LAVORI PUBBLICI - 020
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 6325 del 29 novembre 2000
Non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, bensì del giudice ordinario, nella materia di risoluzione ed esecuzione dei contratti - Inapplicabilità ai lavori pubblici dell'art. 33 del decreto legislativo n. 80 del 1998.

La sentenza annulla una sentenza del T.A.R. Calabria che, come in altra occasione (T.A.R. Calabria, sez. Reggio C. sentenza n. 71 del 2000), sosteneva la giurisdizione esclusiva in materia di lavori pubblici (ex art. 33 decreto legislativo n. 80 del 1998, nel testo originario prima del parziale annullamento da parte della Consulta ), estendendola anche all'esecuzione e alla risoluzione del contratto (secondo il principio contrarius actus).
Il Consiglio di Stato incardina invece la competenza giurisdizionale in capo all'A.G.O.
Tuttavia anche questa sentenza non pare risolutiva in quanto basata su una specifica clausola contrattuale che individuava il giudice competente a conoscere del risarcimento del danno, e nella misura in cui sfiora senza approfondire (peraltro correttamente) le norme sopravvenute con particolare riguardo alla legge n. 205 del 2000. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 3127/2000 proposto da S.T. s.p.a., in persona dell’amministratore delegato pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R.G. e F.L. presso i quali elettivamente domicilia in Roma, alla via ...;

contro

S.C. di E.S. & C. s.a.s., in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato C.S. presso il quale elettivamente domicilia in Roma ... (studio dell’avvocato V.P.);

e nei confronti

del Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici siti in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12 per legge domicilia;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. 147 del 25 febbraio 2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di S.C. di E.S. e C. s.a.s.  e del Ministero dei lavori pubblici;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 20 giugno 2000  la relazione del Filoreto D’Agostino e uditi gli Avv.ti L. e S. e l’Avvocato dello Stato Linda, ciascuno per la parte rispettivamente rappresentata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 7 aprile 1999 la S.C. di E.S. e C. s.a.s., appaltatrice dei lavori di costruzione della caserma per la Stazione dei Carabinieri di San Luca, impugnava avanti il T.A.R. Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria l’atto 22 febbraio 1999 mediante il quale, a seguito di inadempimenti da parte della stessa impresa appaltatrice, la s.p.a. S.T. – concessionaria del Ministero dei lavori pubblici (convenzione 24 aprile 1986 e successivi atti aggiuntivi) - risolveva il contratto di appalto.
Il Tribunale adito, con la pronuncia in epigrafe indicata:
- affermava la giurisdizione amministrativa in subiecta materia;
- dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Ministero dei lavori pubblici;
- accoglieva nel merito il gravame con specifico riferimento alla non addebitalità dei ritardi nelle attività di cantiere alla ricorrente, giusta le note difficoltà ambientali presenti nella zona aspromontana del comune di San Luca.
Avverso quella sentenza è stato interposto appello dalla S.T. s.p.a con  ricorso notificato il 25 marzo 2000.
Il gravame si articola sulla reiterata eccezione del difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo e sulla riaffermazione della sostanziale legittimità e liceità, nel merito, della risoluzione contrattuale.
L’appellata si è costituita e, con memoria notificata il 24 maggio 2000, ha proposto appello incidentale, lamentando che, nonostante la vittoria nella controversia, il Giudice di primo grado abbia compensato le spese di lite.
L’appellata ha chiesto, poi, con argomentate deduzioni, la conferma dell’impugnata sentenza.
All’udienza di discussione parti e causa sono state assegnate in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato per quanto concerne la preliminare eccezione di difetto di giurisdizione dell’adito Tribunale amministrativo regionale della Calabria.

2. Il Giudice amministrativo reggino, infatti, ha ritenuto di poter conoscere della controversia sottopostagli dall’odierna appellata, che contestava la legittimità della rescissione, disposta ex articoli 340 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F. e 28 del regio decreto 25 maggio 1895, n.350, del contratto per la costruzione della caserma da adibire a stazione dei carabinieri di San Luca (Reggio Calabria), intercorrente tra la stessa e la S.T. s.p.a. (in qualità di concessionaria del Ministero dei lavori pubblici).

