante di uno screening chimico da effettuarsi con cadenza biennale.
Tab. 3.8. Frequenza di campionamento
Comunità servita |
Frequenza |
[lt ] 10.000 |
4 volte l’anno |
Da 10.000 a 30.000 |
8 volte l’anno |
> 30.000 |
12 volte l’anno |
Il monitoraggio supplementare non si effettua qualora siano già soddisfatti tutti i seguenti requisiti:
1) le posizioni dei siti di monitoraggio dello stato delle acque superficiali risultano anche idonee a un controllo adeguato ai fini della tutela della qualità dell’acqua destinata alla produzione di acqua potabile;
2) la frequenza del campionamento dello stato delle acque superficiali non è in nessun caso più bassa di quella fissata nella tabella 3.8;
3) il rischio per la qualità delle acque per l’utilizzo idropotabile non è connesso:
• a un parametro non pertinente alla valutazione dello stato delle acque superficiali (es. parametri microbiologici);
• a uno standard di qualità più restrittivo per le acque potabili rispetto a quello previsto per lo stato delle acque superficiali del corpo idrico. In tali casi, il corpo idrico può non essere a rischio di non raggiungere lo stato buono ma è a rischio di non rispettare gli obiettivi di protezione delle acque potabili.
A.3.9. Aree di protezione dell'habitat e delle specie
I corpi idrici che rientrano nelle aree di protezione dell'habitat e delle specie sono compresi nel programma di monitoraggio operativo qualora, in base alla valutazione dell’impatto e al monitoraggio di sorveglianza, si reputa che essi rischino di non conseguire i propri obiettivi ambientali. Il monitoraggio viene effettuato per valutare la grandezza e l'impatto di tutte le pertinenti pressioni significative esercitate su tali corpi idrici e, se necessario, per rilevare le variazioni del loro stato conseguenti ai programmi di misure. Il monitoraggio prosegue finché le aree non soddisfano i requisiti in materia di acque sanciti dalla normativa in base alla quale esse sono designate e finché non sono raggiunti gli obiettivi di cui all'articolo 77 del presente decreto legislativo.
Qualora un corpo idrico sia interessato da più di uno degli obiettivi si applica quello più rigoroso.
Come già riportato nella parte generale del presente Allegato, ai fini di evitare sovrapposizioni, la valutazione dello stato avviene per quanto possibile attraverso un unico monitoraggio articolato in modo da soddisfare le specifiche esigenze derivanti dagli obblighi delle disposizioni comunitarie e nazionali vigenti.
A.3.10. Precisione e attendibilità dei risultati del monitoraggio
La precisione ed il livello di confidenza associato al piano di monitoraggio dipendono dalla variabilità spaziale e temporale associata ai processi naturali ed alla frequenza di campionamento ed analisi previste dal piano di monitoraggio stesso.
Il monitoraggio è programmato ed effettuato al fine di fornire risultati con un adeguato livello di precisione e di attendibilità. Una stima di tale livello è indicata nel piano di monitoraggio stesso.
Al fine del raggiungimento di un adeguato livello di precisione ed attendibilità, è necessario porre attenzione a:
• il numero dei corpi idrici inclusi nei vari tipi di monitoraggio;
• il numero di siti necessario per valutare lo stato di ogni corpo idrico;
• la frequenza idonea al monitoraggio dei parametri indicativi degli elementi di qualità.
Per quanto riguarda i metodi sia di natura chimica che biologica, l’affidabilità e la precisione dei risultati devono essere assicurati dalle procedure di qualità interne ai laboratori che effettuano le attività di campionamento ed analisi. Per assicurare che i dati prodotti dai laboratori siano affidabili, rappresentativi ed assicurino una corretta valutazione dello stato dei corpi idrici, i laboratori coinvolti nelle attività di monitoraggio sono accreditati od operano in modo conforme a quanto richiesto dalla UNI CEN EN ISO 17025. I laboratori devono essere accreditati almeno per i parametri di maggiore rilevanza od operare secondo un programma di garanzia della qualità/controllo della qualità per i seguenti aspetti:
- campionamento, trasporto, stoccaggio e trattamento del campione;
- documentazione relativa alle procedure analitiche che devono essere basate su norme tecniche riconosciute a livello internazionale (CEN, ISO, EPA) o nazionale (UNI, metodi proposti dall’ISPRA o da CNR-IRSA per i corpi idrici fluviali e lacustri e metodi proposti dall’ISPRA per le acque marino-costiere e di transizione);
- procedure per il controllo di qualità interno ai laboratori e partecipazione a prove valutative organizzati da istituzioni conformi alla ISO Guide 43-1;
- convalida dei metodi analitici, determinazione dei limiti di rivelabilità e di quantificazione, calcolo dell’incertezza;
- piani di formazione del personale;
- procedure per la predisposizione dei rapporti di prova, gestione delle informazioni.
Per i metodi per il campionamento degli elementi di qualità biologica si fa riferimento al manuale APAT 46/2007, quaderni e notiziari CNR-IRSA per le acque dolci e manuali ISPRA ed ICRAM per le acque marino-costiere e di transizione.
I metodi per i parametri chimici sono riportati nei Manuali e Linee Guida APAT/ CNRIRSA n. 29/2003 e successivi aggiornamenti e in «Metodologie Analitiche di Riferimento. Programma di Monitoraggio per il controllo dell'Ambiente marino costiero (Triennio 2001- 2003)» Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, ICRAM, Roma 2001 e successivi aggiornamenti.
Per le sostanze dell’elenco di priorità per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dell’aggiornamento dei quaderni APAT/CNR-IRSA si fa riferimento per i metodi analitici alle metodiche di cui alla seguente tabella 3.9.
Per la misura della portata (solida e liquida) per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dei metodi ISPRA/CNR, si fa riferimento a quelli indicati nell’elenco di seguito riportato.
Tab. 3.9. Metodi analitici per la misura delle concentrazioni delle sostanze dell’elenco di priorità nella colonna d’acqua per le acque interne.
Sostanze dell’elenco di priorità |
Metodi analitici |
Alaclor |
EN ISO 6468: 1996; ISO 11370:2000; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
Antracene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Atrazina |
EN ISO 11369:1997; EN ISO 10695:2000; ISO 11370:2000; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
Benzene |
ISO 15680:2003; ISO 11423-1:1997; APAT 5140 (2003) |
Cadmio e composti |
EN ISO 5961:1994; ISO 17294-2:2003; ISO 15586:2003; APAT 3120 (2003); Istisan 07/31 |
C10-13-cloroalcani |
(1) |
Clorfenvinfos |
DIN EN 12918:1999; ISO 11370:2000; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
Clorpyrifos (-etil, -metil) |
DIN EN 12918:1999; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
1,2-Dicloroetano |
EN ISO 10301:1997; ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Diclorometano |
EN ISO 10301:1997; ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Ftalato di bis(2-etilesile) (DEHP) |
ISO 18856:2004 |
Diuron |
EN ISO 11369:1997; APAT 5050 (2003) con LC/MS |
Endosulfan |
EN ISO 6468:1996; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
Fluorantene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Esaclorobenzene |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Esaclorobutadiene |
EN ISO 10301:1997; APAT 5150 (2003) |
Esaclorocicloesano |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Isoproturon |
EN ISO 11369:1997; APAT 5050 (2003) con LC/MS |
Piombo e composti |
ISO 17294-2:2003; ISO 11885:2007;ISO 15586:2003; APAT 3230 (2003); Istisan 07/31 |
Mercurio e composti |
EN 1483:1997; EN 12338:1998; EN 13506:2001; APAT 3200 (2003) ; Istisan 07/31 |
Naftalene |
ISO 17993:2002; ISO 15680:2003; APAT 5080 (2003) |
Nichel e composti |
ISO 17294-2:2003; ISO 11885:2007; ISO 15586:2003; APAT 3220 (2003); Istisan 07/31 |
Nonilfenoli |
ISO 18857-1:2005 |
Octilfenoli |
ISO 18857-1:2005 |
Pentaclorobenzene |
EN ISO 6468:1996 |
Pentaclorofenolo |
EN 12673:1998; ISO 8165-2:1999 |
Idrocarburi policiclici aromatici |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Benzo(a)pirene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Benzo(b)fluorantene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Benzo(g,h,i)perilene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Benzo(k)fluorantene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Indeno(1,2,3-cd)pirene |
ISO 17993:2002; APAT 5080 (2003); Istisan 07/31 |
Simazina |
EN ISO 11369:1997; EN ISO 10695:2000; ISO 11370:2000; APAT 5060 (2003); Istisan 07/31 |
Composti del tributilstagno |
ISO 17353:2004 |
Triclorobenzeni |
EN ISO 6468:1996; ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Triclorometano (Cloroformio) |
EN ISO 10301:1997; ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Trifluralin |
EN ISO 10695:2000; ISO 11370:2000 |
DDT Totale |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Aldrin |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Endrin |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Isodrin |
EN ISO 6468:1996 |
Dieldrin |
EN ISO 6468:1996; APAT 5090 (2003); Istisan 07/31 |
Tetracloroetilene |
EN ISO 10301:1997; EN ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Tetraclorometano (Tetracloruro di Carbonio) |
EN ISO 10301:1997; EN ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
Tricloroetilene |
EN ISO 10301:1997; EN ISO 15680:2003; APAT 5150 (2003) |
(1) Per il parametro C10-13-cloroalcani il monitoraggio si effettua allorché sarà disponibile il relativo metodo analitico.
Riferimenti metodologici per la misura della portata (solida e liquida) dei corsi d’acqua e dei laghi sono:
• Manual on stream gauging - volume I - Fieldwork - World Meteorological Organization, n° 519;
• Manual on stream gauging - volume II - Computation of discharge - World Meteorological Organization, n° 519 MO n° 519;
• Hydrometry - Measurement of liquid flow in open channels using current-maters or floats - ISO 748/2007;
• Measurement of liquid flow in open channels - Water level measuring devices - ISO 4373/1995;
• Measurement of liquid flow in open channels - Part 1: Establishment and opertion of gauging station - ISO/1100-1;
• Measurement of liquid flow in open channels - Part 2: Determination of the stage-discharge relation - ISO/1100-2;
• Norme Tecniche per la raccolta e l’elaborazione dei dati idrometeorologici (Parte II, dati idrometrici) - Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale, 1998.
I monitoraggi e i relativi dati devono essere rispettivamente programmati e gestiti in modo tale da evitare rischi di errore di classificazione del corpo idrico al fine di ottimizzare i costi per il monitoraggio e poter orientare maggiori risorse economiche all’attuazione delle misure per il risanamento degli stessi corpi idrici.
Le Autorità competenti riportano nei piani di gestione e nei piani di tutela delle acque la metodologia adottata per garantire adeguata attendibilità e precisione ai risultati derivanti dai programmi di monitoraggio.
Allegato 2 - Criteri per la classificazione dei corpi idrici a destinazione funzionale
SEZIONE A: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e per la classificazione delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.
I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua potabile dopo i trattamenti appropriati.
1) Calcolo delta conformità e classificazione
Per la classificazione delle acque in una delle categorie Al, A2, A3, di cui alla tabella 1/A i valori specificati per ciascuna categoria devono essere conformi nel 95% dei campioni ai valori limite specificati nelle colonne I e nel 90% ai valori limite specificati nelle colonne G, quando non sia indicato il corrispondente valore nella colonna I. Per il rimanente 5% o il 10% dei campioni che, secondo i casi, non sono conformi, i parametri non devono discostarsi in misura superiore al 50% dal valore dei parametri in questione, esclusi la temperatura, il pH, l'ossigeno disciolto ed i parametri microbiologici.
2) Campionamento
2.1) Ubicazione delle stazioni di prelievo
Per tutti i laghi naturali ed artificiali e per tutti i corsi d'acqua naturali ed artificiali utilizzati o destinati ad essere utilizzati per l'approvvigionamento idrico potabile - fermo restando quanto previsto nell'allegato 1 - le stazioni di prelievo dovranno essere ubicate in prossimità delle opere di presa esistenti o previste in modo che i campioni rilevati siano rappresentativi della qualità delle acque da utilizzare.
Ulteriori stazioni di prelievo dovranno essere individuate in punti significativi del corpo idrico quando ciò sia richiesto da particolari condizioni locali, tenuto soprattutto conto di possibili fattori di rischio d'inquinamento. I prelievi effettuati in tali stazioni avranno la sola finalità di approfondire la conoscenza della qualità del corpo idrico, per gli opportuni interventi.
2.2) Frequenza minima dei campionamenti e delle analisi di ogni parametro.
GRUPPO DI PARAMETRI [°] |
|||
I | II | III | |
Frequenza minima annua dei campionamenti e delle analisi per i corpi idrici da classificare | 12 | 12 | 12 |
GRUPPO DI PARAMETRI [°A] | |||
I [*] | II | III [**] | |
Frequenza minima annua dei campionamenti e delle analisi per i corpi idrici già classificati | 8 | 8 | 8 |
[*] Per le acque della categoria A3 la frequenza annuale dei campionamenti dei parametri del gruppo I deve essere portata a 12.
[°] I parametri dei diversi gruppi comprendono:
PARAMETRI I GRUPPO |
pH, colore, materiali totali in sospensione, temperatura, conduttività, odore, nitrati, cloruri, fosfati, COD, DO (ossigeno disciolto), BOD5, ammoniaca |
PARAMETRI II GRUPPO |
ferro disciolto, manganese, rame, zinco, solfati, tensioattivi, fenoli, azoto Kjeldhal, coliformi totali e coliformi fecali. |
PARAMETRI III GRUPPO |
fluoruri, boro, arsenico, cadmio, cromo totale, piombo, selenio, mercurio, bario, cianuro, idrocarburi disciolti o emulsioni, idrocarburi policiclici aromatici, antiparassitari totali, sostanze estraibili con cloroformio, streptococchi fecali e salmonelle. |
[**] Per i parametri facenti parte del III gruppo, salvo che per quanto riguarda gli indicatori di inquinamento microbiologico, su indicazione dell'autorità competente al controllo ove sia dimostrato che non vi sono fonti antropiche, o naturali, che possano determinare la loro presenza nelle acque, la frequenza di campionamento può essere ridotta.
3. Modalità di prelievo, di conservazione e di trasporto dei campioni
I campioni dovranno essere prelevati, conservati e trasportati in modo da evitare alterazioni che possono influenzare significativamente i risultati delle analisi.
a) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 2/A, vale quanto prescritto, per i singoli parametri, alla colonna G.
b) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 3/A, vale quanto segue:
i prelievi saranno effettuati in contenitori sterili;
qualora si abbia motivo di ritenere che l'acqua in esame contenga cloro residuo, le bottiglie dovranno contenere una soluzione al 10% di sodio tiosolfato, nella quantità di mL 0,1 per ogni 100 mL di capacità della bottiglia, aggiunto prima della sterilizzazione;
le bottiglie di prelievo dovranno avere una capacità idonea a prelevare l'acqua necessaria all'esecuzione delle analisi microbiologiche;
i campioni prelevati, secondo le usuali cautele di asepsi, dovranno essere trasportati in idonei contenitori frigoriferi (4-10 °C) al riparo della luce e dovranno, nel più breve tempo possibile, e comunque entro e non oltre le 24 ore dal prelievo, essere sottoposti ad esame.
Tabella 1/A: Caratteristiche di qualità per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile
Num. | ||||||||
Parametro | Unità di | A1 | A1 | A2 | A2 | A3 | A3 | |
Param | misura | |||||||
G | I | G | I | G | I | |||
Tab. 2/A: metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri chimici e chimico-fisici di cui alla tab. 1/A
(A) | (B) | (C) | (D) | (E) | (F) | (G) | |
Num. | Unità | Limite | Accuratezza | Metodi di | |||
Param. | Parametro | di | di | Precisione | misura [*] 1 | a) Materiale del | |
misura | rilevamento | ± | ± | contenitore del | |||
campione; | |||||||
b) metodo di | |||||||
conservazione; | |||||||
c) tempo | |||||||
massimo tra il | |||||||
campionamento e | |||||||
l'analisi |
Tab. 3/A: Metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri microbiologici di cui alla tab. 1/A
Num.
Param.
Parametro
Metodi di misura [*]
Sezione B: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative, per la classificazione ed il calcolo della conformità delle acque dolci superficiali idonee alla vita dei pesci salmonicolie ciprinicoli.
I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali designate quali richiedenti protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci.
1) Calcolo della conformità
Le acque designate e classificate si considerano idonee alla vita dei pesci quando i relativi campioni prelevati con la frequenza minima riportata nella Tab. 1/B, nello stesso punto di prelevamento e per un periodo di dodici mesi, presentino valori dei parametri di qualità conformi ai limiti imperativi indicati e alle relative note esplicative della medesima Tabella, per quanto riguarda:
a) il valore del 95% dei campioni prelevati, per i parametri:
- pH
- BOD5
- ammoniaca indissociata
- ammoniaca totale
- nitriti
- cloro residuo totale
- zinco totale
- rame disciolto.
Quando la frequenza di campionamento è inferiore ad un prelievo al mese, i valori devono essere conformi ai limiti tabellari nel 100% dei campioni prelevati;
b) i valori indicati nella tabella 1/B per i parametri:
- temperatura
- ossigeno disciolto;
c) la concentrazione media fissata per il parametro:
- materie in sospensione.
Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle osservazioni riportate nella tabella 1/B non sono presi in considerazione se avvengono a causa di piene, alluvioni o altre calamità naturali.
2) Campionamento
Ai fini dell'accertamento della conformità di cui al punto 1:
a) la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/B può essere ridotta ove risulti accertato che la qualità delle acque è sensibilmente migliore di quella riscontrabile, per i singoli parametri dall'applicazione delle percentuali di cui al punto 1;
b) possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per le quali risulti accertato che non esistono cause di inquinamento o rischio di deterioramento.
Il luogo esatto del prelevamento dei campioni, la sua distanza dal più vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la profondità alla quale i campioni devono essere prelevati sono definiti dall'autorità competente in funzione, soprattutto, delle condizioni ambientali locali.
Tab. 1/B: Qualità delle acque idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi
Osservazioni di carattere generale:
Occorre rilevare che nel fissare i valori dei parametri si è partiti dal presupposto che gli altri parametri, considerati ovvero non considerati nella presente sezione, sono favorevoli. Ciò significa in particolare che le concentrazioni di sostanze nocive diverse da quelle enumerate sono molto deboli. Qualora due o più sostanze nocive siano presenti sotto forma di miscuglio, è possibile che si manifestino, in maniera rilevante, effetti additivi, sinergici o antagonistici.
Metodiche analitiche e di campionamento:
Le metodiche analitiche e di campionamento da impiegarsi nella determinazione dei parametri sono quelle descritte nei volumi «Metodi analitici per le acque» pubblicati dall'Istituto di Ricerca sulle Acque del C.N.R. (Roma), e successivi aggiornamenti.
NOTE ESPLICATIVE AI PARAMETRI DELLA TAB. 1/B
(Integrano le prescrizioni figuranti nel prospetto di detta Tabella)
[1] Per la verifica del ΔT la temperatura deve essere misurata a valle di un punto di scarico termico al limite della zona di mescolamento; il valore riportato in tabella si riferisce alla differenza tra la temperatura misurata e la temperatura naturale.
Con riferimento alla temperatura di riproduzione, non è stato espresso alcun valore limite in considerazione della variabilità di temperatura ideale di riproduzione dei pesci appartenenti ai Ciprinidi nelle acque italiane.
[2] a) Valore limite «I» - acque per Salmonidi: quando la
concentrazione di ossigeno è inferiore a 6 mg/L, le Autorità competenti
devono intervenire ai sensi della parte terza del presente decreto;
b) Valore limite «I» - acque per Ciprinidi: quando la concentrazione
di ossigeno è inferiore a 4 mg/L, le Autorità competenti applicano le
disposizioni della parte terza del presente decreto;
- quando si verificano le condizioni previste in (a) e (b) le Autorità competenti devono provare che dette situazioni non avranno conseguenze dannose allo sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche;
- tra parentesi viene indicata la percentuale delle misure in cui debbono essere superati o eguagliati i valori tabellari (e.g. ≥ 9 (50%) significa che almeno nel 50% delle misure di controllo la concentrazione di 9 mg/L deve essere superata);
- campionamento: almeno un campione deve essere rappresentativo delle condizioni di minima ossigenazione nel corso dell'anno. Tuttavia se si sospettano variazioni giornaliere sensibili dovranno essere prelevati almeno 2 campioni rappresentativi delle differenti situazioni nel giorno del prelievo.
[3] Le variazioni artificiali del pH, rispetto ai valori naturali medi
del corpo idrico considerato, possono superare di ± 0,5 unità-pH i valori
estremi figuranti nel prospetto della tabella 1/B (sia per le acque per
Salmonidi che per le acque per Ciprinidi) a condizione che tali variazioni
non determinano un aumento della nocività di altre sostanze presenti
nell'acqua.
[4] Si può derogare dai suddetti limiti nei corpi idrici, in particolari
condizioni idrologiche, in cui si verifichino arricchimenti naturali senza
intervento antropico;
- i valori limite (G e I per le due sottoclassi) sono concentrazioni medie e non si applicano alle materie in sospensione aventi proprietà chimiche nocive. In quest'ultimo caso le Autorità competenti prenderanno provvedimenti per ridurre detto materiale, se individuata l'origine antropica;
- nell'analisi gravimetrica il residuo, ottenuto dopo filtrazione su membrana di porosità 0,45 mm o dopo centrifugazione (tempo 5 min. ed accelerazione media di 2.800 3.200 g), dovrà essere essiccato a 105 °C fino a peso costante.
[5] La determinazione dell'ossigeno va eseguita prima e dopo incubazione
di cinque giorni, al buio completo, a 20 °C (± 1 °C) e senza impedire la
nitrificazione.
[6] I valori limite «G» riportati possono essere considerati come
indicativi per ridurre l'eutrofizzazione;
- per i laghi aventi profondità media compresa tra 18 e 300 metri, per il calcolo del carico di fosforo totale accettabile, al fine di controllare l'eutrofizzazione, può essere utilizzata la seguente formula:
Z | ||
L = A | (1 - vTw) | |
Tw |
dove:
L = carico annuale espresso in mg di P per metro quadrato di superficie del lago considerato;
Z = profondità media del lago in metri (generalmente si calcola dividendo il volume per la superficie);
Tw = tempo teorico di ricambio delle acque del lago, in anni (si calcola dividendo il volume per la portata annua totale dell'emissario);
A = valore soglia per il contenimento dei fenomeni eutrofici - Per la maggior parte dei laghi italiani «A» può essere considerato pari a 20.
Tuttavia per ogni singolo ambiente è possibile calcolare uno specifico valore soglia (A) mediante l'applicazione di una delle seguenti equazioni. (Il valore ottenuto va aumentato del 50% per i laghi a vocazione salmonicola e del 100% per i laghi a vocazione ciprinicola).
Log [P] = 1,48 + 0,33 (± 0,09) Log MEI* alcal.
Log [P] = 0,75 + 0,27 (± 0,11) Log MEI* cond.dove:
P = A = Concentrazione di fosforo totale di mg/L;
MEI alcal. = Rapporto tra alcalinità (meq/L) e profondità media (m);
MEI cond. = Rapporto tra conducibilità (μS/cm) e profondità media (m);
(*) MEI = Indice morfoedafico.
[7] Nei riguardi dei pesci i nitriti risultano manifestamente più tossici in acque a scarso tenore di cloruri. I valori «I» indicati nella tabella 1/B corrispondono ad un criterio di qualità per acque con una concentrazione di cloruri di 10 mg/L.
Per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L i valori limite «I» corrispondenti sono riportati nella seguente tabella 2/B.
Tab. 2/B - Valori limite «Imperativi» per il parametro nitriti per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L
Cloruri | Acque per salmonidi | Acque per ciprinidi |
(mg/L) | (mg/L NO2) | (mg/ L NO2) |
1 | 0,10 | 0,19 |
5 | 0,49 | 0,98 |
10 | 0,88 | 1,77 |
20 | 1,18 | 2,37 |
40 | 1,48 | 2,96 |
[8] Data la complessità della classe, anche se ristretta ai fenoli monoidrici, il valore limite unico quotato nel prospetto della tabella 1/B può risultare a seconda del composto chimico specifico troppo restrittivo o troppo permissivo;
- poiché la direttiva del Consiglio (78/659/CEE del 18 luglio 1978) prevede soltanto l'esame organolettico (sapore), appare utile richiamare nella tabella 3/B la concentrazione più alta delle sostanze più rappresentative della sotto classe Clorofenoli che non altera il sapore dei pesci (U.S. EPA - Ambient Water Quality Criteria, 1978):
Tab. 3/B
Fenoli | Livelli | Fenoli | Livelli |
(μg/L) | (μg/L) | ||
2-clorofenolo | 60 | 2,5-diclorofenolo | 23 |
4-clorofenolo | 45 | 2,6-diclorofenolo | 35 |
4, 2, 6- | |||
2,3-diclorofenolo | 84 | triclorofenolo | 52 |
2,4-diclorofenolo | 0,4 [*] | ||
[*] Questo valore indica che si possono riscontrare alterazioni del sapore dei pesci anche a concentrazione di fenoli al disotto del valore guida (G) proposto. |
Appare infine utile richiamare, nella tabella 4/B, i criteri, di qualità per la protezione della vita acquatica formulati da B.C. Nicholson per conto del Governo Australiano in «Australian Water Quality Criteria for Organic Compound - Tecnical Paper n. 82 (1984)».
Tab. 4/B
Fenoli | (μg/L) | Fenoli | (μg/L) |
Fenolo | 100 | 4-clorofenolo | 400 |
o-cresolo | 100 | 2,4-diclorofenolo | 30 |
2, 4, 6-, | |||
m-cresolo | 100 | triclorofenolo | 30 |
p-cresolo | 100 | Pentaclorofenolo | 1 |
[9] Considerato che gli olii minerali (o idrocarburi di origine petrolifera) possono essere presenti nell'acqua o adsorbiti nel materiale in sospensione o emulsionati o disciolti, appare indispensabile che il campionamento venga fatto sotto la superficie:
- concentrazioni di idrocarburi anche inferiori al valore guida riportato nella tabella 1/B possono tuttavia risultare nocivi per forme ittiche giovanili ed alterare il sapore del pesce;
- la determinazione degli idrocarburi di origine petrolifera va eseguita mediante spettrofotometria IR previa estrazione con tetracloruro di carbonio o altro solvente equivalente.
[10] La proporzione di ammoniaca non ionizzata (o ammoniaca libera), specie estremamente tossica, in quella totale (NH3 + NH4+) dipende dalla temperatura e dal pH;
- le concentrazioni di ammoniaca totale (NH3 + NH4+) che contengono una concentrazione di 0,025 mg/L di ammoniaca non ionizzata, in funzione della temperatura e pH, misurate al momento del prelievo, sono quelle riportate nella seguente tabella 5/B:
Tab. 5/B
Temperatura | |||||||
(°C) | Valori di PH | ||||||
6,5 | 7,0 | 7,5 | 8,0 | 8,5 | 9,0 | 9,5 | |
5 | 63,3 | 20,0 | 6,3 | 2,0 | 0,66 | 0,23 | 0,089 |
10 | 42,4 | 13,4 | 4,3 | 1,4 | 0,45 | 0,16 | 0,067 |
15 | 28,9 | 9,2 | 2,9 | 0,94 | 0,31 | 0,12 | 0,053 |
20 | 20,0 | 6,3 | 2,0 | 0,66 | 0,22 | 0,088 | 0,045 |
25 | 13,9 | 4,4 | 1,4 | 0,46 | 0,16 | 0,069 | 0,038 |
30 | 9,8 | 3,1 | 1,0 | 0,36 | 0,12 | 0,056 | 0,035 |
[11] Al fine di ridurre il rischio di tossicità dovuto alla presenza di ammoniaca non ionizzata, il rischio di consumo di ossigeno dovuto alla nitrificazione e il rischio dovuto all'instaurarsi di fenomeni di eutrofizzazione, le concentrazioni di ammoniaca totale non dovrebbero superare i valori «I» indicati nel prospetto della tabella 1/B;
- tuttavia per cause naturali (particolari condizioni geografiche o climatiche) e segnatamente in caso di basse temperature dell'acqua e di diminuzione della nitrificazione o qualora l'Autorità competente possa provare che non si avranno conseguenze dannose per lo sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche, è consentito il superamento dei valori tabellari.
[12] Quando il cloro è presente in acqua in forma disponibile, cioè in grado di agire come ossidante, i termini, usati indifferentemente in letteratura, «disponibile» «attivo», o «residuo» si equivalgono;
- il «cloro residuo totale» corrisponde alla somma, se presenti contemporaneamente, del cloro disponibile libero [cioè quello presente come una miscela in equilibrio di ioni ipoclorito (OCI) ed acido ipocloroso (HOCI] e del cloro combinato disponibile [cioè quello presente nelle cloroammine o in altri composti con legami N-Cl (i.e. dicloroisocianurato di sodio)];
- la concentrazione più elevata di cloro (Cl2) che non manifesta effetti avversi su specie ittiche sensibili, entro 5 giorni, è di 0,005 mg Cl2/L (corrispondente a 0,004 mg/L di HOCl). Considerato che il cloro è troppo reattivo per persistere a lungo nei corsi d'acqua, che lo stesso acido ipocloroso si decompone lentamente a ione cloruro ed ossigeno (processo accelerato dalla luce solare), che i pesci per comportamento autoprotettivo fuggono dalle zone ad elevata concentrazione di cloro attivo, come valore è stato confermato il limite suddetto;
- le quantità di cloro totale, espresse in mg/L di Cl2, che contengono una concentrazione di 0,004 mg/L di HOC1, variano in funzione della temperatura e soprattutto del valore di pH (in quanto influenza in maniera rimarchevole il grado di dissociazione dell'acido ipocloroso HOC1 <-> H+ + ClO-) secondo la seguente tabella 6/B:
Tab. 6/B
Temperatura | ||||
(°C) | Valori di PH | |||
6 | 7 | 8 | 9 | |
5 | 0,004 | 0,005 | 0,011 | 0,075 |
25 | 0,004 | 0,005 | 0,016 | 0,121 |
Pertanto i valori «I» risultanti in tabella corrispondono a pH = 6. In presenza di valori di pH più alti sono consentite concentrazioni di cloro residuo totale (Cl2) più elevate e comunque non superiori a quelle riportate in tabella 6/B;
- per i calcoli analitici di trasformazione del cloro ad acido ipocloroso ricordare che, dell'equazione stechiometrica, risulta che una mole di cloro (Cl2) corrisponde ad 1 mole di acido ipocloroso (HOCl).
- in ogni caso la concentrazione ammissibile di cloro residuo totale non deve superare il limite di rilevabilità strumentale del metodo di riferimento.
[13] L'attenzione è rivolta alla classe tensioattivi anionici, che trova il maggior impiego nei detersivi per uso domestico;
- il metodo al blu di metilene, con tutti gli accorgimenti suggeriti negli ultimi anni (vedi direttiva del Consiglio 82/243/CEE del 31 marzo 1982, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee legge 22 aprile 1982, n. 109), appare ancora il più valido per la determinazione di questa classe di composti. Per il futuro è da prevedere l'inclusione in questo parametro almeno della classe dei tensioattivi non ionici.
[14] Gli otto metalli presi in considerazione risultano più o meno tossici verso la fauna acquatica. Alcuni di essi (Hg, As, etc.) hanno la capacità di bioaccumularsi anche su pesci commestibili.
La tossicità è spesso attenuata dalla durezza. I valori quotati nel prospetto della tabella 1/B, corrispondono ad una durezza dell'acqua di 100 mg/L come CaCO3. Per durezze comprese tra < 50 e > 250 i valori limite corrispondenti sono riportali nei riquadri seguenti contraddistinti per protezione dei Salmonidi e dei Ciprinidi.
Protezione Salmonidi
Durezza dell'acqua (mg/L di CaCO3) | ||||||||||
Parametri | ||||||||||
[*] | <50 | 50-99 | 100- | 150- | 200- | >250 | ||||
149 | 199 | 250 | ||||||||
come | ||||||||||
12 | Arsenico | AS | 50 | 50 | 50 | 50 | 50 | 50 | ||
Cadmio | come | |||||||||
13 | totale | Cd | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | ||
come | ||||||||||
14 | Cromo | Cr | 5 | 10 | 20 | 20 | 50 | 50 | ||
Mercurio | come | |||||||||
15 | totale | Hg | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | ||
come | ||||||||||
16 | Nichel | Ni | 25 | 50 | 75 | 75 | 100 | 100 | ||
come | ||||||||||
17 | Piombo | Pb | 4 | 10 | 10 | 20 | 20 | 20 | ||
come | ||||||||||
18 | Rame | Cu | 5[a] | 22 | 40 | 40 | 40 | 112 | ||
come | ||||||||||
19 | Zinco totale | Zn | 30 | 200 | 300 | 300 | 300 | 500 | ||
[a] La presenza di pesci in acque con più alte concentrazioni può significare che predominano complessi organocuprici disciolti. |
Protezione Ciprinidi | ||||||||||
Durezza dell'acqua (mg/L di CaCO3) | ||||||||||
Parametri | ||||||||||
[*] | 100- | 150- | 200- | |||||||
<50 | 50-99 | 149 | 199 | 250 | >250 | |||||
come | 50 | 50 | 50 | 50 | 50 | 50 | ||||
12 | Arsenico | As | ||||||||
come | ||||||||||
13 | Cadmio totale | Cd | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | 2,5 | ||
come | ||||||||||
14 | Cromo | Cr | 75 | 80 | 100 | 100 | 125 | 125 | ||
come | ||||||||||
15 | Mercurio totale | Hg | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | 0,5 | ||
come | 25 | 50 | 75 | 75 | 100 | 100 | ||||
16 | Nichel | Ni | ||||||||
come | ||||||||||
17 | Piombo | Pb | 50 | 125 | 125 | 250 | 250 | 250 | ||
come | ||||||||||
18 | Rame | Cu | 5 | 22 | 40 | 40 | 40 | 112 | ||
come | ||||||||||
19 | Zinco totale | Zn | 150 | 350 | 400 | 500 | 500 | 1000 | ||
(*) I valori limite si riferiscono al metallo disciolto, salvo diversa indicazione e sono espressi in mg/L. |
Sezione C: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative ed il calcolo della conformità delle acque destinate alla vita dei molluschi
I seguenti criteri si applicano alle acque costiere e salmastre sedi di banchi e popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi designate come richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi e per contribuire alla buona qualità (dei prodotti della molluschicoltura destinati al consumo umano.
1) Calcolo della conformità
1. Le acque designate ai sensi dell'art. 87 si considerano conformi quando i campioni di tali acque, prelevate nello stesso punto per un periodo di dodici mesi, secondo la frequenza minima prevista nella tab. 1/C, rispettano i valori e le indicazioni di cui alla medesima tabella per quanto riguarda:
a) il 100% dei campioni prelevati per i parametri sostanze organo alogenate e metalli;
b) il 95% dei campioni per i parametri ed ossigeno disciolto;
c) il 75% dei campioni per gli altri parametri indicati nella tab. 1/C.
2. Qualora la frequenza dei campionamenti, ad eccezione di quelli relativi ai parametri sostanze organo alogenate e metalli, sia inferiore a quella indicata nella tab. 1/C, la conformità ai valori ed alle indicazioni deve essere rispettata nel 100% dei campioni.
3. Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle indicazioni riportate nella tabella 1/C non sono presi in considerazione se avvengono a causa di eventi calamitosi.
2) Campionamento
1. L'esatta ubicazione delle stazioni di prelievo dei campioni, la loro distanza dal più vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la profondità alla quale i campioni devono essere prelevati, sono definiti dall'Autorità competente in funzione delle condizioni ambientali locali.
2. Ai fini dell'accertamento della conformità di cui al comma 1, la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/C può essere ridotta dall'Autorità competente ove risulti accertato che la qualità delle acque è sensibilmente superiore per i singoli parametri di quella risultante dall'applicazione dei valori limite e relative note.
3. Possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per le quali risulti accertato che non esistano cause di inquinamento o rischio di deterioramento.
