AFFARI ISTITUZIONALI - 007

INTERESSI FINALMENTE LEGITTIMI E RISARCIBILI

Monografia dell’Avv. Bruno Sechi

Gli ultimi sviluppi legislativi (D.lgs. n. 80 del 1998; legge n. 205 del 2000) e giurisprudenziali (sent. Cassazione, SS.UU. n. 500 del 1999) hanno, in modo inequivocabile, accolto l’istituto dell’interesse legittimo nel sistema della tutela giuridica effettiva.
La dottrina, da tempo, combatteva, e in modo unitario negli ultimi anni, in favore di un pieno riconoscimento giuridico e giurisdizionale dell’interesse legittimo.
In netta anticipazione rispetto alle Istituzioni, la dottrina già definiva la figura in questione una posizione giuridica soggettiva o posizione di vantaggio, meritevole di tutela giuridica, al pari del diritto soggettivo.
Tutto ciò che arreca beneficio al soggetto, ampliandone la sfera giuridica, in conformità con l’ordinamento positivo, è meritevole di tutela normativa al massimo grado.

Come è noto, il diritto soggettivo, nell’ipotesi di sua lesione, ottiene la tutela giuridica tipica (risarcimento del danno ingiusto), davanti al giudice ordinario (G.O.), o davanti al giudice amministrativo ( G.A.), nei casi di giurisdizione esclusiva.
Ma la tutela non si esaurisce, e non si dovrebbe esaurire con l’esercizio del diritto al risarcimento in sede giurisdizionale, costituendo esso il momento patologico del diritto leso.
Innanzittutto, nel caso di lesione, il risarcimento potrà essere richiesto in sede stragiudiziale, al fine di evitare lunghi e esosi contenziosi ed assicurare al danneggiato una pronta giustizia sostanziale, nell’ipotesi di accordo.
Qualora sussistano il fumus boni iuris (parvenza della fondatezza del diritto) e il periculum in mora (pericolo di un grave ed irreparabile danno se non si adottano immediatamente gli opportuni provvedimenti), il titolare del diritto “pericolante” potrà attivare uno dei meccanismi giurisdizionali di tutela anticipatoria, rappresentata principalmente dalla procedura d’urgenza ex art. 700 cpc.

Al di là degli schemi classici di tutela, come sopra delineati, il panorama normativo complessivo offre un ventaglio di possibilità di difesa a favore del cittadino, in relazione allo status specifico che  esso ricopre nelle diverse situazioni: come consumatore, come titolare del diritto alla salute, all’ambiente salubre, come titolare del diritto alla privacy, come destinatario di provvedimenti autoritativi, in campo civilistico e pubblicistico.
La maggiore attenzione verso la sfera giuridica dell’individuo, cerca, in qualche modo, di compensare alla enorme “crescita” dei “poteri forti”, che costituiscono la controparte in molti rapporti giuridici che coinvolgono il privato.
In difesa del singolo sono sorti formazioni sociali ed organismi pubblici tesi a controbilanciare i predetti poteri.
Operano le associazioni di categoria (sindacati, associazioni ambientaliste, associazioni di consumatori etc…) che sono dotati di particolari poteri e facoltà in difesa dei propri rappresentati: per es. azioni inibitorie delle associazioni di consumatori nei casi di clausole vessatorie; poteri di impugnativa delle associazioni ambientaliste, facoltà di intervento nei giudizi, di costituzione di parte civile nei processi penali etc…
Sono sorti, poi, su disposizioni legislative, degli organismi pubblici “indipendenti“ (c.d. Authority ) che hanno la funzione di accertare e garantire che i settori trainanti la vita economico-sociale, siano improntati sulla “correttezza reciproca delle parti“, onde assicurare quel principio di “giustizia” nell’ambito della sana concorrenza.
Piu’ delicato è il compito del Garante per la privacy che si preoccupa di salvaguardare la parte personalistica della vita dell’individuo.
Solo quest’ultimo e non altri, può disporre delle informazioni personali che lo riguardano.
Un altro organismo, pubblico ma indipendente, è il Difensore civico, nazionale, regionale e comunale, i quali hanno la funzione filtrante delle istanze e lamentele dei cittadini sulle disfunzionalità dell’Amministrazione pubblica.
Compito del Difensore civico è quello di portare sul tavolo dell’apparato le lagnanze e le proposte dei cittadini, affinché si stabilisca il rapporto di pacifica convivenza con la Pubblica amministrazione (P.A.), e si raggiungano gli standard previsti di efficacia ed efficienza dell’attività amministrativa.

