AFFARI ISTITUZIONALI - 009
 T.A.R. Lombardia, Sez. III, sentenza del 10 giugno - 14 ottobre 1999 (dep. il 29 novembre 1999) n. 4070
(si veda anche Tar Lombardia, Sez. III, sentenza del 16 luglio - 29 luglio 1999 - dep. il 23 dicembre 1999 - n. 5049)
E' riconosciuta la risarcibilità del danno per lesione dell'interesse legittimo; si determinano i criteri per la scelta tra risarcimento in forma specifica e per equivalente ex art. 35, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998 nonché i criteri per la determinazione del danno conseguente alla illegittima esclusione da una gara d'appalto ex art. 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998.

Rientra nell’ambito oggettivo di cui all’articolo 33 del decreto legislativo n. 80 del 1998 la controversia che riguarda una procedura di affidamento di appalto per la gestione di servizi cimiteriali, considerati di "pubblico servizio" perché finalizzati all’erogazione di prestazioni di interesse generale.
Anche la lesione dell’interesse legittimo (e non solo del diritto soggettivo) può configurare responsabilità ex articolo 2043 codice civile.
Se il pregiudizio consiste solo in una perdita di chance non si può operare alcun giudizio circa la probabilità di un esito favorevole della gara ma questo non è preclusivo del risarcimento del danno per lesione dell'interesse legittimo.
L’evento dannoso deve essere imputabile alla P.A. a titolo di colpa.
L’atto o il comportamento della P.A. è illegittimo quando è viziato da violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere e la condotta si definisce colposa quando vi è negligenza, imprudenza o imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti o altre discipline, per cui in genere le condotte illegittime della P.A. siano anche colpose. Ai fini risarcitori però la colpa della P.A. non è correlata automaticamente all’illegittimità dell’atto se, nel caso concreto, vi siano adeguate giustificazioni (equivocità o contraddittorietà delle norme, difformi orientamenti giurisprudenziali ecc.) che abbiano determinato l’operato negativo della P.A. Non rileva invece l’elemento psicologico del soggetto agente.
Per distinguere tra risarcimento dei danni per equivalente e reintegrazione in forma specifica, anche nei giudizi ex articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 80/1998, si applica il criterio generale di cui all'articolo 2058 codice civile, per cui il risarcimento per equivalente è la modalità ordinaria di ristoro del danno ingiusto mentre la reintegrazione in forma specifica non può essere disposta dal giudice se non sia stata presentata una richiesta in tal senso dal danneggiato espressa richiesta in tal senso.
L'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80/1998 detta un procedimento dove il giudice «può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine». Tale norma non obbliga il giudice, ma gli dà la facoltà di determinare dei criteri; se esistono i presupposti egli può anche liquidare direttamente il danno, prescindendo dalle richieste delle parti.
La fissazione dei criteri, nella prospettiva di una soluzione sostanzialmente transattiva della questione, è utilizzabile soprattutto quando la liquidazione del danno non discende dall’immediata applicazione di parametri quantitativi certi ed è dunque necessario ricorrere, in tutto o in parte, ad una determinazione equitativa.
In caso di illegittima esclusione da una gara d'appalto i criteri della determinazione del risarcimento dipendono sia dall’importo a base d’asta, dalla incidenza di utile presunto ex articolo 345 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F, dal ribasso offerto dalla ditta aggiudicataria dell’appalto ed è ridotto in base alle ragionevoli probabilità di aggiudicazione alla ricorrente qualora non fosse stata illegittimamente esclusa.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha pronunciato la seguente

SENTENZA

A) sul ricorso n. 1305 del 1998 proposto da G.S.C. s.r.l., in persona dell’Amministratore Unico p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. F.A., presso il quale è elettivamente domiciliata in ...

contro

il Comune di Corsico, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M.L. ... e dall’Avv. G.M.,

per l’annullamento, previa sospensione,

- del bando di gara formulato dall’Amministrazione Comunale di Corsico al fine di procedere, mediante l’asta pubblica fissata per il giorno 15/04/98, all’aggiudicazione del servizio di gestione dei servizi cimiteriali;
- del capitolato speciale d’appalto per la gestione dei medesimi servizi;
- di ogni altro atto comunque connesso.