3. L’affermazione del T.A.R. della sussistenza del proprio potere cognitorio si fonda sul rilievo che, a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 33, comma 2, lettera e) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, rientrano nella giurisdizione esclusiva “le controversie aventi “ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale” e che, in tale contesto, debbono ritenersi compresi anche i giudizi attinenti la rescissione unilaterale dei contratti di appalto (come è nel caso di specie) poiché la relativa procedura costituirebbe manifestazione, sia pure in negativo, di quella relativa all’affidamento dei lavori.

4. La suggestiva argomentazione, che sviluppa ed estende la nozione di contrarius actus, facendone derivare l’esistenza di un identico potere sia in sede di aggiudicazione sia in quella di risoluzione del contratto, non può essere condivisa.

5. Occorre precisare che, nelle more tra la camera di consiglio del 20 giugno 2000, nel corso della quale è stata presa la presente decisione e la redazione della medesima, è intervenuta la sentenza 17 luglio 2000, n. 292 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, primo comma, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, nella parte in cui si istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la  giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali (ivi comprese quelle al risarcimento del danno) e, per l’effetto, ha esteso la pronuncia di illegittimità costituzionale al secondo comma del medesimo articolo 33, assunto a presupposto normativo e argomentativo delle pronuncia qui impugnata.

6. L’intervenuta eliminazione dall’ordinamento giuridico della norma in esame (peraltro parzialmente emendata e prontamente reintrodotta  con l’articolo 7 della legge 21 luglio 2000,  n. 205) non altera, in ogni caso, i termini della questione e non implica, comunque, un riesame dello scrutinio collegiale formatosi nella suindicata camera di consiglio.

7. Osserva, invero, la Sezione che l’articolo 33 del decreto legislativo n. 80 del 1998 non era, in ogni caso, disposizione invocabile dal Tribunale amministrativo reggino per affermare la propria giurisdizione nella specifica vertenza.

8. Pur ammettendone (in via di ipotesi) la piena operatività nell’ordinamento, la norma contenuta nel secondo comma lettera e) del suindicato articolo 33 (nella originaria formulazione contenuta nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) sancisce l’appartenenza alla giurisdizione esclusiva delle controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture inerenti la specifica materia del primo comma del medesimo articolo, cioè quella relativa ai “pubblici servizi”.

9. Ciò si desume: 
- dall’interpretazione sistematica della disposizione, che enuncia, quasi a titolo esemplificativo, le controversie che debbono ritenersi comprese nell’ambito di giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi;
- dal coerente indirizzo giurisprudenziale formatasi nel pur breve periodo,  (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 giugno 1999, n. 295; Sez. V, 10 aprile 2000, n. 2078), secondo il quale l’articolo 33, lettera e), del decreto legislativo n. 80 del 1998 trova applicazione solo nelle controversie in materia di pubblici servizi e, specificamente, nelle procedure di affidamento di appalti da un soggetto che interviene nella erogazione di un pubblico servizio;
- dall’implicita adesione a questa conclusione deducibile dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 292 del 2000, che presuppone la coerenza delle previsioni del secondo comma dell’art. 33 con l’ambito di giurisdizione esclusiva, individuato nel primo comma della medesima norma;
- dal raffronto degli articoli 6 e 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, in ragione dei quali appare evidente come la devoluzione della giurisdizione esclusiva delle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (contemplata nell’articolo 6) sia distinta dalla omologa devoluzione contenuta nell’articolo 33, comma 2, lettera e) - nel testo riformulato dall’articolo 7 della richiamata legge n. 205 del 2000 -, concernente, come sottolineato, solo la materia dei servizi pubblici.

10. E’, altresì, evidente che la costruzione di una caserma da adibire a stazione dei Carabinieri non rientri nella nozione  giuridica di pubblico servizio. Quest’ultimo può essere definito, in aderenza alla concezione oggettiva recepita dal legislatore (decreto legislativo n. 80 del 1998), come attività economica di solito imprenditoriale esercitata per erogare prestazioni indispensabili a soddisfare bisogni collettivi incomprimibili in un determinato contesto sociale e storico e collocata in un ordinamento di settore al cui vertice è posta un’autorità pubblica che ne vigila, controlla, coordina e indirizza l’espletamento.