Tab. 1/C Qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi
Tab. 1/C Qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi
Frequenza | ||||||
Unità di | Metodo di | minima di | ||||
Parametro | misura | G | 1 | analisi di | campionamenti | |
riferimento | e delle misurazioni | |||||
1 | pH | unità pH | 7-9 | - Elettrometria | Trimestrale | |
La misurazione | ||||||
viene eseguita sul | ||||||
posto al momento | ||||||
del campionamento | ||||||
La differenza di | ||||||
2 | Temperatura | °C | temperatura | - Termometria | Trimestrale | |
provocata da uno | ||||||
scarico non deve | La misurazione | |||||
superare, nelle | viene eseguita | |||||
acque destinate | sul posto al momento | |||||
alla vita dei | del campionamento | |||||
molluschi | ||||||
influenzate da | ||||||
tale scarico, di | ||||||
oltre 2 °C la | ||||||
temperatura | ||||||
misurata | ||||||
nelle acque | ||||||
non influenzate | ||||||
Dopo filtrazione | ||||||
il colore | ||||||
dell'acqua, | ||||||
provocato da uno | -Filtrazione su | |||||
scarico, non deve | membrana | |||||
discostarsi nelle | filtrante di 0,45 hym. | |||||
acque destinate | Metodo | |||||
alla vita dei | fotometrico, | |||||
Colorazione | molluschi | secondo gli | ||||
3 | (dopo | mg Pt/L | influenzate | standard della | Trimestrale | |
filtrazione) | da tale scarico | scala platino- | ||||
di oltre 10 mg | cobalto | |||||
Pt/ L dal colore | ||||||
misurato nelle | ||||||
acque non | ||||||
influenzate | ||||||
L'aumento del | - Filtrazione su | |||||
tenore di materie | membrana filtrante | |||||
in sospensione | di 0,45 μm, | |||||
e provocato | essiccazione a | |||||
da uno scarico | 105 °C e pesatura;- | |||||
non deve | Centrifugazione | |||||
superare, nelle | (tempo minimo | |||||
acque destinate | 5 min accelerazione | |||||
alla vita dei | media di 2800- | |||||
dei molluschi | 3200 g) | |||||
4 | Materiali in | influenzate da | essiccazione a 105 | Trimestrale | ||
sospensione | mg/L | tale scarico, di | °C e pesatura | |||
oltre il 30% il | ||||||
tenore misurato | ||||||
nelle acque | ||||||
non | ||||||
influenzate | ||||||
5 | Salinità | %, | 12-38‰ | - ≤ 40‰, | Conduttometria | |
Mensile | ||||||
- La variazione | ||||||
della salinità | ||||||
provocata da uno | ||||||
scarico non deve | ||||||
superare, nelle | ||||||
acque destinate | ||||||
alla vita dei | ||||||
molluschi | ||||||
influenzate | ||||||
da tale scarico, | ||||||
± 10% la salinità | ||||||
misurata nelle | ||||||
acque non | ||||||
influenzate | ||||||
6 | Ossigeno | - = 70% | Mensile, con | |||
. | disciolto | % di | - ≤ 80% | (valore medio). | - Metodo di | almeno un |
saturazione | Se una singola | Winkler- | campione | |||
singola | Metodo | rappresentativo | ||||
misurazione | elettrochimico | del basso tenore di | ||||
e indica un | ossigeno | |||||
valore inferiore | presente nel | |||||
al 70% le | giorno del | |||||
misurazioni | prelievo. | |||||
vengono | Tuttavia se si | |||||
proseguite- | presentano | |||||
Una singola | variazioni | |||||
misurazione può | diurne | |||||
indicare un | significative | |||||
valore inferiore | saranno | |||||
al 60% soltanto | effettuati | |||||
qualora non vi | almeno due | |||||
siano | prelievi al | |||||
conseguenze | giorno. | |||||
dannose per lo | ||||||
sviluppo delle | ||||||
popolazioni | ||||||
di molluschi | ||||||
Gli idrocarburi | ||||||
non devono | ||||||
Idrocarburi | essere presenti | |||||
7 | di origine | nell'acqua in | ||||
petrolifera | quantità tale: | - Esame visivo | Trimestrale | |||
- da produrre | ||||||
un film visibile | ||||||
alla superficie | ||||||
dell'acqua e/o un | ||||||
deposito sui | ||||||
molluschi | ||||||
- da avere | ||||||
effetti nocivi | ||||||
per i molluschi | ||||||
La | ||||||
La | concentrazione | |||||
concentrazione | di ogni sostanza | Cromatografia | ||||
di ogni | nell'acqua | in fase | ||||
sostanza nella | o nella polpa | gassosa, previa | ||||
polpa del | del mollusco non | estrazione | ||||
Sostanze | mollusco | deve superare | mediante | |||
8 | organo- | deve essere tale | un livello tale | appropriati | Semestrale | |
alogenate | da contribuire | da provocare | solventi e | |||
ad una buona | effetti nocivi | purificazione | ||||
qualità dei | per i molluschi | |||||
prodotti della | e per le | |||||
molluschicoltura | loro larve | |||||
La | La | - | ||||
concentrazione | concentrazione | Spettrofotometria | Semestrale | |||
9 | Metalli: | ppm | di ogni sostanza | di ogni sostanza | di assorbimento | |
Argento Ag | nella polpa del | nell'acqua o nella | atomico, | |||
Arsenico As | mollusco deve | polpa del | eventualmente | |||
Cadmio Cd | essere tale da | mollusco non | preceduta da | |||
Cromo Cr | contribuire | deve superare un | concentrazione e/o | |||
Rame Cu | ad una buona | livello tale da | estrazione | |||
Mercurio Hg [*] | qualità dei | provocare effetti | ||||
Nichelio Ni | prodotti della | nocivi per i | ||||
Piombo Pb [**] | molluschicoltura | molluschi e per | ||||
Zinco Zn | le loro larve. | |||||
È necessario | ||||||
prendere in | ||||||
considerazione | ||||||
gli effetti | ||||||
sinergici dei | ||||||
vari metalli | ||||||
≤ 300 nella | Metodo di | |||||
10 | Coliformi | n°/ 100m | polpa del | diluizione con | Trimestrale | |
fecali | mollusco e | fermentazione in | ||||
nel liquido | substrati liquidi in | |||||
intervalvare | almeno tre provette, | |||||
in tre diluizioni. | ||||||
Trapianto delle | ||||||
provette positive sul | ||||||
terreno di conferma. | ||||||
Computo secondo il | ||||||
sistema M.P.N. | ||||||
(Numero più | ||||||
probabile). | ||||||
Temperatura | ||||||
di incubazione | ||||||
44±0,5°C | ||||||
Concentrazione | Esame gustativo dei | |||||
Sostanze che | inferiore a quella | molluschi, allorché | ||||
11 | influiscono | che può alterare | si presume la | |||
sul sapore | il sapore dei | presenza di tali | ||||
dei molluschi | molluschi | sostanze | ||||
Sassitossina | ||||||
12 | (prodotta dai | |||||
dinoflagellati) | ||||||
[*] valore imperativo nella polpa del mollusco = 0,5 ppm | ||||||
[**] valore imperativo nella polpa del mollusco = 2 ppm | ||||||
ABBREVIAZIONI | ||||||
G = guida o indicativo | ||||||
I = imperativo o obbligatorio |
Allegato 3 - Rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici e analisi dell'impatto esercitato dall'attività antropica
Per la redazione dei piani di tutela, le Regioni devono raccogliere ed elaborare i dati relativi alle caratteristiche dei bacini idrografici secondo i criteri di seguito indicati.
A tal fine si ritiene opportuno che le Regioni si coordinino, anche con il supporto delle autorità di bacino, per individuare, per ogni bacino idrografico, un Centro di Documentazione cui attribuire il compito di raccogliere, catalogare e diffondere le informazioni relative alle caratteristiche dei bacini idrografici ricadenti nei territori di competenza.
Devono essere in particolare considerati gli elementi geografici, geologici, idrogeologici, fisici, chimici e biologici dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nonché quelli socioeconomici presenti nel bacino idrografico di propria competenza.
1 CARATTERIZZAZIONE DEI CORPI IDRICI SUPERFICIALI
Le regioni, nell'àmbito del territorio di competenza, individuano l'ubicazione e il perimetro dei corpi idrici superficiali ed effettuano di tutti una caratterizzazione iniziale, seguendo la metodologia indicata in appresso. Ai fini di tale caratterizzazione iniziale le regioni possono raggruppare i corpi idrici superficiali.
i) Individuare i corpi idrici superficiali all'interno del bacino idrografico come rientranti in una delle seguenti categorie di acque superficiali - fiumi, laghi, acque di transizione o acque costiere - oppure come corpi idrici superficiali artificiali o corpi idrici superficiali fortemente modificati.
ii) Per i corpi idrici superficiali artificiali o fortemente modificati, la classificazione si effettua secondo i descrittori relativi a una delle categorie di acque superficiali che maggiormente somigli al corpo idrico artificiale o fortemente modificato di cui trattasi.
1.1 ACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DISPONIBILI
La fase iniziale, finalizzata alla prima caratterizzazione dei bacini idrografici, serve a raccogliere le informazioni relative a:
a) gli aspetti geografici: estensione geografica ed estensione attitudinale, latitudinale e longitudinale
b) le condizioni geologiche: informazioni sulla tipologia dei substrati, almeno in relazione al contenuto calcareo, siliceo ed organico
c) le condizioni idrologiche: bilanci idrici, compresi i volumi, i regimi di flusso nonché i trasferimenti e le deviazioni idriche e le relative fluttuazioni stagionali e, se del caso, la salinità
d) le condizioni climatiche: tipo di precipitazioni e, ove possibile, evaporazione ed evapotraspirazione.
Tali informazioni sono integrate con gli aspetti relativi a:
a) caratteristiche socioeconomiche utilizzo del suolo, industrializzazione dell'area, ecc.
b) individuazione e tipizzazione di aree naturali protette,
c) eventuale caratterizzazione faunistica e vegetazionale dell'area del bacino idrografico.
SEZIONE A: METODOLOGIA PER L'INDIVIDUAZIONE DI TIPI PER LE DIVERSE CATEGORIE DI ACQUE SUPERFICIALI
A.1 Metodologia per l'individuazione dei tipi fluviali
A.1.1 Definizioni:
- «corso d'acqua temporaneo»: un corso d'acqua soggetto a periodi di asciutta totale o di tratti dell'alveo annualmente o almeno 2 anni su 5;
- «corso d'acqua intermittente»: un corso d'acqua temporaneo con acqua in alveo per più di 8 mesi all'anno, che può manifestare asciutte anche solo in parte del proprio corso e/o più volte durante l'anno;
- «corso d'acqua effimero»: un corso d'acqua temporaneo con acqua in alveo per meno di 8 mesi all'anno, ma stabilmente; a volte possono essere rinvenuti tratti del corso d'acqua con la sola presenza di pozze isolate;
- «corso d'acqua episodico»: un corso d'acqua temporaneo con acqua in alveo solo in seguito ad eventi di precipitazione particolarmente intensi, anche meno di una volta ogni 5 anni. I fiumi a carattere episodico (esempio: le fiumare calabre o lame pugliesi), sono da considerarsi ambienti limite, in cui i popolamenti acquatici sono assenti o scarsamente rappresentati, anche nei periodi di presenza d'acqua. Pertanto tali corpi idrici non rientrano nell'obbligo di monitoraggio e classificazione.
Nelle definizioni sopra riportate l'assenza di acqua in alveo si intende dovuta a condizioni naturali.
A.1.2 Basi metodologiche
La tipizzazione dei fiumi è basata sull'utilizzo di descrittori abiotici, in applicazione del sistema B dell'allegato II della Direttiva 2000/60/CE e devono, quindi, essere classificati in tipi sulla base di descrittori geografici, climatici e geologici. La tipizzazione si applica a tutti i fiumi che hanno un bacino idrografico ≥ 10 km2. La tipizzazione deve essere applicata anche a fiumi con bacini idrografici di superficie minore nel caso di ambienti di particolare rilevanza paesaggistico-naturalistica, di ambienti individuati come siti di riferimento, nonché di corsi d'acqua che, per il carico inquinante, possono avere un'influenza negativa rilevante per gli obiettivi stabiliti per altri corpi idrici ad essi connessi.
La procedura utilizzata per la definizione dei tipi per i corsi d'acqua si articola in tre livelli successivi di seguito descritti:
- Livello 1 - Regionalizzazione
- Livello 2 - Definizione di una tipologia
- Livello 3 - Definizione di una tipologia di dettaglio
A.1.3 Regionalizzazione
Il livello 1 si basa su una regionalizzazione del territorio europeo e consiste in una identificazione di aree che presentano al loro interno una limitata variabilità per le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche, sulle quali applicare successivamente la tipizzazione dei corsi d'acqua. I descrittori utilizzati sono riportati nella tabella 1.1, mentre nella figura 1.1 sono descritti i limiti delle diverse Idro-ecoregioni che interessano l'Italia.
Sulla base del processo di tipizzazione e del monitoraggio svolto nel 2008 le Regioni possono effettuare modifiche ai confini delle Idro-ecoregioni per adattarle al meglio alle discontinuità naturali territoriali, nel rispetto dell'approccio generale mediante il quale esse sono state delineate.
Tab. 1.1 Descrittori utilizzati per il livello 1 del processo di tipizzazione
Classi di descrittori |
descrittori |
Localizzazione geografica |
Altitudine, Latitudine, Longitudine |
Descrittori morfometrici |
Pendenza media del corpo idrico |
Descrittori climatici |
- Precipitazioni |
|
- Temperatura dell'aria |
Descrittori geologici |
Composizione geologica del substrato |
Fig.1.1 Rappresentazione delle idroecoregioni italiane con relativi codici
numerici, denominazioni e confini regionali
Idroecoregioni |
|
Cod_ |
Denominazione |
1 |
Alpi Occidentali |
2 |
Prealpi_Dolomiti |
3 |
Alpi Centro-Orientali |
4 |
Alpi Meridionali |
5 |
Monferrato |
6 |
Pianura Padana |
7 |
Carso |
8 |
Appennino Piemontese |
9 |
Alpi Mediterranee |
10 |
Appennino Settentrionale |
11 |
Toscana |
12 |
Costa Adriatica |
13 |
Appennino Centrale |
14 |
Roma_Viterbese |
15 |
Basso Lazio |
14 |
Vesuvio |
16 |
Basilicata_Tavoliere |
17 |
Puglia_Carsica |
18 |
Appennino Meridionale |
19 |
Calabria_Nebrodi |
20 |
Sicilia |
21 |
Sardegna |
A.1.4 Definizione della tipologia
Il Livello 2 deve consentire di giungere ad una tipizzazione di tutti i corsi d'acqua presenti sul territorio italiano con dimensione minima di bacino di 10 km2, o di dimensione minore di cui alle eccezioni previste al paragrafo A.1.2, sulla base di alcuni descrittori abiotici comuni. L'obiettivo è quindi quello di ottenere una lista di tipi, riconosciuti come ulteriore approfondimento della regionalizzazione in Idro-ecoregioni.
I descrittori selezionati per la definizione della tipologia di livello 2 e le fasi successive sono riportati rispettivamente nella tabella 1.2 e nella figura 1.2.
Tab. 1.2 Descrittori utilizzati per il livello 2 del processo di tipizzazione
Descrittori idromorfologici |
- distanza dalla sorgente (indicatore della taglia del corso d'acqua) |
|
- morfologia dell'alveo (per i fiumi temporanei) |
|
- perennità e persistenza |
Descrittori idrologici |
- origine del corso d'acqua |
|
- possibile influenza del bacino a monte sul corpo idrico |
A.1.4.1 Distanza dalla sorgente
La distanza dalla sorgente fornisce indicazioni sulla taglia del corso d'acqua, in quanto è correlata alla dimensione del bacino di cui può essere considerata un descrittore indiretto.
La distanza dalla sorgente consente di ottenere delle classi di taglia per i corsi d'acqua, definite come segue:
Molto piccolo < 5 km
Piccolo 5-25 km
Medio 25-75 km
Grande 75-150 km
Molto grande > 150 km
Qualora il valore limite della classe cadesse all'interno di un tratto fluviale omogeneo, tale limite non avrebbe un reale significato ecologico. Pertanto nella fase di effettivo riconoscimento dei tipi, si deve utilizzare un criterio correttivo (fase 5 in Fig. 1.2), per consentire il posizionamento del limite tra i due tipi, e quindi l'identificazione dei due corpi idrici adiacenti, in accordo con le discontinuità realmente esistenti lungo il corso d'acqua. Tale criterio è stato riconosciuto nel posizionamento del limite tra due tratti alla confluenza di un corso d'acqua di ordine (Strahler) superiore, uguale o inferiore di una unità. Il punto di confluenza, offre la possibilità di collocare l'effettivo punto di separazione tra due tipi/tratti fluviali secondo le principali discontinuità ecologiche del fiume.
Sulla base dei dati in possesso dell'autorità competente, la «dimensione del bacino» può sostituire il descrittore «distanza dalla sorgente» nel caso in cui sia stata definita adeguatamente la relazione tra i due descrittori. In questo caso, dovrà essere garantita una corrispondenza di massima tra l'attribuzione ai tipi ottenuta sulla base della dimensione del bacino e le classi indicate nella presente sezione per la distanza dalla sorgente. Come criterio generale possono eventualmente essere utilizzate delle classi di taglia per i corsi d'acqua definite come segue:
Molto piccolo < 25 km2
Piccolo 25-150 km2
Medio 150-750 km2
Grande 750-2500 km2
Molto grande > 2500 km2
L'uso del criterio «distanza dalla sorgente» invece della dimensione del bacino consente di limitare l'errore di attribuzione tipologica nel caso, ad esempio, di piccoli corsi d'acqua di pianura o di origine sorgiva.
La distanza dalla sorgente è anche utilizzata per valutare l'influenza del bacino a monte.
In Figura 1.2 è riportato il caso in cui l'attribuzione di taglia è effettuata sulla base della distanza dalla sorgente. L'autorità competente informa il MATTM sulla base di quale dei due criteri sono attribuite le classi di taglia del corso d'acqua, tenendo presente che nell'intero territorio di un singolo bacino idrografico deve essere utilizzato un unico descrittore (distanza della sorgente o dimensione del bacino). Pertanto le regioni si coordinano per selezionare il descrittore comune nell'ambito di bacini idrografici che comprendono i territori di più regioni.
A.1.4.2 Morfologia dell'alveo
È un descrittore di assoluta rilevanza nello strutturare le biocenosi nei fiumi temporanei. La morfologia dell'alveo fluviale risulta particolarmente importante in corsi d'acqua non confinati o semi confinati. I corsi d'acqua per i quali la morfologia dell'alveo risulta quindi particolarmente importante per caratterizzare la struttura e il funzionamento dell'ecosistema sono quelli di pianura, collina o presenti nei fondo valle montani. Per i fiumi temporanei, si propongono i due seguenti raggruppamenti:
1) Meandriforme, sinuoso o confinato
2) Semi-confinato, transizionale, a canali intrecciati o fortemente anastomizzato.
A.1.4.3 Perennità e persistenza del corso d'acqua
Una caratteristica fondamentale dei corsi d'acqua è il loro grado di perennità (fase 2 in Fig. 1.2). Nell'area mediterranea, in particolare, è necessario poter riconoscere e caratterizzare i fiumi a carattere temporaneo. Tra i fiumi temporanei, possiamo riconoscere le seguenti categorie definite al paragrafo A.1.1 (Definizioni): intermittente, effimero ed episodico (fase 3b in Fig.1.2).
È chiaro che l'attribuzione di un tratto fluviale alla categoria «fiumi temporanei» deve essere effettuata sulla base delle portate «naturali» ricostruite e non di condizioni osservate che siano il risultato di processi di uso e gestione delle acque non in linea con le caratteristiche naturali del corso d'acqua. Ad esempio, un determinato tratto soggetto a regolazione del deflusso minimo vitale o al manifestarsi di periodi di asciutta dovuti alla presenza di invasi a monte non sarà direttamente ascrivibile a tale categoria senza ulteriori verifiche sul regime naturale del corso d'acqua.
A.1.4.4 Origine del corso d'acqua
Soprattutto al fine di evidenziare ecosistemi di particolare interesse o a carattere peculiare, diversi tipi fluviali devono essere discriminati sulla base della loro origine:
1. scorrimento superficiale di acque di precipitazione o da scioglimento di nevai (maggior parte dei corsi d'acqua italiani);
2. grandi laghi;
3. ghiacciai;
4. sorgenti (e.g. in aree carsiche);
5. acque sotterranee (e.g. risorgive e fontanili).
Questa categorizzazione è utile per caratterizzare i tratti fluviali più prossimi all'origine; essa (da 3 a 5 della fig. 1.2, in particolare) può perdere d'importanza spostandosi verso valle. Nell'attuale formulazione di tipologia, la distanza di circa 10 km viene orientativamente proposta come limite oltre il quale gli effetti di un'origine particolare del corso d'acqua si affievoliscono al punto da renderlo simile ad un altro originatosi da acque di scorrimento superficiale (fig. 1.2).
A.1.4.5 Influenza del bacino a monte sul corpo idrico
Deve essere utilizzato il semplice rapporto tra l'estensione totale del corso d'acqua (i.e. distanza dalla sorgente) e l'estensione lineare del corso d'acqua in esame all'interno della Idro-ecoregione di appartenenza (sempre a monte del sito, fino al confine della Idro-ecoregione di appartenenza).
Cioè, è possibile definire un indice di Influenza del Bacino/Idro-ecoregione a monte (IBM) come: IBM = Estensione lineare totale del corso d'acqua/Estensione lineare del corso d'acqua nella Idro-ecoregione di appartenenza.
L'estensione totale e nella Idro-ecoregione di appartenenza del corso d'acqua devono essere entrambe calcolate a partire dal sito in esame verso monte.
La tabella 1.3 riporta i valori di riferimento per tale indice. Le modalità di calcolo del criterio «Influenza del bacino a monte» potranno essere riviste sulla base dei risultati della prima applicazione tipologica.
Tabella 1.3. Criteri per l'attribuzione di un sito fluviale ad una classe di influenza del bacino a monte (HERm: HER a monte; HERa: HER di appartenenza).
Livello |
Influenza del Bacino (HER) a Monte |
||||
|
Trascurabile |
Debole |
Forte |
||
HER |
|||||
2 |
Alpi e Appennino Settentrionale |
2, 5, 7, 8, 9 |
IBM ≤ 1.25 |
1.25 < IBM ≤ 2 |
IBM > 2 |
|
|
%HERm/HERa |
≤ 25 |
25 < % ≤ 100 |
> 100 |
|
Appennino Centrale |
11, 12, 13, 14, 15 |
IBM ≤ 2 |
2 < IBM ≤ 3 |
IBM > 3 |
|
|
%HERm/HERa |
≤ 100 |
100 < % ≤ 200 |
> 200 |
|
Appennino Meridionale |
16, 18, 19, 20 |
IBM ≤ 2 |
2 < IBM ≤ 4 |
IBM > 4 |
|
|
%HERm/HERa |
≤ 100 |
100 < % ≤ 300 |
> 300 |
|
solo corsi d'acqua endogeni |
1, 3, 4, (10), (17), 21 |
|
nulla |
|
Figura 1.2. Tipologia per l'attribuzione di tratti fluviali ad un 'tipo' ai
sensi della Direttiva 2000/60/CE, Sistema B. Diagramma di flusso per il Livello
2
A.1.5 Definizione di una tipologia di dettaglio.
Il livello 3 consente da parte delle Regioni, l'affinamento della tipologia di livello 2 sulla base delle specificità territoriali, dei dati disponibili, di particolari necessità gestionali, etc. Si può basare, nelle diverse aree italiane, su descrittori differenti, la cui utilità e appropriatezza devono essere dimostrate su scala locale/regionale. Questo livello di dettaglio offre la possibilità di compensare eventuali incongruenze che derivino dalla definizione della tipologia di livello 2. L'affinamento di livello 3 è auspicabile per tutti i corsi d'acqua. I risultati di livello 3 consentono una ridefinizione più accurata dei criteri/limiti utilizzati nei due livelli precedenti.
Inoltre, l'indagine di terzo livello dovrebbe affiancare l'individuazione dei corpi idrici e definire gli eventuali sottotipi.
Mentre i livelli 1 e 2 sono da considerarsi obbligatori nell'attribuzione tipologica ad un tratto fluviale, in quanto consentono una tipizzazione comune all'intero territorio nazionale, il terzo livello, come qui illustrato, comprende fattori facoltativi. L'impiego dei fattori di seguito riportati( vedi anche Fig. 1.3), alcuni dei quali già utilizzati al livello 2, è comunque suggerito per la loro larga applicabilità o per rendere più equilibrato e comparabile la tipizzazione tra corsi d'acqua perenni e temporanei:
- morfologia dell'alveo;
- origine del corso d'acqua;
- temperatura del l'acqua;
- altri descrittori (portata media annua, interazione con la falda, granulometria del substrato, carattere lentico-lotico).
Resta ferma la possibilità di utilizzo di altri elementi al fine di meglio caratterizzare i tipi a scala locale tenendo conto della massima confrontabilità tra aree adiacenti.
A.1.6 Relazione tra i tipi fluviali ottenuti e le biocenosi fluviali
La metodologia qui proposta, che include un elevato numero di descrittori suggeriti dal sistema B della Direttiva 2000/60/CE, è stata basata, a tutti e tre i livelli, su fattori ritenuti importanti nello strutturare le biocenosi acquatiche e nel determinare il funzionamento degli ecosistemi fluviali. Peraltro, è ragionevole attendersi che l'effettiva risposta delle biocenosi possa non variare tra alcuni dei tipi identificati. La tipizzazione effettuata secondo il metodo della presente sezione deve essere successivamente validata attraverso verifiche a carattere biologico con l'obiettivo di definire i bio-tipi effettivamente presenti in ciascuna Idro-ecoregione. La verifica della presenza e dell'importanza dei diversi tipi (livello 2) nelle varie Idro-ecoregioni e Regioni è effettuata, ad opera di Regioni e Autorità di Bacino.
Figura 1.3. Tipologia per l'attribuzione di tratti fluviali ad un 'tipo'.
Diagramma di flusso per il Livello 3
A.2 Metodologia per l'individuazione dei tipi lacustri
A.2.1 Definizioni:
"lago": un corpo idrico naturale lentico, superficiale, interno, fermo, di acqua dolce, dotato di significativo bacino scolante. Non sono considerati ambienti lacustri tutti gli specchi d'acqua derivanti da attività estrattive, gli ambienti di transizione, quali sbarramenti fluviali tratti di corsi d'acqua in cui la corrente rallenta fino ad un tempo di ricambio inferiore ad una settimana e gli ambienti che mostrano processi di interramento avanzati che si possono definire come zone umide;
"invaso": corpo idrico fortemente modificato, corpo lacustre naturale-ampliato o artificiale.
A.2.2 Basi metodologiche
I corpi idrici lacustri naturali, artificiali e naturali fortemente modificati presenti sul territorio nazionale devono essere classificati in tipi sulla base di descrittori di carattere morfometrico e sulla composizione prevalente del substrato geologico.
La tipizzazione deve essere effettuata per i laghi di superficie ≥ 0,2 km2 e per gli invasi ≥ 0,5 km2.
Nell'ambito dei corpi idrici tipizzati devono essere sottoposti a successivo monitoraggio e classificazione i laghi e gli invasi con una superficie ≥ 0,5 km2.
La tipizzazione deve comunque essere applicata anche ai laghi di superficie minore, di 0,2 km2 nel caso di ambienti di particolare rilevanza paesaggistico-naturalistica, di ambienti individuati come siti di riferimento, nonché di corpi idrici lacustri che, per il carico inquinante, possono avere un'influenza negativa rilevante per gli obiettivi stabiliti per altri corpi idrici ad essi connessi.
A.2.3 Descrittori per la tipizzazione dei laghi e degli invasi
La tipizzazione dei laghi/invasi è basata sull'utilizzo di descrittori abiotici, in applicazione del sistema B dell'allegato II della Direttiva 2000/60/CE.
I descrittori utilizzati per la tipizzazione (Tab. 2.1) sono distinguibili in morfometrici, geologici e chimico-fisici.
tab. 2.1. Descrittori utilizzati per l'identificazione dei tipi dei laghi/invasi
DESCRITTORE |
INTERVALLO DEI VALORI |
|
Localizzazione |
Ecoregione Alpina |
Lat. ≥ 44°00' N |
Geografica |
Ecoregione Mediterranea |
Lat. < 44°00' N |
Descrittori |
Quota (m s.l.m.) |
< 800 |
Morfometrici |
|
≥ 800 |
|
|
≥ 2000 |
Profondità media/massima (m) |
< 15 |
|
Superficie (km2) |
≥ 100 |
|
Descrittori geologici |
Composizione prevalente substrato geologico(*) |
Substrato dominante calcareo TAlk ≥ 0,8 meq/l (**) |
Substrato dominante siliceo TAlk < 0,8meq/l (**) |
||
Origine vulcanica |
SI |
|
NO |
||
Descrittori chimico-fisici |
Conducibilità (µS/cm 20°C) |
< 2500 |
≥ 2500 |
||
Stratificazione termica |
laghi/invasi polimittici |
|
laghi/invasi stratificati |
(*) la dominanza del substrato geologico deve determinare un'influenza sulle caratteristiche del corpo idrico stesso
(**) TAlk = alcalinità totale
A.2.3.1 Localizzazione geografica
Latitudine
Il territorio italiano è stato suddiviso in due grandi aree geografiche, separate dal 44° parallelo, per distinguere le regioni settentrionali (Regione Alpina e Sudalpina) e quelle centro-meridionali e insulari (Regione Mediterranea). Tale suddivisione riflette distinzioni di carattere climatico che vanno ad incidere sulle temperature delle acque lentiche e sul loro regime di mescolamento. Non viene considerata la longitudine in quanto non influisce significativamente, per la struttura geografica del territorio italiano, sulle acque lentiche.
A.2.3.2 Descrittori morfometrici
I descrittori morfometrici per l'individuazione dei tipi, sono riportati in tabella 2.2. In considerazione delle differenze, strutturali e gestionali, tra laghi naturali e invasi, i descrittori sono diversi.
Tab. 2.2 - Descrittori morfometrici
LAGHI |
INVASI |
Quota media |
Quota a massima regolazione |
Profondità massima |
Profondità a massima regolazione |
Profondità media |
Profondità media a massima regolazione |
Superficie |
Superficie a massima regolazione |
Per i laghi, ai fini del presente allegato, deve intendersi per:
Quota media del lago o livello medio (m s.l.m.): l'altitudine media sul livello del mare della superficie dello specchio d'acqua.
Profondità massima (m): la distanza tra la quota del punto più depresso della conca lacustre e la quota media della superficie dello specchio d'acqua.
Superficie (km2): l'area dello specchio liquido alla quota media del lago.
Profondità media (m): il volume del lago (in 106 m3) diviso per la superficie dello specchio liquido (in 106 m2)
Per gli invasi, ai fini del presente allegato, deve intendersi per:
Quota a massima regolazione (m s.l.m.): la quota massima riferita al volume totale d'invaso, definita dal D.M. 24 marzo 1982, n. 44.
Profondità massima a massima regolazione (m): la distanza tra la quota del punto più depresso della conca lacustre e la quota della superficie dello specchio d'acqua, considerata alla massima regolazione.
Superficie a massima regolazione (km2): l'area dello specchio liquido riferita alla quota di massima regolazione.
Profondità media a massima regolazione (m): il volume dell'invaso a massima regolazione (in 106 m3) diviso per la superficie a massima regolazione (in 106 m2).
A.2.3.3 Descrittori geologici
I descrittori geologici indicano la classe geologica di appartenenza del lago/invaso e si basano sulla tipologia di substrato dominante del bacino idrografico collocando il lago/invaso in una delle due categorie:
- calcarea
- silicea.
Si precisa che la dominanza del substrato geologico è quella che determina un'influenza sulle caratteristiche del lago/invaso stesso.
Per la determinazione della categoria geologica si utilizza il valore di alcalinità totale TAlk, espresso in meq/1, calcolato come valore medio sulla colonna nello strato di massimo rimescolamento invernale:
TAlk < 0,8 meq/1 Tipologia silicea
TAlk ≥ 0,8 meq/1 Tipologia calcarea.
In assenza del valore di alcalinità può essere utilizzato il valore della conducibilità, ovvero il valore medio sulla colonna calcolato come per l'alcalinità totale, prestando attenzione alla zona di separazione di classe qui indicata:
Cond < 250 µS/cm 20° C Tipologia silicea
Cond ≥ 250 µS/cm 20° C Tipologia calcarea.
Nei casi dubbi l'attribuzione deve essere supportata mediante l'analisi di carte geologiche.
Origine geologica
L'origine è stata introdotta limitatamente ai laghi di origine vulcanica e pseudovulcanica localizzati nell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare. Questi laghi richiedono una classificazione in tipi specifica per alcune caratteristiche, quali il bacino imbrifero, poco più grande del lago stesso, la morfologia della cuvetta, tipicamente a tronco dicono, l'elevato tempo di ricambio, ecc.
A.2.3.4 Descrittori chimico-fisici
Conducibilità
Questa variabile, ottenuta come valore medio sulla colonna nello strato di massimo rimescolamento invernale, è utilizzata per suddividere i laghi/invasi d'acqua dolce da quelli ad alto contenuto salino in base alla soglia di 2500 µS/cm 20° C (corrispondente a 1,44 psu, una densità di 999,30 kg/m3 e una diminuzione del punto di congelamento di -0,08°C) che separa ecosistemi che presentano cambiamenti significativi delle comunità biologiche.
Stratificazione termica (polimissi)
Un lago/invaso è definito polimittico se non mostra una stratificazione termica evidente e stabile. Un ambiente lentico di questo genere può andare incontro a diverse fasi di mescolamento nel corso del suo ciclo annuale. Per distinguere i laghi/invasi polimittici da quelli a stabile stratificazione vengono identificati i seguenti valori di profondità media:
- < 3 m per i laghi/invasi al di sotto di 2000 m s.l.m.;
- < 5 m per i laghi/invasi al di sopra di 2000 m s.l.m.
A.2.4 Identificazione dei tipi
A.2.4.1. Procedura di tipizzazione (tipizzazione operativa)
La procedura di tipizzazione segue uno schema dicotomico (Fig. 2.1) basato su una sequenza successiva di nodi che si sviluppano a cascata. Il primo nodo è basato sulla distinzione tra laghi/invasi salini e laghi/invasi di acqua dolce, seguito dalla localizzazione geografica, la caratterizzazione morfometrica (quota, profondità, ecc.) ed infine quella geologica prevalente. La metodologia di seguito esposta è il risultato di un'ottimizzazione di un sistema di tipizzazione teorico più complesso, messo a punto dal CNR IRSA e dal CNR ISE, attraverso criteri di razionalizzazione per la riduzione del numero di tipi e denominata tipizzazione operativa.
A.2.4.2 Griglia di tipizzazione operativa dei laghi/invasi italiani
La tipizzazione di un corpo lacustre per i primi due livelli prevede:
- la valutazione del contenuto ionico complessivo della matrice acquosa utilizzando il criterio della soglia di 2500 µS/cm a 20° C
- la distinzione dei laghi/invasi in base alla regioni di appartenenza (Regione Alpina e Sudalpina o Regione Mediterranea) attraverso la posizione latitudinale superiore o inferiore al 44° parallelo Nord(1).
Da questo punto la tipizzazione prosegue in parallelo per le due diverse regioni.
Nella Regione Alpina e Sudalpina la griglia prevede tre livelli discriminanti in base alla quota ed alla morfometria lacustre e due ulteriori livelli basati sulla stabilità termica e sulla composizione geologica prevalente del bacino (calcareo o siliceo).
Nel caso della Regione Mediterranea il primo livello discrimina sempre l'origine, vulcanica o pseudovulcanica, mentre per gli altri laghi/invasi i successivi livelli seguono una discriminazione morfometrica, termica e geologica.
Complessivamente con la griglia operativa di tipizzazione dei laghi/invasi italiani si ottengono 18 tipi, di cui 1 corrisponde al tipo dei laghi/invasi ad elevato contenuto salino (Tipo S), 10 appartengono alla Regione Alpina e Sudalpina (Tipo AL-1 ... AL-10) ed i restanti 7 alla Regione Mediterranea (Tipo ME-1 ... ME-7).
(1) L'applicazione di tale distinzione nella zona di separazione tra le due
Regioni va fatta considerando il profilo amministrativo regionale piuttosto che
quello geografico. Le successive valutazioni dello stato ecologico potranno
fornire una conferma o meno della correttezza delle attribuzioni fatte.
Figura 2.1. Griglia operativa di tipizzazione dei laghi ≥ 0,2 km2 e degli invasi
≥ 0,5 km2 (NB nella figura 2.1 il termine "lago/laghi" individua genericamente
sia gli ambienti lacustri naturali che gli invasi).
A.2.4.3. Descrizione dei tipi ottenuti:
Di seguito si riporta la definizione breve e la descrizione dettagliata di ciascun tipo di lago/invaso suddiviso per le due regioni geografiche.
Regione Alpina e Sudalpina
Tipo AL-1: Laghi/invasi alpini d'alta quota, calcarei
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 2000 m s.l.m., con substrato prevalentemente calcareo.
Tipo AL-2: Laghi/invasi alpini d'alta quota, silicei.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 2000 m s.l.m., con substrato prevalentemente siliceo.
Tipo AL-3: Grandi laghi sudalpini.
Laghi dell'Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondità massima della cuvetta lacustre superiore o uguale a 125 m, oppure area dello specchio lacustre superiore o uguale a 100 km2. Questo tipo identifica i grandi laghi sudalpini: Como, Garda, Iseo, Lugano, Maggiore.
Tipo AL-4: Laghi/invasi sudalpini, polimittici.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da assenza di stratificazione termica stabile (regime polimittico).
Tipo AL-5: Laghi/invasi sudalpini, poco profondi.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile.
Tipo AL-6: Laghi/invasi sudalpini, profondi.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m.
Tipo AL-7: Laghi/invasi alpini, poco profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.
Tipo AL-8: Laghi/invasi alpini, poco profondi, silicei
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.
Tipo AL-9: Laghi/invasi alpini, profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.
Tipo AL-10: Laghi/invasi alpini, profondi, silicei.
Laghi/invasi dell'Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.
Regione Mediterranea
Tipo ME-1: Laghi/invasi mediterranei, polimittici.
Laghi/invasi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da assenza di stratificazione termica stabile (regime polimittico).
Tipo ME-2: Laghi/invasi mediterranei, poco profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile, con substrato prevalentemente calcareo.
Tipo ME-3: Laghi/invasi mediterranei, poco profondi, silicei.
Laghi/invasi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile, con substrato prevalentemente siliceo.
Tipo ME-4: Laghi/invasi mediterranei, profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.
Tipo ME-5: Laghi/invasi mediterranei, profondi, silicei.
Laghi/invasi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.
Tipo ME-6: Laghi vulcanici poco profondi.
Laghi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, di origine vulcanica e pseudovulcanica, aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m.
Tipo ME-7: Laghi vulcanici profondi.
Laghi dell'Italia Centro-Meridionale ed Insulare, di origine vulcanica e pseudovulcanica, aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m.
Tipo S: Laghi/invasi salini non connessi con il mare.
Laghi/invasi senza distinzione di area geografica di appartenenza caratterizzati da valori di conducibilità superiori a 2500 µS/cm 20°C.
A.3. Metodologia per l'individuazione dei tipi delle acque marino-costiere
A.3.1. Criteri di tipizzazione
La caratterizzazione delle acque costiere viene effettuata sulla base delle caratteristiche naturali geomorfologiche ed idrodinamiche che identificano il tipo di tratto costiero, utilizzando i macrodescrittori di cui alla tabella 3.1, in applicazione del sistema B dell'allegato II della Direttiva 2000/60/CE.
Tab. 3.1. Criteri per la suddivisione delle acque costiere in diversi tipi
Localizzazione geografica |
appartenenza ad una Ecoregione (1) |
Descrittori geomorfologici |
- morfologia dell'area costiera sommersa(compresa l'area di terraferma adiacente ) (2) |
- natura del substrato |
|
Descrittori idrologici |
- stabilità verticale della colonna d'acqua (3) |
(1) l'Italia si trova all'interno dell'ecoregione Mediterranea.