B) sul ricorso n. 2875 del 1998 proposto da G.S.C. s.r.l., in persona dell’Amministrazione Unico p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. F.A., presso il quale è elettivamente domiciliata in ...

contro

il Comune di Corsico, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M.L. ... e dall'Avv. G.M.,

e nei confronti

di R.R.S. Servizi Ambientali s.r.l., controinteressata, non costituitasi in giudizio,

per l’annullamento, previa sospensione,

- della delibera con cui l’A.C. di Corsico ha proceduto all’aggiudicazione definitiva alla ditta R.R.S. Servizi Ambientali in associazione temporanea di imprese con la San Paolo Coop. a.r.l. dell’appalto per la gestione dei servizi cimiteriali sulla base di bando modificato e mai pubblicato a seguito dell’esecuzione dell’ordinanza di sospensione del TAR n. 1143/98;
- di ogni altro atto comunque connesso e segnatamente degli atti della gara esplicitata il giorno 15/05/98,

nonché per la condanna

ex art.35 D.Lgs, 31/03/98 n.80 al risarcimento di ogni voce di danno subito dalla ricorrente a causa dell’illegittimità degli atti impugnati, nella misura da determinarsi in corso di causa

(omissis)

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1) Con il ricorso n. 1305 del 1998 la G.S.C. s.r.l. ha impugnato il bando di gara ed il capitolato speciale relativi all’appalto per la gestione dei servizi cimiteriali nel Comune di Corsico per il triennio 1998/2001, limitatamente ad alcune clausole che di fatto impedivano alla ricorrente di partecipare alla procedura. Di esse la G.S.C. ha denunciato l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto molteplici profili.

Si è costituito in giudizio il Comune di Corsico, che nel frattempo aveva modificato (peraltro in modo solo parzialmente satisfattivo per la ricorrente) la lex specialis di gara, insistendo per il rigetto del gravame.

Nella Camera di consiglio del 10 aprile 1998 questo Tribunale, con ordinanza n. 1143/98, ha accolto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati.

2) Il Comune di Corsico ha preso atto, con deliberazione Giunta comunale n. 126 del 23 aprile 1998, della citata decisione cautelare ed ha deciso di ammettere con riserva alla gara anche i concorrenti non in possesso dei requisiti ritenuti dal T.A.R. eccedenti l’oggetto dell’appalto. La gara si è quindi svolta, come previsto, il 15 maggio 1998 ed è stata infine aggiudicata alla ditta R.R.S. Servizi Ambientali s.r.l. in a.t.i. con la Coop. San Paolo a.r.l.

Avverso gli atti di gara la G.S.C. s.r.l. ha proposto il ricorso n. 2875 del 1998, censurando il fatto di non avere potuto partecipare alla gara per non avere avuto notizia, nelle dovute forme, delle determinazioni assunte dall’Amministrazione e conseguenti alla decisione adottata da questa Sezione nella fase cautelare del giudizio sul ricorso n. 1305/98. Con il nuovo gravame la ricorrente ha anche chiesto, ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998 il risarcimento dei danni subiti.

Anche in tale ultimo giudizio si è costituita l’Amministrazione intimata, insistendo per il rigetto del ricorso.

Nella Camera di consiglio del 24 settembre 1998 questo Tribunale, con ordinanza n. 2576/98, ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente.

3) Entrambe le cause sono state chiamate all’udienza del 24 giugno 1999, in vista della quale le parti costituite hanno presentato memorie; in quella sede sono infine passate in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente, il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione, per evidenti motivi di connessione soggettiva ed oggettiva, dei giudizi sui ricorsi n. 1305 e n. 2875 del 1998.

2) Nel ricorso n. 1305/98 si contesta la legittimità di tre dei requisiti previsti (a pena di esclusione) del bando e/o dal capitolato speciale d’appalto ai fini della partecipazione alla gara indetta dal Comune di Corsico per l’affidamento della gestione triennale dei servizi cimiteriali, requisiti non posseduti dalla ricorrente che è perciò legittimata ad agire, in quanto immediatamente lesa dalle prescrizioni censurate; più precisamente si contestano:

a) la prescrizione (articolo14 b) del capitolato e punto b) della documentazione richiesta dal bando) secondo cui l’impresa aggiudicataria deve essere iscritta all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti per la categoria 3;
b) la prescrizione (punto f) nn. 1 e 2 della documentazione richiesta dal bando) secondo cui la capacità economico-finanziaria va dimostrata attraverso un importo globale minimo dei servizi realizzati nell’ultimo triennio di lire 800 milioni, dei quali almeno 400 relativi a servizi simili a quelli oggetto della gara;
c) la prescrizione (punto f) n. 3 della documentazione richiesta dal bando) secondo cui la dotazione del personale in organico deve essere almeno pari a dieci unità.

