EDILIZIA - 021
Consiglio di Stato, sez. V, 27 ottobre 2000, n.
5756
I vincoli di P.R.G. soggetti a decadenza quinquennale (articolo 2 legge
n. 1187 del 1968), sono soltanto quelli che preordinati
all’espropriazione o che comportano l'inedificabilità rispetto alla sua destinazione naturale
o ne diminuiscono in modo significativo il valore.
La deroga all’obbligo del piano attuativo nelle zone già urbanizzate è
ammessa se lo stato di fatto sia tale da non rendere più necessaria la
pianificazione esecutiva, essendo stato raggiunto il risultato (l’adeguata dotazione di
infrastrutture, primarie e secondarie). Se lo stato delle urbanizzazioni è tale da rendere
superfluo il piano particolareggiato o di lottizzazione (anche se prescritto dal
P.R.G.), la relativa verifica deve riguardare l'intero contenuto di tali
piani, cioè le urbanizzazioni primarie, e quelle secondarie, e l'ambito
territoriale di riferimento non può essere limitato alle aree di contorno
dell'edificio progettato, ma va esteso all'intero ambito che doveva essere
pianificato nel dettaglio.
(su tema simile vedi T.A.R.
Emilia Romagna, sez. Parma, 10 maggio 2000, n. 266
e Consiglio di Stato, sezione
V, 15 febbraio 2001, n. 790)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 6870 del 1998 proposto dal Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti E.L. e A.M. con domicilio eletto in Roma, via ..., presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale,
contro
la S.r.l. P., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti E.S. e A.V. e presso il primo elettivamente domiciliata in Roma, alla Via ...
per l'annullamento
della sentenza
n. 321 del 5 marzo 1998 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio, Sez. II;
Visto il
ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio della Società appellata;
Viste le
memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti
tutti della causa;
Relatore il
cons. Corrado Allegretta;
Uditi alla
pubblica udienza del 23 maggio 2000 l'avv. R. in sostituzione dell’avv. L., per il Comune di Roma, e l'avv.
G. per delega dell’avv. S.,
per la S.r.l. P.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Il
Comune di Roma propone appello avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II, n.
321 del 5 marzo 1998, recante l'annullamento della disposizione dirigenziale n.
1335 del 26 novembre 1996 con cui è stata respinta la domanda di concessione
edilizia avanzata dalla Società appellata per la realizzazione di un edificio
residenziale su area ricadente in zona D del piano regolatore generale. DIRITTO
L’appello è fondato.
L'errore fondamentale in cui incorre la sentenza, secondo l’appellante, è di
avere ignorato che, nella zona D, il piano regolatore prescrive che demolizioni
e nuove costruzioni sono subordinate alla previa approvazione di strumenti
urbanistici attuativi e che l’Amministrazione ha negato la richiesta
concessione edilizia solo dopo avere riscontrato che, oltre a mancare lo
strumento attuativo, manca anche quella dotazione minima di opere di
urbanizzazione che avrebbe potuto costituirne il "surrogato in via di
fatto".
Deduce ancora il Comune ricorrente che la decisione appellata è erronea anche
per non aver tenuto conto che, attesa l'insufficienza delle opere di
urbanizzazione che caratterizza la zona D, i lotti inedificati ivi esistenti non
sono liberamente utilizzabili a fini edificatori privati, ma hanno prevalente
funzione integrativa del fabbisogno di urbanizzazioni.
Né, al fine di escludere l’obbligatorietà degli strumenti attuativi
prescritti dal P.R.G., la verifica della esistenza e sufficienza delle opere di
urbanizzazione potrebbe limitarsi, come si afferma erroneamente nella decisione
appellata, alle sole opere primarie, dovendo riguardare, invece, l'intero
contenuto di tali strumenti e l’intero comprensorio che dagli strumenti
attuativi dovrebbe essere pianificato.
La decisione appellata, infine, si fonderebbe sul presupposto palesemente
erroneo che al caso di specie trovi applicazione l'art. 7 delle norme tecniche
di attuazione del P.R.G. nel testo adottato dal Comune di Roma con la
deliberazione consiliare n. 2632/74 di Variante, essendo, invece, i lotti di cui
si tratta soggetti al regime di edificabilità ben più restrittivo di cui
all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n. 10.
Si chiede, pertanto, in conclusione, che la sentenza impugnata sia annullata e
riformata, con ogni consequenziale pronuncia sulla piena validità ed efficacia
del provvedimento comunale impugnato in primo grado e con vittoria delle spese
di entrambi i gradi di giudizio.