(2) Nel caso in cui siano presenti substrati differenti, viene indicato il substrato dominante.
(3) Per la profondità la distinzione è basata su una profondità di circa 30 m, alla distanza di 1 miglio dalla linea di costa.
A.3.1.1 Descrittori Geomorfologici
La costa italiana, sulla base dei descrittori geomorfologici, è suddivisa in sei tipologie principali denominate:
- rilievi montuosi (A),
- terrazzi (B),
- pianura litoranea (C),
- pianura di fiumara (D),
- pianura alluvionale (E)
- pianura di dune (F).
A.3.1.2 Descrittori idrologici
Per la tipizzazione devono essere presi in considerazione anche descrittori idrologici, quali le condizioni prevalenti di stabilità verticale della colonna d'acqua. Tale descrittore è derivato dai parametri di temperatura e salinità in conformità con le disposizioni della Direttiva relativamente ai parametri da considerare per la tipizzazione. La stabilità della colonna d'acqua è un fattore che ben rappresenta gli effetti delle immissioni di acqua dolce di provenienza continentale, correlabili ai numerosi descrittori di pressione antropica che insistono sulla fascia costiera (nutrienti, sostanze contaminati ecc). La stabilità deve essere misurata ad una profondità di circa 30 m, alla distanza di 1 miglio dalla linea di costa.
Procedura per il calcolo della stabilità verticale della colonna d'acqua.
Nel caso delle acque marino-costiere, il parametro "stabilità della colonna d'acqua" risulta un ottimo indicatore degli effetti dei contributi di acqua dolce di provenienza continentale, correlabili ai numerosi descrittori di pressione antropica che insistono sulla fascia costiera (nutrienti, sostanze contaminanti quali organo-clorurati, metalli pesanti, ecc.).
In conformità con quanto richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE, relativamente alle procedure di caratterizzazione dei tipi costieri, la stabilità della colonna d'acqua è un fattore derivato dai parametri di temperatura e salinità.
Il quadrato della stabilità deve essere definito nel modo seguente:
N2 = - g/ρ * dρ/dz
dove:
g è l'accelerazione di gravità espressa in m/sec2, ρ è la densità espressa in kg/m3, dρ/dz rappresenta il gradiente verticale di densità, con z profondità espressa in metri.
Per calcolare, con l'approssimazione richiesta, il gradiente verticale di densità e quindi il coefficiente di stabilità statica N si segue la procedura sotto indicata:
1. per ogni profilo verticale di densità (solitamente espressa come anomalia di densità: σt)(2) e relativo ad una data stazione di misura, si calcola la profondità del picnoclino; (3)
2. il profilo di densità viene quindi suddiviso in due strati: il primo dalla superficie alla profondità del picnoclino (box 1), il secondo dal picnoclino al fondo (box 2);
3. si procede poi al calcolo della differenza fra la densità media nel box 2 e quella nel box 1 e si ottiene dρ;
4. analogamente si calcola la differenza fra la profondità media del box 2 e quella del box 1 ottenendo dz;
5. si divide infine dρ per dz (si calcola cioè il gradiente di densità verticale dρ/dz). Tale gradiente, moltiplicato per g (9,81 m/sec2) e diviso per la densità media su tutto il profilo ρ, fornisce il valore di N2 (sec–2).
La quantità N = √N2, già definita come coefficiente di stabilità statica, dimensionalmente è una frequenza, meglio nota con il nome di Frequenza di Brunt-Väisälä.
La figura 3.1, relativa ad un profilo verticale-tipo di densità, consente di valutare un valore di N pari a 0.15 sec-1, che deriva dalle seguenti misure:
-g = -9.81 m/sec2,
ρ (come sigma-t) =25.72 Kg/m3,
dρ 0.38 Kg/m3,
dz=-6.62 m.
(2) Il parametro di densità più usato in oceanografia è la cosiddetta "sigma-t",
cioè la densità sigma ridotta alla pressione atmosferica: σt = (ρ(p=1, T, S)-1)
*103
(3) Il picnoclino indica la profondità z a cui corrisponde la massima variazione di densità.
Figura 3.1. Relazione tra profondità e densità
Sulla base della elaborazione dei risultati di cui al programma nazionale di monitoraggio della qualità degli ambienti marini costieri italiani del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si possono caratterizzare tutte le acque costiere italiane con i relativi valori medi annuali di stabilità verticale, secondo le tre tipologie:
- alta stabilità: N ≥0.3
- media stabilità: 0.15 < N < 0.3
- bassa stabilità: N ≤ 0.15
L'ICRAM - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare - fornisce supporto tecnico alle regioni in relazione ai dati di stabilità, ai fini dell'omogeneità di applicazione sul territorio nazionale.
A.3.2. Definizione dei tipi costieri
Integrando le classi di tipologia costiera basate sui descrittori geomorfologici di cui al paragrafo A.3.1.1 con le tre classi di stabilità della colonna d'acqua, vengono identificate i tipi della fascia costiera italiana secondo lo schema riportato in tabella 3.2.
Tabella 3.2. - Tipi costieri italiani secondo i criteri geomorfologici e idrologici
Criteri geomorfologici |
Criteri idrologici: Stabilità |
||
|
(1) alta |
(2) media |
(3) bassa |
(A) Rilievi montuosi |
A1 |
A2 |
A3 |
(B) Terrazzi |
B1 |
B2 |
B3 |
(C) Pianura litoranea |
C1 |
C2 |
C3 |
(D) Pianura di fiumara |
D1 |
D2 |
D3 |
(E) Pianura alluvionale |
E1 |
E2 |
E3 |
(F) Pianura di dune |
F1 |
F2 |
F3 |
A.4. Metodologia per l'individuazione dei tipi delle acque di transizione
Il processo da attuare per la tipizzazione delle acque di transizione è costituito dall'applicazione di descrittori prioritari e relative soglie di riferimento definite a livello nazionale dal presente allegato.
A.4.1. Definizione operazionale di acque di transizione
Gli ecosistemi acquatici di transizione a causa della loro peculiare collocazione, tra terra emersa e terre completamente sommerse, presentano caratteristiche ecologiche peculiari e una intrinseca eterogeneità, rappresentata da un'ampia variabilità degli-habitat e dei parametri chimico-fisici (e.g. salinità, nutrienti, idrodinamismo e geomorfologia). Ai sensi dell'art. 54 del presente decreto legislativo le "acque di transizione" vengono definite: "i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce".
Per una più precisa ed univoca individuazione dei corpi idrici appartenenti alla categoria delle acque di transizione si rende necessario-introdurre una definizione delle medesime, che è stata qualificata nel titolo del presente paragrafo come "operazionale", dato che tale definizione è di tipo convenzionale ed ha un taglio prevalentemente applicativo
All'interno del territorio nazionale sono attribuiti alla categoria "acque di transizione" i corpi idrici di superficie > 0,5 Km2 conformi all'art. 2 della Direttiva, delimitati verso monte (fiume) dalla zona ove arriva il cuneo salino (definito come la sezione dell'asta fluviale nella quale tutti i punti monitorati sulla colonna d'acqua hanno il valore di salinità' superiore a 0.5 psu) in bassa marea e condizioni di magra idrologica e verso valle (mare) da elementi fisici quali scanni, cordoni litoranei e/o barriere artificiali, o più in generale dalla linea di costa.
Sono attribuiti alla categoria "acque di transizione" anche gli stagni costieri che, a causa di intensa e prevalente evaporazione, assumono valori di salinità superiori a quelli del mare antistante.
Oltre alle foci fluviali direttamente sversanti in mare, saranno classificati come "acque di transizione", ma tipologicamente distinti dalle lagune in quanto foci fluviali, quei tratti di corsi d'acqua che, pur sfociando in una laguna, presentano dimensioni non inferiori a 0.5 km2. Gli ecosistemi di transizione individuati mediante la definizione di cui sopra, con superficie inferiore a 0.5 km2, non sono obbligatoriamente soggetti a tipizzazione ed al successivo monitoraggio e classificazione ai sensi della Direttiva.
Possono essere considerati corpi idrici di transizione anche corpi idrici di dimensioni inferiori a 0.5 km2, qualora sussistano motivazioni rilevanti ai fini della conservazione di habitat prioritari, eventualmente già tradotte in idonei strumenti di tutela, in applicazione di direttive Europee o disposizioni nazionali o regionali, o qualora sussistano altri motivi rilevanti che giustifichino questa scelta. Fra essi possono essere citati:
- l'appartenenza totale o parziale ad aree protette;
- la specifica valenza ecologica;
- la presenza di aree considerabili come siti di riferimento;
- la rilevanza socio-economica;
- l'esistenza di elementi di pressione specifici e distinti;
- l'elevata influenza sui corpi idrici circostanti.
Alle acque di transizione così definite si applicano i criteri di tipizzazione stabiliti nel seguito.
A.4.2. Criteri di tipizzazione
La caratterizzazione delle acque di transizione deve essere effettuata sulla base dei descrittori di cui alla tabella 4.1
Tab. 4.1. Descrittori per la suddivisione delle acque di transizione in diversi tipi
Localizzazione geografica |
appartenenza ad una Ecoregione(1) |
Geomorfologia |
Lagune costiere o foci fluviali |
Escursione di marea |
> 50 |
< 50 |
|
Superficie (S) |
> 2,5 km2 |
0,5 < S < 2,5 km2 |
|
Salinità |
Oligoaline < 5 psu |
Mesoaline 5-20 psu |
|
Polialine 20-30 psu |
|
Eurialine 30-40 psu |
|
Iperaline > 40 psu |
(1) L'Italia si trova all'interno dell'ecoregione Mediterranea
1. La prima distinzione delle acque di transizione viene effettuata tenendo in considerazione le caratteristiche geomorfologiche delle acque di transizione, che corrispondono alle lagune costiere ed alle foci fluviali.
2. Le lagune costiere sono successivamente distinte in base all'escursione di marea in:
a) micro tidali (escursione di marea > 50 cm)
b) non tidali (escursione di marea < 50 cm) (*)
(*) rientrano in questa categoria i laghi costieri salmastri
3. L'ulteriore distinzione tipologica deve essere effettuata sulla base di due parametri prioritari da tenere in considerazione per una definizione più accurata dei tipi delle acque di transizione: superficie e salinità.
A.4.3. Definizione dei tipi
Dall'applicazione dei descrittori vengono individuate complessivamente 21 tipi di acque di transizione (Figura 4.1)
Fig. 4.1. Diagramma di tipizzazione per le acque di transizione.
A.4.4. Criteri di sub-tipizzazione da applicare eventualmente a livello regionale
Per raggiungere un adeguato livello di tipizzazione i descrittori utilizzati a livello nazionale possono non essere sufficienti. Per questo motivo il sistema nazionale di tipizzazione prevede che le acque di transizione che presentano una significativa eterogeneità ambientale interna, evidenziabile essenzialmente su base geomorfologica ed idrodinamica, possano essere ulteriormente "sub-tipizzate" a livello regionale, mediante l'applicazione dei descrittori geomorfologici, idrologici e sedimentologici, riportati in tabella 4.2, la cui idoneità ed appropriatezza dovrà essere opportunamente dimostrata. Tale ulteriore divisione potrà rendersi necessaria in particolare per gli ambienti lentici, specie se di grandi dimensioni. Per le foci fluviali, invece, potrebbe verificarsi la necessità di introdurre quale criterio di subtipizzazione la salinità, già presente nello schema di tipizzazione per gli ambienti lentici.
I risultati di livello 3 devono essere utilizzati per una ridefinizione più accurata dei criteri/limiti utilizzati nei due livelli precedenti.
Tab. 4.2. Fattori opzionali del Sistema di classificazione B (Allegato II della Direttiva 2000/60/CE).
Fattori opzionali |
Profondità |
Velocità della corrente |
|
Esposizione alle onde |
|
Tempo di residenza |
|
Temperatura media dell'acqua |
|
Caratteristiche di mescolamento |
|
torbidità |
|
Composizione media del substrato |
|
Configurazione (forma) |
|
Intervallo delle temperature dell'acqua |
La eventuale sub-tipizzazione regionale, (terzo livello di indagine) deve essere gerarchicamente successiva alla tipizzazione nazionale, in modo tale che sia possibile riportarsi ad un livello di classificazione comune.
La sub-tipizzazione deve affiancare l'individuazione dei corpi idrici ai sensi all'art. 74, comma 2, lettera h), del presente decreto legislativo e alla sezione B del presente allegato, e consentire la definizione di eventuali sottotipi, che dovranno essere posti in relazione a diverse condizioni di riferimento.
A.4.5. Valutazioni sulle scale spaziali e temporali ai fini della tipizzazione
L'applicazione del criterio di tipizzazione sopra descritto a ciascuna area con acque di transizione, sia essa rappresentata da una foce fluviale o da un ambiente lentico, richiede di considerare attentamente le scale spaziali e le scale temporali, in considerazione delle caratteristiche specifiche dell'area da tipizzare e dei passaggi successivi previsti dalla Direttiva per i corpi idrici, fino al piano di gestione per il raggiungimento o il mantenimento del buono stato chimico ed ecologico.
Le condizioni di riferimento, in base alle quali si determinano gli RQE (Rapporto di Qualità Ecologica) e quindi la qualità dei corpi idrici, sono tipo-specifiche. Questo deve rappresentare un concetto guida per tutto il processo di tipizzazione dei corpi idrici superficiali, in fase di determinazione della scala spaziale e del grado di specificità da raggiungere nella suddivisione delle acque superficiali.
Sulla base dei criteri descritti in precedenza, per le acque di transizione sono state definite a livello nazionale 21 tipi. È importante sottolineare che un ambiente di transizione può essere suddiviso in più tipi. La suddivisione in tipi deve infatti risponde alla necessità di considerare la variabilità intrinseca degli ambienti acquatici di transizione, ognuno dei quali deve essere rappresentato da specifiche condizioni di riferimento.
Un tipo, o sottotipo, deve corrispondere alla scala spaziale minima in cui si riconoscano le condizioni di riferimento e alla quale, nel momento in cui un'area tipizzata viene attribuita ad uno o più corpi idrici, va applicato il monitoraggio.
Il tema della scala temporale si ricollega al tema della definizione delle condizioni di riferimento, alla misura degli indicatori di stato più idonei e conseguentemente alla classificazione del corpo idrico. Considerato ciò, è opportuno ottimizzare la definizione di tipi e sottotipi tenendo conto dello sforzo di campionamento richiesto per il controllo dello stato ecologico in un numero elevato di tipi (o sottotipi). L'eccessiva parcellizzazione di un'area in più tipi, e conseguentemente in più corpi idrici, animata dall'intenzione di considerare interamente la variabilità biologica e di habitat presenti, può portare ad un appesantimento eccessivo ed ingiustificato degli oneri di monitoraggio e di gestione.
La scala temporale è legata a due componenti:
- la stagionalità ed il regime tidale;
- le variazioni della geomorfologia (es. crescita o arretramento delle frecce litorali, approfondimento o interrimento di un bassofondo o di un canale).
Quest'ultima può avere particolare rilievo ai fini della tipizzazione, mentre ai fini del monitoraggio può assumere maggiore importanza la stagionalità ed il regime tidale.
Con riferimento specifico al parametro "salinità", in conformità a quanto riportato nell'allegato II della direttiva 2000/60/CE, deve intendersi "salinità media annuale".
Documenti di riferimento
Si riportano di seguito i documenti contenenti informazioni di dettaglio in merito alla tipizzazione dei corpi idrici:
- Elementi di base per la definizione di una tipologia per i fiumi italiani in applicazione della Direttiva 2000/60/CE. Notiziario dei Metodi Analitici, CNR-IRSA Dicembre 2006 (1): 2-19;
- Approccio delle Idro-Ecoregioni europee e tipologia fluviale in Francia per la Direttiva Quadro sulle Acque (EC 2000/60). Notiziario dei Metodi Analitici IRSA-CNR 2006 (1): 20-38.;
- Définition des Hydro-écoregions francaises métropolitaines. Approche regionale de la typologie des eaux courantes et élements pour la définition des poulements de référence d'invertébrés. Rapport, Ministére de l'Aménagement du Territoire et de l'Environment, Cemagref Lyon BEA/LHQ2002: 1-190;
- Characterization of thè Italian lake-types and identification of their reference sites using anthropogenic pressure factors. J. Limnol, 64 (1): 75-84;
- Relationships between hydrological and water quality parameters as a key issue in the modelling of trophic ecosystem responses for Mediterranean coastal water types. 2006. (In pubblicazione su Hydrobiologia).
SEZIONE B: CRITERI METODOLOGICI DI INDIVIDUAZIONE DEI CORPI IDRICI SUPERFICIALI
B.1. Introduzione
La presente sezione riporta criteri generali per l'identificazione dei corpi idrici superficiali. Le Regioni per quanto di competenza, in relazione alle caratteristiche e peculiarità del proprio territorio possono applicare criteri diversi fornendone motivazione.
I "corpi idrici" sono le unità a cui fare riferimento per riportare e accertare la conformità con gli obiettivi ambientali di cui al presente decreto legislativo.
I criteri per l'identificazione dei corpi idrici tengono conto principalmente delle differenze dello stato di qualità, delle pressioni esistenti sul territorio e dell'estensione delle aree protette. Una corretta identificazione dei corpi idrici è di particolare importanza, in quanto gli obiettivi ambientali e le misure necessarie per raggiungerli si applicano in base alle caratteristiche e le criticità dei singoli "corpi idrici". Un fattore chiave in questo contesto è pertanto lo "stato" di questi corpi. Se l'identificazione dei corpi idrici è tale da non permettere una descrizione accurata dello stato degli ecosistemi acquatici, non sarà possibile applicare correttamente gli obiettivi fissati dalla normativa vigente
B.2. Corpo idrico superficiale
L'uso dei termini "distinto e significativo" nella definizione di "corpo idrico superficiale", di cui all'articolo 74, comma 2, lettera h) del presente decreto legislativo presuppone che i "corpi idrici" non sono una suddivisione arbitraria nell'ambito dei distretti idrografici. Ogni corpo idrico è identificato in base alla propria "distinguibilità e significatività" nel contesto delle finalità, degli obiettivi e delle disposizioni del decreto legislativo 152/06.
B.3. Processo per l'identificazione dei corpi idrici
L'identificazione dei corpi idrici deve essere effettuata successivamente al processo di tipizzazione di cui alla sezione A del presente allegato, secondo lo schema di seguito riportato. Il processo di identificazione dei corpi idrici è suddiviso nelle 5 fasi dettagliate nei paragrafi successivi.
B.3.1. FASE I - Delimitazione categorie e tipi
Al fine della delimitazione dei corpi idrici è necessario, innanzitutto, identificare i limiti delle categorie di acque superficiali (vedi sezione A). Un corpo idrico non deve essere diviso tra diverse categorie di acque (fiumi, laghi/invasi, acque di transizione e acque costiere), deve appartenere ad una sola categoria e ad un unico tipo.
B.3.2. FASE II - Criteri dimensionali
Per delineare i corpi idrici è necessario identificare i limiti dimensionali.
In questa fase occorre individuare quali parti di acque superficiali debbano essere identificate come corpi idrici poiché esse includono un gran numero di elementi molto piccoli e l'identificazione di tutti gli elementi come corpi idrici separati causerebbe difficoltà logistiche rilevanti. Per evitare tale inconveniente almeno nella fase iniziale si applicano i criteri dimensionali, riportati nella tabella 1. Elementi di acque superficiali più piccoli di tali criteri dimensionali possono essere identificati come corpi idrici individuali nel caso in cui sia soddisfatto almeno un criterio tra quelli fissati nel paragrafo B.3.5.1
Tab. 1. Criteri dimensionali per fiumi, laghi/invasi e acque di transizione
Elementi di acque superficiali appartenenti alle categorie sotto riportate sono identificati come corpi idrici se: |
||
Fiumi |
Laghi/invasi |
Acque di transizione |
Il loro bacino scolante è ≥ 10 km2 |
L'area della loro superficie è ≥ 0.5 km2 |
L'area della loro superficie è > 0.5 km2 |
Sono soddisfatti uno o più criteri fissati nel paragrafo B.3.5.1 |
Sono soddisfatti uno o più criteri fissati nel paragrafo B.3.5.1 |
Sono soddisfatti uno o più criteri fissati nel paragrafo B.3.5.1 |
B.3.3 FASE III - Caratteristiche fisiche
Per assicurare che i corpi idrici rappresentino elementi distinti e significativi di acque superficiali, la fase III è necessaria per identificare i limiti attraverso le caratteristiche fisiche significative in riferimento agli obiettivi da perseguire, alcune delle quali sono riportate in tabella 2. La confluenza di corsi d'acqua potrebbe chiaramente demarcare un limite geografico e idromorfologico preciso di un corpo idrico.
Tab. 2 Alcune delle caratteristiche fisiche per l'individuazione di corpi idrici
Fiumi |
Laghi/invasi |
Acque di transizione |
Acque costiere |
Confluenze |
Componenti morfologiche che separano i vari bacini (es. soglia subacquea)(4) |
Variazioni di salinità |
Presenza/assenza di una forte sorgente di acqua dolce |
Variazioni di pendenza |
|
Strutture morfologiche che determinano un diverso grado di confinamento (es. barene) |
Discontinuità importanti nella struttura della fascia litoranea per la presenza ad esempio di foci fluviali |
Variazioni di morfologia dell'alveo |
|
Cordoni litoranei |
|
Variazioni della forma della valle |
|
|
|
Differenze idrologiche |
|
|
|
Apporti sorgivi rilevanti |
|
|
|
Variazioni nell'interazione con la falda |
|
|
|
Discontinuità importanti nella struttura della fascia riparia |
|
|
|
(4) Si fa comunque presente che la necessità di suddividere i laghi sulla base
di caratteristiche fisiche naturali risulta essere molto rara sul territorio
nazionale.
Sulla base di quanto sopra detto può essere identificato come corpo idrico anche
una parte di un fiume o una parte di acque di transizione.
Al fine di assicurare un'adeguata e quindi significativa identificazione dei corpi idrici, bisogna identificare i limiti in base ad ulteriori criteri rilevanti (paragrafo B.3.4), necessari anche per l'identificazione dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali (paragrafo B.4).
B.3.4 Fase IV - Stato delle acque e limiti delle aree protette
Le fasi descritte nei paragrafi precedenti consentono di effettuare una prima generale delimitazione dei "corpi idrici" da confermare sulla base dei s criteri di seguito dettagliati:
1) Stato delle acque superficiali e relative pressioni;
2) Limiti delle aree protette di cui all'art. 117 comma 3.
B.3.4.1 Suddivisioni delle acque superficiali per rispecchiare il loro stato (ecologico e chimico)
Una conoscenza accurata dello stato degli ecosistemi acquatici è fondamentale per l'identificazione dei corpi idrici.
La necessità di tenere separati due o più corpi idrici contigui, sebbene appartenenti allo stesso tipo, dipende dalle pressioni e dai risultanti impatti e quindi dalla necessità di gestirli diversamente.
Un "corpo idrico" deve essere nelle condizioni tali da poter essere assegnato a una singola classe di stato delle acque superficiali con sufficiente attendibilità e precisione sulla base dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati. I cambi dello stato di qualità nelle acque superficiali si utilizzano per delineare i limiti del corpo idrico.
Il processo di suddivisione delle acque superficiali per rispecchiare le differenze nello stato è un processo iterativo non solo dipendente dai risultati dei programmi di monitoraggio ma anche dalle informazioni che derivano dall'aggiornamento delle analisi delle pressioni e degli impatti.
Inizialmente, specialmente durante il periodo antecedente la pubblicazione del primo Piano di gestione, nel caso di assenza di informazioni sufficienti per definire accuratamente lo stato delle acque, la procedura di valutazione delle pressioni e degli impatti, condotta secondo le indicazioni di cui alla sezione C del presente allegato, fornirà stime sui cambiamenti dello stato che potranno essere utilizzate per tracciare i limiti per l'identificazione dei corpi idrici. I programmi di monitoraggio forniranno le informazioni necessarie a confermare i limiti basati sullo stato di qualità.
La delineazione di corpi idrici deve essere effettuata nei tempi adeguati, al fine di permettere la preparazione del piano di gestione. È sottinteso che a un miglioramento dello stato può conseguire un aggiustamento dei limiti dei corpi idrici.
Si riconosce però che un'eccessiva suddivisione, delle acque in unità sempre più piccole così come un esagerato accorpamento per la definizione di corpi idrici molto estesi, può creare difficoltà significative di gestione e di adozione di misure corrette per la protezione o il miglioramento degli ambienti acquatici.
Nell'identificazione delle acque marino-costiere non devono essere considerate le acque di porto in quanto non rientrano nella definizione di corpo idrico. A tal proposito si chiarisce che le aree portuali sono da considerarsi sorgenti di inquinamento.
Per quanto riguarda i laghi/invasi il singolo corpo idrico individuato sulla base di caratteristiche fisiche (tipizzazione e successiva suddivisione dei tipi) in generale non è soggetto ad ulteriori suddivisioni in base alla qualità delle acque, che apparterranno quindi ad una sola classe; l'esistenza di eventuali stati di qualità differenti rappresenta un'eccezione.
In merito alle acque di transizione il problema si pone soprattutto per le fonti di inquinamento puntuali, la cui superficie di influenza dipende dalle caratteristiche idro-morfologiche del corpo idrico e talvolta può essere di dimensioni ridotte.
In questi casi se l'area di impatto è ridotta, sia in valore assoluto sia in relazione alle dimensioni del corpo idrico cui appartiene, è preferibile non considerarla corpo idrico indipendente. È necessario comunque considerare il caso in cui l'area impattata, anche se limitata, condiziona in maniera rilevante l'intero corpo idrico (ad esempio compromettendo un habitat unico e importante per specifici elementi di qualità biologica). Le aree di maggior impatto, anche se non individuate come specifici corpi idrici, devono essere attentamente considerate nei piani di monitoraggio, prevedendo l'eventuale individuazione di specifiche stazioni.
B.3.4.2 Suddivisioni delle acque superficiali in relazione alle aree protette
Le aree protette, di cui all'allegato IX del presente decreto legislativo, sono identificate in base a specifiche discipline. Tali aree devono essere considerate nella delimitazione dei corpi idrici per una razionalizzazione della suddivisione dei corpi idrici e della relativa gestione integrata.
Le acque che ricadono all'interno di un'area protetta sono assoggettati ad obiettivi aggiuntivi; pertanto nel definire i limiti dei corpi idrici devono essere considerati anche i confini delle aree protette.
I limiti dei corpi idrici e delle aree protette nella maggior parte dei casi non coincideranno in quanto tali aree vengono definite per scopi diversi, quindi in base a criteri diversi.
Le autorità competenti nel definire i limiti dei corpi idrici superficiali potranno decidere se adattarli a quelli delle aree protette, eventualmente suddividendo il corpo idrico, con la finalità di razionalizzare la gestione delle acque, fermo restando il rispetto delle differenze dello stato di qualità delle acque.
B.3.5 FASE V - Altri criteri
B.3.5.1 Identificazione di piccoli elementi di acque superficiali come corpi idrici
Se in generale un piccolo elemento di acque superficiali non viene identificato come un corpo idrico (ad esempio perché non sono soddisfatte le soglie dimensionali riportate nel paragrafo B.3.2), questo può ancora essere identificato come un corpo idrico separato quando è applicabile almeno uno dei casi di seguito riportati (punti a-g):
a) laddove l'elemento di acque superficiali è utilizzato, o designato a essere utilizzato, per l'estrazione di acque destinate al consumo umano che fornisce in media oltre 10 m3 al giorno o serve più di 50 persone, viene identificato come un corpo idrico, e quindi come area protetta per le acque potabili a norma dell'articolo 7 della Direttiva;
b) il raggiungimento di qualsiasi standard e obiettivi per una ZPS o candidata ZPS, identificata secondo la Direttiva 79/409/CEE (direttiva uccelli), o per una ZSC o candidata ZSC identificata secondo la Direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat), dipende dal mantenimento o dal miglioramento dello stato dell'elemento di acque superficiali;
c) il raggiungimento di qualsiasi standard e obiettivi per tutte le aree di particolare pregio ambientale dipende dal mantenimento o dal miglioramento dello stato dell'elemento di acque superficiali, l'elemento è quindi di importanza ecologica all'interno del bacino idrografico;
d) all'interno del processo di pianificazione della gestione del bacino idrografico si stabilisce che il mantenimento o il miglioramento dello stato dell'elemento di acque superficiali è importante al raggiungimento di traguardi della biodiversità nazionale o internazionale e l'elemento è quindi di importanza ecologica all'interno del bacino idrografico;
e) nel caso l'elemento di acque superficiali è stato identificato, attraverso l'appropriata procedura, come sito/ambiente di riferimento;
f) il piccolo elemento di acque superficiali è di tale importanza nel bacino idrografico che (i) gli impatti, o i rischi di impatti, su di esso sono responsabili di non raggiungere gli obiettivi per un corpo, o corpi idrici dello stesso bacino idrografico, e (ii) la competente autorità reputa che l'identificazione del piccolo elemento come corpo idrico separato sia il modo più efficace per mettere in evidenza i rischi e gestirli. Si osservi che il rischio di non raggiungere gli obiettivi per uno o più corpi idrici, deve essere gestito anche nel caso in cui tali piccoli elementi di acque superficiali non siano identificati come corpi idrici;
g) il piccolo elemento di acque superficiali ricade nelle aree di seguito riportate:
- area sensibile di cui all'articolo 91 del presente decreto legislativo;
- zona vulnerabile di cui all'articolo 92 del presente decreto legislativo;
- acque di balneazione ai sensi del d.P.R. n. 470/82;
- acque destinate alla vita dei molluschi ai sensi dell'articolo 87 del presente decreto legislativo;
- acque dolci idonee alla vita dei pesci ai sensi dell'articolo 84 del presente decreto legislativo;
e la competente autorità reputa che l'identificazione del piccolo elemento, come corpo idrico separato aiuterà nel raggiungimento degli obiettivi specifici previsti dal presente decreto per le suddette aree.
B.3.5.2 Accorpamento di piccoli elementi in corpi idrici superficiali contigui
I piccoli elementi di acque superficiali, dove possibile, sono accorpati all'interno di un corpo idrico più grande contiguo della stessa categoria di acque superficiali e dello stesso tipo. Al fine di semplificare la mappa dei corpi idrici fluviali non è necessario che siano mostrati nella stessa gli affluenti minori accorpati all'interno del corpo idrico.
Per impedire l'esclusione di piccoli corsi d'acqua prossimi all'origine, che hanno un bacino scolante, < 10 km2,a monte della loro confluenza con un lago/invaso, quest'ultimo identificato come corpo idrico, tali corsi d'acqua si considerano come contigui con il fiume, identificato come corpo idrico, a valle del lago/invaso.
Dopotutto, la creazione di limiti ad ogni confluenza di un corso d'acqua con un lago/invaso potrebbe indurre alla delimitazione di un numero grande non necessario di piccoli corpi idrici fluviali. Inoltre, ove i laghi/invasi sono separati da tratti corti di fiume, questi tratti di fiume potrebbero essere troppo piccoli per giustificare l'identificazione come corpo idrico, inducendo a dei buchi nella copertura dello stato delle mappe. Per superare questi potenziali problemi, i fiumi che sfociano in laghi/invasi possono essere considerati come contigui con il fiume, identificato come corpo idrico, di valle.
Alcuni corpi idrici lacustri possono essere connessi a corpi idrici costieri o a corpi idrici di transizione da un fiume corto con un bacino scolante < 10 km2. A meno che il fiume non sia identificato come corpo idrico separato secondo i casi fissati nel paragrafo B.3.5.1, non viene identificato come corpo idrico ma viene incluso, per fini gestionali, nel corpo idrico lacustre. Laddove una piccola laguna o foce fluviale non soddisfa i criteri dimensionali e non è verificato nessuno dei casi riportati nel paragrafo B.3.5.1 ma è ubicata tra un corpo idrico costiero e un corpo idrico fluviale, per evitare buchi nella continuità dello stato delle mappe viene incorporata nell'adiacente corpo idrico fluviale o, ove più appropriato, nell'adiacente corpo idrico costiero.
B.4 Corpi idrici fortemente modificati e artificiali
I corpi idrici fortemente modificati e artificiali come definiti all'art. 74, comma 2, lettere f) e g), possono essere identificati e designati, secondo le prescrizioni riportate all'art. 77 comma 5, nei casi in cui lo stato ecologico buono non è raggiungibile a causa degli impatti sulle caratteristiche idromorfologiche delle acque superficiali dovuti ad alterazioni fisiche.
I corpi idrici fortemente modificati e artificiali devono essere almeno provvisoriamente identificati al termine del processo sopra riportato. Le designazioni devono essere riviste con la stessa ciclicità prevista per i piani di gestioni e di tutela delle acque.
I limiti dei corpi idrici fortemente modificati sono soprattutto delineati dall'entità dei cambiamenti delle caratteristiche idromorfologiche che:
(a) Risultano dalle alterazioni fisiche causate dall'attività umana;
(b) Ostacolano il raggiungimento dello stato ecologico buono.
SEZIONE C: METODOLOGIA PER L'ANALISI DELLE PRESSIONI E DEGLI IMPATTI
C.1 Finalità e approccio
Le Regioni, ai sensi degli articoli 118 e 120 del presente decreto legislativo, devono condurre l'analisi delle pressioni e degli impatti sui corpi idrici.
Al fine di mettere in atto adeguate misure di ripristino e di tutela dei corpi idrici, è necessario che per ciascun corpo idrico venga sviluppata, in relazione anche al bacino idrografico di appartenenza, una corretta e dettagliata conoscenza:
1. delle attività antropiche;
2. delle pressioni che le suddette attività provocano ossia le azioni dell'attività antropica sui corpi idrici (scarichi di reflui, modificazioni morfologiche, prelievi idrici, uso fitosanitari, surplus di fertilizzanti in agricoltura);
3. degli impatti, ovvero dell'effetto ambientale causato dalla pressione.
Attraverso l'attività conoscitiva è possibile effettuare una valutazione della vulnerabilità dello stato dei corpi idrici superficiali rispetto alle pressioni individuate. Sulla base delle informazioni sulle attività antropiche presenti nel bacino idrografico e dei dati di monitoraggio ambientale è possibile, infatti, pervenire ad una previsione circa la capacità di un corpo idrico di raggiungere o meno, nei tempi previsti dalla direttiva, gli obiettivi di qualità di cui all'articolo 76 e gli obiettivi specifici previsti dalle leggi istitutive delle aree protette di cui all'allegato 9 del presente decreto legislativo. Nel caso di previsione di mancato raggiungimento dei predetti obiettivi il corpo idrico viene definito "a rischio". Per facilitare tale valutazione le autorità competenti possono avvalersi di tecniche di modellizzazione.
Sulla base delle informazioni acquisite ai sensi della normativa pregressa, compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale e sulle pressioni, le Regioni, sentite le Autorità di bacino competenti, identificano i corpi idrici "a rischio", "non a rischio" e "probabilmente a rischio".
C.2. Prima identificazione di corpi idrici a rischio
In attesa dell'attuazione definitiva di tutte le fasi che concorrono alla classificazione dei corpi idrici, inoltre le Regioni identificano come i corpi idrici a rischio, i seguenti:
- Acque a specifica destinazione funzionale di cui al CAPO II del presente decreto legislativo (acque destinate alla produzione di acqua potabile, acque di balneazione, acque dolci idonee alla vita dei pesci, acque destinate alla vita dei molluschi) non conformi agli specifici obiettivi di qualità;
- Aree sensibili ai sensi dell'art. 91 del presente decreto legislativo e secondo i criteri di cui all'allegato 6 al medesimo decreto (Direttiva 91/271/CEE);
- corpi idrici ubicati in zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e da prodotti fitosanitari ai sensi degli articoli 92 e 93 del presente decreto legislativo e individuate secondo i criteri di cui all'allegato 7 dello stesso decreto qualora, anche a seguito dell'attuazione dei programmi di controllo e d'azione predisposti dalle Regioni, si ritenga improbabile il raggiungimento dell'obiettivo ambientale entro il 2015;
- Corpi idrici ubicati in aree contaminate, identificate come siti di bonifica, ai sensi della parte quarta titolo V del presente decreto legislativo;
- corpi idrici che, sulla base delle caratteristiche di qualità emerse da monitoraggi pregressi, presentano gli indici di qualità e i parametri correlati alla attività antropica che incide sul corpo idrico, non conformi con l'obiettivo di qualità da raggiungere entro il 2015 e per i quali, in relazione allo sviluppo atteso delle pressioni antropiche e alle peculiarità e fragilità degli stessi corpi idrici e dei relativi ecosistemi acquatici, risulta improbabile il raggiungimento degli stessi obiettivi entro il 2015;
Le regioni valutano l'opportunità di considerare a rischio anche i corpi idrici per i quali la particolarità e dimensione delle pressioni antropiche in essi incidenti, le peculiarità e fragilità degli stessi corpi idrici e dei relativi ecosistemi acquatici, possono comportare un rischio per il mantenimento della condizione di stato di qualità buono.
C.2.1 Classi di rischio dei corpi idrici - Prima identificazione di corpi idrici non a rischio e probabilmente a rischio
Sulla base delle informazioni acquisite ai sensi della normativa pregressa compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale, le Regioni, sentite le Autorità di bacino competenti, identificano inoltre come "corpi idrici non a rischio" quelli sui quali non esistono attività antropiche o per i quali è provato, da specifico controllo dei parametri di qualità correlati alle attività antropiche presenti, che queste non incidono sullo stato di qualità del corpo idrico. I corpi idrici, per i quali non esistono dati sufficienti sulle attività antropiche e sulle pressioni o, qualora sia nota l'attività antropica ma non sia possibile una valutazione dell'impatto provocato dall'attività stessa, per mancanza di un monitoraggio pregresso sui parametri ad essa correlati, sono provvisoriamente classificati come "probabilmente a rischio".
A conclusione della prima analisi di rischio i corpi idrici sono pertanto distinti nelle seguenti classi di rischio:
- a rischio
- non a rischio
- probabilmente a rischio.