Dopo la notifica del ricorso la Giunta comunale di Corsico, con deliberazione n. 112 del 31 marzo 1998, ha modificato il capitolato ed il bando prescrivendo che l’iscrizione all’Albo degli esercenti servizi di smaltimento rifiuti può essere posseduta, in alternativa, anche da un mandante o da un subappaltatore. Detta modifica, ad avviso del Collegio, fa venir meno l’interesse a coltivare il ricorso in parte qua, perché rimuove un ostacolo alla partecipazione della ricorrente alla gara; se anche la G.S.C. non è in possesso dell’iscrizione richiesta, nulla impedisce che provveda mediante conferimento di un subappalto limitato all’attività di smaltimento. In proposito non risultano convincenti le argomentazioni sviluppate nella sua memoria conclusiva, secondo cui la modifica apportata non farebbe venir meno l’illegittimità della clausola; questa era stata censurata, tra l’altro, proprio con riferimento alla possibilità prevista dalla lex specialis di gara di avvalersi del subappalto e per il resto non appare irragionevole in relazione alla tipologia delle prestazioni previste in capitolato.

Per quanto invece riguarda le altre due clausole il ricorso è fondato.

A fronte di un importo presunto a base d’asta quantificato in lire 429 milioni risulta palesemente eccedente l’oggetto dell’appalto e quindi (come censurato nel ricorso) contrastante con il principio generale consacrato nell’articolo14 comma 3 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157 una clausola che richieda, a dimostrazione della capacità economico-finanziaria, che il concorrente abbia svolto servizi per un importo quasi doppio di quello dell’appalto da aggiudicare; semmai è in linea con tale principio il limite fissato (400 milioni di lire) per i soli servizi similari.

Per ciò che attiene al personale in organico, poi, risulta condivisibile la tesi della ricorrente secondo cui il numero minimo di dieci addetti non si giustifica, posto che il capitolato si limita a richiedere la disponibilità di quattro addetti per le operazioni di inumazione e prevede, tra l’altro, la possibilità del subappalto. Né la fissazione di quel dato numerico può essere giustificata con il richiamo all’esigenza di limitare la partecipazione soggetti dotati di effettiva organizzazione di impresa; il riferimento al dato quantitativo del personale in organico non è infatti idoneo a garantire il soddisfacimento dell’esigenza prospettata. Le capacità dell’impresa di far fronte alle esigenze contrattuali dipendono in modo determinante dall’organizzazione aziendale, restando non decisivo il mero numero di addetti. Decisive sono invece le scelte organizzative, tipicamente riservate all’imprenditore: perciò, in concreto, il numero minimo di addetti richiesto dal Comune di Corsico di per sé solo non garantisce affatto che alla gara partecipino solo imprese dotate di adeguata organizzazione, né un numero inferiore di addetti giustifica valutazioni negative sul punto. La clausola dunque va giudicata non proporzionata rispetto alla finalità che persegue è perciò illegittima perché inidonea allo scopo. Per le ragioni illustrate il ricorso n. 1305/98 va in parte accolto e gli atti impugnati vanno annullati nei limiti suindicati; va invece dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse in ordine alla clausola (poi modificata) relativa all’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti per la categoria 3.

3) Con ordinanza n. 1143 del 10 aprile 1998 questo Tribunale ha accolto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati con il ricorso n.1305/98. Il Comune di Corsico ha preso atto di tale decisione con deliberazione Giunta comunale n. 126 del 23 aprile 1998, stabilendo di ammettere con riserva alla gara anche i concorrenti non in possesso dei requisiti ritenuti dal T.A.R. eccedenti l’oggetto dell’appalto. La gara si è poi svolta, come previsto, il 15 maggio 1998, senza la partecipazione della ricorrente, ed è stata infine aggiudicata alla ditta R.R.S. Servizi Ambientali s.r.l. in a.t.i. con la Coop. San Paolo a.r.l.