Il privato cittadino, quale destinatario di provvedimenti autoritativi della P.A., può essere parte attiva nel relativo procedimento di formazione, attraverso l’avviso dell’avvio del procedimento stesso, la possibilità di formulare proposte, osservazioni etc…
Si tratta di strumenti altamente democratici, conformi allo spirito della Costituzione (articoli 2 e 3, secondo comma), che consente, tra l’altro, all’Amministrazione pubblica di avvalersi dell’apporto della persona direttamente interessata.
Ciò pone l’Amministrazione nelle condizioni di evitare errori o lesioni nella sfera giuridica del destinatario e di assicurare il giusto contemperamento tra gli interessi pubblici e gli interessi privati coinvolti nel procedimento amministrativo.
Questo istituto di partecipazione nella formazione della volontà pubblica, è stato consacrato dalla legge n. 241 del 1990 sui procedimenti amministrativi.
Anteriormente a questa, il procedimento amministrativo era disciplinato dalle leggi di settore, e nei casi di vuoto normativo, dal diritto giurisprudenziale.
La partecipazione effettiva al procedimento amministrativo, unitamente alla trasparenza degli atti pubblici, creano un “clima“ più sereno e avvicina il cittadino verso le Istituzioni.

Da sottolineare, inoltre, la previsione di appositi uffici (sportello unico delle imprese, uffici di consulenza per il contribuente, numeri verdi di assistenza e consulenza etc…) che hanno lo scopo di rendere la burocrazia più snella e trasparente, tale da mettere il cittadino nelle condizioni “di non sbagliare “.
Non si possono certo dimenticare gli sforzi della riforma Bassanini, tesa alla semplificazione normativa e burocratica per “ridare fiato” al sistema economico-sociale.

Il cittadino, quindi, si trova in rapporto costante con lo Stato e le sue Istituzioni.

Si richiede da parte del cittadino un dovere di informazione circa il modo di comportarsi correttamente e legalmente; lo Stato, invece, deve adempiere principalmente i doveri scritti nella Carta Costituzionale; esso deve soprattutto “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

>Le Istituzioni statali devono assicurare la c.d. uguaglianza sostanziale in virtù della quale tutti devono avere le stesse possibilità di realizzazione.
Un’applicazione di questo principio è contenuta nell’articolo 4 della Costituzione secondo il quale “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto“.
Ma a questo punto sorge un dubbio: quale azione giuridica può essere esercitata dal cittadino verso la P.A., al fine di ottenere l’adempimento delle prescrizioni costituzionali? Quale diritto può esercitare l’individuo per essere veramente “uguale” ai sensi dell’articolo 3, secondo comma, Cost.? E lo Stato apparato quali poteri effettivi può esercitare affinché possa essere realizzata l’Utopia della nostra Costituzione?

Il discorso, mi rendo conto, sconfinerebbe nella letteratura del diritto e questo non è lo scopo che mi prefiggo di raggiungere.
E’ doveroso rendere giustizia alla realtà delle cose, anche quando si tratta di problematiche tecniche, quali la risarcibilità degli interessi legittimi.
La Costituzione stabilisce all’articolo 97 i principi ai quali deve ispirarsi la P.A. nella sua attività; Essa deve assicurare il buon andamento e l’imparzialità del suo operato.
Questi principi, che coniugano l’efficienza con il ruolo di super partes della P.A., sono resi fattibili dal tipo di organizzazione degli uffici pubblici prevista dalle disposizioni di legge.
Secondo la dottrina, questi principi rappresentano le regole di condotta generali e fondamentali della P.A., nell’esercizio delle sue funzioni.
Costituiscono i limiti esterni alla discrezionalità esplicata nell’attività di contemperamento e valutazione degli interessi in gioco.

Qui si innesta la problematica rappresentata dagli interessi legittimi, la cui risarcibilità è stata riconosciuta dalla Cassazione SS.UU. n. 500 del 1999.
Sono sorte nel tempo numerose teorie circa la natura e il concetto di interesse legittimo, ma nessuna è parsa esaustiva.
La difficoltà e la limitatezza nelle definizioni prospettate dalla dottrina, nascono dalla mancata precisazione normativa della figura in esame.
L’ordinamento, oltre alla normale tutela amministrativa attivabile per mezzo del ricorso amministrativo, si è limitato ad assicurare all’interesse de quo una tutela giurisdizionale di legittimità davanti al G.A., il quale conosce della legittimità dell’atto amministrativo, impugnato dal titolare dell’interesse leso.
L’atto amministrativo è illegittimo e suscettibile di annullamento, qualora sia affetto da uno dei vizi di legittimità: incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.