L'attribuzione di categorie di rischio ha lo scopo di individuare un criterio di priorità, basato sul rischio, attraverso il quale orientare i programmi di monitoraggio.
C.2.2 Elenco dei corpi idrici a rischio
Le Regioni, sentite le Autorità di bacino, sulla base della prima identificazione di cui al paragrafo C.2, compilano gli elenchi dei corpi idrici a rischio indicando, per ciascuno di essi, il bacino idrografico di appartenenza. Tali elenchi devono essere aggiornati sulla base dei risultati del monitoraggio periodico effettuato anche ai sensi delle normative che istituiscono le aree protette (es. balneazione vita dei pesci...), delle modifiche dell'uso del territorio e dell'aggiornamento dell'analisi delle pressioni e degli impatti.
C.3 Aggiornamento dell'attività conoscitiva delle pressioni
Ai fini della validazione della classificazione di rischio dei corpi idrici è necessario aggiornare il rilevamento dell'impatto causato dalla attività antropica presente nei vari bacini idrografici che influenzano o possono influenzare le risorse idriche. Nell'effettuare tale ricognizione devono essere identificate le pressioni antropiche significative, dove per significative devono intendersi quelle che possono produrre un "inquinamento significativo", che determina un rischio per il raggiungimento degli obiettivi, nelle seguenti categorie:
1) stima e individuazione dell'inquinamento da fonte puntuale, in particolare l'inquinamento dovuto alle sostanze inquinanti di cui all'allegato Vili del presente decreto legislativo, provenienti da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, informazioni acquisite anche a norma delle direttive di seguito riportate:
a. 91/271/CEE (Trattamento delle acque reflue urbane);
b. 96/61/CE e s.m. (Prevenzione integrata dell'inquinamento);
e, ai fini del primo piano di gestione del bacino idrografico:
c. 76/464/CEE (Sostanze pericolose scaricate nell'ambiente idrico);
d. Decisione 2455/2001/CE del 20 novembre 2001 (Elenco di sostanze prioritarie in materia di acque);
e. 75/440/CEE (Acque potabili), 76/160/CEE e s.m. (Acque di balneazione), 78/659/CEE (Acque idonee alla vita dei pesci) e 79/923/CEE e s.m. (Acque destinate alla molluschicoltura);
2) stima e individuazione dell'inquinamento da fonte diffusa, in particolare l'inquinamento dovuto alle sostanze inquinanti proveniente da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, tra l'altro in base alle informazioni raccolte a norma delle direttive di seguito riportate:
a. 91/676/CEE (Inquinamento provocato da nitrati di origine agricola);
b. 91/414/CEE (Immissione in commercio di prodotti fitosanitari);
c. 98/8/CE (Immissione sul mercato dei biocidi);
e, ai fini del primo piano di gestione del bacino idrografico:
d. 76/464/CEE;
e. Decisione 2455/2001/CE del 20 novembre 2001 (Elenco di sostanze prioritarie in materia di acque);
f. 75/440/CEE, 2006/7/CE, 78/659/CEE e 79/923/CEE;
3) stima e individuazione delle estrazioni di acqua per usi urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, comprese le variazioni stagionali, la domanda annua complessiva e le perdite dai sistemi di distribuzione;
4) stima e individuazione dell'impatto delle regolazioni del flusso idrico, compresi trasferimenti e deviazioni delle acque, sulle caratteristiche complessive del flusso e sugli equilibri idrici;
5) individuazione delle alterazioni morfologiche dei corpi idrici;
6) stima e individuazione di altri impatti antropici sullo stato delle acque superficiali;
7) analisi dell'uso del suolo che comprenda l'individuazione delle principali aree urbane, industriali e agricole, nonché - ove pertinente - delle zone di pesca e delle foreste.
C.4 Relazione tra analisi di rischio e monitoraggio
L'analisi di rischio effettuata sulla base di quanto riportato nei precedenti paragrafi è confermata, entro il 2008, sulla base dei risultati ottenuti con il primo monitoraggio di sorveglianza e deve essere stabilito l'elenco finale dei corpi idrici "a rischio" e "non a rischio".
Pertanto i corpi idrici indicati inizialmente come probabilmente a rischio sono attribuiti ad una delle due classi sopra riportate.
1.1.1 - FISSAZIONE DELLE CONDIZIONI DI RIFERIMENTO TIPO-SPECIFICHE PER I CORPI IDRICI SUPERFICIALI
D.1. Premessa
Per ciascun tipo di corpo idrico superficiale, individuato in base a quanto riportato nella precedente sezione A al presente punto, sono definite:
a) le condizioni idromorfologiche e fisico-chimiche tipo-specifiche che rappresentano i valori degli elementi di qualità idromorfologica e fisico-chimica che l'Allegato 1, punto A.1 alla parte terza del presente decreto legislativo, stabilisce per tale tipo di corpo idrico superficiale in stato ecologico elevato, quale definito nella pertinente tabella dell'Allegato 1, punto A.2;
b) le condizioni biologiche di riferimento tipo-specifiche che rappresentano i valori degli elementi di qualità biologica che l'Allegato 1, punto A.1 specifica per tale tipo di corpo idrico superficiale in stato ecologico elevato, quale definito nella pertinente tabella dell'Allegato 1, punto A.2.
Nell'applicare le procedure previste nella presente sezione ai corpi idrici superficiali fortemente modificati o corpi idrici artificiali, i riferimenti allo stato ecologico elevato sono considerati riferimenti al potenziale ecologico massimo definito nell'Allegato 1, tabella A.2.5. I valori relativi al potenziale ecologico massimo per un corpo idrico sono riveduti ogni sei anni.
D.2. Funzione delle condizioni di riferimento:
Le condizioni di riferimento:
• rappresentano uno stato corrispondente a pressioni molto basse senza gli effetti dell’industrializzazione di massa, dell’urbanizzazione e dell’agricoltura intensiva e con modificazioni molto lievi degli elementi di qualità biologica, idro-morfologica e chimicofisica;
• sono stabilite per ogni tipo individuato all’interno delle categorie di acque superficiali, esse sono pertanto tipo-specifiche;
• non coincidono necessariamente con le condizioni originarie indisturbate e possono includere disturbi molto lievi, cioè la presenza di pressioni antropiche è ammessa purchè non siano rilevabili alterazioni a carico degli elementi di qualità o queste risultino molto lievi;
• consentono di derivare i valori degli elementi di qualità biologica necessari per la classificazione dello stato ecologico del corpo idrico;
• vengono espresse come intervallo di valori, in modo tale da rappresentare la variabilità naturale degli ecosistemi.
D.2.1. Condizioni di riferimento e Rapporto di Qualità Ecologica (RQE)
L’individuazione delle condizioni di riferimento consente di calcolare, sulla base dei risultati del monitoraggio biologico per ciascun elemento di qualità, il «rapporto di qualità ecologica» (RQE). L’RQE viene espresso come un valore numerico che varia tra 0 e 1, dove lo stato elevato è rappresentato dai valori vicino ad 1, mentre lo stato pessimo è rappresentato da valori numerici vicino allo 0.
L’RQE mette in relazione i valori dei parametri biologici osservati in un dato corpo idrico e il valore per quegli stessi parametri riferiti alle condizioni di riferimento applicabili al corrispondente tipo di corpo idrico e serve a quantificare lo scostamento dei valori degli elementi di qualità biologica, osservati in un dato sito, dalle condizioni biologiche di riferimento applicabili al corrispondente tipo di corpo idrico. L’entità di tale scostamento concorre ad effettuare la classificazione dello stato ecologico di un corpo idrico secondo lo schema a 5 classi di cui Allegato 1 punto A2 del presente decreto legislativo.
D.3. Metodi per stabilire le condizioni di riferimento
I principali metodi per la definizione delle condizioni di riferimento sono:
• Metodo spaziale, basato sull’uso dei dati provenienti da siti di monitoraggio;
• Metodo teorico basato su modelli statistici, deterministici o empirici di previsione dello stato delle condizioni naturali indisturbate;
• Metodo temporale, basato sull’utilizzazione di dati di serie storiche o paleoricostruzione o una combinazione di entrambi;
• Una combinazione dei precedenti approcci;
Tra i metodi citati è utilizzato prioritariamente quello spaziale. Qualora tale approccio non risulti applicabile si ricorre agli altri metodi elencati. Può essere inoltre utilizzato un metodo basato sul giudizio degli esperti solo nel caso in cui sia comprovata l’impossibilità dell’applicazione dei metodi sopra riportati.
D.3.1 Metodo spaziale
Il metodo spaziale si basa sui dati di monitoraggio qualora siano disponibili siti, indisturbati o solo lievemente disturbati, idonei a delineare le «condizioni di riferimento» e pertanto identificati come «siti di riferimento». I siti di riferimento sono individuati attraverso l’applicazione dei criteri di selezione basati sull’analisi delle pressioni esistenti e dalla successiva validazione biologica. Possono essere individuati siti diversi per ogni elemento di qualità biologica. Per l’individuazione dei siti si fa riferimento alle metodologie riportate nei manuali ISPRA, per le acque marino-costiere e di transizione, e CNR-IRSA, per i corsi d’acqua e le acque lacustri.
D.4. Processo per la determinazione delle Condizioni di Riferimento
Le Regioni, sentite le Autorità di bacino, all’interno del proprio territorio, individuano, per ciascuna categoria e tipo di corpo idrico, i potenziali siti di riferimento sulla base dei dati e delle conoscenze relative al proprio territorio in applicazione delle metodologie richiamate al punto D.3 e provvedono a inviare le relative informazioni al MATTM.
Le condizioni di cui alle lettere a) e b) del precedente punto D.1, tenendo conto dei siti di riferimento e dei relativi dati comunicati dalle Regioni, sono stabilite con decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, da emanarsi ai sensi dell’art. 75, comma 3, del presente decreto legislativo.
Se non risulta possibile stabilire, per un elemento qualitativo in un determinato tipo di corpo idrico superficiale, condizioni di riferimento tipo-specifiche attendibili a causa della grande variabilità naturale cui l’elemento è soggetto (non soltanto in conseguenza delle variazioni stagionali) detto elemento può essere escluso dalla valutazione dello stato ecologico per tale tipo di acque superficiali. In questo caso i motivi dell’esclusione sono specificati nel piano di gestione del bacino idrografico.
Un numero sufficiente di siti in condizioni di riferimento, per ogni tipo individuato, nelle varie categorie di corpi idrici, sono identificati, dal MATTM con il supporto dell’ISPRA e degli altri istituti scientifici, per la costituzione di una rete di controllo, che costituisce parte integrante della rete nucleo di cui al punto A.3.2.4. dell’Allegato 1 al presente decreto legislativo, per lo studio della variazioni, nel tempo, dei valori delle condizioni di riferimento per i diversi tipi.
Le condizioni di riferimento sono aggiornate qualora si presentano variazioni per cause naturali nei siti di riferimento.
1.1.2 [Individuazione delle pressioni
Le regioni raccolgono e tengono aggiornate informazioni sul tipo e la grandezza delle pressioni antropiche significative cui i corpi idrici superficiali di ciascun distretto idrografico rischiano di essere sottoposti, in particolare quanto segue:
- Stima e individuazione dell'inquinamento significativo da fonte puntuale, in particolare l'inquinamento dovuto alle sostanze elencate nell'allegato 8, proveniente da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, da effettuare in primo luogo sulla base del catasto degli scarichi, se questo è aggiornato almeno al 1996. In mancanza di tali dati (o in presenza solo di informazioni anteriori al 1996) si dovranno utilizzare stime fatte sulla base di altre informazioni e di indici di tipo statistico (esempio: dati camere di commercio relativi agli insediamenti, agli addetti per codice NACE e indici di emissione per codice NACE).
- Stima e individuazione dell'inquinamento significativo da fonte diffusa, in particolare l'inquinamento dovuto alle sostanze elencate nell'allegato 8, proveniente da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo.
- Stima e individuazione delle estrazioni significative di acqua (nel caso di acque dolci) per usi urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, comprese le variazioni stagionali, la domanda annua complessiva e le perdite dai sistemi di distribuzione (in mancanza di misure saranno usate stime effettuate in base a parametri statistici).
- Stima e individuazione dell'impatto delle regolazioni significative del flusso idrico, compresi trasferimenti e deviazioni delle acque, sulle caratteristiche complessive del flusso e sugli equilibri idrici.
- Individuazione delle alterazioni morfologiche significative dei corpi idrici.
- Stima e individuazione di altri impatti antropici significativi sullo stato delle acque superficiali.
- Stima dei modelli di utilizzazione del suolo, compresa l'individuazione delle principali aree urbane, industriali e agricole, nonché - ove pertinente - delle zone di pesca e delle foreste]
1.1.3 [Valutazione dell'impatto
Le regioni effettuano una valutazione della vulnerabilità dello stato dei corpi idrici superficiali rispetto alle pressioni individuate secondo il punto 1.1.2 del presente allegato.
Le regioni si servono delle informazioni raccolte, e di qualsiasi altra informazione pertinente, compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale, per valutare l'eventualità che i corpi idrici superficiali del bacino idrografico del territorio di competenza non riescano a conseguire gli obiettivi di qualità ambientale per i corpi idrici. Per facilitare tale valutazione, gli Stati membri possono ricorrere a tecniche di modellizzazione.
Per i corpi che si reputa rischino di non conseguire gli obiettivi di qualità ambientale è effettuata, ove opportuno, una caratterizzazione ulteriore per ottimizzare la progettazione dei programmi di monitoraggio e dei programmi di misure]
1.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI CORPI IDRICI
Per ciascun corpo idrico è predisposta una scheda informatizzata che contenga: i dati derivati dalle attività di cui alle sezioni A, B e C, del punto 1.1 del presente allegato; i dati derivanti dalle azioni di monitoraggio e classificazione di cui all'allegato 1 del presente decreto legislativo.
2 ACQUE SOTTERRANEE
2.1 ACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DISPONIBILI
La fase conoscitiva ha come scopo principale la caratterizzazione qualitativa degli acquiferi. Deve avere come risultato:
- definire lo stato attuale delle conoscenze relative agli aspetti quantitativi e qualitativi delle acque sotterranee,
- costituire una banca dati informatizzata dei dati idrogeologici e idrochimici,
- localizzare i punti d'acqua sotterranea potenzialmente disponibili per le misure,
- ricostruire il modello idrogeologico, con particolare riferimento ai rapporti di eventuale intercomunicazione tra i diversi acquiferi e tra le acque superficiali e le acque sotterranee.
Le informazioni da raccogliere devono essere relative ai seguenti elementi:
- studi precedentemente condotti (idrogeologici, geotecnici, geofisici, geomorfologici, ecc) con relativi eventuali elaborati cartografici (carte geologiche, sezioni idrogeologiche, piezometrie, carte idrochimiche, ecc),
- dati relativi ai pozzi e piezometri, quali: ubicazione, stratigrafie, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attività (attivo, in disuso, cementato),
- dati relativi alle sorgenti quali: ubicazione, portata, utilizzatore (pubblico o privato), stato di attività (attiva, in disuso, ecc.),
- dati relativi ai valori piezometrici,
- dati relativi al regime delle portale delle sorgenti,
- dati esistenti riguardanti accertamenti analitici sulla qualità delle acque relative a sorgenti, pozzi e piezometri esistenti,
- reticoli di monitoraggio esistenti delle acque sotterranee.
Devono essere inoltre considerati tutti quegli elementi addizionali suggeriti dalle condizioni locali di insediamento antropico o da particolari situazioni geologiche e geochimiche, nonché della vulnerabilità e rischio della risorsa. Dovranno inoltre essere valutate, se esistenti, le indagini relative alle biocenosi degli ambienti sotterranei.
Le azioni conoscitive devono essere accompagnate da tutte quelle iniziative necessarie ad acquisire tutte le informazioni e le documentazioni in materia presenti presso gli enti che ne dispongono, i quali ne dovranno garantire l'accesso.
Sulla base delle informazione raccolte, delle conoscenze a scala generale e degli studi precedenti, verrà ricostruita la geometria dei principali corpi acquiferi presenti evidenziando la reciproca eventuale intercomunicazione compresa quella con le acque superficiali, la parametrizzazione (laddove disponibile) e le caratteristiche idrochimiche, e dove presenti, quelle biologiche.
La caratterizzazione degli acquiferi sarà revisionata sulla base dei risultati della gestione della rete di monitoraggio effettuato in base alle indicazioni riportate all'allegato 1.
La ricostruzione idrogeologica preliminare dovrà quindi permettere la formulazione di un primo modello concettuale, intendendo con questo termine una schematizzazione idrogeologica semplificata del sottosuolo e una prima parametrizzazione degli acquiferi. In pratica devono essere qui riassunte le proprietà geologiche, le caratteristiche idrogeologiche del sistema, con particolare riferimento ai meccanismi di ricarica degli acquiferi ed ai rapporti tra le falde, i rapporti esistenti tra acque superficiali e acque sotterranee, nonché alle caratteristiche qualitative delle acque sotterranee.
I dati così raccolti dovranno avere un dettaglio rappresentabile significativamente almeno alla scala 1:100.000.
2.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI PUNTI D'ACQUA
Deve essere istituito un catasto anagrafico debitamente codificato al fine di disporre di un data-base aggiornato dei punti d'acqua esistenti (pozzi, piezometri, sorgenti e altre emergenze della falda come fontanili, ecc.) e dei nuovi punti realizzati. A ciascun punto d'acqua dovrà essere assegnato un numero di codice univoco stabilito in base alle modalità di codifica che saranno indicate con decreto.
Per quanto riguarda le sorgenti andranno codificate tutte quelle utilizzate e comunque quelle che presentano una portata media superiore a 10 L/s e quelle di particolare interesse ambientale.
Per le nuove opere è fatto obbligo all'Ente competente di verificare all'atto della domanda di ricerca e sfruttamento della risorsa idrica sotterranea, l'avvenuta assegnazione del codice.
In assenza di tale codice i rapporti di prova relativi alla qualità delle acque, non potranno essere accettati dalla Pubblica Amministrazione.
Inoltre per ciascun punto d'acqua dovrà essere predisposta una scheda informatizzata che contenga i dati relativi alle caratteristiche geografiche, anagrafiche, idrogeologiche, strutturali, idrauliche e funzionali derivate dalle analisi conoscitive di cui al punto 1.
Le schede relative ai singoli punti d'acqua, assieme alle analisi conoscitive di cui al punto 1 ed a quelle che potranno essere raccolte per ciascun punto d'acqua dovranno contenere poi le informazioni relative a:
a) le caratteristiche chimico fisiche dei singoli complessi idrogeologici e del loro grado di sfruttamento, utilizzando i dati a vario titolo in possesso dei vari Enti (analisi chimiche effettuate dai laboratori pubblici, autodenunce del sollevato, etc.) nonché stime delle direzioni e delle velocità di scambio dell'acqua fra il corpo idrico sotterraneo ed i sistemi superficiali connessi.
b) l'impatto esercitato dalle attività umane sullo stato delle acque sotterranee all'interno di ciascun complesso idrogeologico.
Tale esame dovrà riguardare i seguenti aspetti:
1. stima dell'inquinamento da fonte puntuale (così come indicato al punto relativo alle acque superficiali)
2. stima dell'inquinamento da fonte diffusa
3. dati derivanti dalle misure relative all'estrazione delle acque
4. stima del ravvenamento artificiale
5. analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.
2.3 RIESAME DEGLI IMPATTI
2.3.1 Riesame dell'impatto delle attività umane sulle acque sotterranee
Quanto ai corpi idrici sotterranei che ricadono sotto due o più ambiti territoriali di competenza, o che, in base alle informazioni di cui al punto 2.1, si reputa rischino di non conseguire gli obiettivi fissati per ciascun corpo, se del caso, per ciascuno di tali corpi idrici sotterranei si raccolgono e si tengono aggiornate le seguenti informazioni:
a) ubicazione dei punti del corpo idrico sotterraneo usati per l'estrazione di acqua, con l'eccezione:
- dei punti di estrazione che forniscono, in media, meno di 10 m3 al giorno o servono più di 50 persone,
e
- dei punti di estrazione di acqua destinata al consumo umano che forniscono, in media, meno di 10m3, al giorno o servono più di 50 persone;
b) medie annue di estrazione da tali punti;
c) composizione chimica dell'acqua estratta dal corpo idrico sotterraneo;
d) ubicazione dei punti del corpo idrico sotterraneo in cui l'acqua è direttamente scaricata;
e) tasso di scarico in tali punti;
f) composizione chimica degli scarichi nel corpo idrico sotterraneo;
g) utilizzazione del suolo nel bacino o nei bacini idrografici da cui il corpo idrico sotterraneo si ravvena, comprese le immissioni di inquinanti e le alterazioni antropiche delle caratteristiche di ravvenamento, quali deviazione di acque meteoriche e di dilavamento mediante riempimento del suolo, ravvenamento artificiale, sbarramento o drenaggio.
2.3.2 Riesame dell'impatto delle variazioni dei livelli delle acque sotterranee
Le regioni individuano inoltre i corpi idrici sotterranei per cui devono essere fissati obiettivi meno rigorosi, anche prendendo in considerazione gli effetti dello stato del corpo:
i) sulle acque superficiali e gli ecosistemi terrestri connessi,
ii) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni e il drenaggio dei terreni,
iii) sullo sviluppo umano.
2.3.3 Riesame dell'impatto dell'inquinamento sulla qualità delle acque sotterranee
Le regioni identificano i corpi idrici sotterranei per i quali devono essere specificati obiettivi meno rigorosi, laddove in conseguenza dell'attività umana, il corpo idrico sotterraneo sia talmente inquinato da rendere impraticabile oppure sproporzionatamente dispendioso ottenere un buono stato chimico delle acque sotterranee.
3 MODALITÀ DI ELABORAZIONE, GESTIONE E DIFFUSIONE DEI DATI
Le Regioni organizzeranno un proprio Centro di Documentazione che curerà l'accatastamento dei dati e la relativa elaborazione, gestione e diffusione. Tali dati sono organizzati secondo i criteri stabiliti con decreto e devono periodicamente essere aggiornati con i dati prodotti dal monitoraggio secondo le indicazioni di cui all'allegato 1.
Le misure quantitative e qualitative dovranno essere organizzate secondo quanto previsto nel decreto attuativo relativo alla standardizzazione dei dati. A tali modalità si dovranno anche attenere i soggetti tenuti a predispone i protocolli di garanzia e di qualità.
L'interpretazione dei dati relativi alle acque sotterranee in un acquifero potrà essere espressa in forma sintetica mediante: tabelle, grafici, diagrammi, serie temporali, cartografie tematiche, elaborazioni statistiche, ecc.
Il Centro di documentazione annualmente curerà la redazione di un rapporto sull'evoluzione quali-quantitativa dei complessi idrogeologici monitorati e renderà disponibili tutti i dati e le elaborazioni effettuate, a tutti gli interessati.
Compito del Centro di documentazione sarà inoltre la redazione di carte di sintesi delle aree su cui esiste un vincolo riferito alle acque sotterranee, carte di vulnerabilità e rischio delle acque sotterranee.
Una volta ultimata la presentazione finale dei documenti e degli elaborati grafici ed informatizzati del prodotto, saranno individuati i canali più idonei alla sua diffusione anche mediante rapporti di sintesi e seminari, a tal scopo verrà predisposto un piano contenente modalità e tempi dell'attività di diffusione. Allo scopo dovrà essere prevista da parte del Centro di documentazione la disponibilità degli stessi tramite sistemi geografici informatizzati (GIS) disponibili su reti multimediali.
La scala delle elaborazioni cartografiche dovrà essere di almeno 1:100.000 salvo necessità di superiore dettaglio.
Allegato 4 - CONTENUTI DEI PIANI
Parte A. Piani di gestione dei bacini idrografici
A. I piani di gestione dei bacini idrografici comprendono i seguenti elementi.
1. Descrizione generale delle caratteristiche del distretto idrografico, a norma dell'allegato 3. Essa include:
1.1. Per le acque superficiali:
- rappresentazione cartografica dell'ubicazione e del perimetro dei corpi idrici,
- rappresentazione cartografica delle ecoregioni e dei tipi di corpo idrico superficiale presenti nel bacino idrografico,
- segnalazione delle condizioni di riferimento per i tipi di corpo idrico superficiale.
1.2. Per le acque sotterranee:
- rappresentazione cartografica dell'ubicazione e del perimetro dei corpi idrici sotterranei.
2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dalle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sotterranee, comprese:
- stime sull'inquinamento da fonti puntuali,
- stime sull'inquinamento da fonti diffuse, con sintesi delle utilizzazioni del suolo,
- stime delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, estrazioni comprese,
- analisi degli altri impatti antropici sullo stato delle acque.
3. Specificazione e rappresentazione cartografica delle aree protette, come prescritto dall'articolo 117 e dall'allegato 9 alla parte terza del presente decreto.
4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai fini dell'allegato 1 alla parte terza del presente decreto e rappresentazione cartografica dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati a norma di dette disposizioni per verificare lo stato delle:
4.1. acque superficiali (stato ecologico e chimico);
4.2. acque sotterranee (stato chimico e quantitativo);
4.3. aree protette.
5. Elenco degli obiettivi ambientali fissati per acque superficiali, acque sotterranee e aree protette, compresa in particolare la specificazione dei casi in cui è stato fatto ricorso all'articolo 77, commi 6, 7, 8, 10 e alle informazioni connesse imposte da detto articolo.
6. Sintesi dell'analisi economica sull'utilizzo idrico prescritta dall'allegato 10 alla parte terza del presente decreto.
7. Sintesi del programma o programmi di misure adottati, compresi i conseguenti modi in cui realizzare gli obiettivi.
7.1. Sintesi delle misure necessarie per attuare la normativa comunitaria sulla protezione delle acque.
7.2. Relazione sulle iniziative e misure pratiche adottate in applicazione del princìpio del recupero dei costi dell'utilizzo idrico.
7.3. Sintesi delle misure adottate per soddisfare i requisiti previsti.
7.4. Sintesi dei controlli sull'estrazione e l'arginamento delle acque, con rimando ai registri e specificazione dei casi in cui sono state concesse esenzioni.
7.5. Sintesi dei controlli decisi per gli scarichi in fonti puntuali e per altre attività che producono un impatto sullo stato delle acque.
7.6. Specificazione dei casi in cui sono stati autorizzati scarichi diretti nelle acque sotterranee.
7.7. Sintesi delle misure adottate sulle sostanze prioritarie.
7.8. Sintesi delle misure adottate per prevenire o ridurre l'impatto degli episodi di inquinamento accidentale.
7.9. Sintesi delle misure adottate per i corpi idrici per i quali il raggiungimento degli obiettivi enunciati è improbabile,
7.10. Particolari delle misure supplementari ritenute necessarie per il conseguimento degli obiettivi ambientali fissati.
7.11. Particolari delle misure adottate per scongiurare un aumento dell'inquinamento delle acque marine.
8. Repertorio di eventuali programmi o piani di gestione più dettagliati adottati per il distretto idrografico e relativi a determinati sottobacini, settori, tematiche o tipi di acque, corredato di una sintesi del contenuto.
9. Sintesi delle misure adottate in materia di informazione e consultazione pubblica, con relativi risultati e eventuali conseguenti modifiche del piano.
10. Elenco delle autorità competenti all'interno di ciascun distretto.
11. Referenti e procedure per ottenere la documentazione e le informazioni di base, in particolare dettagli sulle misure di controllo adottate e sugli effettivi dati del monitoraggio raccolti a norma dell'allegato 1 alla parte terza del presente decreto.
B. Il primo e i successivi aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico comprendono anche quanto segue:
1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti alla versione precedente del piano di gestione, compresa una sintesi delle revisioni da effettuare;
2. valutazione dei progressi registrati per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con rappresentazione cartografica dei risultati del monitoraggio relativi al periodo coperto dal piano precedente, e motivazione per l'eventuale mancato raggiungimento degli stessi;
3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella versione precedente del piano di gestione e non realizzate;
4. sintesi di eventuali misure supplementari temporanee adottate, successivamente alla pubblicazione della versione precedente del piano di gestione del bacino idrografico.
Parte B. Piani di tutela delle acque
a) I Piani di tutela delle acque devono contenere:
1. Descrizione generale delle caratteristiche del bacino idrografico ai sensi dell'allegato 3. Tale descrizione include:
1.1 Per le acque superficiali:
- rappresentazione cartografica dell'ubicazione e del perimetro dei corpi idrici con indicazione degli ecotipi presenti all'interno del bacino idrografico e dei corpi idrici di riferimento così come indicato all'allegato 1, come modificato dall'allegato 8 alla parte terza del presente decreto.
1.2 Per le acque sotterranee:
- rappresentazione cartografica della geometria e delle caratteristiche litostratografiche e idrogeologiche delle singole zone
- suddivisione del territorio in zone acquifere omogenee.
2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dall'attività antropica sullo stato delle acque superficiali e sotterranee. Vanno presi in considerazione:
- stima dell'inquinamento in termini di carico (sia in tonnellate/anno che in tonnellate/mese) da fonte puntuale (sulla base del catasto degli scarichi),
- stima dell'impatto da fonte diffusa, in termine di carico, con sintesi delle utilizzazioni del suolo,
- stima delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, derivanti dalle concessioni e dalle estrazioni esistenti,
- analisi di altri impatti derivanti dall'attività umana sullo stato delle acque.
3. Elenco e rappresentazione cartografica delle aree indicate al Titolo III, capo I, in particolare per quanto riguarda le aree sensibili e le zone vulnerabili così come risultano dalla eventuale reidentificazione fatta dalle Regioni.
4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai sensi dell'articolo 120 e dell'allegato 1 alla parte terza del presente decreto ed una rappresentazione in formato cartografico dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati in conformità a tali disposizioni per lo stato delle:
4.1 acque superficiali (stato ecologico e chimico)
4.2 acque sotterranee (stato chimico e quantitativo)
4.3 aree a specifica tutela
5. Elenco degli obiettivi definiti dalle autorità di bacino e degli obiettivi di qualità definiti per le acque superficiali, le acque sotterranee, includendo in particolare l'identificazione dei casi dove si é ricorso alle disposizioni dell'articolo 77, commi 4 e 5 e le associate informazioni richieste in conformità al suddetto articolo.
6. Sintesi del programma o programmi di misure adottati che deve contenere:
6.1 programmi di misure per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici
6.2 specifici programmi di tutela e miglioramento previsti ai fini del raggiungimento dei singoli obiettivi di qualità per le acque a specifica destinazione di cui al titolo II capo II
6.3 misure adottate ai sensi del Titolo III capo I
6.4 misure adottate ai sensi del titolo III capo II, in particolare:
- sintesi della pianificazione del bilancio idrico
- misure di risparmio e riutilizzo
6.5 misure adottate ai sensi titolo III del capo III, in particolare:
- disciplina degli scarichi
- definizione delle misure per la riduzione dell'inquinamento degli scarichi da fonte puntuale
- specificazione dei casi particolari in cui sono stati autorizzati scarichi
6.6 informazioni su misure supplementari ritenute necessarie al fine di soddisfare gli obiettivi ambientali definiti
6.7 informazioni delle misure intraprese al fine di evitare l'aumento dell'inquinamento delle acque marine in conformità alle convenzioni internazionali
6.8 relazione sulle iniziative e misure pratiche adottate per l'applicazione del princìpio del recupero dei costi dei servizi idrici e sintesi dei piani finanziari predisposti ai sensi del presente decreto.
7. Sintesi dei risultati dell'analisi economica, delle misure definite per la tutela dei corpi idrici e per il perseguimento degli obiettivi di qualità, anche allo scopo di una valutazione del rapporto costi benefici delle misure previste e delle azioni relative all'estrazione e distribuzione delle acque dolci, della raccolta e depurazione e riutilizzo delle acque reflue.
8. Sintesi dell'analisi integrata dei diversi fattori che concorrono a determinare lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici, al fine di coordinare le misure di cui al punto 6.3 e 6.4 per assicurare il miglior rapporto costi benefici delle diverse misure in particolare vanno presi in considerazione quelli riguardanti la situazione quantitativa del corpo idrico in relazione alle concessioni in atto e la situazione qualitativa in relazione al carico inquinante che viene immesso nel corpo idrico.
9. Relazione sugli eventuali ulteriori programmi o piani più dettagliati adottati per determinati sottobacini.
b) Il primo aggiornamento del Piano di tutela delle acque tutti i successivi aggiornamenti dovranno inoltre includere:
1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti della precedente versione del Piano di tutela delle acque, incluso una sintesi delle revisioni da effettuare
2. valutazione dei progressi effettuati verso il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con la rappresentazione cartografica dei risultati del monitoraggio per il periodo relativo al piano precedente, nonché la motivazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali
3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella precedente versione del Piano di gestione dei bacini idrografici non realizzate
4. sintesi di eventuali misure supplementari adottate successivamente alla data di pubblicazione della precedente versione del Piano di tutela del bacino idrografico.
Allegato 5 - LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI
1. SCARICHI IN CORPI D'ACQUA SUPERFICIALI
1.1. ACQUE REFLUE URBANE
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono conformarsi, secondo le cadenze temporali indicate, ai valori limiti definiti dalle Regioni in funzione degli obiettivi di qualità e, nelle more della suddetta disciplina, alle leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane:
- se esistenti devono conformarsi secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo alle norme di emissione riportate nella tabella 1,
- se nuovi devono essere conformi alle medesime disposizioni dalla loro entrata in esercizio.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere conformi alle norme di emissione riportate nelle tabelle 1 e 2. Per i parametri azoto totale e fosforo totale le concentrazioni o le percentuali di riduzione del carico inquinante indicate devono essere raggiunti per uno od entrambi i parametri a seconda della situazione locale.
Devono inoltre essere rispettati nel caso di fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali i valori limite di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni.
Tabella 1. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane.
Potenzialità impianto in A.E. |
2.000 - 10.000 |
> 10.000 |
||
Parametri (media giornaliera) [1] |
Concentrazione |
% di riduzione |
Concentrazione |
% di riduzione |
BOD5 (senza nitrificazione) mg/L [2] |
≤ 25 |
70-90 [5] |
≤ 25 |
80 |
COD mg/L. [3] |
≤ 125 |
75 |
≤ 125 |
75 |
Solidi Sospesi mg/L [4] |
≤ 35 [5] |
90 [5] |
≤ 35 |
90 |
[1] Le analisi sugli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuati su campioni filtrati, la concentrazione di solidi sospesi non deve superare i 150 mg/L.
[2] La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato. Si esegue la determinazione dell'ossigeno disciolto anteriormente e posteriormente ad un periodo di incubazione di 5 giorni a 20 °C±1 °C, in completa oscurità, con aggiunta di inibitori di nitrificazione.
[3] La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato con bicromato di potassio.
[4] La misurazione deve essere fatta mediante filtrazione di un campione rappresentativo attraverso membrana filtante con porosità di 0,45 μm ed essicazione a 105 °C con conseguente calcolo del peso, oppure mediante centrifugazione per almeno 5 minuti (accelerazione media di 2800-3200 g), essiccazione a 105 °C e calcolo del peso.
[5] La percentuale di riduzione del BOD5 non deve essere inferiore a 40. Per i solidi sospesi la concentrazione non deve superare i 70 mg/L e la percentuale di abbattimento non deve essere inferiore al 70%.
Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili
Parametri (media annua) |
Carico generato dall’agglomerato in A.E. |
|||
|
10.000 - 100.000 |
> 100.000 |
||
|
Concentrazione |
% di riduzione |
Concentrazione |
% di riduzione |
Fosforo totale (P mg/L) [1] |
≤ 2 |
80 |
≤ 1 |
80 |
Azoto totale (N mg/L) [2] [3] |
≤ 15 |
70-80 |
≤ 10 |
70-80 |
[1] Il metodo di
riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento
molecolare.
[2] Per azoto
totale si intende la somma dell'azoto Kieldahl (N. organico + NH3) + azoto
nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento per la misurazione è la
spettrofotometria di assorbimento molecolare.
[3] In alternativa
al riferimento alla concentrazione media annua, purché si ottenga un analogo
livello di protezione ambientale, si può fare riferimento alla concentrazione
media giornaliera che non può superare i 20 mg/ L per ogni campione in cui la
temperatura dell'effluente sia pari o superiore a 12 gradi centigradi. Il limite
della concentrazione media giornaliera può essere applicato ad un tempo
operativo limitato che tenga conto delle condizioni climatiche locali.
Il punto di prelievo per i controlli deve essere sempre il medesimo e deve essere posto immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore. Nel caso di controllo della percentuale di riduzione dell'inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all'entrata dell'impianto di trattamento. Di tali esigenze si dovrà tener conto anche nella progettazione e modifica degli impianti, in modo da agevolare l'esecuzione delle attività di controllo.
Per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell'arco di 24 ore.
Per i parametri di tabella 1 il numero di campioni, ammessi su base annua, la cui media giornaliera può superare i limiti tabellari, è definito in rapporto al numero di misure come da schema seguente.
campioni prelevati durante l'anno |
numero massimo consentito di campioni non conformi |
campioni prelevati durante l'anno |
numero massimo consentito di campioni non conformi |
|
|
|
|
4 - 7 |
1 |
172-187 |
14 |
8-16 |
2 |
188 - 203 |
15 |
17 - 28 |
3 |
204 - 219 |
16 |
29 - 40 |
4 |
220 - 235 |
17 |
41 - 53 |
5 |
236 - 251 |
18 |
54 - 67 |
6 |
252 - 268 |
19 |
68 - 81 |
7 |
269 - 284 |
20 |
82 - 95 |
8 |
285 - 300 |
21 |
96 - 110 |
9 |
301 - 317 |
22 |
111 - 125 |
10 |
318 - 334 |
23 |
126 - 140 |
11 |
335 - 350 |
24 |
141 - 155 |
12 |
351 - 365 |
25 |
156 - 171 |
13 |
|
|
In particolare si precisa che, per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinché lo scarico sia considerato in regola, non possono comunque superare le concentrazioni riportate in tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata:
BOD5: |
100% |
COD: |
100% |
Solidi Sospesi |
150% |
Il numero minimo annuo di campioni per i parametri di cui alle tabelle 1 e 2 è fissato in base alla dimensione dell'impianto di trattamento e va effettuato dall'autorità competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all'autorità di controllo, ritenuto idoneo da quest'ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell'anno, in base allo schema seguente.