Avverso gli atti di gara la G.S.C. ha proposto il ricorso n. 2875/98; deduce l’illegittimità della procedura perché la deliberazione Giunta comunale n. 126/98 non è stata assoggettata alle prescritte forme di pubblicità, il che non ha consentito di garantire la partecipazione di tutti i potenziali concorrenti, tra cui la G.S.C. stessa; quest’ultima vantava, tra l’altro, uno specifico diritto, ex articolo 7 legge n. 241/1990, a ricevere diretta comunicazione dell’avvenuta modifica del bando che le consentiva di prendere parte alla gara. Nelle sue difese il Comune di Corsico eccepisce innanzitutto l’inammissibilità del ricorso n. 2875/98 (nonché la correlata improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del precedente ricorso n.1305/98) perché la ricorrente, pur avendo ottenuto, mediante la pronuncia giurisdizionale ed il successivo atto di adeguamento dell’Amministrazione, la possibilità di presentare la propria offerta, non se ne è avvalsa. L’eccezione va disattesa perché ciò che contesta la G.S.C. con il secondo ricorso è proprio il fatto di non essere stata messa in condizione di partecipare, per non avere il Comune utilizzato adeguati mezzi informativi che dessero conto della sua determinazione di dare seguito alla decisione cautelare n. 1143/98. L’Amministrazione contesta anche nel merito le argomentazioni della ricorrente, sostenendo che nessuna modifica è stata apportata alla lex specialis di gara con la deliberazione Giunta comunale n. 126/98, di mera presa d’atto ed adempimento dell’ordinanza cautelare del T.A.R. (senza rinuncia a far valere le proprie ragioni nel merito); per cui non occorreva né assicurare particolari forme di pubblicità alla decisione adottata, né informarne direttamente la G.S.C.

Il Collegio ritiene che la questione vada risolta sulla base delle seguenti considerazioni:

a) l’ordinanza n. 1143/98, diffusamente motivata in ordine alla rilevata illegittimità delle clausole relative all’importo dei servizi resi nel triennio precedente ed al numero di personale in organico, non era autoesecutiva, nel senso che sembra presupporre la difesa del Comune; con essa non si era infatti disposta l’ammissione con riserva della ricorrente (e delle altre imprese che analogamente non possedessero i requisiti contestati); in mancanza di puntuali indicazioni contenute nella decisione giurisdizionale, spettava al Comune stabilire come adeguarsi alla stessa, prescindendo dalle clausole in questione, oppure modificandole, oppure semplicemente congelando la procedura in attesa della decisione di merito;
b) solo nei limiti dell’effetto puramente sospensivo del procedimento può riconoscersi l’autoesecutività dell’ordinanza n. 1143/98 e quindi solo con riferimento ad esso non sarebbe stato necessario per l’Amministrazione assumere un formale provvedimento; se però il Comune intendeva procedere ugualmente alla gara, conformandosi alle indicazioni del Giudice, doveva formalizzare le proprie scelte e queste, essendo direttamente incidenti sulla possibilità di partecipare alla fase concorsuale, necessitavano di adeguate forme di pubblicità;
c) nel caso di specie il Comune ha scelto di ammettere anche (seppure con riserva) i concorrenti non in possesso dei requisiti negativamente valutati nell’ordinanza n.1143/98; trattandosi di una determinazione di carattere generale non necessitava di diretta e personale comunicazione all’odierna ricorrente, ma doveva comunque essere assoggettata alle forme di pubblicità già utilizzate per la pubblicazione del bando e della sua successiva rettifica: il che non è avvenuto;
d) risulta dunque fondata la prima delle censure proposte con il ricorso n. 2875/98; la riscontrata illegittimità vizia tutti gli atti della procedura e ne comporta l’annullamento.

Anche il ricorso n. 2875/98 va dunque accolto quanto all’azione impugnatoria.

4.1) Sulla base di quanto deciso va ora affrontata la domanda di risarcimento dei danni formulata nel medesimo ricorso n. 2875/98 ai sensi dell’articolo 35, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, il cui primo comma prevede: «il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto»./p>

Bisogna dunque procedere a verificare se sussistano o meno tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda della ricorrente e la conseguente condanna dell’Amministrazione.