BREVI CENNI SULLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

La legge n. 5992 del 1889 ha istituito la IV Sezione del Consiglio di Stato, quale organo giurisdizionale per la tutela degli interessi diversi dai diritti soggettivi, introducendo il sistema della “doppia giurisdizione” o “del doppio binario”.
In virtù di tale principio, al G.O. è devoluta la giurisdizione sulle questioni principali relative ai diritti soggettivi, al G.A quelle relative agli interessi legittimi.
La Costituzione ha confermato la tutela giurisdizionale del doppio binario; infatti, dopo aver previsto all’articolo 24 la tutelabilità giurisdizionale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ( “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” ), all’articolo 103 stabilisce che il G.A. (Consiglio di Stato e altri organi giurisdizionali) è competente sulla tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della P.A., e, nei casi tassativamente previsti dalla legge, esercita la giurisdizione esclusiva.
L’articolo 113 prevede, in misura piu’ netta, il meccanismo della doppia giurisdizione sulla tutela del cittadino nei confronti della P.A.
L’articolo che si considera recita: “Contro gli atti della P.A. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”.

Con la legge n. 1034 del 1971 sono stati istituiti i Tribunali Amministrativi Regionali (T.A.R.), presenti uno in ogni Regione.
Essi sono i giudici di legittimità degli atti amministrativi e pronunciano l’annullamento degli stessi, in presenza di uno dei vizi suindicati.
Nell’attuale sistema, il T.A.R. è normalmente il giudice di 1° grado, il Consiglio di Stato quello di 2° grado.
Nelle materie tassativamente previste dalla legge ( v. R.D. n. 2840 del 1923; D.lgs. n. 80 del 1998; legge n. 205 del 2000) il T.A.R. ha giurisdizione esclusiva (es. pubblici servizi, edilizia e urbanistica ex D.lgs. n. 80 del 1998); sempre nelle ipotesi specificamente previste dalla legge, il T.A.R. è anche giudice di merito (v. T.U. del C.d.C. n. 1054 del 1924, in particolare il giudizio di ottemperanza; T.U. n. 1058 del 1924).
In altri termini, il G.A. non giudica solamente intorno alla legittimità dell’atto amministrativo ma anche dell’opportunità e convenienza del medesimo.
Degli autori, tra i quali Virga, sostengono che l’ambito del merito coincida con l’esame del fatto nel suo complesso, e non riguardi assolutamente l’opportunità e la convenienza dell’atto amministrativo, che rimangono, pertanto, insindacabili.

In tali casi, il TAR può non solo annullare l’atto ma sostituirlo parzialmente o in toto.
In virtù dell’articolo 35 del D.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205 del 2000 di riforma del processo amministrativo, il T.A.R., nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, può emettere sentenza di condanna al risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.
La legge n. 205 del 2000, nel riformulare il comma 1 dell’articolo 35 del D.lgs. n. 80 del 1998, ha voluto sgombrare qualsiasi dubbio circa la possibilità, da parte del giudice, di emettere sentenza di condanna al risarcimento in tutto il settore della giurisdizione esclusiva.
La legge suindicata, ha riformulato il primo periodo del comma 3 dell’articolo 7 della legge n. 1034 del 1971, stabilendo che il T.A.R., anche nella giurisdizione di legittimità, giudica intorno al diritto al risarcimento del danno, sia per equivalente che in forma specifica, e intorno ai diritti patrimoniali conseguenti alla questione principale.
Al fine di assicurare quella concentrazione del giudizio, la legge n. 205 del 2000 (articolo 7, comma 5) ha stabilito che sono abrogati l’articolo 13 della legge n. 142 del 1990 e tutte le norme che prevedono la giurisdizione del G.O. circa il risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi.

TEORIE SULL’INTERESSE LEGITTIMO

Elenchiamo le teorie più significative che hanno cercato di definire il contenuto e il significato dell’interesse legittimo.

La dottrina tradizionale ha elaborato la teoria dell’interesse occasionalmente protetto; in altri termini, l’interesse del privato troverebbe tutela e riconoscimento giuridico, qualora la sua lesione derivasse dal pregiudizio arrecato all’interesse pubblico dall’operato illegittimo della P.A.
Il privato, quindi, non potrebbe chiedere tutela in modo autonomo, ma sperare che l’atto illegittimo leda anche l’interesse pubblico, che l’Amministrazione deve principalmente perseguire.
A tal proposito si parla di tutela indiretta o riflessa dell’interesse legittimo.
La teoria in questione (Guicciardi ne è il principale esponente) non definisce il contenuto dell’interesse legittimo.