Potenzialità impianto |
numero campioni |
da 2.000 a 9.999 A.E: |
12 campioni il primo anno e 4 negli anni successivi, purché lo scarico sia conforme; se uno dei 4 campioni non è conforme, nell'anno successivo devono essere prelevati 12 campioni |
da 10.000 a 49.999 A.E.: |
12 campioni |
oltre 50.000 A.E.: |
24 campioni |
I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli (almeno uguale a quello del precedente schema) sugli scarichi dell'impianto di trattamento e sulle acque in entrata.
L'autorità competente per il controllo deve altresì verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3. I parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.
Potenzialità impianto |
numero campioni |
da 2.000 a 9.999 A.E. |
1 volte l'anno |
da 10.000 a 49.999 A.E. |
3 volte l'anno |
oltre 49.999 A.E.: |
6 volte l'anno |
Valori estremi per la qualità delle acque in questione non sono presi in considerazione se essi sono il risultato di situazioni eccezionali come quelle dovute a piogge abbondanti.
I risultati delle analisi di autocontrollo effettuate dai gestori degli impianti devono essere messi a disposizione degli enti preposti al controllo. I risultati dei controlli effettuati dall'autorità competente e di quelli effettuati a cura dei gestori devono essere archiviati su idoneo supporto informatico secondo le indicazioni riportate nell'apposito decreto attuativo.
Ove le caratteristiche dei rifiuti da smaltire lo richiedano per assicurare il rispetto, da parte dell'impianto di trattamento di acque reflue urbane, dei valori limite di emissione in relazione agli standard di qualità da conseguire o mantenere nei corpi recettori interessati dallo scarico dell'impianto, l'autorizzazione prevede:
a) l'adozione di tecniche di pretrattamento idonee a garantire, all'ingresso dell'impianto di trattamento delle acque reflue, concentrazioni di inquinanti che non compromettono l'efficienza depurativa dell'impianto stesso;
b) l'attuazione di un programma di caratterizzazione quali-quantitativa che, in relazione a quanto previsto alla precedente lettera a), consenta controlli sistematici in entrata e in uscita agli impianti di pretrattamento dei rifiuti liquidi e a quelli di depurazione delle acque reflue;
c) l'adozione di sistemi di stoccaggio dei rifiuti liquidi da trattare tale da evitare la miscelazione con i reflui che hanno già subito il trattamento finale;
d) standard gestionali adeguati del processo depurativo e specifici piani di controllo dell'efficienza depurativa;
e) l'adozione di un sistema di autocontrolli basato, per quanto concerne la frequenza e le modalità di campionamento, su criteri statistici o di tipo casuale, comunque tali da rappresentare l'andamento nel tempo della/e reale/i concentrazione/i della/e sostanza/e da misurare analiticamente e da verificare, con un coefficiente di confidenza di almeno il 90%, la conformità o meno dei livelli di emissione ai relativi limiti. I risultati degli autocontrolli sono tenuti a disposizione delle autorità competenti per i quattro anni successivi alla data di rilascio/rinnovo dell'autorizzazione;
f) controlli dell'idoneità o meno all'utilizzo in agricoltura dei fanghi biologici prodotti dall'impianto di trattamento delle acque reflue in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. n. 99/1992.
1.2. ACQUE REFLUE INDUSTRIALI.
1.2.1 Prescrizioni generali
Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, devono essere conformi ai limiti di emissione indicati nella successiva tabella 3 o alle relative norme disposte dalle Regioni.
I valori limite di emissione che gli scarichi interessati non devono superare sono espressi, in linea di massima, in concentrazione.
Tuttavia, le regioni, nell'esercizio della loro autonomia, in attuazione dei piani di tutela delle acque, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui alla tabella 3 sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo.
In questo caso, i valori limite espressi in concentrazione devono essere coerenti, e comunque non possono essere superiori, con quelli in peso dell'elemento caratteristico dell'attività ed il relativo fabbisogno d'acqua, parametro quest'ultimo che varia in funzione dei singoli processi e stabilimenti.
Nel caso di attività ricadenti nell'allegato I del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 i valori limite di emissione possono essere definiti, in alternativa, per unità di prodotto in linea con quanto previsto con i BAT references comunitari e con le linee guida settoriali nazionali.
Anche in questa ipotesi i valori limite espressi in quantità devono essere coerenti con quelli espressi in concentrazione, tenuto conto del fabbisogno d'acqua, parametro quest'ultimo che varia in funzione dei singoli processi e stabilimenti.
1.2.2 Determinazioni analitiche
Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore. L'autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).
1.2.3 Specifiche prescrizioni per gli scarichi contenenti sostanze pericolose
1. Tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove definito, della persistenza, bioaccumulabilità e della pericolosità delle sostanze, nonché della possibilità di utilizzare le migliori tecniche disponibili, le Regioni stabiliscono opportuni limiti di emissione in massa nell'unità di tempo (kg/mese).
2. Per cicli produttivi specificati nella tabella 3/A devono essere rispettati i limiti di emissione in massa per unità di prodotto o di materia prima di cui alla stessa tabella. Per gli stessi cicli produttivi valgono altresì i limiti di concentrazione indicati nelle tabella 3 allo scarico finale.
3. Tra i limiti di emissione in termini di massa per unità di prodotto, indicati nella tabella 3/A, e quelli stabiliti dalle Regioni in termini di massa nell'unità di tempo valgono quelli più cautelativi.
4. Ove il piano di tutela delle acque lo preveda per il raggiungimento degli standard di cui all'allegato 1 del presente decreto, l'autorità competente può individuare conseguenti prescrizioni adeguatamente motivate all'atto del rilascio e/o del rinnovo delle autorizzazioni agli scarichi che contengono le sostanze di cui all'allegato 5. Dette specifiche prescrizioni possono comportare:
a) l'adozione di misure tecniche, di progettazione, costruzione, esercizio o manutenzione dell'impianto in grado di assicurare il rispetto di valori limite di emissione più restrittivi di quelli fissati in tabella 3, fatto salvo il caso in cui sia accertato, attraverso campionamenti a monte ed a valle dell'area di impatto dello scarico, che la presenza nello scarico stesso di una o più sostanze non origina dal ciclo produttivo dell'insediamento ovvero è naturalmente presente nel corpo idrico. Il valore limite di emissione sarà fissato in rapporto con le priorità e le cadenze temporali degli interventi previsti nel piano di tutela delle acque approvato dalla Regione e, in particolare, con quanto previsto nello stesso piano per assicurare la qualità delle acque a specifica destinazione funzionale;
b) l'adozione di un sistema di autocontrolli basato, per quanto concerne la frequenza e le modalità di campionamento, su criteri statistici o di tipo casuale, comunque tali da rappresentare l'andamento nel tempo della/e reale/i concentrazione/i della/e sostanza/e da misurare analiticamente e da verificare, con un coefficiente di confidenza di almeno il 90%, la conformità o meno dei livelli di emissione ai relativi limiti. I risultati degli autocontrolli sono tenuti a disposizione delle autorità competenti per i quattro anni successivi alla data di rilascio/rinnovo dell'autorizzazione.
1. le acque di raffreddamento di impianti pre-esistenti possono essere convogliate verso il corpo idrico recettore tramite un unico scarico comune ad altre acque di scarico, a condizione sia posto in essere un sistema di sorveglianza dello scarico che consenta la sistematica rilevazione e verifica dei limiti a monte il punto di miscelazione.
2. I punti 4 e 5 non si applicano agli scarichi che provengono da attività commerciali caratterizzate da modesta significatività con riferimento ai quantitativi annui di acque reflue complessivamente scaricate e che recapitano in pubblica fognatura.
1.2.3-bis SPECIFICHE
PRESCRIZIONI PER GLI SCARICHI DI ACQUE REFLUE DERIVANTI DA PROCEDIMENTI DI
DISSALAZIONE
(punto introdotto
dall'art. 10 del decreto-legge n. 39 del
2023)
(1) Con riferimento agli
scarichi degli impianti di desalinizzazione di cui all'articolo 12 della legge
17 maggio 2022, n. 60, a integrazione delle prescrizioni e dei criteri di cui ai
punti precedenti del presente Allegato, l'incremento percentuale massimo di
salinità del corpo recipiente entro un raggio di 50 metri dallo scarico (zona di
mescolamento), rispetto alla concentrazione salina media dell'acqua marina
nell'area di interesse, è pari a ΔSalmax<5%.
(2) Si applicano i valori limite di emissione di cui alla tabella 3, a
esclusione di cloruri e solfati, nonché i valori limite di emissione (VLE) di
cui all'articolo 101 per le altre sostanze eventualmente presenti nello scarico,
fermo restando il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui
all'articolo 76.
(3) Per le acque reflue derivanti dai procedimenti di dissalazione è permesso il
solo scarico nei corpi idrici marini e nelle acque costiere.
2. SCARICHI SUL SUOLO
Nei casi previsti dall'articolo 103, comma 1, punto c), gli scarichi sul suolo devono rispettare i limiti previsti nella tabella 4.
Il punto di prelievo per i controlli è immediatamente a monte del punto di scarico sul suolo. Per gli impianti di depurazione naturale (lagunaggio, fitodepurazione) il punto di scarico corrisponde è quello all'uscita dall'impianto.
Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore. L'autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).
Per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane si fa riferimento a un campione medio ponderato nell'arco di 24 ore.
Le distanze dal più vicino corpo idrico superficiale oltre le quali è permesso lo scarico sul suolo sono rapportate al volume dello scarico stesso secondo il seguente schema:
a) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane:
- metri - per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 500 m3
- 2.500 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 5000 m3
- 5.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 5001 e 10.000 m3
b) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali.
- 1.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 100 m3
- 2.500 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 101 e 500 m3
- 5.000 metri - per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 2.000 m3
Gli scarichi aventi portata maggiore di quelle su indicate devono in ogni caso essere convogliati in corpo idrico superficiale, in fognatura o destinate al riutilizzo.
Per gli scarichi delle acque reflue urbane valgono gli stessi obblighi di controllo e di autocontrollo previsti per gli scarichi in acque superficiali.
L'autorità competente per il controllo deve verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati nella tabella 4. I parametri di tabella 4 da controllare sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.
Volume scarico |
numero controlli |
|
|
sino a 2000 m3 al giorno |
4 volte l'anno |
|
|
oltre a 2000 m3 al giorno |
8 volte l'anno |
2.1 SOSTANZE PER CUI ESISTE IL DIVIETO DI SCARICO
Restano fermi i divieti di scarico sul suolo e nel sottosuolo delle seguenti sostanze:
- composti organo alogenati e sostanze che possono
- dare origine a tali composti nell'ambiente idrico
- composti organo fosforici
- composti organo stannici
- sostanze che hanno potere cancerogeno, mutageno e teratogeno in ambiente idrico o in concorso dello stesso
- mercurio e i suoi composti
- cadmio e i suoi composti
- oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti
- cianuri
- materie persistenti che possono galleggiare, restare in sospensione o andare a fondo e che possono disturbare ogni tipo di utilizzazione delle acque.
Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all'entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.
Persiste inoltre il divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee, in aggiunta alle sostanze su elencate, di:
1: |
zinco |
rame |
nichel |
cromo |
|
piombo |
selenio |
arsenico |
antimonio |
|
molibdeno |
titanio |
stagno |
bario |
|
berillio |
boro |
uranio |
vanadio |
|
cobalto |
tallio |
tellurio |
argento |
2. Biocidi e loro derivati non compresi nell'elenco del paragrafo precedente
3. Sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore ovvero sull'odore dei prodotti consumati dall'uomo derivati dall'ambiente idrico, nonché i composti che possono dare origine a tali sostanze nelle acque
4. Composti organosilicati tossici o persistenti e che possono dare origine a tali composti nelle acque ad eccezione di quelli che sono biologicamente innocui o che si trasformano rapidamente nell'acqua in sostanze innocue
5. Composti inorganici del fosforo e fosforo elementare
6. Oli minerali non persistenti ed idrocarburi di origine petrolifera non persistenti
7. Fluoruri
8. Sostanze che influiscono sfavorevolmente sull'equilibrio dell'ossigeno, in particolare ammoniaca e nitriti.
Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all'entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.
3 INDICAZIONI GENERALI
I punti di scarico degli impianti il trattamento delle acque reflue urbane devono essere scelti, per quanto possibile, in modo da ridurre al minimo gli effetti sulle acque recettrici.
Tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, con potenzialità superiore a 2.000 abitanti equivalenti, ad esclusione degli impianti di trattamento che applicano tecnologie depurative di tipo naturale quali la fitodepurazione e il lagunaggio, dovranno essere dotati di un trattamento di disinfezione da utilizzarsi in caso di eventuali emergenze relative a situazioni di rischio sanitario ovvero per garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientali o gli usi in atto del corpo idrico recettore.
In sede di approvazione del progetto dell'impianto di trattamento delle acque reflue urbane l'autorità competente dovrà verificare che l'impianto sia in grado di garantire che la concentrazione media giornaliera dell'azoto ammoniacale (espresso come N), in uscita dall'impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell'azoto totale (espresso come N) in uscita dall'impianto di trattamento. Tale prescrizione non vale per gli scarichi in mare.
In sede di autorizzazione allo scarico, l'autorità competente:
a) fisserà il sistema di riferimento per il controllo degli scarichi di impianti di trattamento rispettivamente a: l'opzione riferita al rispetto della concentrazione o della percentuale di abbattimento il riferimento alla concentrazione media annua a alla concentrazione media giornaliera per il parametro «azoto totale » della tabella 2
b) fisserà il limite opportuno relativo al parametro «Escherichia coli» espresso come UFC/100mL. Si consiglia un limite non superiore a 5000 UFC/100mL.
I trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di:
a) rendere semplice la manutenzione e la gestione
b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico
c) minimizzare i costi gestionali.
Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.
Per tutti gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 a.e, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale.
Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche per tutti gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano.
Tali trattamenti si prestano, per gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 a.e, anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.
4 METODI DI CAMPIONAMENTO ED ANALISI
Fatto salvo quanto diversamente specificato nelle tabelle 1, 2, 3, 4 circa i metodi analitici di riferimento, rimangono valide le procedure di controllo, campionamento e misura definite dalle normative in essere prima dell'entrata in vigore del presente decreto. Le metodiche di campionamento ed analisi saranno aggiornate con apposito decreto ministeriale su proposta dell'APAT.
Tabella 3. Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura.
Numero |
|
unità |
Scarico in acque |
Scarico in rete fognaria (*) |
parametro |
PARAMETRI |
di |
superficiali |
|
|
|
misura |
|
|
1 |
pH |
5,5-9,5 |
5,5-9,5 |
|
|
|
|
|
|
2 |
Temperatura |
°C |
[1] |
[1] |
|
|
|
|
|
3 |
colore |
|
non percettibile con |
non percettibile con |
|
|
|
diluizione 1:20 |
diluizione 1:40 |
|
|
|
|
|
4 |
odore |
|
non deve essere |
non deve essere causa di |
|
|
|
causa di molestie |
molestie |
|
|
|
|
|
5 |
materiali |
|
assenti |
assenti |
|
grossolani |
|
|
|
|
|
|
|
|
6 |
Solidi |
mg/L |
≤80 |
≤200 |
|
speciali |
|
|
|
|
totali [2][2-bis] |
|
|
|
|
|
|
|
|
7 |
BOD5 (come O2) |
mg/L |
≤40 |
≤250 |
|
[2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
8 |
COD (come O2) |
mg/L |
≤160 |
≤500 |
|
[2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
9 |
Alluminio |
mg/L |
≤1 |
≤2,0 |
|
|
|
|
|
10 |
Arsenico |
mg/L |
≤0,5 |
≤0,5 |
|
|
|
|
|
11 |
Bario |
mg/L |
≤20 |
- |
|
|
|
|
|
12 |
Boro |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
|
|
|
|
13 |
Cadmio |
mg/L |
≤0,02 |
≤0,02 |
|
|
|
|
|
14 |
Cromo |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
totale |
|
|
|
|
|
|
|
|
15 |
Cromo VI |
mg/L |
≤0,2 |
≤020 |
|
|
|
|
|
16 |
Ferro |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
|
|
|
|
17 |
Manganese |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
|
|
|
|
18 |
Mercurio |
mg/L |
≤0,005 |
≤0,005 |
|
|
|
|
|
19 |
Nichel |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
|
|
|
|
20 |
Piombo |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,3 |
|
|
|
|
|
21 |
Rame |
mg/L |
≤0,1 |
≤0,4 |
|
|
|
|
|
22 |
Selenio |
mg/L |
≤0,03 |
≤0,03 |
|
|
|
|
|
23 |
Stagno |
mg/L |
≤10 |
|
|
|
|
|
|
24 |
Zinco |
mg/L |
≤0,5 |
≤1,0 |
|
|
|
|
|
25 |
Cianuri |
mg/L |
≤0,5 |
≤1,0 |
|
totali |
|
|
|
|
(CN) |
mg/L |
|
|
26 |
Cloro |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,3 |
|
attivo |
|
|
|
|
libero |
|
|
|
|
|
|
|
|
27 |
Solfuri |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
(come H2S) |
|
|
|
|
|
|
|
|
28 |
Solfiti |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
(come SO3) |
|
|
|
|
|
|
|
|
29 |
Solfati |
mg/L |
≤1000 |
≤1000 |
|
(come SO4) [3] |
|
|
|
|
|
|
|
|
30 |
Cloruri [3] |
mg/L |
≤1200 |
≤1200 |
|
|
|
|
|
31 |
Fluoruri |
mg/L |
≤6 |
≤12 |
|
|
|
|
|
32 |
Fosforo |
mg/L |
≤10 |
≤10 |
|
totale |
|
|
|
|
(come P) [2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
33 |
Azoto |
mg/L |
≤15 |
≤30 |
|
ammoniacale |
|
|
|
|
(come NH4) [2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
34 |
Azoto |
mg/L |
≤0,6 |
≤0,6 |
|
nitroso |
|
|
|
|
(come N) [2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
35 |
Azoto |
mg/L |
≤20 |
≤30 |
|
nitrico |
|
|
|
|
(come N) [2] |
|
|
|
|
|
|
|
|
36 |
Grassi e olii |
mg/L |
≤20 |
≤40 |
|
animali/vegetali |
|
|
|
|
|
|
|
|
37 |
Idrocarburi |
mg/L |
≤5 |
≤10 |
|
totali |
|
|
|
|
|
|
|
|
38 |
Fenoli |
mg/L |
≤0,5 |
≤1 |
|
|
|
|
|
39 |
Aldeidi |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
|
|
|
|
40 |
Solventi |
mg/L |
≤0,2 |
≤0,4 |
|
organici |
|
|
|
|
aromatici |
|
|
|
|
|
|
|
|
41 |
Solventi |
mg/L |
≤0,1 |
≤0,2 |
|
organici |
|
|
|
|
azotati [4] |
|
|
|
|
|
|
|
|
42 |
Tensioattivi |
mg/L |
≤2 |
≤4 |
|
totali |
|
|
|
|
|
|
|
|
43 |
Pesticidi |
mg/L |
≤0,10 |
≤0,10 |
|
fosforati |
|
|
|
|
|
|
|
|
44 |
Pesticidi totali |
mg/L |
≤0,05 |
≤0,05 |
|
(esclusi i fosforati) |
|
|
|
|
[5] |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
tra cui: |
|
|
|
|
|
|
|
|
45 |
- aldrin |
mg/L |
≤0,01 |
≤0,01 |
|
|
|
|
|
46 |
- dicldrin |
mg/L |
≤0,01 |
≤0,01 |
|
|
|
|
|
47 |
- endrin |
mg/L |
≤0,002 |
≤0,002 |
|
|
|
|
|
48 |
- isodrin |
mg/L |
≤0,002 |
≤0,002 |
|
|
|
|
|
49 |
Solventi |
mg/L |
≤1 |
≤2 |
|
clorurati [5] |
|
|
|
|
|
|
|
|
50 |
Escherichia |
UFC/ 1 |
nota |
|
|
coli [4] |
00mL |
|
|
|
|
|
|
|
51 |
Saggio di |
|
il campione non é |
il campione non e accettabile |
|
tossicità |
|
accettabile quando |
quando dopo 24 ore il |
|
acuta [5] |
|
dopo 24 ore il |
numero degli organismi |
|
|
|
numero degli |
immobili è uguale o maggiore: |
|
|
|
organismi immobili |
è del 80% del totale |
|
|
|
uguale o maggiore |
|
|
|
|
del 50% del totale |
|
[*] I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall'autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose.
[1] Per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell'acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C, la condizione suddetta è subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.
[2] Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.
[2-bis] Tali limiti non valgono per gli scarichi in mare
delle installazioni di cui all'allegato VIII alla parte seconda, per i quali i rispettivi documenti
di riferimento sulle migliori tecniche disponibili di cui all'articolo
5, lettera 1-ter.2), prevedano livelli di prestazione non compatibili
con il medesimo valore limite. In tal caso, le Autorizzazioni Integrate
Ambientali rilasciate per l'esercizio di dette installazioni possono
prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati
ai livelli di produzione, comunque in conformità ai medesimi documenti
europei.
(nota introdotta dall'art. 13, comma 7,
legge n. 116 del 2014)
[3] Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purché almeno sulla metà di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengono disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.
[4] In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/ 100 m L.
[5] Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l'applicazione diretta delle sanzioni di cui al titolo V, determina altresì l'obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.
Tabella 3/A. Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi [**]
Settore produttivo |
Quantità scaricata per |
media |
media |
|
unità di prodotto (o |
mensile |
giorno [*] |
|
capacità di produzione) |
|
|
|
|
|
|
Cadmio |
|
|
|
|
|
|
|
Estrazione dello zinco, |
|
|
|
raffinazione del piombo e |
|
|
|
dello zinco, industria dei |
|
|
|
metalli non ferrosi e del |
|
|
|
cadmio metallico |
|
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione dei composti |
|
0,5 |
|
del cadmio |
g/kg grammi di Cd |
|
|
|
scaricato per |
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
trattato |
|
|
|
|
|
|
Produzione di pigmenti |
g/kg (grammi di Cd |
0,3 |
|
|
scaricato per |
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
trattato) |
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione di |
g/kg al (grammi di Cd |
0,5 |
|
stabilizzanti |
scaricato per |
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
trattato) |
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione di batterie |
g/kg al (grammi di Cd |
1,5 |
|
primarie e secondarie |
scaricato per |
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
trattato) |
|
|
|
|
|
|
Galvanostegia |
g/kg al (grammi di Cd |
0,3 |
|
|
scaricato per |
|
|
|
chilogrammo di Cd |
|
|
|
trattato) |
|
|
|
|
|
|
Mercurio (settore dell'elettrolisi dei cloruri alcalini) |
|||
|
|||
Salamoia riciclata - da |
g Hg/t di capacità di |
0,5 |
|
applicare all'Hg presente |
produzione di cloro, |
|
|
negli effluenti provenienti |
installata |
|
|
dall'unità di produzione del |
|
|
|
cloro |
|
|
|
|
|
|
|
Salamoia riciclata - da |
g Hg/t di capacità di |
1 |
|
applicare al totale del Hg |
produzione di cloro, |
|
|
presente in tutte le acque di |
installata |
|
|
scarico contenenti Hg |
|
|
|
provenienti dall'area dello |
|
|
|
stabilimento industriale |
|
|
|
|
|
|
|
Salamoia a perdere - da |
g Hg/t di capacità di |
5 |
|
applicare al totale del Hg |
produzione di cloro, |
|
|
presente in tutte le acque di |
installata |
|
|
scarico contenenti Hg |
|
|
|
provenienti dall'area dello |
|
|
|
stabilimento industriale. |
|
|
|
|
|
|
|
Mercurio (settori diversi da quello dell'elettrolisi dei cloruri alcalini) |
|||
|
|||
Aziende che impiegano |
g/t capacità di |
0,1 |
|
catalizzatori all'Hg per la |
produzione di CVM |
|
|
produzione di cloruro di |
|
|
|
vinile |
|
|
|
|
|
|
|
Aziende che impiegano |
g/kg mercurio trattato |
5 |
|
catalizzatori all'Hg per altre |
|
|
|
produzioni |
|
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione dei |
g/kg al mese mercurio |
0,7 |
|
catalizzatori contenenti Hg |
trattato |
|
|
utilizzati per la produzione |
|
|
|
di CVM |
|
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione dei composti |
g/kg al mese mercurio |
0,05 |
|
organici ed inorganici del |
trattato |
|
|
mercurio |
|
|
|
|
|
|
|
Fabbricazione di batterie |
g/kg al mese mercurio |
0,03 |
|
primarie contenenti Hg |
trattato |
|
|
|
|
|
|
Industrie dei metalli non |
|
|
|
ferrosi |
|
|
|
|
|
|
|
- Stabilimenti di ricupero |
|
|
|
del mercurio [1] |
|
|
|
|
|
|
|
- Estrazione e raffinazione |
|
|
|
di metalli non ferrosi [1] |
|
|
|
|
|
|
|
Stabilimenti di trattamento |
|
|
|
dei rifiuti tossici contenenti |
|
|
|
mercurio |
|
|
|
|
|
|
|
Esaclorocicloesano (HCH) |
|||
|
|||
Produzione HCH |
g HCH/t HCH prodotte |
2 |
|
|
|
|
|
Estrazione lindano |
g HCH/t HCH trattato |
4 |
|
|
|
|
|
Produzione ed estrazione |
|
|
|
lindano |
g HCH/t HCH prodotto |
5 |
|
|
|
|
|
DDT |
|||
|
|||
Produzione DDT compresa |
g/t di sostanze |
4 |
8 |
la formulazione sul posto di |
prodotte, trattate o |
|
|
DDT |
utilizzate - valore |
|
|
|
mensile |
|
|
|
|
|
|
Pentaclorofenolo (PCP) |
|||
|
|||
Produzione del PCP Na |
g/t di capacità di |
25 |
50 |
idrolisi dell'esaclorobenzene |
produzione o capacità |
|
|
|
di utilizzazione |
|
|
|
|
|
|
Aldrin, dieldrin, endrin, isodrin |
|||
|
|||
Produzione e formulazione |
g/t capacità di |
3 |
15 |
di: Aldrin e/o dieldrin e/o |
produzione o capacità |
|
|
endrin e/o isoldrin |
di utilizzazione |
|
|
|
|
|
|
Produzione e trattamento di |
g HCB/t di capacità di |
10 |
|
HCB |
produzione di HCB |
|
|
|
|
|
|
Esaclorobenzene (HCB) |
|||
|
|||
Produzione di |
g HCB/t di capacità di |
1,5 |
|
pereloroctilcne (PER) e di |
produzione totale di |
|
|
tetracloruro di carbonio |
PER + CC14 |
|
|
(CC14) mediante |
|
|
|
perclorurazione |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione di tricloroetilene |
|
|
|
e/o percloetilene con altri |
|
|
|
procedimenti [1] |
|
|
|
|
|
|
|
Esaclorobutadiene |
|||
|
|||
Produzione di |
g HCBD/t di capacità |
1,5 |
|
percloroetilene (PER) e di |
di produzione totale di |
|
|
tetracloruro di carbonio |
PER + CC14 |
|
|
(CC14) mediante |
|
|
|
perclorurazione |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione di tricloroetilene |
|
|
|
e/o di percloroetilene |
|
|
|
|
|
|
|
mediante altri procedimenti |
|
|
|
[1] |
|
|
|
|
|
|
|
Cloroformio |
|||
|
|||
Produzione clorometani del |
g CHC13/t di capacità |
10 |
|
metanolo o da combinazione |
di produzione di |
|
|
di metanolo e metano |
clorometani |
|
|
|
|
|
|
Produzione clorometani |
g CHC13/t di capacità |
7,5 |
|
mediante clorurazione del |
di produzione di |
|
|
metano |
clorometani |
|
|
|
|
|
|
Tetracloruro di carbonio |
|||
|
|||
Produzione di tetracloruro |
g CC14/ t di capacità di |
30 |
40 |
di carbonio mediante |
produzione totale di |
|
|
perclorurazione - |
CC14 e di |
|
|
procedimento con lavaggio |
percloroetilene |
|
|
|
|
|
|
Produzione di tetracloruro |
g CC14/t di capacità di |
2,5 |
5 |
di carbonio mediante |
produzione totale di |
|
|
perclorurazione - |
CC14 e di |
|
|
procedimento senza lavaggio |
percloroetilene |
|
|
|
|
|
|
Produzione di clorometani |
|
|
|
mediante clorurazione del |
|
|
|
metano (compresa la |
|
|
|
clorolisi sotto pressione a |
|
|
|
partire dal metanolo) [1] |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione di |
|
|
|
clorofluorocarburi ([1] |
|
|
|
|
|
|
|
1,2 dicloroetano (EDC) |
|||
|
|||
Unicamente produzione 1,2 |
g/t |
2,5 |
5 |
dicloroetano |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione 1,2 dicloroetano |
g/t |
5 |
10 |
e trasformazione e/o |
|
|
|
utilizzazione nello stesso |
|
|
|
stabilimento tranne che per |
|
|
|
l'utilizzazione nella |
|
|
|
produzione di scambiatori di |
|
|
|
calore |
|
|
|
|
|
|
|
Utilizzazione di EDC per lo |
|
|
|
sgrassaggio dei metalli (in |
|
|
|
stabilimenti industriali |
|
|
|
diversi da quelli del punto |
|
|
|
precedente) [2] |
|
|
|
|
|
|
|
Trasformazione di 1,2 |
g/t |
2,5 |
5 |
dicloetano in sostanze |
|
|
|
diverse dal cloruro di vinile |
|
|
|
|
|
|
|
Tricloroetilene |
|||
|
|||
Produzione di tricloroetilene |
g/t |
2,5 |
5 |
(TRI) e (di pereloroetilene |
|
|
|
(PER) ([2] |
|
|
|
|
|
|
|
Utilizzazione TRI per lo |
|
|
|
sgrassaggio dei metalli [2] |
g/t |
|
|
|
|
|
|
Triclorobenzene (TCB) |
|||
|
|||
Produzione di TCB per |
g/t |
10 |
|
disidroclorazione e/o |
|
|
|
trasformazione di TCB |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione e trasformazione |
g/t |
0,5 |
|
di clorobenzeni mediante |
|
|
|
clorazione ([2] |
|
|
|
|
|
|
|
Percloroetilene (PER) |
|||
|
|||
Produzione di tricloroetilene |
g/t |
2,5 |
5 |
(TRI) e di percloroetilene |
|
|
|
(procedimenti TRI-PER) |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione di tetracloruro |
g/t |
2,5 |
20 |
di carbonio e di |
|
|
|
percloroetilene |
|
|
|
(procedimenti TETRA-PER) |
|
|
|
[2] |
|
|
|
|
|
|
|
Utilizzazione di PER per lo |
|
|
|
sgrassaggio metalli [2] |
|
|
|
|
|
|
|
Produzione di |
|
|
|
clorofluorocarbonio (1) |
|
|
|
|
|
|
|
Note alla tabella 3/A [*]
Qualora non diversamente indicato, i valori indicati sono riferiti a medie mensili. Ove non indicato esplicitamente si consideri come valore delle media giornaliera il doppio di quella mensile.
[**] Per i cicli produttivi che hanno uno scarico della sostanza pericolosa in questione, minore al quantitativo annuo indicato nello schema seguente, le autorità competenti all'autorizzazione possono evitare il procedimento autorizzativo. In tal caso valgono solo i limiti di tabella 3.
Sostanza pericolosa |
Quantità annua di sostanza inquinante scaricata |
|
considerata |
|
|
Cadmio |
10 Kg/anno di Cd (nel caso di stabilimenti di |
|
galvanostegia si applicano comunque i limiti di tabella |
|
3/A, quando la capacità complessiva delle vasche di |
|
galvanostegia super a 1,5 m3 |
|
|
Mercurio (settore |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
dell'elettrolisi dei |
|
cloruri alcalini) |
|
|
|
Mercurio (settore |
7,5 Kg/anno di Hg |
diverse dell'elettrolisi |
|
dei cloruri alcalini) |
|
|
|
Esaclorocicloesano |
3 Kg/ anno di HCH |
(HCH) |
|
|
|
DDT |
1 Kg/ anno di DDT |
|
|
Pentaclorofenolo |
3 Kg/anno di PCP |
(PCP) |
|
|
|
Aldrin, dieldrin, |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
endrin, isodrin |
|
|
|
Esaclorobenzene |
1 Kg/anno di HCB |
(HCB) |
|
|
|
Esaclorobutadiene |
1 Kg/anno di HCBB |
(HCBB) |
|
|
|
Cloroformio |
30 Kg/anno di CHCL3 |
|
|
Tetracloruro di |
30 Kg/anno di TETRA |
carbonio (TETRA) |
|
|
|
1,2 dicloroetano |
30 Kg/anno di EDC |
(EDC) |
|
|
|
Tricloroetilene (TRI) |
30 Kg/ anno di TR1 |
|
|
Triclorobenzene |
È sempre richiesto il rispetto della tabella 3/A. |
(TCB) |
|
|
|
Percloroetilene (PER) |
30 Kg/anno di PER |
|
|
[1] Per questi cicli produttivi non vi sono limiti di massa per unità di prodotto, devono essere rispettati, solo i limiti di concentrazione indicati in tabella 3 in relazione alla singola sostanza o alla famiglia di sostanze di appartenenza.
[2] Per questi cicli produttivi non vengono indicati i limiti di massa per unità di prodotto, ma devono essere rispettati, oltre ai limiti di concentrazione indicati in tabella 3 per la famiglia di sostanze di appartenenza, i seguenti limiti di concentrazione:
|
Media |
Media |
|
giorno |
mese |
|
mg/L |
mg/L |
|
|
|
1,2 dicloroetano (EDC) Utilizzazione di EDC per lo |
0,2 |
0,1 |
sgrassaggio dei metalli in stabilimenti industriali diversi da |
|
|
quelli che producono, trasformano e/o utilizzano EDC nello |
|
|
stesso stabilimento |
|
|
|
|
|
Tricloroetilene (TRI) Produzione di tricloroetilene (TRI) e di |
0,5 |
1 |
percloroetilene (PER) |
|
|
|
|
|
Utilizzazione TRI per lo sgrassaggio dei metalli |
0,2 |
0,2 |
|
|
|
Triclorobenzene (TCB) Produzione e trasformazione di |
0,1 |
0,05 |
clorobenzeni mediante clorazione |
|
|
|
|
|
Percloroetilene (PER) Produzione di tricloroetilene (TRI) e di |
1 |
0,5 |
percloroetilene (Procedimenti TRI-PER) |
|
|
|
|
|
Utilizzazione di PER per lo sgrassaggio metalli |
0,2 |
0,1 |
|
|
|
Per verificare che gli scarichi soddisfano i limiti indicati nella tabella 3/A deve essere prevista una procedura di controllo che prevede:
· il prelievo quotidiano di un campione rappresentativo degli scarichi effettuati nel giro di 24 ore e la misurazione della concentrazione della sostanza in esame;
· la misurazione del flusso totale degli scarichi nello stesso arco di tempo.
La quantità di sostanza scaricata nel corso di un mese si calcola sommando le quantità scaricate ogni giorno nel corso del mese. Tale quantità va divisa per la quantità totale di prodotto o di materia prima.
Tabella 4. Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo
|
|
unità |
(il valore della concentrazione deve essere |
|
|
di |
minore o uguale a quello indicato) |
|
|
misura |
|
|
|
|
|
1 |
pH |
|
6-8 |
|
|
|
|
2 |
SAR |
|
10 |
|
|
|
|
3 |
Materiali grossolani |
- |
assenti |
|
|
|
|
4 |
Solidi sospesi totali |
mg/L |
25 |
|
|
|
|
5 |
BOD5 |
mgO2/L |
20 |
|
|
|
|
6 |
COD |
mgO2/L |
100 |
|
|
|
|
7 |
Azoto totale |
mg N/L |
15 |
|
|
|
|
8 |
Fosforo totale |
mg P/L |
2 |
|
|
|
|
9 |
Tensioattivi totali |
mg/L |
0,5 |
|
|
|
|
10 |
Alluminio |
mg/L |
1 |
|
|
|
|
11 |
Berillio |
mg/L |
0,1 |
|
|
|
|
12 |
Arsenico |
mg/L |
0,05 |
|
|
|
|
13 |
Bario |
mg/L |
10 |
|
|
|
|
14 |
Boro |
mg/L |
0,5 |
|
|
|
|
15 |
Cromo totale |
mg/L |
1 |
|
|
|
|
16 |
Ferro |
mg/L |
2 |
|
|
|
|
17 |
Manganese |
mg/L |
0,2 |
|
|
|
|
18 |
Nichel |
mg/L |
0,2 |
|
|
|
|
19 |
Piombo |
mg/L |
0,1 |
|
|
|
|
20 |
Rame |
mg/L |
0,1 |
|
|
|
|
21 |
Selenio |
mg/L |
0,002 |
|
|
|
|
22 |
Stagno |
mg/L |
3 |
|
|
|
|
23 |
Vanadio |
mg/L |
0,1 |
|
|
|
|
24 |
Zinco |
mg/L |
0,5 |
|
|
|
|
25 |
Solfuri |
mgH2S/L |
0,5 |
|
|
|
|
26 |
Solfiti |
mgSO3/L |
0,5 |
|
|
|
|
27 |
Solfati |
mgSO4/L |
500 |
|
|
|
|
28 |
Cloro attivo |
mg/L |
0,2 |
|
|
|
|
29 |
Cloruri |
mgCl/L |
200 |
|
|
|
|
30 |
Fluoruri |
mgF/L |
1 |
|
|
|
|
31 |
Fenoli totali |
mg/L |
0,1 |
|
|
|
|
32 |
Aldeidi totali |
mg/L |
0,5 |
|
|
|
|
33 |
Solventi organici |
mg/L |
0,01 |
|
aromatici totali |
|
|
|
|
|
|
34 |
Solventi organici |
mg/L |
0,01 |
|
azotati totali |
|
|
|
|
|
|
35 |
Saggio di tossicità su |
LC50 |
il campione non è accettabile quando dopo 24 |
|
Daphnia magna (vedi |
24h |
ore il numero degli organismi immobili è |
|
nota 8 di tabella 3) |
|
uguale o maggiore del 50% del totale |
|
|
|
|
36 |
Escherichia coli [] |
UFC/ |
|
|
|
100 |
|
|
|
mL |
|
[1] In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100 mL.