La Società appellata si è costituita in giudizio ed ha controdedotto al
gravame, chiedendone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza
appellata; vinti spese ed onorari di giudizio.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 23 maggio
2000.
Il Comune di Roma ha respinto la domanda di concessione edilizia, avanzata dalla
Società appellata per la realizzazione di un edificio residenziale su area
ricadente in zona D del piano regolatore generale, adducendo a motivo del
diniego il fatto che "non risultano rispettati, nell’ambito in cui ricade
l’area di cui trattasi, gli standards urbanistici minimi previsti dalle norme
di legge".
Ad avviso del Tribunale vanno condivise le doglianze con le quali il ricorrente
di primo grado lamenta la violazione della disciplina di piano relativa al lotto
interessato all’edificazione e la genericità della motivazione posta a
sostegno della pronunzia negativa, che non considera la specifica situazione del
terreno di proprietà della Società istante, di modesta superficie ed assistito
dai caratteri di lotto intercluso e residuale in zona di fatto integralmente
urbanizzata.
Sostiene, di contro, l’Amministrazione appellante che il provvedimento
impugnato rispetta le norme del piano regolatore generale, il quale, nella zona
D, subordina demolizioni e nuove costruzioni alla previa approvazione di
strumenti urbanistici attuativi e che, proprio in conformità all’indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale è consentito derogare a tale obbligo nelle
zone adeguatamente urbanizzate, la richiesta concessione edilizia è stata
negata solo dopo avere riscontrato che, oltre a mancare lo strumento attuativo,
manca anche quella dotazione minima di opere di urbanizzazione che avrebbe
potuto costituirne il "surrogato in via di fatto". Né, al fine di
escludere l’obbligatorietà degli strumenti suddetti, la verifica
dell’esistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione potrebbe limitarsi,
come si afferma erroneamente nella decisione appellata, alla sola urbanizzazione
primaria, dovendo riguardare, invece, l'intero contenuto di tali strumenti e
l’intero comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere
pianificato.
Deduce ancora il Comune di Roma che la decisione appellata è erronea anche per
non aver tenuto conto che, attesa l'insufficienza delle opere di urbanizzazione
che caratterizza la zona D, i lotti inedificati ivi esistenti non sono
liberamente utilizzabili a fini edificatori privati, ma hanno prevalente
funzione integrativa del fabbisogno di urbanizzazioni.
Cosí chiariti i termini essenziali della controversia, occorre individuare la
disciplina di piano regolatore, vigente per le zone D alla data del
provvedimento impugnato (26 novembre 1994).
Essa va individuata, sicuramente, nell’art. 7 delle norme tecniche di
attuazione del P.R.G. nel testo conseguente alla decisione del Consiglio di
Stato, Sez. IV, 19 dicembre 1987, n. 784.
Con la deliberazione G.R. 6 marzo 1979, n. 689, invero, in sede di approvazione
della variante al P.R.G. adottata dal Comune di Roma con deliberazione
consiliare 8 agosto 1974, n. 2632, la Regione Lazio ha introdotto d'ufficio, in
calce al paragrafo 3) del citato art. 7, la seguente disposizione: "Nessuna
costruzione è ... consentita sulle aree attualmente libere". Il Consiglio
di Stato, tuttavia, con la menzionata decisione, ha pronunciato l’annullamento
parziale del provvedimento regionale "con diretto riferimento alla
specifica disciplina dettata per l’inedificabilità delle aree della zona D
…".
Dal che non consegue, come assume la difesa comunale, che il procedimento di
approvazione della variante urbanistica sia rimasto per questa parte incompiuto,
onde le aree inedificate in zona D debbano considerarsi prive di
regolamentazione urbanistica ed assoggettate al più restrittivo regime
edificatorio dettato dall'articolo 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
La ripetuta decisione del Consiglio di Stato, infatti, considerati i limiti
entro i quali esplicitamente dichiara di operare attraverso l’annullamento in
parte qua della deliberazione regionale, nonché la natura precettiva della
disposizione che ne ha costituito il reale oggetto, non ha inciso sull’effetto
generale di approvazione della variante, proprio del provvedimento regionale che
ne ha concluso il relativo procedimento. Essa non ha fatto altro che intervenire
sul testo dell’articolo, rimuovendone la norma introdotta d’ufficio dalla
Regione.
Il testo dell’art. 7 delle norme tecniche di attuazione che ne risulta è,
pertanto, quello emendato dal precetto sanzionato come illegittimo dal Giudice,
sicché alle "aree attualmente libere" non può essere riservato un
trattamento diverso da quello previsto dallo stesso art. 7 per tutte le altre
aree comprese in zona D.