Un’altra teoria si fonda su una definizione processualistica dell’interesse de quo, concepito alla stregua di interesse a ricorrere contro i provvedimenti amministrativi illegittimi, al fine di ottenere al pronuncia di annullamento.
La teoria in esame si fonda sulla distinzione tra le norme di azione che disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative (o norme attributive del potere) e norme di relazione che regolamentano i rapporti tra lo Stato apparato e i singoli cittadini.
Secondo tale filone dottrinario, le norme di azione attribuiscono una posizione di supremazia alla P.A. e l’interesse legittimo al privato, il quale può solamente ricorrere in giudizio nell’ipotesi di illegittimità dell’atto amministrativo.
Parimenti alla prima teoria esaminata, l’interesse de quo riceve una tutela giuridica riflessa rispetto all’interesse pubblico sotteso alla norma pubblicistica.
Le norme di relazione, invece, assegnano alle parti del rapporto disciplinato, dei diritti e degli obblighi.
In tale ambito, la tutela del privato non si limiterebbe all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, ma anche al risarcimento del diritto leso.

Di una certa rilevanza è l’altra teoria che fà discendere gli interessi legittimi dall’attività discrezionale della P.A. e i diritti soggettivi dall’attività vincolata della stessa.
Il criterio ordinario idoneo a individuare la natura dell’attività amministrativa risiede nelle stesse espressioni letterali delle norme (la P.A. può...  deve...   dispone ...).
Trattasi, come hanno sottolineato degli acuti autori, di una elaborazione non esaustiva: infatti, l’interesse al corretto esercizio del potere amministrativo sussisterebbe anche nell’ambito dell’attività vincolata.

Il Virga è il massimo propugnatore della teoria che concepisce l’interesse in esame rivolto alla legittimità del provvedimento amministrativo.
Trattasi della pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa; è un interesse essenzialmente formale, senza alcun collegamento con l’interesse sostanziale ad un bene della vita.
Il Nigro ha elaborato la concezione normativa dell’interesse in oggetto.
L’autore, in base alla disamina delle norme pubblicistiche, individua gli interessi degli individui differenti dagli interessi di mero fatto (interesse alla illuminazione pubblica etc... ).
Sono, pertanto, interessi differenziati e qualificati dalle norme pubblicistiche che disciplinano il contemperamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, alla stregua dei principi fondamentali di cui all’articolo 97 Cost.
E’ la disposizione normativa che individua espressamente l’interesse legittimo.
La teoria elencata sembra avvicinarsi, più di ogni altra, alle posizioni sostanziali raggiunte dalla recente e ormai famosa sentenza della Cassazione n. 500 del 1999.
Il privato cittadino è titolare di un potere che incide sul corretto esercizio dell’attività della P.A. al fine di perseguire l’interesse (sostanziale) al bene della vita.

L’interesse legittimo svolge una funzione strumentale rispetto all’interesse sostanziale.
Esso è una situazione giuridica soggettiva direttamente tutelabile in sede giurisdizionale.
Il riconoscimento dell’interesse legittimo è di fondamentale importanza al fine della individuazione del Giudice competente.
Secondo il principio generale di riparto giurisdizionale, il G.A. è il giudice di legittimità e correlativamente degli interessi legittimi.
La teoria che ha avuto maggior seguito è quella che si fonda sulla causa petendi (natura della posizione giuridica soggettiva).

La Giurisprudenza ha delineato il seguente criterio di ripartizione della giurisdizione: qualora si controverta intorno al “cattivo uso del potere” della P.A. siamo in presenza di un interesse legittimo, rientrante nella giurisdizione del G.A; qualora si controverta intorno alla “carenza di potere”, in astratto o in concreto, sussistono il diritto soggettivo e la giurisdizione del G.O.

Si ha carenza di potere in astratto, qualora l’organo della P.A. esercita un potere che non gli compete in mancanza assoluta di una corrispondente norma attributiva.
Si ha carenza di potere in concreto, qualora un organo della P.A. esercita un potere, astrattamente previsto dalla norma, ma esercitato nel concreto fuori dalle condizioni o circostanze previste dalla norma stessa.
Nell’ambito dell’ampia categoria degli interessi legittimi si sono operate delle distinzioni.
La dottrina tradizionale ha ripartito gli interessi legittimi in interessi protetti e diritti affievoliti (da un provvedimento amministrativo che limiti la sfera giuridica del soggetto, degradando il diritto soggettivo ad interesse legittimo: es. il provvedimento di espropriazione per pubblica utilità degrada il diritto di proprietà ad interesse legittimo circa la regolarità della procedura ablativa).