4.2) In primo luogo si deve riconoscere che la controversia di cui al ricorso n. 2875/98 rientra nell’ambito oggettivo definito dall’articolo 33, che riguarda la materia dei pubblici servizi (comma 1) ed in particolare (comma 2, lett.e) «... le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale». Non è in questo caso necessario addentrarsi nella discussa questione relativa alla nozione di "pubblico servizio", né assumere posizione in ordine alle diverse possibili interpretazioni del riferimento agli appalti pubblici (restrittiva o estensiva a seconda che venga o meno correlata al solo settore dei pubblici servizi); basta qui evidenziare che la controversia all’esame del Collegio riguarda una procedura di affidamento di appalto per la gestione di servizi cimiteriali (inumazioni ed esumazioni) indiscutibilmente riconducibili al concetto di "pubblico servizio" perché finalizzati all’erogazione di prestazioni di preminente interesse generale.

4.3) La posizione sostanziale fatta valere nel giudizio dalla ricorrente ed illegittimamente lesa dagli atti del Comune di Corsico, impugnati ed annullati in questa sede, si concreta nell’interesse, proprio dell’imprenditore operante in un dato settore, a partecipare ad una procedura di gara per l’affidamento di un appalto relativo al settore predetto. Si tratta di una posizione qualificata che, in rapporto all’esercizio dei poteri attribuiti all’Amministrazione, assume la consistenza dell’interesse legittimo. Occorre allora stabilire se, in generale, possa essere riconosciuta tutela risarcitoria ad un interesse legittimo ed in caso affermativo se, in particolare, la posizione vantata dalla ricorrente ed il pregiudizio dalla stessa lamentato siano suscettibili di essere risarciti.

Sul primo punto il Collegio non può che richiamare i principi enunciati nella sentenza 26 marzo – 22 luglio 1999 n. 500, con cui la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ha superato il suo pregresso e "pietrificato" orientamento negativo circa la risarcibilità dei danni derivanti da atti o provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo. Le SS.UU., accogliendo infine le sollecitazioni della dottrina largamente prevalente, nonché le indicazioni emergenti dalla più recente legislazione e da alcune pronunce della Corte Costituzionale, hanno sottoposto a riesame critico la tradizionale lettura dell’articolo 2043 codice civile (che identificava il "danno ingiusto" con la lesione di un diritto soggettivo) e sono giunte ad affermare che «…è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (non iure), che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento…», e che dunque «…ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno…». Con ciò si è ammesso che anche la lesione dell’interesse legittimo (e non solo del diritto soggettivo) può configurare responsabilità ex articolo 2043 codice civile, fermo restando che, in concreto, la risarcibilità dello stesso presuppone che risulti altresì leso l’interesse sostanziale al quale l’interesse legittimo è correlato e sempre che detto interesse sostanziale risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo.

Il Collegio non ritiene necessario (né ha la pretesa di) aggiungere ulteriori argomentazioni a quelle svolte dalle Sezioni Unite a sostegno del suindicato mutamento di indirizzo, che condivide pienamente. Dato atto del principio enunciato e ricordato che nel caso in esame l’operato dell’A.C. di Corsico ha illegittimamente leso l’interesse della ricorrente a partecipare alla gara per l’affidamento della gestione dei servizi cimiteriali, occorre piuttosto approfondire il profilo della concreta risarcibilità del pregiudizio subito da G.S.C.

Nella fattispecie considerata tale pregiudizio si concreta in una mera perdita di chance; la ricorrente non ha potuto partecipare alla gara e non è stata messa in grado di presentare un’offerta: non è quindi possibile operare alcun giudizio prognostico circa la probabilità di un esito a lei favorevole della procedura concorsuale. Ciò peraltro non appare preclusivo del richiesto risarcimento; se è vero, infatti, che non può essere formulato un giudizio prognostico positivo per la ricorrente circa la conclusione della gara a cui non ha potuto partecipare, neppure è possibile formulare valutazioni di segno negativo. Non emergendo dagli atti ragioni che inducano ad escludere dal novero delle probabilità quella di un successo della ricorrente e tenuto conto che in sede di gara hanno concorso solo due offerte, si può concludere che l’interessata avrebbe avuto una non trascurabile possibilità di conseguire la concreta utilità a cui aspirava (l’affidamento dell’appalto); e che in tali condizioni la perdita di chance illegittimamente subita concreta in capo alla G.S.C. una lesione effettiva, ingiusta e patrimonialmente rilevante.