Tabella 5. Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali [1] e per lo scarico in rete fognaria [2], o in tabella 4 per lo scarico sul suolo
1 |
Arsenico |
|
|
2 |
Cadmio |
|
|
3 |
Cromo totale |
|
|
4 |
Cromo esavalente |
|
|
5 |
Mercurio |
|
|
6 |
Nichel |
|
|
7 |
Piombo |
|
|
8 |
Rame |
|
|
9 |
Selenio |
|
|
10 |
Zinco |
|
|
11 |
Fenoli |
|
|
12 |
Oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti |
|
|
13 |
Solventi organici aromatici |
|
|
14 |
Solventi organici azotati |
|
|
15 |
Composti organici alogenati (compresi i pesticidi clorurati) |
|
|
16 |
Pesticidi fosforiti |
|
|
17 |
Composti organici dello stagno |
|
|
18 |
Sostanze classificate contemporaneamente «cancerogene» (R45) e «pericolose per l'ambiente acquatico» (R50 e 51/53) ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche |
|
|
[1] Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18 le regioni e le province autonome nell'àmbito dei piani di tutela, possono ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purché sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiungimento gli obiettivi ambientali.
[2] Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purché sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni, l'ente gestore può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello indicato in tabella 3.
Tabella 6 - Peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 Kg di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio, da considerare ai fini dell'assimilazione alle acque reflue domestiche (art. 101, comma 7, lettera b))
Categoria animale allevata |
Peso vivo medio per anno |
|
(t) |
|
|
Scrofe con suinetti fino a 30 kg |
3,4 |
|
|
Suini in accrescimento/ingrasso |
3,0 |
|
|
Vacche da latte in produzione |
2,5 |
|
|
Rimonta vacche da latte |
2,8 |
|
|
Bovini all'ingrasso |
4,0 |
|
|
Galline ovaiole |
1,5 |
|
|
Polli da carne |
1,4 |
|
|
Tacchini |
2,0 |
|
|
Cunicoli |
2,4 |
|
|
Ovicaprini |
3,4 |
|
|
Equini |
4,9 |
Allegato 6 - Criteri per la individuazione delle aree sensibili
Si considera area sensibile un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi:
a) laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale già eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici.
Per individuare il nutriente da ridurre mediante ulteriore trattamento, vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:i) nei laghi e nei corsi d'acqua che si immettono in laghi/bacini/baie chiuse con scarso ricambio idrico e ove possono verificarsi fenomeni di accumulazione la sostanza da eliminare è il fosforo, a meno che non si dimostri che tale intervento non avrebbe alcuno effetto sul livello dell'eutrofizzazione. Nel caso di scarichi provenienti da ampi agglomerati si può prevedere di eliminare anche l'azoto;
ii) negli estuari, nelle baie e nelle altre acque del litorale con scarso ricambio idrico, ovvero in cui si immettono grandi quantità di nutrienti, se, da un lato, gli scarichi provenienti da piccoli agglomerati urbani sono generalmente di importanza irrilevante, dall'altro, quelli provenienti da agglomerati più estesi rendono invece necessari interventi di eliminazione del fosforo e/o dell'azoto, a meno che non si dimostri che ciò non avrebbe comunque alcun effetto sul livello dell'eutrofizzazione;b) acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una concentrazione di nitrato superiore a 50 mg/L, (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della direttiva 75/440 concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione d'acqua potabile);
c) aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dalla presente norma.
Ai sensi del comma 1, lettera a), dell'articolo 91, sono da considerare in prima istanza come sensibili i laghi posti ad un'altitudine sotto i 1.000 sul livello del mare e aventi una superficie dello specchio liquido almeno di 0,3 km2.
Nell'identificazione di ulteriori aree sensibili, oltre ai criteri di cui sopra, le Regioni dovranno prestare attenzione a quei corpi idrici dove si svolgono attività tradizionali di produzione ittica.
Allegato 7
PARTE A - ZONE VULNERABILI DA NITRATI DI ORIGINE AGRICOLA
Parte AI - Criteri per l'individuazione delle zone vulnerabili
Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi.
Tali acque sono individuate, in base tra l'altro dei seguenti criteri:
1. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci superficiali, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, se non si interviene;
2. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci sotterranee, se non si interviene;
3. la presenza di eutrofizzazione oppure la possibilità del verificarsi di tale fenomeno nell'immediato futuro nei laghi naturali di acque dolci o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine, se non si interviene.
Nell'individuazione delle zone vulnerabili, le regioni tengono conto pertanto:
1. delle caratteristiche fisiche e ambientali delle acque e dei terreni che determinano il comportamento dei nitrati nel sistema acqua/terreno;
2. del risultato conseguibile attraverso i programmi d'azione adottati;
3. delle eventuali ripercussioni che si avrebbero nel caso di mancato intervento.
Controlli da eseguire ai fini della revisione delle zone vulnerabili
Ai fini di quanto disposto dal comma 4 dell'articolo 92, la concentrazione dei nitrati deve essere controllata per il periodo di durata pari almeno ad un anno:
- nelle stazioni di campionamento previste per la classificazione dei corpi idrici sotterranei e superficiali individuate secondo quanto previsto dall'allegato 1 al decreto;
- nelle altre stazioni di campionamento previste al Titolo II Capo II relativo al controllo delle acque destinate alla produzione di acque potabili, almeno una volta al mese e più frequentemente nei periodi di piena;
- nei punti di prelievo, controllati ai sensi del d.P.R. n. 236/1988, delle acque destinate al consumo umano.
Il controllo va ripetuto almeno ogni quattro anni. Nelle stazioni dove si è riscontrata una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/L (espressi come NO-3) il programma di controllo può essere ripetuto ogni otto anni, purché non si sia manifestato alcun fattore nuovo che possa aver incrementato il tenore dei nitrati.
Ogni quattro anni è sottoposto a riesame lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, di transizione e costiere, adottando di conseguenza i provvedimenti del caso.
Nei programmi di controllo devono essere applicati i metodi di misura di riferimento previsti al successivo punto.
Metodi di riferimento
Concimi chimici
Il metodo di analisi dei composti dell'azoto è stabilito in conformità al D.M. 19 luglio 1989 - Approvazione dei metodi ufficiali di analisi per i fertilizzanti.
Acque dolci, acque costiere e acque marine
Il metodo di analisi per la rilevazione della concentrazione di nitrati è la spettrofotometria di assorbimento molecolare. I laboratori che utilizzano altri metodi di misura devono accertare la comparabilità dei risultati ottenuti.
Parte AII - Aspetti metodologici
1. L'individuazione delle zone vulnerabili viene effettuata tenendo conto dei carichi (specie animali allevate, intensità degli allevamenti e loro tipologia, tipologia dei reflui che ne derivano e modalità di applicazione al terreno, coltivazioni e fertilizzazioni in uso) nonché dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione.
Tali fattori dipendono:
- dalla vulnerabilità intrinseca delle formazioni acquifere ai fluidi inquinanti (caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi);
- dalla capacità di attenuazione del suolo nei confronti dell'inquinante (caratteristiche di tessitura, contenuto di sostanza organica ed altri fattori relativi alla sua composizione e reattività chimico-biologica);
- dalle condizioni climatiche e idrologiche;
- dal tipo di ordinamento colturale e dalle relative pratiche agronomiche.
Gli approcci metodologici di valutazione della vulnerabilità richiedono un'idonea ed omogenea base di dati e a tal proposito si osserva che sul territorio nazionale sono presenti:
- aree per cui sono disponibili notevoli conoscenze di base e già è stata predisposta una mappatura della vulnerabilità a scala di dettaglio sia con le metodologie CNR-GNDCI [2] che con sistemi parametrici;
- aree nelle quali, pur mancando studi e valutazioni di vulnerabilità, sono disponibili dati sufficienti per effettuare un'indagine di carattere orientativo e produrre un elaborato cartografico a scala di riconoscimento;
- aree in cui le informazioni sono molto carenti o frammentarie ed è necessario ricorrere ad una preventiva raccolta di dati al fine di applicare le metodologie di base studiate in àmbito CNR-GNDCI.
Al fine di individuare sull'intero territorio nazionale le zone vulnerabili ai nitrati si ritiene opportuno procedere ad un'indagine preliminare di riconoscimento, che deve essere in seguito revisionata sulla base di aggiornamenti successivi conseguenti anche ad eventuali ulteriori indagini di maggiore dettaglio.
[2] Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche.
2. Indagine preliminare di riconoscimento
La scala cartografica di rappresentazione prescelta è 1:250.000 su base topografica preferibilmente informatizzata.
Obiettivo dell'indagine di riconoscimento è l'individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti. In tale fase dell'indagine non è necessario separare più classi di vulnerabilità.
In prima approssimazione i fattori critici da considerare nell'individuazione delle zone vulnerabili sono:
a) presenza di un acquifero libero o parzialmente confinato (ove la connessione idraulica con la superficie è possibile) e, nel caso di rocce litoidi fratturate, presenza di un acquifero a profondità inferiore a 50 m, da raddoppiarsi in zona a carsismo evoluto;
b) presenza di una litologia di superficie e dell'insaturo prevalentemente permeabile (sabbia, ghiaia o litotipi fratturati);
c) presenza di suoli a capacità di attenuazione tendenzialmente bassa (ad es. suoli prevalentemente sabbiosi, o molto ghiaiosi, con basso tenore di sostanza organica, poco profondi).
La concomitanza delle condizioni sopra esposte identifica le situazioni di maggiore vulnerabilità.
Vengono escluse dalle zone vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile purché continuo.
L'indagine preliminare di riconoscimento delle zone vulnerabili viene effettuata:
a) per le zone ove è già disponibile una mappatura a scala di dettaglio o di sintesi, mediante accorpamento delle aree classificate ad alta, elevata ed estremamente elevata vulnerabilità;
b) per le zone dove non è disponibile una mappatura ma esistono sufficienti informazioni geo-pedologico-ambientali, mediante il metodo di valutazione di zonazione per aree omogenee (metodo CNR-GNDCI) o il metodo parametrico;
c) per le zone dove non esistono sufficienti informazioni, mediante dati esistenti e/o rapidamente acquisibili e applicazione del metodo CNR-GNDCI, anche ricorrendo a criteri di similitudine.
3. Aggiornamenti successivi.
L'indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una delimitazione più precisa delle aree vulnerabili.
Con il supporto delle ARPA, ove costituite, deve essere avviata una indagine finalizzata alla stesura di una cartografia di maggiore dettaglio (1:50.000-100.000) per convogliare la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle zone più problematiche.
Obiettivo di questa indagine è l'individuazione dettagliata della «vulnerabilità specifica» degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la «vulnerabilità intrinseca, degli acquiferi e la capacità di attenuazione del suolo, dell'insaturo e dell'acquifero.
Il prodotto di tale indagine può essere soggetto ad aggiornamenti sulla base di nuove conoscenze e dei risultati della sperimentazione. È opportuno gestire i dati raccolti mediante un sistema GIS.
4. Le amministrazioni possono comunque intraprendere studi di maggior dettaglio quali strumenti di previsione e di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati alla valutazione della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi, pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all'interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare con maggiore definizione le eventuali misure da adottare nel tempo e nello spazio.
Parte AIII - Zone vulnerabili designate
In fase di prima attuazione sono designate vulnerabili all'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole le seguenti zone:
- quelle già individuate dalla Regione Lombardia con il regolamento attuativo della legge regionale 15 dicembre 1993, n. 37;
- quelle già individuate dalla Regione Emilia-Romagna con la deliberazione del Consiglio regionale 11 febbraio 1997, n. 570;
- la zona delle conoidi delle province di Modena, Reggio Emilia e Parma;
- l'area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all'articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 del bacino Burana Po di Volano della provincia di Ferrara;
- l'area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all'articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 dei bacini dei fiumi Fissero, Canal Bianco e Po di Levante (della regione Veneto).
Tale elenco viene aggiornato, su proposta delle Regioni interessate, sulla base dei rilevamenti e delle indagini svolte.
Parte AIV - Indicazioni e misure per i programmi d'azione
I programmi d'azione sono obbligatori per le zone vulnerabili e tengono conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine, nonché delle condizioni ambientale locali.
1. I programmi d'azione includono misure relative a:
1.1) i periodi in cui è proibita l'applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti;
1.2) la capacità dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacità deve superare quella necessaria per l'immagazzinamento nel periodo più lungo, durante il quale è proibita l'applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia dimostrato all'autorità competente che qualsiasi quantitativo di effluente superiore all'effettiva capacità d'immagazzinamento verrà gestito senza causare danno all'ambiente;
1.3) la limitazione dell'applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata; in particolare si deve tener conto:
a) delle condizioni, del tipo e della pendenza del suolo;
b) delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell'irrigazione;
c) dell'uso del terreno e delle pratiche agricole, inclusi i sistemi di rotazione e di avvicendamento colturale.
Le misure si basano sull'equilibrio tra il prevedibile fabbisogno di azoto delle colture, e l'apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, corrispondente:
- alla quantità di azoto presente nel terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantità rimanente alla fine dell'inverno);
- all'apporto di composti di azoto provenienti dalla mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico presenti nel terreno;
- all'aggiunta di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento;
- all'aggiunta di composti di azoto provenienti da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti.
I programmi di azione devono contenere almeno le indicazioni riportate nel Codice di Buona Pratica Agricola, ove applicabili.
2. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni anno, compreso quello depositato dagli animali stessi, non superi un apporto pari a 170 kg di azoto per ettaro.
Tuttavia per i primi due anni del programma di azione il quantitativo di affluente utilizzabile può essere elevato fino ad un apporto corrispondente a 210 kg di azoto per ettaro. I predetti quantitativi sono calcolati sulla base del numero e delle categorie degli animali.
Ai fini del calcolo degli apporti di azoto provenienti dalle diverse tipologie di allevamento si terrà conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali.
3. Durante e dopo i primi quattro anni di applicazione del programma d'azione le regioni in casi specifici possono fare istanza al Ministero dell'ambiente per lo spargimento di quantitativi di effluenti di allevamento diversi da quelli sopra indicati, ma tali da non compromettere le finalità, da motivare e giustificare in base a criteri obiettivi relativi alla gestione del suolo e delle colture, quali:
- stagioni di crescita prolungate;
- colture con grado elevato di assorbimento di azoto;
- terreni con capacità eccezionalmente alta di denitrificazione.
Il Ministero dell'ambiente, acquisito il parere favorevole della Commissione europea, che lo rende sulla base delle procedure previste all'articolo 9 della direttiva 91/676/CEE, può concedere lo spargimento di tali quantitativi.
PARTE B - ZONE VULNERABILI DA PRODOTTI FITOSANITARI
Parte BI - Criteri per l'individuazione
1. Le Regioni e le Province autonome individuano le aree in cui richiedere limitazioni o esclusioni d'impiego, anche temporanee, di prodotti fitosanitari autorizzati, allo scopo di proteggere le risorse idriche e altri comparti rilevanti per la tutela sanitaria o ambientale, ivi inclusi l'entomofauna utile e altri organismi utili, da possibili fenomeni di contaminazione. Un'area è considerata area vulnerabile quando l'utilizzo al suo interno dei prodotti fitosanitari autorizzati pone in condizioni di rischio le risorse idriche e gli altri comparti ambientali rilevanti.
2. Il Ministero della Sanità ai sensi dell'art. 5, comma 20 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, su documentata richiesta delle Regioni e delle Province autonome, sentita la Commissione consultiva di cui all'articolo 20 dello stesso decreto legislativo, dispone limitazioni o esclusioni d'impiego, anche temporanee, dei prodotti fitosanitari autorizzati nelle aree individuate come zone vulnerabili da prodotti fitosanitari.
3. Le Regioni e le Province autonome provvedono entro un anno, sulla base dei criteri indicati nella parte BIII di questo allegato, alla prima individuazione e cartografia delle aree vulnerabili ai prodotti fitosanitari ai fini della tutela delle risorse idriche sotterranee.
Successivamente alla prima individuazione, tenendo conto degli aspetti metodologici indicati nella parte BIII, punto 3, le Regioni e le Province autonome provvedono ad effettuare la seconda individuazione e la stesura di una cartografia di maggiore dettaglio delle zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari.
4. Possono essere considerate zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari ai fini della tutela di zone di rilevante interesse naturalistico e della protezione di organismi utili, ivi inclusi insetti e acari utili, uccelli insettivori, mammiferi e anfibi, le aree naturali protette, o porzioni di esse, indicate nell'Elenco Ufficiale di cui all'art. 5 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.
5. Le Regioni e le Province autonome predispongono programmi di controllo per garantire il rispetto delle limitazioni o esclusioni d'impiego dei prodotti fitosanitari disposte, su loro richiesta, dal Ministero della Sanità. Esse forniscono al Ministero dell'Ambiente e all'Agenzia Nazionale per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) i dati relativi all'individuazione e alla cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari.
6. L'APAT e le Agenzie Regionali per la Protezione dell'Ambiente forniscono supporto tecnico-scientifico alle Regioni e alle Province autonome al fine di:
a) promuovere uniformità d'intervento nelle fasi di valutazione e cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari;
b) garantire la congruità delle elaborazioni cartografiche e verificare la qualità delle informazioni ambientali di base (idrogeologiche, pedologiche, ecc.).
7. L'APAT promuove attività di ricerca nell'àmbito delle problematiche relative al destino ambientale dei prodotti fitosanitari autorizzati. Tali attività hanno il fine di acquisire informazioni intese a migliorare e aggiornare i criteri di individuazione delle aree vulnerabili per i comparti del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché degli organismi non bersaglio.
Il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio provvede, tenuto conto delle informazioni acquisite e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad aggiornare i criteri per l'individuazione delle aree vulnerabili.
Parte BII - Aspetti metodologici
1. Come per le zone vulnerabili da nitrati, anche nel caso dei fitofarmaci si prevedono due fasi di individuazione delle aree interessate dal fenomeno: una indagine di riconoscimento (prima individuazione) e un'indagine di maggiore dettaglio (seconda individuazione).
2. Indagine preliminare di riconoscimento.
Per la prima individuazione delle aree vulnerabili da prodotti fitosanitari si adotta un tipo di indagine, alla scala di 1:250.000, simile a quella indicata in precedenza nella Parte AII di questo allegato.
2.1 La prima individuazione delle aree vulnerabili comprende, comunque, le aree per le quali le attività di monitoraggio hanno già evidenziato situazioni di compromissione dei corpi idrici sotterranei sulla base degli standard delle acque destinate al consumo umano indicati dal D.P.R. n. 236 del 1988 per il parametro 55 (antiparassitari e prodotti assimilabili).
Sono escluse, invece, le situazioni in cui la natura delle formazioni rocciose impedisce la presenza di una falda, o dove esiste la protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile o da un suolo molto reattivo.
Vengono escluse dalle aree vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile, purché continuo, o da un suolo molto reattivo.
2.2 Obiettivo dell'indagine preliminare di riconoscimento non è la rappresentazione sistematica delle caratteristiche di vulnerabilità degli acquiferi, quanto piuttosto la individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti.
Per queste attività si rinvia agli aspetti metodologici già indicati nella Parte AII di questo allegato.
2.3 Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l'applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d'impiego ci si potrà avvalere di parametri, indici, modelli e sistemi di classificazione che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione.
3. Aggiornamenti successivi
L'indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una delimitazione più precisa delle aree vulnerabili.
Questa successiva fase di lavoro, che può procedere parallelamente alle indagini e cartografie maggiore dettaglio, può prevedere inoltre la designazione di più di una classe di vulnerabilità (al massimo 3) riferita ai gradi più elevati e la valutazione della vulnerabilità in relazione alla capacità di attenuazione del suolo, in modo tale che si possa tenere conto delle caratteristiche intrinseche dei prodotti fitosanitari per poterne stabilire limitazioni o esclusioni di impiego sulla base di criteri quanto più possibile obiettivi.
3.1 La seconda individuazione e cartografia è restituita ad una scala maggiormente dettagliata (1:50.000-1:100.000): successivamente o contestualmente alle fasi descritte in precedenza, compatibilmente con la situazione conoscitiva di partenza e con le possibilità operative delle singole amministrazioni, deve essere avviata una indagine con scadenze a medio/lungo termine. Essa convoglia la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle aree più problematiche, già individuate nel corso delle fasi precedenti.
Obiettivo di questa indagine è l'individuazione della vulnerabilità specifica degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la vulnerabilità intrinseca degli acquiferi, la capacità di attenuazione del suolo e le caratteristiche chemiodinamiche dei prodotti fitosanitari.
Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l'applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d'impiego ci si potrà avvalere di parametri o indici che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione. Si cita, ad esempio, l'indice di Gustafson.
3.2 Le Regioni e le Provincie Autonome redigono un programma di massima con l'articolazione delle fasi di lavoro e i tempi di attuazione. Tale programma è inviato al Ministero dell'Ambiente e all'APAT, i quali forniscono supporto tecnico e scientifico alle Regioni e alle Province Autonome.
Le maggiori informazioni derivanti dall'indagine di medio-dettaglio consentiranno di disporre di uno strumento di lavoro utile per la pianificazione dell'impiego dei prodotti fitosanitari a livello locale e permetteranno di precisare, rispetto all'indagine preliminare di riconoscimento, le aree suscettibili di restrizioni o esclusioni d'impiego.
Non si esclude, ovviamente, la possibilità di intraprendere studi di maggior dettaglio a carattere operativo-progettuale, quali strumenti di previsione e, nell'àmbito della pianificazione, di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati al rilevamento della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all'interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare più nel dettaglio le eventuali restrizioni nel tempo e nello spazio nonché gli indirizzi tecnici cui attenersi nella scelta dei prodotti fitosanitari, dei tempi e delle modalità di esecuzione dei trattamenti.
Parte BIII - Aspetti generali per la cartografia delle aree ove le acque sotterranee sono potenzialmente vulnerabili
1. Le valutazioni sulla vulnerabilità degli acquiferi all'inquinamento si può avvalere dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) quali strumenti per l'archiviazione, l'integrazione, l'elaborazione e la presentazione dei dati geograficamente identificati (georeferenziati). Tali sistemi permettono di integrare, sulla base della loro comune distribuzione nello spazio, grandi masse di informazioni anche di origine e natura diverse.
Le valutazioni possono essere verificate ed eventualmente integrate alla luce di dati diretti sulla qualità delle acque che dovessero rendersi disponibili.
Nel caso in cui si verifichino discordanze con le previsioni effettuate sulla base di valutazioni si procede ad un riesame di queste ultime ed alla ricerca delle motivazioni tecniche di tali divergenze.
Il quadro di riferimento tecnico-scientifico e procedurale prevede di considerare la vulnerabilità su due livelli: vulnerabilità intrinseca degli acquiferi e vulnerabilità specifica.
2. I Livello: Vulnerabilità intrinseca degli acquiferi.
La valutazione della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi considera essenzialmente le caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi presenti. Essa è riferita a inquinanti generici e non considera le caratteristiche chemiodinamiche delle sostanze.
2.1 Sono disponibili tre approcci alla valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi: metodi qualitativi, metodi parametrici e numerici.
La selezione di uno dei tre metodi dipende dalla disponibilità di dati, dalla scala di riferimento e dalla finalità dell'indagine.
2.2 I metodi qualitativi prevedono la zonizzazione per aree omogenee, valutando la vulnerabilità per complessi e situazioni idrogeologiche generalmente attraverso la tecnica della sovrapposizione cartografica. La valutazione viene fornita per intervalli preordinati e situazioni tipo. Il metodo elaborato dal GNDCI-CNR valuta la vulnerabilità intrinseca mediante la classificazione di alcune caratteristiche litostrutturali delle formazioni acquifere e delle condizioni di circolazione idrica sotterranea.
2.3 I metodi parametrici sono basati sulla valutazione di parametri fondamentali dell'assetto del sottosuolo e delle relazioni col sistema idrologico superficiale, ricondotto a scale di gradi di vulnerabilità. Essi prevedono l'attribuzione a ciascun parametro, suddiviso in intervalli di valori, di un punteggio prefigurato crescente in funzione dell'importanza da esso assunta nella valutazione complessiva. I metodi parametrici sono in genere più complessi poiché richiedono la conoscenza approfondita di un elevato numero di parametri idrogeologici e idrodinamici.
2.4 I metodi numerici sono basati sulla stima di un indice di vulnerabilità (come ad esempio il tempo di permanenza) basato su relazioni matematiche di diversa complessità.
2.5 In relazione allo stato e all'evoluzione delle conoscenze potrà essere approfondito ed opportunamente considerato anche il diverso peso che assume il suolo superficiale nella valutazione della vulnerabilità intrinseca; tale caratteristica viene definita come «capacità di attenuazione del suolo» e presuppone la disponibilità di idonee cartografie geo-pedologiche.
3. II Livello: Vulnerabilità specifica
Con vulnerabilità specifica s'intende la combinazione della valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi con quella della capacità di attenuazione del suolo per una determinata sostanza o gruppo di sostanze. Questa si ottiene dal confronto di alcune caratteristiche chemio-dinamiche della sostanza (capacità di assorbimento ai colloidi del suolo resistenza ai processi di degradazione, solubilità in acqua, polarità, etc.) con le caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche del suolo.
La compila
zione di cartografie di vulnerabilità specifica deriva da studi approfonditi ed interdisciplinari e richiede l'uso di opportuni modelli di simulazione.Allegato 8 - ELENCO INDICATIVO DEI PRINCIPALI INQUINANTI
1. Composti organoalogenati e sostanze che possano dare origine a tali composti nell'ambiente acquatico
2. Composti organofosforici
3. Composti organostannici
4. Sostanze e preparati, o i relativi prodotti di decomposizione, di cui è dimostrata la cancerogenicità o mutagenicità e che possono avere ripercussioni sulle funzioni steroidea, tiroidea, riproduttiva o su altre funzioni endocrine connesse nell'ambiente acquatico o attraverso di esso
5. Idrocarburi persistenti e sostanze organiche tossiche persistenti e bioaccumulabili
6. Cianuri
7 Metalli e relativi composti
8. Arsenico e relativi composti
9. Biocidi e prodotti fitosanitari
10. Materia in sospensione
11. Sostanze che contribuiscono all'eutrofizzazione (in particolare nitrati e fosfati)
12. Sostanze che hanno effetti negativi sul bilancio dell'ossigeno (e che possono essere misurate con parametri come la BOD, COD, ecc.)
Allegato 9 - AREE PROTETTE
1. Il registro delle aree protette comprende i seguenti tipi di aree protette:
i) aree designate per l'estrazione di acque destinate al consumo umano
ii) aree designate per la protezione di specie acquatiche significative dal punto di vista economico;
iii) corpi idrici intesi a scopo ricreativo, comprese le aree designate come acque di balneazione a norma della direttiva 76/160/CEE;
iv) aree sensibili rispetto ai nutrienti, comprese quelle designate come zone vulnerabili a norma della direttiva 91/676/CEE e le zone designate come aree sensibili a norma della direttiva 91/271/CEE;
v) aree designate per la protezione degli habitat e delle specie, nelle quali mantenere o migliorare lo stato delle acque è importante per la loro protezione, compresi i siti pertinenti della rete Natura 2000 istituiti a norma della direttiva 79/409/CEE e 92/43/CEE, recepite rispettivamente con la Legge dell’11 febbraio 1992, n. 157 e con D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 come modificato dal d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.
2. Le regioni inseriscono nel Piano di Tutela una sintesi del registro delle aree protette ricadenti nel loro territorio di competenza. Tale sintesi contiene mappe che indicano l'ubicazione di ciascuna area protetta, oltre che la descrizione della normativa comunitaria, nazionale o locale che le ha istituite.
Allegato 10 - ANALISI ECONOMICA
L'analisi economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei dati pertinenti) al fine di:
a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il princìpio del recupero dei costi dei servizi idrici, tenuto conto delle previsioni a lungo termine riguardo all'offerta e alla domanda di acqua nel distretto idrografico in questione e, se necessario:
- stime del volume, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici,
- stime dell'investimento corrispondente, con le relative previsioni;b) formarsi un'opinione circa la combinazione delle misure più redditizie, relativamente agli utilizzi idrici, da includere nel programma di misure in base ad una stima dei potenziali costi di dette misure.
Allegato 11 - ELENCHI DEGLI ELEMENTI DA INSERIRE NEI PROGRAMMI DI MISURE
Misure di base richieste ai sensi delle seguenti direttive:
i) direttiva 76/160/CEE sulle acque di balneazione
ii) direttiva 79/409/CEE sugli uccelli selvatici
iii) direttiva 80/778/CEE sulle acque destinate al consumo umano, modificata dalla direttiva 98/83/CE
iv) direttiva 96/82/CE sugli incidenti rilevanti (Seveso)
v) direttiva 85/337/CEE sulla valutazione dell'impatto ambientale
vi) direttiva 86/278/CEE sulla protezione dell'ambiente nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione
vii) direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane
viii) direttiva 91/414/CEE sui prodotti fitosanitari
ix) direttiva 91/676/CEE sui nitrati
x) direttiva 92/43/CEE sugli habitat
xi) direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento
ELENCO INDICATIVO DELLE MISURE SUPPLEMENTARI DA INSERIRE NEI PROGRAMMI DI MISURE
Elenco delle eventuali misure supplementari che le regioni possono decidere di adottare all'interno di ciascun distretto idrografico ricadente nel territorio di competenza nell'àmbito del programma di misure.
i) provvedimenti legislativi
ii) provvedimenti amministrativi
iii) strumenti economici o fiscali
iv) accordi negoziati in materia ambientale
v) riduzione delle emissioni
vi) codici di buona prassi
vii) ricostituzione e ripristino delle zone umide
viii) riduzione delle estrazioni
ix) misure di gestione della domanda, tra le quali la promozione di una produzione agricola adeguata alla situazione, ad esempio raccolti a basso fabbisogno idrico nelle zone colpite da siccità
x) misure tese a favorire l'efficienza e il riutilizzo, tra le quali l'incentivazione delle tecnologie efficienti dal punto di vista idrico nell'industria e tecniche di irrigazione a basso consumo idrico
xi) progetti di costruzione
xii) impianti di desalinizzazione
xiii) progetti di ripristino
xiv) ravvenamento artificiale delle falde acquifere
xv) progetti educativi
xvi) progetti di ricerca, sviluppo e dimostrazione
xvii) altre misure opportune
ALLEGATI AL TITOLO I DELLA PARTE QUARTA
ALLEGATO B - elenco non esaustivo delle operazioni di
smaltimento
ALLEGATO C - elenco non esaustivo delle operazioni di
recupero
ALLEGATO D - elenco dei rifiuti
ALLEGATO E
ALLEGATO F - Criteri da applicarsi sino all'entrata, in
vigore del
decreto interministeriale di cui all'articolo 226, comma 3
ALLEGATO I - caratteristiche di pericolo per i rifiuti
ALLEGATO L - Esempi di misure di prevenzione dei rifiuti
ALLEGATO L-bis - Categorie di prodotti che sono oggetto di incentivi economici
all'acquisto, ai sensi dell'articolo 206-quater, comma 2
ALLEGATO A - Categorie di rifiuti
(allegato
abrogato dall'art. 39, comma 6, del d.lgs. n. 205 del 2010)
ALLEGATO B
- Operazioni di smaltimento
(allegato così
sostituito dall'art. 39, comma 5, del d.lgs. n. 205 del 2010)
D1 Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica).
D2 Trattamento in ambiente terrestre (ad esempio biodegradazione di rifiuti liquidi o fanghi nei suoli).
D3 Iniezioni in profondità (ad esempio iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi, in cupole saline o faglie geologiche naturali).
D4 Lagunaggio (ad esempio scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni o lagune, ecc.).
D5 Messa in discarica specialmente allestita (ad esempio sistematizzazione in alveoli stagni, separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e dall’ambiente).
D6 Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico eccetto l’immersione.
D7 Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino.
D8 Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12.
D9 Trattamento fisico-chimico non specificato altrove nel presente allegato, che dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti elencati nei punti da D1 a D12 (ad esempio evaporazione, essiccazione, calcinazione, ecc.)
D10 Incenerimento a terra.
D11 Incenerimento in mare. (1)
D12 Deposito permanente (ad esempio sistemazione di contenitori in una miniera).
D13 Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D12.(2)
D14 Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D13.
D15 Deposito preliminare prima di uno delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).
(1) Questa operazione è vietata dalla normativa UE e dalle convenzioni internazionali.
(2) In mancanza di un altro codice D appropriato, può comprendere le operazioni preliminari precedenti allo smaltimento, incluso il pretrattamento come, tra l’altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la pellettizzazione, l’essiccazione, la triturazione, il condizionamento o la separazione prima di una delle operazioni indicate da D1 a D12.
ALLEGATO C
- Operazioni di recupero
(allegato così
sostituito dall'art. 39, comma 5, del d.lgs. n. 205 del 2010)
R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia(4)
R2 Rigenerazione/recupero di solventi
R3 Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)(5)
R4 Riciclaggio/recupero dei metalli e dei composti metallici
R5 Riciclaggio/recupero di altre sostanze inorganiche(6)
R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi
R7 Recupero dei prodotti che servono a ridurre l’inquinamento
R8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori
R9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli
R10 Trattamento in ambiente terrestre a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia
R11 Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R1 a R10
R12 Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R1 a R11(7)
R13 Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti).
(4) Gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a: - 0,60 per gli impianti funzionanti e autorizzati in conformità della normativa comunitaria applicabile anteriormente al 1° gennaio 2009,- 0,65 per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008, calcolata con la seguente formula: Efficienza energetica = [Ep - (Ef + Ei)]/[0,97 x (Ew + Ef)] dove: Ep = energia annua prodotta sotto forma di energia termica o elettrica. È calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per 2,6 e l’energia termica prodotta per uso commerciale per 1,1 (GJ/anno)Ef = alimentazione annua di energia nel sistema con combustibili che contribuiscono alla produzione di vapore (GJ/anno)Ew = energia annua contenuta nei rifiuti trattati calcolata in base al potere calorifico inferiore dei rifiuti (GJ/anno)Ei = energia annua importata, escluse Ew ed Ef (GJ/anno)0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute alle ceneri pesanti (scorie) e alle radiazioni. La formula si applica conformemente al documento di riferimento sulle migliori tecniche disponibili per l’incenerimento dei rifiuti.
(5) Sono comprese la gassificazione e la pirolisi che utilizzano i componenti come sostanze chimiche.
(6) È compresa la pulizia risultante in un recupero del suolo e il riciclaggio dei materiali da costruzione inorganici.
(7) In mancanza di un altro codice R appropriato, può comprendere le operazioni preliminari precedenti al recupero, incluso il pretrattamento come, tra l'altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la pellettizzazione, l'essiccazione, la triturazione, il condizionamento, il ricondizionamento, la separazione, il raggruppamento prima di una delle operazioni indicate da R 1 a R 11.
ALLEGATO D
- Elenco dei rifiuti istituito Decisione della
Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000
(allegato così sostituito dall'allegato
III, ex art. 35 della legge n. 108 del 2021)
ALLEGATO E
1) Obiettivi di recupero e di riciclaggio
Entro il 31 dicembre 2008 almeno il 60 % in peso dei rifiuti di imballaggio sarà recuperato o sarà incenerito in impianti di incenerimento rifiuti con recupero di energia;
entro il 31 dicembre 2008 sarà riciclato almeno il 55 % e fino
all'80 % in peso dei rifiuti di imballaggio; entro il 31 dicembre 2008 saranno
raggiunti i seguenti obiettivi minimi di riciclaggio per i materiali contenuti nei rifiuti di
imballaggio:
(periodo così modificato
dall'art. 23, comma 1, legge n. 115 del 2015)
60 % in peso per il vetro;
60 % in peso per la carta e il cartone;
50 % in peso per i metalli;
26% in peso per la plastica, tenuto conto esclusivamente dei materiali riciclati sottoforma di plastica;
35% in peso per il legno.
2) Criteri interpretativi per la definizione di imballaggio ai sensi della Direttiva 2004/12/CE
i) Sono considerati imballaggi gli articoli che rientrano nella definizione di cui sopra, fatte salve altre possibili funzioni dell'imballaggio, a meno che tali articoli non siano parti integranti di un prodotto e siano necessari per contenere, sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita e tutti gli elementi siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme;
ii) sono considerati imballaggi gli articoli progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di imballaggio;
iii) i componenti dell'imballaggio e gli elementi accessori integrati nell'imballaggio sono considerati parti integranti dello stesso. Gli elementi accessori direttamente fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni di imballaggio sono considerati imballaggio a meno che non siano parte integrante del prodotto e tutti gli elementi siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme. Esempi illustrativi per i criteri sopra citati sono:
Esempi illustrativi per il criterio i)
Articoli considerati imballaggio
Scatole per dolci
Involucro che ricopre la custodia di un CD
Articoli non considerati imballaggio
Vasi da fiori destinati a restare con la pianta per tutta la durata di vita di
questa Cassette di attrezzi
Bustine da tè
Rivestimenti di cera dei formaggi
Budelli per salumi
Esempi illustrativi per il criterio ii)
Articoli da imballaggio progettati e destinati ad essere riempiti nel punto
vendita
Sacchetti o borse di carta o di plastica
Piatti e tazze usa e getta
Pellicole di plastica trasparente
Sacchetti per panini
Fogli di alluminio
Articoli non considerati imballaggio
Cucchiaini di plastica
Posate usa e getta
Esempi illustrativi per il criterio iii)
Articoli considerati imballaggio
Etichette fissate direttamente o attaccate al prodotto
Articoli considerati partì di imballaggio
Spazzolino del mascara che fa parte del tappo della confezione
Etichette adesive incollate su un altro articolo di imballaggio
Graffette
Fascette di plastica
Dispositivo di dosaggio che fa parte del tappo della confezione per i detersivi.