La dottrina moderna ha contrapposto gli interessi pretensivi agli interessi oppositivi.
I primi consistono nella pretesa, esercitata dal titolare, alla emissione di un provvedimento amministrativo, ampliativo della sfera giuridica (es. autorizzazione, concessione, licenza...); gli interessi oppositivi consistono, invece, nel potere di difendere una posizione giuridica soggettiva (diritto soggettivo) già esistente e di “opporsi“ al provvedimento amministrativo che incida negativamente nella sua sfera giuridica.
Gli interessi in esame sono correlati ai diritti affievoliti e mirano alla riespansione del diritto degradato, con il meccanismo dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento.

Alcuni autori (Giannini) e parte della giurisprudenza distinguono gli interessi procedimentali-partecipativi dagli interessi sostanziali.

I primi hanno ricevuto un riconoscimento e una disciplina omogenea dalla legge n. 241 del 1990 sui procedimenti amministrativi.

Nell’ambito del diritto europeo, gli interessi legittimi non sono definiti rispetto ai diritti soggettivi, ma sono a questi equiparati normativamente.
Infatti, le posizioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi e interessi legittimi) sono tutelati in misura paritaria.
La giurisprudenza europea ha stabilito la piena effettività della tutela giurisdizionale in favore degli interessi legittimi di fonte europea.
Poiché sussiste il primato del diritto europeo sul diritto interno, il giudice nazionale, nell’ipotesi di contrasto tra i due ordinamenti, ha il dovere di disapplicare le norme che limitano o negano la tutela effettiva agli interessi legittimi di fonte europea.

INTERESSI COLLETTIVI DIFFUSI

Gli interessi hanno avuto, in questi ultimi anni, una forte espansione per l’affacciarsi di forti esigenze, legate ad una migliore vivibilità e maggiore protezione.
Tra gli interessi collettivi più importanti ricordiamo l’interesse alla salute, all’ambiente salubre (questi sono correlati ad altrettanti diritti soggettivi in virtù degli articoli 2 e 32, Cost. ), l’interesse dei consumatori alla correttezza ed equilibrio contrattuali nei rapporti di utenza.
La dottrina tradizionale ha, da sempre, equiparato l’interesse legittimo all’interesse diffuso, consistenti nell’interesse alla salvaguardia di un bene giuridico della collettività in generale o di un gruppo qualificato.
La dottrina recente, invece, distingue le due forme di interesse in esame: l’interesse diffuso è relativo alla collettività generalizzata o ad un gruppo sociale spontaneo; l’interesse collettivo fà capo ad una formazione sociale organizzata e individuabile giuridicamente (es. associazioni ambientaliste, associazioni dei consumatori, ordini professionali, sindacati etc…).

La giurisprudenza amministrativa ( v. Condisglio di Stato, Ad. Plen. 19 ottobre 1979, n. 24 ) ammette la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, previo loro inquadramento nella categoria degli interessi legittimi.
La dottrina più attenta, sulla scorta delle importanti aperture della giurisprudenza amministrativa sul fronte della tutelabilità, ha elaborato una nozione ampia ed elastica dell’interesse legittimo. Infatti, la stessa Costituzione all’articolo 113 non limita la tutela giurisdizionale esclusivamente agli interessi individuali.
Inoltre, questa scelta è confermata dalle varie leggi di settore ( v. legge n. 349 del 1986 sul danno ambientale che attribuisce a determinate associazioni ambientali la potestà di impugnare gli atti illegittimi lesivi del bene-ambiente, il potere di intervento…; c.p.p. che prevede la possibilità per le stesse di costituirsi parte civile; D.lgs. n. 52 del 1996 che prevede in favore delle associazioni dei consumatori la potestà di esercitare l’azione inibitoria contro le clausole vessatorie; ).

E' espressione di grande conquista di civiltà giuridica l’aver previsto normativamente la possibilità per le associazioni di interessi collettivi, di presentare petizioni, proposte, istanze nell’ambito dei procedimenti amministrativi (articolo 6, legge n. 142 del 1990), la facoltà di intervento negli stessi procedimenti (articolo 9, legge n. 241 del 1990), il diritto di accesso agli atti pubblici (v. legge n. 349 del 1986 ).