La disciplina che ne deriva, peraltro, assoggetta l’edificazione
all’approvazione di "piani particolareggiati o altri strumenti
attuativi".
In primo grado la Società appellata, seguita dal T.A.R., ha sostenuto
l’illegittimità del diniego di concessione edilizia impugnato, perché in
sostanza emesso sul presupposto dell'esistenza di un vincolo procedimentale (la
previa approvazione di piano attuativo) decaduto per inutile decorso del termine
quinquennale di cui all'articolo 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 e, comunque,
inapplicabile trattandosi, nella specie, di lotto intercluso ed inserito in un
contesto ormai completamente edificato ed urbanizzato.
Nessuno dei due profili di censura è condivisibile.
I vincoli di piano regolatore, ai quali si applica il principio della decadenza
quinquennale ai sensi dell'articolo 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187, invero, sono
soltanto quelli che incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli
preordinati all’espropriazione od a vincoli che ne comportano l'inedificabilità
e dunque svuotano il contenuto del diritto di proprietà incidendo sul godimento
del bene tanto da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione
naturale ovvero diminuendone in modo significativo il suo valore di scambio.
Nell’ampia dizione di "strumento urbanistico attuativo", inoltre,
sono comprese anche forme di pianificazione urbanistica di secondo livello ad
iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato le quali, in
quanto attuabili dal privato e senza la necessità di previa ablazione del bene,
sottraggono la previsione di cui si discute dallo schema ablatorio-espropriativo
presupposto dalla norma di garanzia di cui alla legge n. 1187 del 1968 (cfr. Corte
Costituzionale, 20 maggio 1999, n. 179, cit.).
Peraltro, non ha pregio neanche l’argomento dell’affermata impossibilità di
far luogo ad uno strumento esecutivo, conseguente al carattere di lotto
intercluso in zona urbanizzata che l’area interessata dalla richiesta di
concessione edilizia avrebbe.
Tale caratteristica, rimasta in verità del tutto indimostrata quanto meno
riguardo all’adeguata urbanizzazione della zona, non è di per sé sola
decisiva.
Non sussistono, invero, ragioni per discostarsi dall’orientamento già
espresso da questa Sezione, secondo il quale "Sebbene lo strumento
urbanistico attuativo non sia necessario in caso di c.d. "lotto
intercluso" o in altri casi analoghi - per i quali, essendo la zona
totalmente urbanizzata, il piano esecutivo sarebbe ormai privo d'oggetto -, non
è comunque sufficiente un qualsiasi stadio d'urbanizzazione di fatto per
eludere il principio fondamentale della pianificazione e per eventualmente
aumentare i guasti urbanistici già verificatisi, essendo invece doverosa la
pianificazione dell'urbanizzazione fino a quando essa conservi una qualche utile
funzione anche in aree già compromesse o urbanizzate" (Consiglio di
Stato, Sez. V,
5 giugno 1997, n. 612).
Osserva, dunque, giustamente l’Amministrazione appellante che l’indirizzo
giurisprudenziale, secondo il quale è consentito derogare all’obbligo dello
strumento attuativo nelle zone adeguatamente urbanizzate, ha il suo necessario
presupposto in uno stato di fatto che da quello strumento consenta di
prescindere in quanto esso risulti non più necessario, essendo stato raggiunto
il risultato (l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie)
cui è finalizzato. Con la precisazione che, se lo stato delle urbanizzazioni
deve essere tale da rendere ultronei gli strumenti attuativi prescritti dal
P.R.G. (piano particolareggiato o piano di lottizzazione), la relativa verifica
deve riguardare l'intero contenuto di tali piani, cioè non soltanto le
urbanizzazioni primarie, come ha ritenuto il Tribunale, ma anche quelle
secondarie e l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle
sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il
perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere
pianificato.
Nella specie, l'ambito territoriale di riferimento è costituito dall’intera
zona entro cui ricade il lotto della Società appellata, riguardo alla quale,
come risulta esplicitamente dalla motivazione del provvedimento impugnato, è
stata verificata la carenza del livello minimo di legge di urbanizzazione. Onde
può sicuramente escludersi anche il ritenuto difetto di motivazione.
In conclusione, l’appello si rivela fondato e, assorbito ogni altro profilo di
censura, dev’essere accolto. Per l’effetto, dev’essere annullata la
sentenza impugnata e respinto il ricorso proposto in primo grado.
Spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio, che si liquidano in
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe indicato e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata e respinge il ricorso prodotto in primo grado.
Condanna l’appellata Società P. S.r.l. al pagamento delle spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio nella misura di Lire 5.000.000 (cinque milioni) in favore dell’appellante Comune di Roma.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.