11. D’altro canto, è sufficiente la piana lettura del primo comma del più volte menzionato articolo 33 - come sostituito dal citato articolo 7 della legge n. 205 del 2000 - per avvedersi come attività strumentali all’esercizio delle funzioni di polizia e di pubblica sicurezza non rientrino nel contesto concettuale del pubblico servizio.

12. Acquisita l’inapplicabilità della disposizione indicata dal primo Giudice, resterebbe da stabilire se, vertendosi in materia di lavori in concessione, debba seguirsi il prevalente indirizzo giurisprudenziale, ben noto anche al Giudice di prime cure,  secondo il quale le controversie nascenti dall’esecuzione dei contratti - seppure formati con procedura a evidenza pubblica – attengono a posizioni di diritto soggettivo, inerenti a rapporti di natura privatistica, sulle quali non assume fondamentale rilievo la circostanza che la pubblica amministrazione (o il concessionario come è nel caso di specie) si sia avvalsa di poteri discrezionali, con l’ovvia conseguenza di assegnare la cognizione della vertenza all’A.G.O. (C.d.S., IV,  9 gennaio 1996, n. 41).

13. Anche questa tematica è parimenti non essenziale ai fini della decisione.

14. Giova, infatti, precisare che, nel caso di specie, opera la devoluzione alla cognizione del Giudice ordinario in virtù di specifica clausola contenuta nell’articolo 16 del contratto inter partes rogato a Roma il 7 giugno 1995 a cura del notaio Enrico Parenti (repertorio n. 45235 raccolta n. 10352).

15. Nel predetto articolo 16 viene convenzionalmente disciplinata la risoluzione del contratto per inadempienza, specificandosi a pagina 21 dello strumento, nei righi da 16 a 20: “Dato il carattere pubblico dell’opera e gli impegni assunti dalla Società (id est l’odierna appellante) verso il concedente Ministero, le parti convengono espressamente che ogni contestazione in ordine alla risoluzione d’ufficio potrà dar luogo soltanto al risarcimento dei danni”.

16. La clausola in questione, è bene soggiungere, risulta approvata specificamente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1341 del codice civile dall’impresa appellata, come si legge nell’articolo 20 del medesimo contratto 7 giugno 1995.

17. Il preciso impegno programmatorio degli interessi delle parti è perciò diretto a escludere, in caso di risoluzione d’ufficio, qualsivoglia vertenza che non sia diretta a far conseguire, all’impresa appellata, il risarcimento dei danni. Ciò equivale ad affermare che, indipendentemente da ogni questione in ordine alla natura dell’atto di risoluzione del contratto ex articolo 340 della legge fondamentale sui lavori pubblici del 1865, le parti avevano individuato ab origine il giudice della controversia nell’A.G.O., esclusiva titolare, quanto meno all’epoca della convenzione, del poter di condanna al risarcimento dei danni.

18. La controversia – promossa con ricorso al T.A.R., notificato il 7 aprile 1999 - andava, pertanto, radicata avanti il Giudice ordinario (nella specie il Tribunale civile di Roma giusta la designazione contenuta nella clausola 19 del suindicato contratto 7 giugno 1995).

19. L’accoglimento dell’appello principale e il conseguente annullamento della sentenza impugnata assorbono l’esame dell’appello incidentale, col quale la S.C. si è lamentata della compensazione delle spese di lite, disposta dal primo giudice.

20. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l’appello principale e, per l’effetto, annulla la sentenza in epigrafe per carenza di giurisdizione del Giudice amministrativo.
Dichiara assorbito l’esame dell’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2000 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Walter Catallozzi Presidente
Pietro Falcone Consigliere
Cesare Lamberti Consigliere
Filoreto D’Agostino Consigliere, estensore
Maria Grazia Cappugi Consigliere