Sono stati elaborati diversi criteri per l’individuazione delle formazioni legittimate a rappresentare gli interessi dei cittadini.
Al criterio del collegamento territoriale si sono affiancati il criterio della “personalizzazione” degli interessi.
In altri termini, è legittimato a tutelare gli interessi collettivi l’ente o la formazione che ha, come proprio ed esclusivo ( o prevalente ) scopo, il perseguimento dei predetti interessi.
Secondo parte della dottrina i criteri in questione si intrecciano.

Parte della dottrina e della giurisprudenza adottano il criterio della partecipazione procedimentale, prevista principalmente dalla legge n. 241 del 1990.
Si sostiene che nella previsione di cui alla legge n. 241 del 1990 è implicita la legittimazione alla partecipazione e alla tutela processuale.
Buona parte della giurisprudenza amministrativa, opta per un criterio tipicamente normativo: sono le norme di settore che individuano e qualificano gli enti esponenziali legittimati a promuovere la tutela, anche giurisdizionale degli interessi collettivi.
E’ necessario però precisare che la tutela giurisdizionale, prima della “famosa” decisione della Corte di Cassazione, era limitata al giudizio di legittimità.
La Giurisprudenza civile non ha riconosciuto autonomia giuridica all’interesse collettivo, considerato come l’insieme di interessi individuali, tutelabili qualora ricoprano il grado di diritti soggettivi (diritto alla salute, diritto all’ambiente salubre etc…).

INTERESSI DI FATTO

Gli interessi di fatto sono quegli interessi, chiamati semplici, poiché sono tesi a pretendere dalla P.A., un comportamento conforme alle regole non scritte di opportunità, di convenienza.
Tali interessi ottengono solo una tutela in sede amministrativa per mezzo dei ricorsi amministrativi, ed eccezionalmente in sede giurisdizionale, nelle ipotesi, tassativamente previste dalla legge, di giurisdizione di merito.
Altri autori sostengono che gli interessi di fatto consistono nella generica pretesa all’adempimento dei doveri della P.A.
Tale interesse (quale interesse alla sicurezza, alla illuminazione pubblica etc…) non è né qualificato normativamente né differenziato e, pertanto, non è tutelabile a livello giurisdizionale.

Il privato cittadino è legittimato a presentare mere denunce, ma non ha titolo idoneo alla partecipazione procedimentale.

In determinati casi (v. azioni popolari), possono azionare i mezzi di tutela anche coloro che non sono titolari dell’interesse che si reputa leso: articolo 7, legge n. 142 del 1990 (ricorsi e azioni di competenza del Comune inerte); d.P.R. n. 223 del 1989 (ricorsi contro iscrizioni, cancellazioni nelle liste elettorali).
In relazione agli interessi legittimi, la giurisprudenza ha da sempre negato la tutela risarcitoria sulla base di una interpretazione restrittiva dell’articolo 2043 c.c.
La norma include nella sua previsione i diritti soggettivi, meritevole di tutela giuridica perfetta.
La dottrina ha anticipato le conclusioni della Cass. SS. UU. (sent. n. 500 del 1999 ), intendendo gli interessi legittimi una posizione giuridica soggettiva, tutelabile alla stessa stregua dei diritti soggettivi, poiché la disposizione in esame prevede il meccanismo risarcitorio imperniato sull’elemento dell’ingiustizia del danno.
L’articolo 2043 c.c., in altri termini, non è “una norma secondaria (di sanzione) rispetto a norme primarie (di divieto) “.

La teoria normativa (Nigro) suindicata ha propugnato un interesse legittimo di natura “sostanziale” e non meramente formale e processuale; la teoria in esame attribuisce ad esso una funzione strumentale rispetto all’interesse sostanziale ad esso collegato.
La storica sentenza della Cassazione si occupa di un caso relativo al mutamento di destinazione urbanistica di una determinata area, in precedenza oggetto di apposita convenzione di lottizzazione e successivamente non più inserita in zona edificabile.
Il privato chiede il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata realizzazione delle opere, previste nella convenzione di lottizzazione, a causa di un P.R.G., annullato dal T.A.R. e successivamente riadottato dall’Amministrazione comunale.
Il privato cita l’Amministrazione davanti al G.O. per il ristoro dei danni, il Comune eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice adito e propone regolamento preventivo di giurisdizione.
La Cassazione, pur respingendo il ricorso principale, poiché relativo ad una questione di merito e non di giurisdizione, coglie l’importante occasione offertagli, per affermare il principio di risarcibilità degli interessi legittimi e di motivarne ampiamente le ragioni.
La sentenza in esame ha il pregio di ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in materia.