ALLEGATO F - Criteri da applicarsi sino all'entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all'articolo 226, comma 3.
Requisiti essenziali concernenti la composizione e la riutilizzabilità e la recuperabilità (in particolare la riciclabilità) degli imballaggi.
Gli imballaggi sono fabbricati in modo da limitare il volume e il peso al minimo necessario per garantire il necessario livello di sicurezza, igiene e accettabilità tanto per il prodotto imballato quanto per il consumatore.
Gli imballaggi sono concepiti, prodotti e commercializzati in modo da permetterne il reimpiego o il recupero, compreso il riciclaggio, e da ridurne al minimo l'impatto sull'ambiente se i rifiuti di imballaggio o i residui delle operazioni di gestione dei rifiuti di imballaggio sono smaltiti.
Gli imballaggi sono fabbricati in modo che la presenza di metalli nocivi e di altre sostanze e materiali pericolosi come costituenti del materiale di imballaggio o di qualsiasi componente dell'imballaggio sia limitata al minimo con riferimento alla loro presenza nelle emissioni, nelle ceneri o nei residui di lisciviazione se gli imballaggi o i residui delle operazioni di gestione dei rifiuti di imballaggio sono inceneriti o interrati.
I seguenti requisiti devono essere soddisfatti simultaneamente:
1) le proprietà fisiche e le caratteristiche dell'imballaggio devono consentire una serie di spostamenti o rotazioni in condizioni di impiego normalmente prevedibili;
2) possibilità di trattare gli imballaggi usati per ottemperare ai requisiti in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori;
3) osservanza dei requisiti specifici per gli imballaggi recuperabili se l'imballaggio non è più utilizzato e diventa quindi un rifiuto;
4) l'imballaggio deve essere prodotto in modo tale da consentire il riciclaggio di una determinata percentuale in peso del materiali usati, nella fabbricazione di prodotti commerciabili, rispettando le norme in vigore nella Comunità europea;
5) la determinazione di tale percentuale può variare a seconda del tipo di materiale che costituisce l'imballaggio.
6) I rifiuti di imballaggio trattati a scopi di recupero energetico devono avere un valore calorifico minimo inferiore per permettere di ottimizzare il recupero energetico.
1. Requisiti per la fabbricazione e composizione degli
imballaggi
2. Requisiti per la riutilizzabilità di un imballaggio
3. Requisiti per la recuperabilità di un imballaggio
a) Imballaggi recuperabili sotto forma di riciclaggio del materiale
b) Imballaggi recuperabili sotto forma di recupero di energia
c) Imballaggi recuperabili sotto forma di compostI rifiuti di imballaggio trattati per produrre compost devono essere sufficientemente biodegradabili in modo da non ostacolare la raccolta separata e il processo o l'attività di compostaggio in cui sono introdotti.
I rifiuti di imballaggio biodegradabili devono essere di natura tale da poter subire una decomposizione fisica, chimica, termica o biologica grazie alla quale la maggior parte del compost risultante finisca per decomporsi in biossido di carbonio, biomassa e acqua.
d) Imballaggi biodegradabili.
ALLEGATO G - Categorie o tipi generici di rifiuti pericolosi
elencati in base alla loro natura o all'attività che li ha prodotti
(allegato
abrogato dall'art. 39, comma 6, del d.lgs. n. 205 del 2010)
ALLEGATO H - Costituenti che rendono pericolosi i rifiuti dell'allegato G.2 quando tali
rifiuti possiedono le caratteristiche dell'allegato I
(allegato abrogato
dall'art. 39, comma 6, del d.lgs. n. 205 del 2010)
ALLEGATO I - Caratteristiche di
pericolo per i rifiuti
(allegato
così sostituito dall'art. 39, comma 5, del d.lgs. n. 205 del 2010)
H1 «Esplosivo»: sostanze e preparati che possono esplodere per effetto della fiamma o che sono sensibili agli urti e agli attriti più del dinitrobenzene;
H2 «Comburente»: sostanze e preparati che, a contatto con altre sostanze, soprattutto se infiammabili, presentano una forte reazione esotermica;
H3-A «Facilmente infiammabile»: sostanze e preparati:
- liquidi il cui punto di infiammabilità è inferiore a 21 °C (compresi i liquidi estremamente infiammabili), o
- che a contatto con l'aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono riscaldarsi e infiammarsi, o
- solidi che possono facilmente infiammarsi per la rapida azione di una sorgente di accensione e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo l'allontanamento della sorgente di accensione, o
- gassosi che si infiammano a contatto con l'aria a pressione normale,
o
- che, a contatto con l'acqua o l'aria umida, sprigionano gas facilmente infiammabili in quantità pericolose;
H3-B «Infiammabile»: sostanze e preparati liquidi il cui punto di infiammabilità è pari o superiore a 21 °C e inferiore o pari a 55 °C;
H4 «Irritante»: sostanze e preparati non corrosivi il cui contatto immediato, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria;
H5 «Nocivo»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute di gravità limitata;
H6 «Tossico»: sostanze e preparati (comprese le sostanze e i preparati molto tossici) che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono comportare rischi per la salute gravi, acuti o cronici e anche la morte;
H7 «Cancerogeno»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre il cancro o aumentarne l’incidenza;
H8 «Corrosivo»: sostanze e preparati che, a contatto con tessuti vivi, possono esercitare su di essi un'azione distruttiva;
H9 «Infettivo»: sostanze contenenti microrganismi vitali o loro tossine, conosciute o ritenute per buoni motivi come cause di malattie nell'uomo o in altri organismi viventi;
H10 «Tossico per la riproduzione»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre malformazioni congenite non ereditarie o aumentarne la frequenza;
H11 «Mutageno»: sostanze e preparati che, per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono produrre difetti genetici ereditari o aumentarne l’incidenza;
H12 Rifiuti che, a contatto con l'acqua, l'aria o un acido, sprigionano un gas tossico o molto tossico;
H13 «Sensibilizzanti» (9): sostanze o preparati che per inalazione o penetrazione cutanea, possono dar luogo a una reazione di ipersensibilizzazione per cui una successiva esposizione alla sostanza o al preparato produce effetti nefasti caratteristici;
H14 «Ecotossico»: rifiuti che presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali.
H15 Rifiuti suscettibili, dopo l’eliminazione, di dare origine in qualche modo ad un’altra sostanza, ad esempio a un prodotto di lisciviazione avente una delle caratteristiche sopra elencate.
NOTE
1. L'attribuzione delle caratteristiche di pericolo «tossico» (e «molto tossico»), «nocivo», «corrosivo» e «irritante» «cancerogeno», «tossico per la riproduzione», «mutageno» ed «ecotossico» è effettuata secondo i criteri stabiliti nell'allegato VI, della direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967 e successive modifiche e integrazioni, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose.
2. Ove pertinente si applicano i valori limite di cui agli allegati II e III della direttiva 1999/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 maggio 1999 concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura dei preparati pericolosi.
Metodi di prova:
I metodi da utilizzare sono quelli descritti nell'allegato V della direttiva 67/548/CEE e in altre pertinenti note del CEN.
(9) Se disponibili metodi di prova.
Allegato L
- Esempi di misure di prevenzione dei rifiuti
(allegato aggiunto
all'art. 39, comma 7, del d.lgs. n. 205 del 2010)
MISURE CHE POSSONO INCIDERE SULLE CONDIZIONI GENERALI RELATIVE ALLA PRODUZIONE DI RIFIUTI
1. Ricorso a misure di pianificazione o ad altri strumenti economici che promuovono l'uso efficiente delle risorse.
2. Promozione di attività di ricerca e sviluppo finalizzate a realizzare prodotti e tecnologie più puliti e capaci di generare meno rifiuti; diffusione e utilizzo dei risultati di tali attività.
3. Elaborazione di indicatori efficaci e significativi delle pressioni ambientali associate alla produzione di rifiuti volti a contribuire alla prevenzione della produzione di rifiuti a tutti i livelli, dalla comparazione di prodotti a livello comunitario attraverso interventi delle autorità locali fino a misure nazionali.
MISURE CHE POSSONO INCIDERE SULLA FASE DI PROGETTAZIONE E PRODUZIONE E DI DISTRIBUZIONE
4. Promozione della progettazione ecologica (cioè l’integrazione sistematica degli aspetti ambientali nella progettazione del prodotto al fine di migliorarne le prestazioni ambientali nel corso dell’intero ciclo di vita).
5. Diffusione di informazioni sulle tecniche di prevenzione dei rifiuti al fine di agevolare l’applicazione delle migliori tecniche disponibili da parte dell’industria.
6. Organizzazione di attività di formazione delle autorità competenti per quanto riguarda l’integrazione delle prescrizioni in materia di prevenzione dei rifiuti nelle autorizzazioni rilasciate a norma della presente direttiva e della direttiva 96/61/CE.
7. Introduzione di misure per prevenire la produzione di rifiuti negli impianti non soggetti al Titolo III-bis alla Parte Seconda. Tali misure potrebbero eventualmente comprendere valutazioni o piani di prevenzione dei rifiuti.
7-bis Introduzione delle misure indicate nei documenti di riferimento sulle BAT per prevenire la produzione di rifiuti da installazioni soggette al Titolo III-bis alla Parte Seconda. Sono a tal fine pertinenti le operazioni di riutilizzo, riciclo, ricupero effettuate all'interno delle stesse installazioni in cui si generano i materiali.
8. Campagne di sensibilizzazione o interventi per sostenere le imprese a livello finanziario, decisionale o in altro modo.
Tali misure possono essere particolarmente efficaci se sono destinate specificamente (e adattate) alle piccole e medie imprese e se operano attraverso reti di imprese già costituite.
9. Ricorso ad accordi volontari, a panel di consumatori e produttori o a negoziati settoriali per incoraggiare le imprese o i settori industriali interessati a predisporre i propri piani o obiettivi di prevenzione dei rifiuti o a modificare prodotti o imballaggi che generano troppi rifiuti.
10. Promozione di sistemi di gestione ambientale affidabili, come l'EMAS e la norma ISO 14001.
MISURE CHE POSSONO INCIDERE SULLA FASE DEL CONSUMO E DELL’UTILIZZO
11. Ricorso a strumenti economici, ad esempio incentivi per l’acquisto di beni e servizi meno inquinanti o imposizione ai consumatori di un pagamento obbligatorio per un determinato articolo o elemento dell’imballaggio che altrimenti sarebbe fornito gratuitamente.
12. Campagne di sensibilizzazione e diffusione di informazioni destinate al pubblico in generale o a specifiche categorie di consumatori.
13. Promozione di marchi di qualità ecologica affidabili.
14. Accordi con l’industria, ricorrendo ad esempio a gruppi di studio sui prodotti come quelli costituiti nell’ambito delle politiche integrate di prodotto, o accordi con i rivenditori per garantire la disponibilità di informazioni sulla prevenzione dei rifiuti e di prodotti a minor impatto ambientale.
15. Nell’ambito degli appalti pubblici e privati, integrazione dei criteri ambientali e di prevenzione dei rifiuti nei bandi di gara e nei contratti, coerentemente con quanto indicato nel manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili pubblicato dalla Commissione il 29 ottobre 2004.
16. Promozione del riutilizzo e/o della riparazione di determinati prodotti scartati, o loro componenti in particolare attraverso misure educative, economiche, logistiche o altro, ad esempio il sostegno o la creazione di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo, specialmente in regioni densamente popolate.
Allegato L-bis (articolo 206-quater, comma 2) CATEGORIE DI PRODOTTI CHE SONO OGGETTO DI INCENTIVI
ECONOMICI ALL’ACQUISTO, AI SENSI DELL’ARTICOLO 206-QUATER, COMMA 2
(allegato aggiunto
dall'allegato 1 alla legge n. 221 del 2015)
Categoria di prodotto | Percentuale minima in peso di materiale polimerico riciclato sul peso complessivo del componente sostituito | Incentivo in percentuale sul prezzo di vendita del prodotto al consumatore |
Cicli e veicoli a motore | >10% | 10% |
Elettrodomestici | >20% | 10% |
Contenitori per uso di igiene ambientale | >50% | 5% |
Arredo per interni | >50% | 5% |
Arredo urbano | >70% | 15% |
Computer | >10% | 10% |
Prodotti per la casa e per l’uffici | >10% | 10% |
Pannelli fonoassorbenti, barriere e segnaletica stradali | >30% | 10% |
Parte IV - Titolo III-bis Allegato 1
Allegato 1 al Titolo III-bis alla Parte Quarta - Norme tecniche e valori limite di emissione per gli impianti di incenerimento di rifiuti
Parte IV - Titolo III-bis Allegato 2
Allegato 2 al Titolo III-bis alla Parte Quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - Norme tecniche e valori limite di emissione per gli impianti di coincenerimento
Parte IV - Titolo III-bis Allegato 3
Allegato 3 al Titolo III-bis alla Parte Quarta - NORME TECNICHE PER IL COINCENERIMENTO DEI PRODOTTI TRASFORMATI DERIVATI DA MATERIALI DI CATEGORIA 1, 2 E 3 DI CUI AL REGOLAMENTO (CE) 1069/2009.
1. Tipologia: Prodotti trasformati e derivati da materiali di categoria 1, 2 e 3, ivi compresi i grassi; partite di alimenti zootecnici' contenenti frazioni dei materiali predetti.
1.1 Provenienza: impianti di trasformazione riconosciuti ai sensi del regolamento (CE) 1069/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, per le partite di alimenti zootecnici contenenti frazioni dei materiali predetti e' ammessa qualsiasi provenienza
1.2 Caratteristiche:
a) farina proteica animale e/o alimenti zootecnici aventi le seguenti caratteristiche: P.C.I. sul tal quale 12.000 kJ/kg min; umidità 10% max; ceneri sul secco 40% max.
b) grasso animale avente le seguenti caratteristiche: P.C.I. sul tal quale 30.000 kJ/kg min; umidità 2% max; ceneri sul secco 2% max. I parametri di cui ai punti a) e b) devono essere documentati dal produttore in aggiunta alla documentazione sanitaria prevista dalla vigente normativa.
1.3 Il coincenerimento con recupero energetico, comprende anche la relativa messa in riserva presso l'impianto. Durante tutte le fasi dell'attività' devono essere evitati il contatto diretto e la manipolazione dei rifiuti di cui al punto 1.2, nonché qualsiasi forma di dispersione ambientale degli stessi.
Parte IV - Riepilogo allegati Titolo V
ALLEGATO 1 - Criteri generali
per l'analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica
ALLEGATO 2 - Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati
ALLEGATO 3 - Criteri generali per la selezione e l'esecuzione degli interventi
di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza (d'urgenza, operativa
o permanente), nonché per l'individuazione delle migliori tecniche d'intervento
a costi sopportabili
ALLEGATO 4 - Criteri generali per l'applicazione di procedure semplificate
ALLEGATO 5 - Valori di concentrazione limite accettabili nel suolo e nel
sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare
Parte IV - Titolo V Allegato 1
ALLEGATO 1 - CRITERI GENERALI PER L’ANALISI DI RISCHIO SANITARIO AMBIENTALE SITO-SPECIFICA
PREMESSA
Il presente allegato definisce gli elementi necessari per la redazione dell’analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica (nel seguito analisi di rischio), da utilizzarsi per la definizione degli obiettivi di bonifica. L’analisi di rischio si può applicare prima, durante e dopo le operazioni di bonifica o messa in sicurezza.
L’articolato normativo fa riferimento a due criteri-soglia di intervento: il primo (CSC) da considerarsi valore di attenzione, superato il quale occorre svolgere una caratterizzazione ed il secondo (CSR) che identifica i livelli di contaminazione residua accettabili, calcolati mediante analisi di rischio, sui quali impostare gli interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica.
Il presente allegato definisce i criteri minimi da applicare nella procedura di analisi di rischio inversa che verrà utilizzata per il calcolo delle CSR, cioè per definire in modo rigoroso e cautelativo per l’ambiente gli obiettivi di bonifica aderenti alla realtà del sito, che rispettino i criteri di accettabilità del rischio cancerogeno e dell’indice di rischio assunti nei punti di conformità prescelti.
CONCETTI E PRINCIPI BASE
Nell’applicazione dell’analisi di rischio dei siti contaminati ed ai fini di una interpretazione corretta dei risultati finali occorre tenere conto dei seguenti concetti:
la grandezza rischio, in tutte le sue diverse accezioni, ha costantemente al suo interno componenti probabilistiche. Nella sua applicazione per definire gli obiettivi di risanamento è importante sottolineare che la probabilità non è legata all’evento di contaminazione (già avvenuto), quanto alla natura probabilistica degli effetti nocivi che la contaminazione, o meglio l’esposizione ad un certo contaminante, può avere sui ricettori finali.
Ai fini di una piena accettazione dei risultati dovrà essere posta una particolare cura nella scelta dei parametri da utilizzare nei calcoli, scelta che dovrà rispondere sia a criteri di conservatività, il principio della cautela è intrinseco alla procedura di analisi di rischio, che a quelli di sito-specificità ricavabili dalle indagini di caratterizzazione svolte.
L’individuazione e l’analisi dei potenziali percorsi di esposizione e dei bersagli e la definizione degli obiettivi di bonifica, in coerenza con gli orientamenti strategici più recenti, devono tenere presente la destinazione d’uso del sito prevista dagli strumenti di programmazione territoriale.
COMPONENTI DELL’ANALISI DI RISCHIO DA PARAMETRIZZARE
Sulla base della struttura del processo decisionale di “analisi di rischio”, indipendentemente dal tipo di metodologia impiegata, dovranno essere parametrizzate le seguenti componenti: contaminanti indice, sorgenti, vie e modalità di esposizione, ricettori finali.
Di seguito si presentano gli indirizzi necessari per la loro definizione ai fini dei calcoli.
Contaminanti indice
Particolare attenzione dovrà essere posta nella scelta delle sostanze di interesse (contaminanti indice) da sottoporre ai calcoli di analisi di rischio.
La scelta dei contaminanti indice, desunti dai risultati della caratterizzazione, deve tener conto dei seguenti fattori:
§ Superamento della o delle CSC, ovvero dei valori di fondo naturali.
§ Livelli di tossicità.
§ Grado di mobilità e persistenza nelle varie matrici ambientali
§ Correlabilità ad attività svolta nel sito
§ Frequenza dei valori superiori al CSC.
Sorgenti
Le indagini di caratterizzazione dovranno portare alla valutazione della geometria della sorgente: tale valutazione dovrà necessariamente tenere conto delle dimensioni globali del sito, in modo da procedere, eventualmente, ad una suddivisione in aree omogenee sia per le caratteristiche idrogeologiche che per la presenza di sostanze contaminanti, da sottoporre individualmente ai calcoli di analisi di rischio.
In generale l’esecuzione dell’analisi di rischio richiede l’individuazione di valori di concentrazione dei contaminanti rappresentativi in corrispondenza di ogni sorgente di contaminazione (suolo superficiale, suolo profondo, falda) secondo modalità e criteri che si diversificano in funzione del grado di approssimazione richiesto.
Tale valore verrà confrontato con quello ricavato dai calcoli di analisi di rischio, per poter definire gli interventi necessari. Salvo che per le contaminazioni puntuali (hot-spots), che verranno trattate in modo puntuale, tali concentrazioni dovranno essere di norma stabilite su basi statistiche (media aritmetica, media geometrica, UCL 95% del valore medio).
Le vie e le modalità di esposizione
Le vie di esposizione sono quelle mediante le quali il potenziale bersaglio entra in contatto con le sostanze inquinanti.
Si ha una esposizione diretta se la via di esposizione coincide con la sorgente di contaminazione; si ha una esposizione indiretta nel caso in cui il contatto del recettore con la sostanza inquinante avviene a seguito della migrazione dello stesso e quindi avviene ad una certa distanza dalla sorgente.
Le vie di esposizione per le quali occorre definire i parametri da introdurre nei calcoli sono le seguenti:
- Suolo superficiale (compreso fra piano campagna e 1 metro di profondità).
- Suolo profondo (compreso fra la base del precedente e la massima profondità indagata).
- Aria outdoor (porzione di ambiente aperto, aeriforme, dove si possono avere evaporazioni di sostanze inquinanti provenienti dai livelli più superficiali).
- Aria indoor (porzione di ambiente aeriforme confinata in ambienti chiusi)
- Acqua sotterranea (falda superficiale e/o profonda).
Le modalità di esposizione attraverso le quali può avvenire il contatto tra l’inquinante ed il bersaglio variano in funzione delle vie di esposizione sopra riportate e sono distinguibili in:
- ingestione di acqua potabile.
- ingestione di suolo.
- contatto dermico.
- inalazione di vapori e particolato.
I recettori o bersagli della contaminazione
Sono i recettori umani, identificabili in residenti e/o lavoratori presenti nel sito (on-site) o persone che vivono al di fuori del sito (off-site).
Di fondamentale importanza è la scelta del punto di conformità (soprattutto quello per le acque sotterranee) e del livello di rischio accettabile sia per le sostanze cancerogene che non-cancerogene.
- punto di conformità per le acque sotterranee
Il punto di conformità per le acque sotterranee rappresenta il punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale (ecologico, chimico e/o quantitativo) del corpo idrico sotterraneo, onde consentire tutti i suoi usi potenziali, secondo quanto previsto nella parte terza (in particolare articolo 76) e nella parte sesta del presente decreto (in particolare articolo 300). Pertanto in attuazione del principio generale di precauzione, il punto di conformità deve essere di norma fissato non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica e la relativa CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all'Allegato 5 della parte quarta del presente decreto. Valori superiori possono essere ammissibili solo in caso di fondo naturale più elevato o di modifiche allo stato originario dovute all'inquinamento diffuso, ove accertati o validati dalla Autorità pubblica competente, o in caso di specifici minori obiettivi di qualità per il corpo idrico sotterraneo o per altri corpi idrici recettori, ove stabiliti e indicati dall'Autorità pubblica competente, comunque compatibilmente con l'assenza di rischio igienico-sanitario per eventuali altri recettori a valle. A monte idrogeologico del punto di conformità così determinato e comunque limitatamente alle aree interne del sito in considerazione, la concentrazione dei contaminanti può risultare maggiore della CSR così determinata, purché compatibile con il rispetto della CSC al punto di conformità nonché compatibile con l'analisi del rischio igienico sanitario per ogni altro possibile recettore nell'area stessa.
- criteri di accettabilità del rischio cancerogeno e dell’indice di rischio
Si propone 1x10-6 come valore di rischio incrementale accettabile per la singola sostanza cancerogena e 1x10'5 come valore di rischio incrementale accettabile cumulato per tutte le sostanze cancerogene, mentre per le sostanze non cancerogene si applica il criterio del non superamento della dose tollerabile o accettabile (ADI o TDI) definita per la sostanza (Hazard Index complessivo 1).
PROCEDURE DI CALCOLO E STIMA DEL RISCHIO
Le procedure di calcolo finalizzate alla caratterizzazione quantitativa del rischio, data l’importanza della definizione dei livelli di bonifica (CSR), dovranno essere condotte mediante l’utilizzo di metodologie quale ad esempio ASTM PS 104, di comprovata validità sia dal punto di vista delle basi scientifiche che supportano gli algoritmi di calcolo, che della riproducibilità dei risultati.
PROCEDURA DI VALIDAZIONE
Al fine di consentire la validazione dei risultati ottenuti da parte degli enti di controllo e’ necessario avere la piena rintracciabilità dei dati di input con relative fonti e dei criteri utilizzati per i calcoli.
Gli elementi più importanti sono di seguito riportati:
§ Criteri di scelta dei contaminanti indice.
§ Modello concettuale del sito alla luce dei risultati delle indagini di caratterizzazione con percorsi di esposizione e punti di conformità.
§ Procedure di calcolo utilizzate.
§ Fonti utilizzate per la determinazione dei parametri di input degli algoritmi di calcolo.
Parte IV - Titolo V Allegato 2
ALLEGATO 2 - CRITERI GENERALI PER LA CARATTERIZZAZIONE DEI SITI CONTAMINATI
PREMESSA
La caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l’insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito. Le attività di caratterizzazione devono essere condotte in modo tale da permettere la validazione dei risultati finali da parte delle Pubbliche Autorità in un quadro realistico e condiviso delle situazioni di contaminazione eventualmente emerse.
Per caratterizzazione dei siti contaminati si intende quindi l’intero processo costituito dalle seguenti fasi:
1. Ricostruzione storica delle attività produttive svolte sul sito.
2. Elaborazione del Modello Concettuale Preliminare del sito e predisposizione di un piano di indagini ambientali finalizzato alla definizione dello stato ambientale del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee.
3. Esecuzione del piano di indagini e delle eventuali indagini integrative necessarie alla luce dei primi risultati raccolti.
4. Elaborazione dei risultati delle indagini eseguite e dei dati storici raccolti e rappresentazione dello stato di contaminazione del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee.
5. Elaborazione del Modello Concettuale Definitivo.
6. Identificazione dei livelli di concentrazione residua accettabili - sui quali impostare gli eventuali interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica, che si rendessero successivamente necessari a seguito dell’analisi di rischio- calcolati mediante analisi di rischio eseguita secondo i criteri di cui in Allegato 1.
La Caratterizzazione ambientale, sarà avviata successivamente alla approvazione da parte delle Autorità Competenti del Piano di indagini di cui al punto 1 e si riterrà conclusa con l’approvazione, in unica soluzione, da parte delle Autorità Competenti dell’intero processo sopra riportato, al termine delle attività di cui al punto 5 nel caso di non superamento delle CSC e al termine dell’attività di cui al punto 6 qualora si riscontri un superamento delle suddette concentrazioni.
Nella fase di attuazione dell’intero processo, l’Autorità competente potrà richiedere al Proponente stati di avanzamento dei lavori per ognuna delle fasi sopra riportate, rilasciando eventuali prescrizioni per ognuna delle fasi di cui sopra in un’unica soluzione. Per i Siti di interresse nazionale, i tempi e le modalità di approvazione delle fasi di cui sopra potranno essere disciplinate con appositi Accordi di Programma.
Il presente documento fa riferimento ai siti potenzialmente contaminati che non rientrano nella fattispecie a cui si applicano le procedure semplificate dell’Allegato 4.
PREDISPOSIZIONE DEL PIANO DI INDAGINI AMBIENTALI FINALIZZATO ALLA DEFINIZIONE DELLO STATO AMBIENTALE DEL SOTTOSUOLO
Tale fase si attua attraverso:
1. Raccolta dei dati esistenti ed elaborazione del Modello Concettuale Preliminare
2. Elaborazione del Piano di Investigazione Iniziale comprendente: indagini, campionamenti e analisi da svolgere mediante prove in sito ed analisi di laboratorio
3. Ogni altra indagine, campionamento e analisi finalizzati alla definizione dello stato ambientale del sottosuolo e dei livelli di concentrazione accettabili per il terreno e le acque sotterranee
Modello concettuale preliminare
Il modello concettuale preliminare è realizzato sulla base delle informazioni storiche disponibili prima dell’inizio del Piano di investigazione, nonché di eventuali indagini condotte nelle varie matrici ambientali nel corso della normale gestione del sito. Con il modello concettuale preliminare vengono infatti descritte: caratteristiche specifiche del sito in termini di potenziali fonti della contaminazione; estensione, caratteristiche e qualità preliminari delle matrici ambientali influenzate dalla presenza dell’attività esistente o passata svolta sul sito; potenziali percorsi di migrazione dalle sorgenti di contaminazione ai bersagli individuati. Tale modello deve essere elaborato prima di condurre l’attività di campo in modo da guidare la definizione del Piano di investigazione.
Parte integrante e fondamentale del modello concettuale del sito è la definizione preliminare, sulla base delle informazioni storiche a disposizione, delle caratteristiche idrogeologiche degli acquiferi superficiali e profondi in quanto possibili veicoli della contaminazione.
Per la redazione del Modello Concettuale preliminare dovranno essere considerate le eventuali indagini condotte nelle varie matrici ambientali nel corso della normale gestione del sito, prima dell’attuazione del piano di indagini.
Piano di indagini
Il piano di indagini dovrà contenere la dettagliata descrizione delle attività che saranno svolte in campo ed in laboratorio per la caratterizzazione ambientale del sito. Il Proponente dovrà includere in tale documento le specifiche tecniche per l’esecuzione delle attività (procedure di campionamento, le misure di campo, modalità di identificazione, conservazione e trasporto dei campioni, metodiche analitiche, ecc. ) che una volta approvate dalle Autorità Competenti, prima dell’inizio dei lavori, costituiranno il protocollo applicabile per la caratterizzazione del sito.
Le fonti potenziali di inquinamento sono definite sulla base del Modello Concettuale Preliminare del sito e comprendono: luoghi di accumulo e stoccaggio di rifiuti e materiali, vasche e serbatoi interrati e fuori terra, pozzi disperdenti, cumuli di rifiuti in contenitori o dispersi, tubazioni e fognature, ecc...
Le indagini avranno l’obiettivo di:
- verificare l'esistenza di inquinamento di suolo, sottosuolo e acque sotterranee; definire il grado, l'estensione volumetrica dell'inquinamento; delimitare il volume delle aree di interramento di rifiuti;
- individuare le possibili vie di dispersione e migrazione degli inquinanti dalle fonti verso i potenziali ricettori;
- ricostruire le caratteristiche geologiche ed idrogeologiche dell'area al fine di sviluppare il modello concettuale definitivo del sito;
- ottenere i parametri necessari a condurre nel dettaglio l'analisi di rischio sito specifica;
- individuare i possibili ricettori.
A tal fine devono essere definiti:
- l’ubicazione e tipologia delle indagini da svolgere, sia di tipo diretto, quali sondaggi e piezometri, sia indiretto, come i rilievi geofisici;
- il piano di campionamento di suolo, sottosuolo, rifiuti e acque sotterranee;
- il piano di analisi chimico-fisiche e le metodiche analitiche;
- la profondità da raggiungere con le perforazioni, assicurando la protezione degli acquiferi profondi ed evitando il rischio di contaminazione indotta dal campionamento ;
- le metodologie di interpretazione e restituzione dei risultati.
Ubicazione dei punti di campionamento
L’ubicazione dei punti di campionamento deve essere stabilita in modo da corrispondere agli obiettivi indicati nei criteri generali. Per ogni matrice ambientale investigata (suolo, sottosuolo, acque sotterranee) si possono presentare due principali strategie per selezionare l’ubicazione dei punti di sondaggio e prelievo:
1. la scelta è basata sull’esame dei dati storici a disposizione e su tutte le informazioni sintetizzate nel modello concettuale preliminare e deve essere mirata a verificare le ipotesi formulate nel suddetto modello in termini di presenza, estensione e potenziale diffusione della contaminazione; questa scelta è da preferirsi per i siti complessi qualora le informazioni storiche e impiantistiche a disposizione consentano di prevedere la localizzazione delle aree più vulnerabili e delle più probabili fonti di contaminazione [“ubicazione ragionata”]
2. la scelta della localizzazione dei punti è effettuata sulla base di un criterio di tipo casuale o statistico, ad esempio campionamento sulla base di una griglia predefinita o casuale; questa scelta è da preferirsi ogni volta che le dimensioni dell’area o la scarsità di informazioni storiche e impiantistiche sul sito non permettano di ottenere una caratterizzazione preliminare soddisfacente e di prevedere la localizzazione delle più probabili fonti di contaminazione [“ubicazione sistematica”]
A seconda della complessità del sito, i due approcci di cui sopra possono essere applicati contemporaneamente in funzione del differente utilizzo delle aree del sito. In particolare, nella scelta dei punti di indagine si terrà conto della diversità tra aree dismesse e/o libere da impianti e aree occupate da impianti, collocando i punti di campionamento in corrispondenza dei punti di criticità, valutando nel contempo la configurazione impiantistica e lo schema dei relativi sottoservizi.
Oltre ai criteri di cui sopra, l’applicazione di tecniche indirette di indagine, la dove applicabili (analisi del gas interstiziale del suolo, indagini geofisiche indirette, ecc.), potrà essere utilizzata al fine di determinare una migliore ubicazione dei punti di indagine diretta (prelievi di terreno e acqua) ed ottenere una maggiore copertura areale delle informazioni. In tal caso il proponente potrà presentare un piano di indagini per approfondimenti successivi utilizzando le indagini indirette per formulare il modello concettuale preliminare del sito e concordando con le Autorità competenti modalità di discussione ed approvazione degli stati di avanzamento delle indagini. In tal caso il piano di indagini dovrà contenere una dettagliata descrizione della validità e della applicabilità delle tecniche di indagine indirette utilizzate.
Al fine di conoscere la qualità delle matrici ambientali (valori di fondo) dell’ambiente in cui è inserito il sito potrà essere necessario prelevare campioni da aree adiacenti il sito. Tali campioni verranno utilizzati per determinare i valori di concentrazione delle sostanze inquinanti per ognuna delle componenti ambientali rilevanti per il sito in esame; nel caso di campionamento di suoli, la profondità ed il tipo di terreno da campionare deve corrispondere, per quanto possibile, a quelli dei campioni raccolti nel sito.
Selezione delle sostanze inquinanti da ricercare
La selezione dei parametri dovrà avvenire essenzialmente sulla base seguente processo:
Esame del ciclo produttivo e/o dei dati storici del sito (processo industriale, materie prime, intermedi, prodotti e reflui generati nel caso di un’area industriale dimessa; materiali smaltiti nel caso di una discarica; prodotti coinvolti nel caso di versamenti accidentali, eventuali analisi esistenti, etc.), per la definizione di un “set standard” di analiti (sia per le analisi dei terreni sia per quelle delle acque sotterranee) concettualmente applicabile, nel corso delle indagini, alla generalità delle aree di interesse.
Esame dello stato fisico, della stabilità e delle caratteristiche di reale pericolosità delle sostanze individuate nel “set standard” di analiti di cui al punto precedente per eseguire solo su queste la caratterizzazione completa di laboratorio;
Nei punti distanti dalle possibili sorgenti di contaminazione si potrà inoltre selezionare un numero limitato di parametri indicatori, scelti sulla base della tossicità e mobilità dei contaminanti e dei relativi prodotti di trasformazione.
Il percorso logico di cui sopra dovrà essere validato prima dell’inizio dei lavori con l’approvazione del Piano di Indagini presentato dal proponente. Si potrà valutare la possibilità e l’opportunità di modulare il piano analitico in funzione delle peculiarità delle varie sub aree di interesse, individuando set specifici.
Modalità di esecuzione sondaggi e piezometri
I sondaggi saranno eseguiti, per quanto possibile, mediante carotaggio continuo a infissione diretta, rotazione/rotopercussione a secco, utilizzando un carotiere di diametro idoneo ed evitando fenomeni di surriscaldamento.
I sondaggi da attrezzare a piezometro saranno realizzati, per quanto possibile, a carotaggio continuo a rotazione/rotopercussione a secco, utilizzando un carotiere di diametro idoneo.
Campionamento terreni e acque sotterranee
Tutte le operazioni che saranno svolte per il campionamento delle matrici ambientali, il prelievo, la formazione, il trasporto e la conservazione del campione e per le analisi di laboratorio dovranno essere documentate con verbali quotidiani.
Dovrà inoltre essere riportato l’elenco e la descrizione dei materiali e delle principali attrezzature utilizzati.
Il piano di indagini dovrà contenere una dettagliata descrizione delle procedure di campionamento dei terreni e delle acque, le misure da effettuare in campo, le modalità di identificazione, conservazione e trasporto dei campioni, che una volta approvate dalle Autorità Competenti, prima dell’inizio dei lavori, costituiranno l’unico protocollo applicabile per la caratterizzazione del sito.
Ogni campione è suddiviso in due aliquote, una per l’analisi da condurre ad opera dei soggetti privati, una per archivio a disposizione dell’ente di controllo.
L’eventuale terza aliquota, quando richiesta, sarà confezionata in contraddittorio solo alla presenza dell’ente di controllo, sigillando il campione che verrà firmato dagli addetti incaricati, verbalizzando il relativo prelievo. La copia di archivio verrà conservata a temperatura idonea, sino all’esecuzione e validazione delle analisi di laboratorio da parte dell’ente di controllo preposto.
Terreni
I criteri che devono essere adottati nella formazione di campioni di terreno che si succedono lungo la colonna di materiali prelevati sono:
- ottenere la determinazione della concentrazione delle sostanze inquinanti per strati omogenei dal punto di vista litologico;
- prelevare separatamente, in aggiunta ai campioni previsti per sondaggio, materiali che si distinguono per evidenze di inquinamento o per caratteristiche organolettiche, chimico-fisiche e litologico-stratigrafiche. Analisi di campo e analisi semiquantitative (p.es. test in sito dello spazio di testa) potranno essere utilizzate, laddove applicabili, per selezionare tali campioni e per ottenere una maggiore estensione delle informazioni sulla verticale. I campioni relativi a particolari evidenze o anomalie sono formati per spessori superiori ai 50 cm.
Per corrispondere ai criteri indicati, da ciascun sondaggio i campioni dovranno essere formati distinguendo almeno:
- campione 1: da 0 a –1 metro dal piano campagna;
- campione 2: 1 m che comprenda la zona di frangia capillare;
- campione 3: 1 m nella zona intermedia tra i due campioni precedenti.
Con eccezione dei casi in cui esista un accumulo di rifiuti nella zona satura, la caratterizzazione del terreno sarà concentrata sulla zona insatura. Quando il campionamento dei terreni è specificatamente destinato a composti volatili, non viene previsto il campionamento in doppia aliquota.
Il campione dovrà essere formato immediatamente a seguito dell’estrusione del materiale dal carotiere in quantità significative e rappresentative. Un apposito campione dovrà essere prelevato nel caso in cui si debba provvedere alla classificazione granulometrica del terreno.
Quando sono oggetto di indagine rifiuti interrati, in particolare quando sia prevista la loro rimozione e smaltimento come rifiuto, si procederà al prelievo e all'analisi di un campione medio del materiale estratto da ogni posizione di sondaggio.
I sondaggi, dopo il prelievo dei campioni di terreno, saranno sigillati con riempimento dall’alto o iniezione di miscele bentonitiche dal fondo.
Acque sotterranee
Ai fini del presente documento si intende rappresentativo della composizione delle acque sotterranee il campionamento dinamico.