La giurisprudenza più recente ha applicato, in modo più elastico e aderente alla realtà, l’articolo 2043 c.c.
Infatti, sono stati considerati meritevoli di tutela risarcitoria non solo i diritti soggettivi assoluti (diritto di proprietà) ma anche i diritti relativi (diritti di credito); sono state valorizzate posizioni giuridiche soggettive che non rientrano nell’alveo dei diritti soggettivi, quali il diritto all’integrità del patrimonio, alla libera determinazione contrattuale.
Correlativamente a questi sono state “disciplinate“ dalla giurisprudenza il risarcimento del danno derivante da perdita di chance.

Nell’ambito del diritto familiare, la giurisprudenza ha riconosciuto la tutela prevista ex articolo 2043 c.c. delle aspettative al mantenimento, anche in relazione ai nuclei familiari di fatto.

Nonostante queste forzature, la giurisprudenza non abbandonava lo schema di interpretazione rigida dell’articolo 2043 c.c., quale norma che sanziona il danno non iure (non giustificato da alcuna norma) e contra ius (lesivo di un diritto soggettivo perfetto); escludeva il principio di risarcibilità degli interessi legittimi, in quanto posizione giuridica di grado inferiore rispetto al diritto soggettivo.
La Cassazione, che qui si considera, con la recente decisione, si allinea quasi in toto alle elaborazioni dottrinarie formulate in favore dell’interesse legittimo.
Traccia le linee essenziali del pensiero dottrinale, soffermandosi sulla nozione e distinzioni degli interessi legittimi.
Essa accoglie l’accezione sostanziale e strumentale dell’interesse de quo, come esposto in precedenza. Distingue gli interessi in oppositivi e pretesivi.

Gli interessi oppositivi sono correlati ai diritti affievoliti, da un provvedimento amministrativo (es. diritto di proprietà degradato ad interesse legittimo dal provvedimento di espropriazione).
Nelle ipotesi di illegittimità e conseguente annullamento del provvedimento amministrativo, si verifica l’automatica riespansione del diritto, che in medio tempore è rimasto inoperante.
Il mancato esercizio del diritto può causare dei danni al titolare che è legittimato ad azionare il meccanismo risarcito ex articolo 2043 c.c.
A questa conclusione la giurisprudenza era giunta, camuffando il diritto affievolito sotto le spoglie del diritto soggettivo perfetto.
La medesima interpretazione veniva applicata relativamente ai diritti acquisiti in forza di un provvedimento amministrativo (autorizzazione, concessione ... ), poi ritirato dall’Amministrazione.
Il privato poteva (e può) chiedere l’annullamento dell’atto illegittimo di ritiro e richiedere i danni.
In virtù della pronuncia di annullamento, infatti, il diritto prima compresso, rinasce e si riespande come in origine.

Gli interessi pretensivi (pretesa alla adozione di un provvedimento amministrativo ampliativo della sfera giuridica soggettiva) hanno trovato tutela risarcitoria nelle ipotesi penalmente rilevanti (es. lesione di aspettative alla progressione della carriera, a causa del concorso truccato).
La decisione che si esamina afferma che la coraggiosa presa di posizione sulla risarcibilità degli interessi legittimi, era quasi un atto dovuto, poiché sono giunti, forti e inequivocabili segnali in tal senso, da parte del legislatore.

Il più importante è costituito dal D.lgs. n. 80 del 1998 che ha stabilito la giurisdizione esclusiva in capo al G.A., relativamente alle materie dei servizi pubblici, edilizia ed urbanistica.
In questi “blocchi di materie“, il G.A. può giudicare anche intorno ai diritti patrimoniali consequenziali, compresi il diritto al risarcimento del danno, anche per mezzo della reintegrazione in forma specifica.
Il D.lgs. n. 80 del 1998 non specifica la posizione giuridica soggettiva (diritto soggettivo, interesse legittimo) che deve ricevere tutela risarcitoria, accogliendo quella accezione ampia di responsabilità aquiliana, fondata sull’elemento del danno ingiusto.
Abbiamo, in precedenza, precisato che la recente legge n. 205 del 2000 (sulla miniriforma del processo amministrativo) ha riconfermato la giurisdizione esclusiva sui servizi pubblici al fine sanare le conseguenze prodotte dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 292 del 2000.
La legge suindicata (articolo 7, comma 4) ha riformulato parte dell’articolo 7, legge n. 1034 del 1971 sul T.A.R.), estendendo la cognizione del G.A. alle questioni sul risarcimento del danno, anche attraverso la reitegrazione in forma specifica e gli altri diritti patrimoniali consequenziali.
Inoltre, il comma 5 così recita: “Sono abrogati l’articolo 13 legge 19 febbraio 1990, n. 142 e ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi “.

Questa disposizione, successiva alla sentenza in esame, ne costituisce una prima battuta d’arresto.
Infatti, la Cassazione ha stabilito, che fuori dai casi di giurisdizione esclusiva del G.A., il privato cittadino, che si ritiene leso, potrà rivolgersi direttamente al G.O. per ottenere il giusto ristoro per i danni derivanti dall’operato illegittimo della P.A., accertato incidentalmente dal medesimo giudice.
Ma la stessa Cassazione preannunciava una imminente e probabile abrogazione di tale principio, in forza di futuri provvedimenti legislativi, all’epoca ancora in itinere.
Possiamo affermare che, al fine di assicurare il principio di concentrazione processuale della tutela, il cittadino dovrà rivolgersi al G.A.; a tal proposito, la legge n. 205 del 2000 è inequivocabile (articolo 7, commi 4 e 5)

Di fondamentale importanza è la definizione del concetto di colpa dell’autore del danno.

La colpa, nell’ambito che qui interessa, non è riferibile al singolo dipendente o impiegato, ma all’Amministrazione nel suo complesso, che non abbia seguito le regole dell’imparzialità, della correttezza e della buona amministrazione ex articolo 97 Cost., le quali costituiscono i “limiti esterni alla discrezionalità “.
Tra le prime applicazioni dei principi suesposti possiamo elencare alcune decisioni:
T.A.R. Lombardia, sent. n. 5049 del 1999: nella ipotesi di annullamento di una gara d’appalto per un servizio di pulizia, la società esclusa può richiedere al G.A. il ristoro del danno da perdita di chance, quale possibilità di aggiudicarsi una nuova ed ipotetica gara.
Ricordiamo che la giurisprudenza, in precedenza, ha ammesso la risarcibilità del danno da perdita di chance, definendo questa come la probabilità concreta ed effettiva “di conseguire un risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilità o per presunzioni“;
T.A.R. Sicilia, Sez. Catania, Sez. I, sent. n. 38 del 2000: qualora il piano di lottizzazione non venga approvato dall’Amministrazione e il diniego venga annullato perche illegittimo, il privato potrà chiedere ed ottenere il ristoro dei danni, subiti nel periodo intercorrente tra l’annullamento del diniego e l’approvazione del PRG che prevede la variante urbanistica e rende impossibile la realizzazione delle sue opere.
I danni sono commisurati sulla differenza tra il valore del terreno al momento della lottizzazione e il valore al momento dell’approvazione della variante urbanistica. Il T.A.R. afferma che non può essere disposta la reintegrazione in forma specifica, poiché, nella fattispecie in esame, l’Amministrazione pone in essere una attività discrezionale (attività di pianificazione) e non vincolata;
Consiglio di Stato, Ad. Plen., ord. n. 1 del 2000: l’articolo 35, comma 1, D.lgs. n. 80 del 1998 deve essere interpretato nel senso della risarcibilità del danno ingiusto, nelle ipotesi di lesione dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi;
T.A.R. Toscana, Sez. II, sent. n. 660 del 2000: nella ipotesi di aggiudicazione illegittima dell’appalto, la colpa della P.A. consiste nel comportamento procedimentale basato sulla “contraddittorietà ed ingiustizia“, “disparità di trattamento“.
L’attività amministrativa non ha seguito i canoni della correttezza, della imparzialità e della buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Nell’ipotesi in esame, è configurabile il danno da perdita di chance, che consiste nella perdita di una “possibilità attuale e non di un futuro risultato utile”.
Si tratta non di un lucro cessante ma di un danno emergente o perdita subita.

Il giudice amministrativo propone un criterio di liquidazione del danno basato sul parametro dell’utile economico realizzabile nel complessivo, “diminuito di un coefficiente proporzionato al grado di raggiungimento dell’utile medesimo”; in alternativa, può farsi luogo alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.

Senorbì, Cagliari, lì 31 luglio 2000

Avv. Bruno Sechi