Qualora debba essere prelevata solamente la fase separata di sostanze non miscibili oppure si sia in presenza di acquiferi poco produttivi, può essere utilizzato il campionamento statico.
Qualora sia rinvenuto nei piezometri del prodotto surnatante in fase libera, occorrerà provvedere ad un campionamento selettivo del prodotto; sui campioni prelevati saranno condotti i necessari accertamenti di laboratorio finalizzati alla sua caratterizzazione per determinarne se possibile l’origine.
Metodiche analitiche
Le attività analitiche verranno eseguite da laboratori pubblici o privati che garantiscano di corrispondere ai necessari requisiti di qualità. Le metodiche analitiche applicate dovranno essere concordate fra le parti prima dell’inizio dei lavori, in fase di approvazione del piano di indagine proposto.
Analisi chimica dei terreni
Ai fini di ottenere l’obiettivo di ricostruire il profilo verticale della concentrazione degli inquinanti nel terreno, i campioni da portare in laboratorio dovranno essere privi della frazione maggiore di 2 cm (da scartare in campo) e le determinazioni analitiche in laboratorio dovranno essere condotte sull’aliquota di granulometria inferiore a 2 mm. La concentrazione del campione dovrà essere determinata riferendosi alla totalità dei materiali secchi, comprensiva anche dello scheletro.
Le analisi chimiche saranno condotte adottando metodologie ufficialmente riconosciute, tali da garantire l’ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione limite.
Analisi chimica delle acque
Le analisi chimiche saranno condotte adottando metodologie ufficialmente riconosciute, tali da garantire l’ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione limite.
Attività di controllo
Le attività di controllo da parte della Pubblica Autorità sarà soprattutto qualitativo e potrà essere realizzato durante lo svolgimento delle attività di campo, attraverso la verifica dell’applicazione delle specifiche definite nel Piano di Indagini. Le attività di campo, saranno descritte e cura del responsabile del sito, con la redazione del Giornale dei Lavori, che sarà verificato e validato dai Responsabili degli Enti preposti al controllo.
Le attività di controllo da parte degli enti preposti, potrà essere realizzato durante lo svolgimento delle analisi di laboratorio, seguendone le diverse fasi.
I Responsabili degli Enti preposti al controllo, potranno pertanto verificare, attraverso un sistema di controllo qualità, la corretta applicazione :
- delle metodiche analitiche;
- dei sistemi utilizzati;
- del rispetto delle Buone Pratiche di Laboratorio.
Tutte le fasi operative di laboratorio, comprese le attività di controllo degli Enti preposti, saranno descritte nel giornale lavori di laboratorio, che potrà essere verificato e validato dai Responsabili degli stessi Enti.
La validazione dell’intero percorso analitico, dal prelievo dal campione alla restituzione del dato, potrà essere eseguita dagli Enti di Controllo, attraverso l’approvazione dei certificati analitici.
ESECUZIONE DI EVENTUALI INDAGINI INTEGRATIVE
Sulla base dei risultati del Piano di Indagini eseguito in conformità con le specifiche in esso contenute, il Proponente potrà procedere, se ritenuto necessario, alla predisposizione di indagini integrative mirate alla migliore definizione del Modello Concettuale Definitivo del sito.
Per indagini integrative si intendono quindi tutte le indagini mirate alla definizione dei parametri sito specifici necessari per l’applicazione dell’analisi di rischio ed eventualmente alla migliore calibrazione dei modelli di calcolo impiegati, che non sia stato possibile caratterizzare con le indagini iniziali.
Tali indagini possono includere: campionamenti e analisi di terreno e acque sotterranee con le modalità riportate ai paragrafi precedenti; prove specifiche per verificare la stabilità e la mobilità dei contaminanti (test di permeabilità, test di cessione, ecc.); prove e test in sito per verificare la naturale attenuazione dei contaminanti nel terreno e nelle acque sotterranee.
Tutte le indagini integrative proposte saranno dettagliatamente descritte e motivate in un documento tecnico che sarà presentato dal Proponente, prima dell’inizio dei lavori, alla Autorità Competenti, per eventuali prescrizioni.
RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI CONTAMINAZIONE DEL SOTTOSUOLO
Tutti i risultati analitici ricavati nel corso delle fasi di indagine costituiscono la base di dati a cui riferirsi per definire il modello concettuale del sito e definire il grado e l'estensione della contaminazione nel sito.
L'obiettivo è quello di raccogliere e rappresentare tutti gli elementi che servono a definire: l'estensione dell'area da bonificare; i volumi di suolo contaminato; le caratteristiche rilevanti dell'ambiente naturale e costruito; il grado di inquinamento delle diverse matrici ambientali.
L'elaborazione dei risultati analitici deve esprimere l'incertezza del valore di concentrazione determinato per ciascun campione: in considerazione della eterogeneità delle matrici suolo, sottosuolo e materiali di riporto la deviazione standard per ogni valore di concentrazione determinato, da confrontare con i valori di concentrazione limite accettabili, dovrà essere stabilita sulla base del confronto delle metodologie che si intendono adottare per il campionamento e per le analisi dei campioni di terreno e di acqua.
Nella relazione che accompagna la presentazione dei risultati delle analisi devono essere riportati i metodi e calcoli statistici adottati nell'espressione dei risultati e della deviazione standard.
I risultati delle attività di indagine svolte sul sito e in laboratorio devono essere espressi sotto forma di tabelle di sintesi, di rappresentazioni grafiche e cartografiche, tra cui devono essere realizzate:
- carte geologiche, strutturali ed idrogeologiche;
- carte dell'ubicazione delle indagini svolte e dei punti di campionamento;
- carte piezometriche, con evidenziazione delle direzioni prevalenti di flusso e dei punti di misura;
- carte di rappresentazione della contaminazione.
In particolare, carte di rappresentazione della isoconcentrazione dei contaminanti (es. curve di isoconcentrazione) potranno essere utilizzate principalmente per le acque sotterranee e applicate alla contaminazione del terreno qualora le condizioni di omogeneità del sottosuolo lo consentano.
Per i Siti di Interesse nazionale, potrà essere realizzata una banca-dati informatizzata collegata ad un Sistema Informativo Territoriale (SIT/GIS) per permettere la precisa archiviazione di tutti dati relativi al sito e dei risultati di ogni tipo di investigazione.
ELABORAZIONE DI UN MODELLO CONCETTUALE DEFINITIVO DEL SITO
L’elaborazione di un Modello Concettuale Definitivo del sito è mirata alla rappresentazione dell’interazione tra lo stato di contaminazione del sottosuolo, ricostruita e rappresentata conformemente al paragrafo precedente, e l’ambiente naturale e/o costruito.
Il Modello Concettuale costituisce pertanto la base per l’applicazione dell’Analisi di Rischio che dovrà verificare gli scenari di esposizione in esso definiti.
Il Modello Concettuale Definitivo include:
• le caratteristiche specifiche del sito in termini di stato delle potenziali fonti della contaminazione (attive, non attive, in sicurezza, ecc.);
• grado ed estensione della contaminazione del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali e sotterranee del sito e dell'ambiente da questo influenzato; a tale fine dovranno essere individuati dei parametri specifici di rappresentazione (ad esempio; concentrazione media della sorgente secondaria di contaminazione);
• percorsi di migrazione dalle sorgenti di contaminazione ai bersagli individuati nello scenario attuale (siti in esercizio) o nello scenario futuro (in caso di riqualificazione dell’area).
Informazioni di dettaglio sulla formulazione del Modello Concettuale Definitivo ai fini dell’applicazione dell’Analisi di Rischio sono riportate nell’Allegato 1. In particolare, nel caso di siti in esercizio, il modello concettuale dovrà inoltre includere tutte le informazioni necessarie per stabilire le priorità di intervento per la eventuale verifica delle sorgenti primarie di contaminazione e la messa in sicurezza e bonifica del sottosuolo.
Parte integrante del modello concettuale del sito è la definizione del modello idrogeologico dell’area che descrive in dettaglio le caratteristiche idrogeologiche degli acquiferi superficiali e profondi in quanto possibili veicoli della contaminazione.
IDENTIFICAZIONE DEI LIVELLI DI CONCENTRAZIONE RESIDUA ACCETTABILI
Fatto salvo quanto previsto per i casi in cui si applicano le procedure semplificate di cui in Allegato 4, la Caratterizzazione del sito si riterrà conclusa con la definizione da parte del Proponente e l’approvazione da parte delle Autorità Competenti, dei livelli di concentrazione residua accettabili nel terreno e nelle acque sotterranee mediante l’applicazione dell’analisi di rischio secondo quanto previsto dall’Allegato 1.
L’Analisi di Rischio dovrà essere sviluppata verificando i percorsi di esposizione attivi individuati dal Modello Concettuale di cui al paragrafo precedente.
Parte IV - Titolo V Allegato 3
ALLEGATO 3 - CRITERI GENERALI PER LA SELEZIONE E L’ESECUZIONE DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA E RIPRISTINO AMBIENTALE, DI MESSA IN SICUREZZA (D’URGENZA, OPERATIVA O PERMANENTE), NONCHE’ PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE MIGLIORI TECNICHE D’INTERVENTO A COSTI SOPPORTABILI
Premessa
Il presente allegato si propone di illustrare i criteri generali da seguire sia nella selezione che nell’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza d’urgenza, messa in sicurezza operativa, messa in sicurezza permanente, nonché degli interventi in cui si faccia ricorso a batteri, ceppi batterici mutanti e stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo.
Sono presentate, quindi, le diverse opzioni da prendere in considerazione sia per pervenire ad un’effettiva eliminazione/riduzione della contaminazione, sia per conseguire un’efficace azione di protezione delle matrici ambientali influenzate dagli effetti del sito, mediante la messa in sicurezza dello stesso, qualora le tecniche di bonifica dovessero risultare meno efficaci, ovvero non sostenibili economicamente ovvero non compatibili con la prosecuzione delle attività produttive.
Per i siti “in esercizio”, infatti, laddove un intervento di bonifica intensivo comporterebbe delle limitazioni se non l’interruzione delle attività di produzione, il soggetto responsabile dell’inquinamento o il proprietario del sito può ricorrere, in alternativa, ad interventi altrettanto efficaci di messa in sicurezza dell’intero sito, finalizzati alla protezione delle matrici ambientali sensibili mediante il contenimento degli inquinanti all’interno dello stesso, e provvedere gradualmente all’eliminazione delle sorgenti inquinanti secondarie in step successivi programmati, rimandando la bonifica alla dismissione delle attività.
Le modalità di gestione dei rifiuti e delle acque di scarico, o meglio, gli accorgimenti tecnici che possono essere previsti e progettati per evitare la produzione di rifiuti (per es. il riutilizzo delle acque e dei terreni) incidono in maniera determinante sui costi di un intervento a parità di obiettivi di bonifica o di messa in sicurezza da raggiungere.
Tale situazione è particolarmente rilevante nel caso di siti in esercizio.
Criteri generali per gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza
Interventi di bonifica
La bonifica di un sito inquinato è finalizzata ad eliminare l'inquinamento delle matrici ambientali o a ricondurre le concentrazioni delle sostanze inquinanti in suolo, sottosuolo, acque sotterranee e superficiali, entro i valori soglia di contaminazione (CSC) stabiliti per la destinazione d'uso prevista o ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) definiti in base ad una metodologia di Analisi di Rischio condotta per il sito specifico sulla base dei criteri indicati nell'Allegato 1.
Interventi di messa in sicurezza
Gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati alla rimozione e all’isolamento delle fonti inquinanti, e al contenimento della diffusione degli inquinanti per impedirne il contatto con l’uomo e con i recettori ambientali circostanti.
Essi hanno carattere di urgenza in caso di rilasci accidentali o di improvviso accertamento di una situazione di contaminazione o di pericolo di contaminazione (messa in sicurezza d’urgenza), ovvero di continuità e compatibilità con le lavorazioni svolte nei siti produttivi in esercizio (messa in sicurezza operativa), ovvero di definitività nei casi in cui, nei siti non interessati da attività produttive in esercizio, non sia possibile procedere alla rimozione degli inquinanti pur applicando le migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili di cui al presente allegato (messa in sicurezza permanente).
La messa in sicurezza di un sito inquinato è comprensiva delle azioni di monitoraggio e controllo finalizzate alla verifica nel tempo delle soluzioni adottate ed il mantenimento dei valori di concentrazione degli inquinanti nelle matrici ambientali interessate al di sotto dei valori soglia di rischio (CSR).
Gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza devono essere condotti secondo i seguenti criteri tecnici generali:
a) privilegiare le tecniche di bonifica che riducono permanentemente e significativamente la concentrazione nelle diverse matrici ambientali, gli effetti tossici e la mobilità delle sostanze inquinanti;
b) privilegiare le tecniche di bonifica tendenti a trattare e riutilizzare il suolo nel sito, trattamento in-situ ed on-site del suolo contaminato, con conseguente riduzione dei rischi derivanti dal trasporto e messa a discarica di terreno inquinato;
c) privilegiare le tecniche di bonifica/messa in sicurezza permanente che blocchino le sostanze inquinanti in composti chimici stabili (ed es. fasi cristalline stabili per metalli pesanti).
d) privilegiare le tecniche di bonifica che permettono il trattamento e il riutilizzo nel sito anche dei materiali eterogenei o di risulta utilizzati nel sito come materiali di riempimento;
e) prevedere il riutilizzo del suolo e dei materiali eterogenei sottoposti a trattamenti off-site sia nel sito medesimo che in altri siti che presentino le caratteristiche ambientali e sanitarie adeguate;
f) privilegiare negli interventi di bonifica e ripristino ambientale l'impiego di materiali organici di adeguata qualità provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;
g) evitare ogni rischio aggiuntivo a quello esistente di inquinamento dell'aria, delle acque sotterranee e superficiali, del suolo e sottosuolo, nonché ogni inconveniente derivante da rumori e odori;
h) evitare rischi igienico-sanitari per la popolazione durante lo svolgimento degli interventi;
i) adeguare gli interventi di ripristino ambientale alla destinazione d'uso e alle caratteristiche morfologiche, vegetazionali e paesistiche dell'area.
j) per la messa in sicurezza privilegiare gli interventi che permettano il trattamento in situ ed il riutilizzo industriale dei terreni, dei materiali di risulta e delle acque estratte dal sottosuolo, al fine di conseguire una riduzione del volume di rifiuti prodotti e della loro pericolosità;
k) adeguare le misure di sicurezza alle caratteristiche specifiche del sito e dell'ambiente da questo influenzato;
l) evitare ogni possibile peggioramento dell’ambiente e del paesaggio dovuto dalle opere da realizzare.
Nel progetto relativo agli interventi da adottare si dovrà presentare, infatti, una dettagliata analisi comparativa delle diverse tecnologie di intervento applicabili al sito in esame, in considerazione delle specifiche caratteristiche dell'area, in termini di efficacia nel raggiungere gli obiettivi finali, concentrazioni residue, tempi di esecuzione, impatto sull'ambiente circostante degli interventi; questa analisi deve essere corredata da un'analisi dei costi delle diverse tecnologie.
Le alternative presentate dovranno permettere di comparare l'efficacia delle tecnologie anche in considerazione delle risorse economiche disponibili per l’esecuzione degli interventi.
Nel progetto si dovrà inoltre indicare se, qualora previste, si dovrà procedere alla rimozione o al mantenimento a lungo termine delle misure di sicurezza, e dei relativi controlli e monitoraggi.
Messa in sicurezza d'urgenza
Gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza sono mirati a rimuovere le fonti inquinanti primarie e secondarie, ad evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate e matrici ambientali adiacenti, ad impedire il contatto diretto della popolazione con la contaminazione presente.
Gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza devono essere attuati tempestivamente a seguito di incidenti o all'individuazione di una chiara situazione di pericolo di inquinamento dell'ambiente o di rischio per la salute umana, per rimuovere o isolare le fonti di contaminazione e attuare azioni mitigative per prevenire ed eliminare pericoli immediati verso l'uomo e l'ambiente circostante. Tali interventi, in assenza di dati specifici, vengono definiti in base ad ipotesi cautelative.
Di seguito vengono riportate le principali tipologie di interventi di messa in sicurezza d’urgenza:
- rimozione dei rifiuti ammassati in superficie, svuotamento di vasche, raccolta sostanze pericolose sversate;
- pompaggio liquidi inquinanti galleggianti, disciolti o depositati in acquiferi superficiali o sotterranei;
- installazione di recinzioni, segnali di pericolo e altre misure di sicurezza e sorveglianza; - installazione di trincee drenanti di recupero e controllo; - costruzione o stabilizzazione di argini;
- copertura o impermeabilizzazione temporanea di suoli e fanghi contaminati;
- rimozione o svuotamento di bidoni o container abbandonati, contenenti materiali o sostanze potenzialmente pericolosi.
In caso di adozione di interventi di messa in sicurezza d’urgenza sono previste attività di monitoraggio e controllo finalizzate a verificare il permanere nel tempo delle condizioni che assicurano la protezione ambientale e della salute pubblica.
Messa in sicurezza operativa
Gli interventi di messa in sicurezza operativa si applicano ai siti contaminati in cui siano presenti attività produttive in esercizio.
Tali interventi sono finalizzati a minimizzare o ridurre il rischio per la salute pubblica e per l’ambiente a livelli di accettabilità attraverso il contenimento degli inquinanti all’interno dei confini del sito, alla protezione delle matrici ambientali sensibili, e alla graduale eliminazione delle sorgenti inquinanti secondarie mediante tecniche che siano compatibili col proseguimento delle attività produttive svolte nell’ambito del sito.
Gli interventi di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da idonei sistemi di monitoraggio e controllo atti a verificare l’efficacia delle misure adottate e il mantenimento nel tempo delle condizioni di accettabilità del rischio.
E’ opportuno progettare tali interventi dopo aver eseguito la caratterizzazione ambientale del sito, finalizzata ad un’analisi di rischio sito-specifica.
Devono pertanto essere acquisite sufficienti informazioni sulla contaminazione presente, sulle caratteristiche degli acquiferi sottostanti e delle altre possibili vie di migrazione degli inquinanti, sui possibili punti di esposizione, e sui probabili bersagli ambientali ed umani.
Nelle operazioni di messa in sicurezza devono essere privilegiate le soluzioni
tecniche che consentano di minimizzare la produzione di rifiuti e pertanto
favoriscano:
- il trattamento on-site ed il riutilizzo del terreno eventualmente estratto dal sottosuolo;
- il riutilizzo nel sito come materiali di riempimento anche dei materiali eterogenei e di risulta;
- la reintroduzione nel ciclo di lavorazione delle materie prime recuperate;
- il risparmio idrico mediante il riutilizzo industriale delle acque emunte dal sottosuolo;
Le misure di messa in sicurezza operativa si distinguono in:
- mitigative;
- di contenimento.
Misure mitigative
Per misure mitigative della messa in sicurezza operativa si intendono gli interventi finalizzati ad isolare, immobilizzare, rimuovere gli inquinanti dispersi nel suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee.
Esse sono attuate in particolare con:
- sistemi fissi o mobili di emungimento e recupero con estrazione monofase o plurifase;
- trincee drenanti;
- sistemi di ventilazione del sottosuolo insaturo e degli acquiferi ed estrazione dei vapori;
- sistemi gestionali di pronto intervento in caso di incidente che provochi il rilascio di sostanze inquinanti sul suolo, sottosuolo, corpi idrici;
Misure di contenimento
Esse hanno il compito di impedire la migrazione dei contaminanti verso ricettori ambientali sensibili, quali acque superficiali e sotterranee. Esse sono generalmente applicate in prossimità dei confini del sito produttivo.
Esse si dividono in:
- misure di sbarramento passive di natura fisica o statica;
- misure di sbarramento attive di natura idraulica o dinamica;
- misure di sbarramento reattive di natura chimica.
Tra le prime si possono elencare:
- barriere o diaframmi verticali in acciaio o in altri materiali impermeabili; essi possono essere realizzati mediante infissione, escavazione, gettiniezione, iniezione, congelamento, miscelazione in situ, o misti di due o più delle precedenti tipologie;
- sistemi di impermeabilizzazione sotterranei e di immobilizzazione degli inquinanti.
Tra le misure attive e di natura idraulica vi sono:
- sbarramenti realizzati con pozzi di emungimento con pompaggio adeguato ad intercettare il flusso di sostanze inquinanti presenti nelle acque sotterranee;
- trincee di drenaggio delle acque sotterranee possibilmente dotate di sistemi di prelievo di acque contaminate;
- sistemi idraulici di stabilizzazione degli acquiferi sotterranei;
Le misure di sbarramento di tipo reattivo operano l’abbattimento delle concentrazioni degli inquinanti nelle acque di falda mediante sistemi costituiti da sezioni filtranti in cui vengono inserirti materiali in grado di degradare i contaminanti (barriere reattive permeabili).
Bonifica e ripristino ambientale; messa in sicurezza permanente
Tali tipologie possono considerarsi come interventi definitivi da realizzarsi sul sito non interessato da attività produttive in esercizio, al fine di renderlo fruibile per gli utilizzi previsti dagli strumenti urbanistici.
La definizione e la realizzazione degli interventi di bonifica/messa in sicurezza permanente devono essere precedute da un'accurata attività di caratterizzazione del sito inquinato e dell'area soggetta agli effetti dell'inquinamento presente nel sito, sulla base dei criteri di cui all’Allegato 2.
Gli obiettivi di bonifica o della messa in sicurezza permanente sono determinati mediante un’analisi di rischio condotta per il sito specifico secondo i criteri di cui all’Allegato 1, e devono tener conto della specifica destinazione d’uso prevista.
La scelta della soluzione da adottare tiene conto del processo di valutazione dei benefici ambientali e della sostenibilità dei costi delle diverse tecniche applicabili, secondo i criteri di seguito, anche in relazione alla destinazione d’uso del sito.
La definizione di un programma di bonifica/messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale di un sito inquinato può essere schematizzata in questo modo:
- definizione della destinazione d'uso del sito prevista dagli strumenti urbanistici;
- acquisizione dei dati di caratterizzazione del sito, dell'ambiente e del territorio influenzati, secondo i criteri definiti nell’Allegato 2;
- definizione degli obiettivi da raggiungere, secondo i criteri definiti nell’Allegato 1, e selezione della tecnica di bonifica.
- selezione della tecnica di bonifica e definizione degli obiettivi da raggiungere, secondo i criteri definiti nell’Allegato 1;
- selezione delle eventuali misure di sicurezza aggiuntive;
- studio della compatibilità ambientale degli interventi;
- definizione dei criteri di accettazione dei risultati;
- controllo e monitoraggio degli interventi di bonifica/messa in sicurezza permanente e delle eventuali misure di sicurezza,
- definizione delle eventuali limitazioni e prescrizioni all'uso del sito.
Gli interventi di bonifica/messa in sicurezza permanente devono assicurare per ciascun sito in esame il raggiungimento degli obiettivi previsti col minor impatto ambientale e la maggiore efficacia, in termini di accettabilità del rischio di eventuali concentrazioni residue nelle matrici ambientali e di protezione dell'ambiente e della salute pubblica.
Il sistema di classificazione generalmente adottato per individuare la tipologia di intervento definisce:
- interventi in-situ: effettuati senza movimentazione o rimozione del suolo;
- interventi ex situ on-site: con movimentazione e rimozione di materiali e suolo inquinato, ma con trattamento nell'area del sito stesso e possibile riutilizzo;
- interventi ex situ off-site: con movimentazione e rimozione di materiali e suolo inquinato fuori dal sito stesso, per avviare i materiali e il suolo negli impianti di trattamento autorizzati o in discarica.
Il collaudo degli interventi di bonifica/messa in sicurezza permanente dovrà valutare la rispondenza tra il progetto definitivo e la realizzazione in termini di:
- raggiungimento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) o di concentrazioni soglia di rischio (CSR) in caso di intervento di bonifica;
- efficacia delle misure di sicurezza in caso di messa in sicurezza permanente, in particolare di quelle adottate al fine di impedire la migrazione degli inquinanti all’esterno dell’area oggetto dell’intervento;
- efficienza di sistemi, tecnologie, strumenti e mezzi utilizzati per la bonifica/messa in sicurezza permanente, sia durante l'esecuzione che al termine delle attività di bonifica e ripristino ambientale o della messa in sicurezza permanente.
Protezione dei lavoratori
L'applicazione di un intervento di bonifica/messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale di un sito inquinato deve garantire che non si verifichino emissioni di sostanze o prodotti intermedi pericolosi per la salute degli operatori che operano sul sito, sia durante l'esecuzione delle indagini, dei sopralluoghi, del monitoraggio, del campionamento e degli interventi.
Per ciascun sito in cui i lavoratori sono potenzialmente esposti a sostanze pericolose sarà previsto un piano di protezione con lo scopo di indicare i pericoli per la sicurezza e la salute che possono esistere in ogni fase operativa ed identificare le procedure per la protezione dei dipendenti. Il piano di protezione sarà definito in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti in materia di protezione dei lavoratori.
Monitoraggio
Le azioni di monitoraggio e controllo devono essere effettuate nel corso e al termine di tutte le fasi previste per la messa in sicurezza, per la bonifica e il ripristino ambientale del sito inquinato, al fine di verificare l'efficacia degli interventi nel raggiungere gli obiettivi prefissati.
In particolare:
- al termine delle azioni di messa in sicurezza d'emergenza e operativa;
- a seguito della realizzazione delle misure di sicurezza a valle della bonifica, per verificare che: i valori di contaminazione nelle matrici ambientali influenzate dal sito corrispondano ai livelli di concentrazione residui accettati in fase di progettazione; non siano in atto fenomeni di migrazione dell'inquinamento; sia tutelata la salute pubblica;
- nel corso delle attività di bonifica/messa in sicurezza permanente per verificare la congruità con i requisiti di progetto;
- a seguito del completamento delle attività di bonifica/messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale, per verificare, durante un congruo periodo di tempo, l’efficacia dell'intervento di bonifica e delle misure di sicurezza.
Criteri generali per gli interventi in cui si faccia ricorso a batteri, ceppi batterici mutanti e stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo
a) L'uso di inoculi costituiti da microrganismi geneticamente modificati (MGM) negli interventi di bonifica biologica di suolo, sottosuolo, acque sotterranee o superficiali è consentito limitatamente a sistemi di trattamento completamente chiusi, di seguito indicati come bioreattori. Per bioreattori si intendono strutture nelle quali è possibile isolare completamente dall'ambiente esterno le matrici da bonificare, una volta asportate dalla giacitura originaria. In questo caso, le reazioni biologiche avvengono all'interno di contenitori le cui vie di ingresso (per l'alimentazione) e di uscita (per il monitoraggio del processo e lo scarico) devono essere a tenuta, in modo da prevenire il rilascio di agenti biologici nell'ambiente circostante.
b) Nei casi previsti in a) è consentito l'impiego di soli MGM appartenenti al Gruppo 1 di cui alla direttiva 90/219/CEE, recepita col D.Lgs. 3 marzo 1993, con emendamenti introdotti dalla Direttiva 94/51/CEE.
c) Il titolare dell'intervento di bonifica che intenda avvalersi di MGM, limitatamente a quanto specificato al capoverso a) deve inoltrare documentata richiesta al Ministero dell'ambiente (o ad altra autorità competente da designarsi), fornendo le informazioni specificate nell'allegato VB della succitata direttiva. L'impiego di MGM del Gruppo 1 in sistemi chiusi può avvenire solo previo rilascio di autorizzazione da parte dell'autorità competente, la quale è obbligata a pronunciarsi entro 90 giorni dall'inoltro della richiesta da parte del titolare dell'intervento di bonifica.
d) Una volta terminato il ciclo di trattamento in bioreattore, le matrici, prima di una eventuale ricollocazione nella giacitura originaria, devono essere sottoposte a procedure atte a favorire una diffusa ricolonizzazione da parte di comunità microbiche naturali, in modo da ricondurre il numero dei MGM inoculati a valori < 10³ UFC (unità formanti colonie) per g di suolo o mL di acqua sottoposti a trattamento di bonifica.
e) Non sono soggetti a limitazioni particolari, anche per gli interventi di bonifica condotti in sistemi non confinati, gli interventi di amplificazione (bioaugmentation) delle comunità microbiche degradatrici autoctone alle matrici da sottoporre a trattamento biologico ovvero l'inoculazione delle stesse con microrganismi o consorzi microbici naturali, fatta salva la non patogenicità di questi per l'uomo, gli animali e le piante.
Migliori tecniche disponibili (BAT)
Principi generali e strumenti per la selezione delle migliori tecniche disponibili (BAT)
La scelta della migliore tra le possibili tipologie di intervento descritte nei paragrafi precedenti applicabile in un determinato caso di inquinamento di un sito comporta il bilanciamento di vari interessi in presenza di numerose variabili, sia di ordine generale che soprattutto sito-specifiche, quali in particolare:
- il livello di protezione dell’ambiente che sarebbe desiderabile conseguire;
- l’esistenza o meno di tecniche affidabili in grado di conseguire e mantenere nel tempo detti livelli di protezione;
- l’entità dei costi di progettazione, realizzazione, gestione monitoraggio, etc. da sostenere nelle varie fasi dell’intervento.
La formulazione più evoluta cui deve ispirarsi tale bilanciamento di interessi è data dalla definizione di “migliori tecniche disponibili”, contenuta nella Direttiva 96/61/CE, recepita nel nostro ordinamento, che per la prevenzione ed il controllo integrati dell’inquinamento di talune categorie di impianti considera tale “la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione intesi ad evitare oppure, ove ciò si riveli impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso”. E specifica che si intende per
- «tecniche», sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto;
- «disponibili», le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte nello Stato membro di cui si tratta, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli;
- «migliori», le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
Strumenti di supporto nel processo decisionale che porta alla scelta sito-specifica della “migliore tecnica disponibile” da adottare sono costituiti dalle metodiche di analisi costi - efficacia e/o costi – benefici.
Parte IV - Titolo V Allegato 4
ALLEGATO 4 - CRITERI GENERALI PER L’APPLICAZIONE DI PROCEDURE SEMPLIFICATE
PREMESSA
Il presente allegato riporta le procedure amministrative e tecnico/operative con le quali gestire situazioni di rischio concreto o potenziale di superamento delle soglie di contaminazione (CSC) per i siti di ridotte dimensioni (quali, ad esempio, la rete di distribuzione carburanti) oppure per eventi accidentali che interessino aree circoscritte, anche nell’ambito di siti industriali, di superficie non superiore a 1.000 metri quadri.
CRITERI GENERALI
Il principio che guida gli interventi si basa sulla semplificazione delle procedure amministrative da seguire nel caso di superamento delle CSC nei casi di cui al punto precedente.
PROCEDURE AMMINISTRATIVE
Nel caso in cui anche uno solo dei valori di concentrazione delle sostanze inquinanti presenti in una delle matrici ambientali risulti superiore ai valori delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), il responsabile deve effettuare una comunicazione di potenziale contaminazione di sito con le seguenti modalità:
1. Comunicazione a Comune, Provincia e Regione territorialmente competente, della constatazione del superamento o del pericolo di superamento delle soglie di contaminazione CSC;
2.
-1° caso
Qualora gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza effettuati riportino i valori di contaminazione del sito al di sotto delle CSC, la comunicazione di cui al punto precedente sarà aggiornata, entro trenta giorni, con una relazione tecnica che descriva gli interventi effettuati ed eventuale autocertificazione di avvenuto ripristino della situazione antecedente il superamento con annullamento della comunicazione.
- 2°caso
Qualora invece oltre agli interventi di messa in sicurezza d’emergenza siano necessari interventi di bonifica, il soggetto responsabile può scegliere una delle seguenti alternative:
a) Bonifica riportando i valori di contaminazione del sito ai livelli di soglia di contaminazione CSC (senza effettuare l’analisi di rischio).
b) Bonifica portando i valori di contaminazione del sito ai livelli di soglia di rischio CSR effettuando l’analisi di rischio sulla base dei criteri di cui all’allegato 1.
In entrambi i casi verrà presentato alle Autorità competenti un unico progetto di bonifica che comprenderà:
1. la descrizione della situazione di contaminazione riscontrata a seguito delle attività di caratterizzazione eseguite,
2. gli eventuali interventi di messa in sicurezza d’emergenza adottati o in fase di esecuzione per assicurare la tutela della salute e dell’ambiente,
3. la descrizione degli interventi di bonifica da eseguire sulla base:
a) dei risultati della caratterizzazione per riportare la contaminazione ai valori di CSC;
oppure
b) dell’analisi di rischio sito-specifica di cui all’allegato 1 per portare la contaminazione ai valori di CSR.
Tale progetto di bonifica dovrà essere approvato dalle autorità competenti, entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso, prima dell’esecuzione degli interventi di bonifica.
- 3° caso
Qualora si riscontri una contaminazione della falda, il soggetto responsabile provvederà alla presentazione alle autorità competenti entro novembre di un unico progetto di bonifica che comprenderà:
1) la descrizione della situazione di contaminazione riscontrata a seguito delle attività di caratterizzazione eseguite,
2) gli eventuali interventi di messa in sicurezza d’emergenza adottati o in fase di esecuzione per assicurare la tutela della salute e dell’ambiente,
3) la descrizione degli interventi di bonifica da eseguire sulla base dell’analisi di rischio sito-specifica di cui all’allegato 1 per portare la contaminazione ai valori di CSR.
Tale progetto di bonifica dovrà essere approvato dalle autorità competenti, entro sessanta giorni dalla presentazione dello stesso, prima dell’esecuzione degli interventi di bonifica.
4. notifica di ultimazione interventi per richiesta di certificazione da parte dell’autorità competente.
Procedure Tecniche e Operative
Attività di Messa in sicurezza d’urgenza
Le attività di messa in sicurezza d’urgenza vengono realizzate a partire dalla individuazione della sorgente di contaminazione, allo scopo di evitare la diffusione dei contaminanti dal sito verso zone non inquinate; tali attività possono essere sostitutive degli interventi di bonifica qualora si dimostri che tramite gli interventi effettuati non sussista più il superamento delle CSC.
Le attività di messa in sicurezza d’urgenza vanno in deroga a qualsiasi autorizzazione, concessione, o nulla osta eventualmente necessario per lo svolgimento delle attività inerenti l’intervento.
Caratterizzazione del sito
Per la caratterizzazione del sito valgono i criteri generali di cui all’allegato 2 viste le ridotte dimensioni dei siti oggetto della procedura, si definisce essere 3 il numero minimo di perforazioni da attrezzare eventualmente a piezometro qualora si supponga una contaminazione della falda.
A integrazione delle indagini dirette posso essere previste indagini indirette (rilievi geofisici, soil gas survey, etc. ) al fine di ottenere un quadro ambientale più esaustivo. Non è richiesta la elaborazione di un GIS/SIT.
Analisi di rischio sito–specifica (casi 2 b e 3 di cui al punto precedente)
I risultati della caratterizzazione serviranno alla definizione del Modello Concettuale Definitivo; tale strumento sarà la base per la costruzione e la esecuzione dell’analisi di rischio sito-specifica secondo i criteri di cui in Allegato 1.
Bonifica (casi 2 a e b, 3 di cui al punto precedente)
Ove dall’indagine di caratterizzazione e successivamente dall’analisi di rischio emergesse la necessità di eseguire interventi di bonifica del sito, gli stessi verranno realizzati secondo i criteri previsti dalla normativa vigente.
La scelta della tecnologia da applicare al caso specifico di inquinamento deve scaturire da un processo decisionale nel quale devono essere presi in considerazione non solo gli aspetti tecnici ma anche quelli economici.
Parte IV - Titolo V Allegato 5
ALLEGATO 5 - Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti
Tabella 1: Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare
A |
B |
||
Siti ad uso Verde pubblico, privato e residenziale
|
Siti ad uso Commerciale e Industriale |
||
Composti inorganici |
|||
1 |
Antimonio |
10 |
30 |
2 |
Arsenico |
20 |
50 |
3 |
Berillio |
2 |
10 |
4 |
Cadmio |
2 |
15 |
5 |
Cobalto |
20 |
250 |
6 |
Cromo totale |
150 |
800 |
7 |
Cromo VI |
2 |
15 |
8 |
Mercurio |
1 |
5 |
9 |
Nichel |
120 |
500 |
10 |
Piombo |
100 |
1000 |
11 |
Rame |
120 |
600 |
12 |
Selenio |
3 |
15 |
13 |
Stagno |
1 |
350 |
14 |
Tallio |
1 |
10 |
15 |
Vanadio |
90 |
250 |
16 |
Zinco |
150 |
1500 |
17 |
Cianuri (liberi) |
1 |
100 |
18 |
Fluoruri |
100 |
2000 |
Aromatici |
|||
19 |
Benzene |
0.1 |
2 |
20 |
Etilbenzene |
0.5 |
50 |
21 |
Stirene |
0.5 |
50 |
22 |
Toluene |
0.5 |
50 |
23 |
Xilene |
0.5 |
50 |
24 |
Sommatoria organici aromatici (da 20 a 23) |
1 |
100 |
Aromatici policiclici(1) |
|||
25 |
Benzo(a)antracene |
0.5 |
10 |
26 |
Benzo(a)pirene |
0.1 |
10 |
27 |
Benzo(b)fluorantene |
0.5 |
10 |
28 |
Benzo(k,)fluorantene |
0.5 |
10 |
29 |
Benzo(g, h, i,)terilene |
0.1 |
10 |
30 |
Crisene |
5 |
50 |
31 |
Dibenzo(a,e)pirene |
0.1 |
10 |
32 |
Dibenzo(a,l)pirene |
0.1 |
10 |
33 |
Dibenzo(a,i)pirene |
0.1 |
10 |
34 |
Dibenzo(a,h)pirene. |
0.1 |
10 |
35 |
Dibenzo(a,h)antracene |
0.1 |
10 |
36 |
Indenopirene |
0.1 |
5 |
37 |
Pirene |
5 |
50 |
38 |
Sommatoria policiclici aromatici (da 25 a 34) |
10 |
100 |
Alifatici clorurati cancerogeni (1) |
|||
39 |
Clorometano |
0.1 |
5 |
40 |
Diclorometano |
0.1 |
5 |
41 |
Triclorometano |
0.1 |
5 |
42 |
Cloruro di Vinile |
< |