4.4) Detta lesione è conseguente all’illegittimo operato dell’Amministrazione resistente. Secondo la citata sentenza n. 500/99 della Cassazione, per stabilire se l’evento dannoso sia o meno imputabile alla P.A. a titolo di colpa (elemento che, unitamente al dolo, costituisce componente essenziale della responsabile aquilana) non basta il «… mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa»; occorre un’indagine più approfondita sulla colpa «…della P.A. intesa come apparato…che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo…. sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio dell’azione amministrativa deve ispirarsi…». Le richiamate indicazioni delle Sezioni Unite sono specificamente rivolte al giudice ordinario, ma meritano di essere tenute presenti anche dal giudice amministrativo. In proposito il Collegio non può esimersi dall’esprimere perplessità circa l’esatto significato delle considerazioni svolte sul punto dalla Suprema Corte. Se infatti l’atto (o il comportamento) della P.A. si definisce illegittimo quando è inficiato da violazione di legge e/o da eccesso di potere e se una condotta si definisce colposa quando si caratterizza per negligenza, imprudenza o imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, appare oltremodo difficile ipotizzare condotte illegittime della P.A. che non siano anche colpose. Né, d’altra parte, sembra che la sentenza n. 500/99 intenda fare riferimento, ai fini della qualificazione colposa o meno della condotta dell’Amministrazione, all’elemento psicologico del soggetto che per essa abbia agito; l’estensione dell’indagine a tale profilo, che di regola si ritiene influente sull’attività della P.A., appare oltretutto estremamente difficoltosa, nonché foriera di risultati tutt’altro che certi. Si potrebbe al più ipotizzare che, ai fini risarcitori, la colpa dell’Amministrazione non vada automaticamente correlata all’illegittimità dell’atto quando si riscontri, nella fattispecie concreta, l’esistenza di particolari circostanze (equivocità o contraddittorietà della normativa di riferimento, contrastanti orientamenti giurisprudenziali, novità delle questioni) che abbiano contribuito in misura determinante a condizionare negativamente l’operato dell’Amministrazione. Ma si tratta di un’ipotesi da meditare ed approfondire con la necessaria prudenza.

In ogni caso nella fattispecie in esame non sono ravvisabili circostanze del genere suindicato; si può quindi ritenere integrato anche l’elemento della colpa, essenziale perché possa trovare applicazione l’articolo 2043 codice civile.

4.5) Riconosciuta, nel caso in esame, la responsabilità aquiliana del Comune di Corsico per il danno illegittimamente cagionato alla ricorrente, occorre tranne le relative conseguenze, alla stregua delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998. Nell’atto introduttivo del giudizio la G.S.C. si limita a chiedere la condanna dell'Amministrazione «al risarcimento di ogni voce di danno…, nella misura da determinarsi in corso di causa». Solo nella memoria conclusiva la società predetta chiede la condanna dell’Amministrazione al risarcimento attraverso la reintegrazione in forma specifica ovvero, in subordine, la determinazione dei criteri in base ai quali il Comune di Corsico dovrà proporre, a favore della ricorrente, il pagamento di una somma entro un congruo termine. Si è già ricordato che in base al primo comma del citato articolo 35 il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto «anche attraverso la reintegrazione in forma specifica». Nel caso in esame la controversia riguarda un appalto di durata triennale, fino al 2001: quindi tuttora in corso. La lesione subita dalla ricorrente consiste nel non aver potuto, illegittimamente, partecipare alla relativa gara ed a tale titolo ha diritto al risarcimento del danno ingiusto. In tali condizioni di devono esaminare i seguenti profili:

a) quale rapporto intercorre tra il risarcimento per equivalente e la reintegrazione in forma specifica, anche in relazione al disposto dell’articolo 2058 codice civile;
b) in particolare, se la reintegrazione possa essere disposta solo in base ad espressa richiesta del ricorrente e se sia ammissibile, sotto il profilo formale, una domanda in tal senso formulata in memoria non notificata;
c) se sia possibile disporre la reintegrazione in un caso come quello di specie, a fronte di un contratto in corso di esecuzione;
d) ove si ritenga di poter condannare la P.A. al solo risarcimento del danno, se sia necessario procedere mediante la fissazione dei criteri di cui al comma 2 dell’articolo 35 o se tale fase sia meramente eventuale, anche in caso di espressa richiesta del ricorrente.

4.6) Nella disciplina civilistica la regola è che il danno ingiusto viene risarcito per equivalente; la reintegrazione in forma specifica può trovare luogo, ex articolo 2058 codice civile, solo se espressamente richiesta dal danneggiato e se espressamente richiesta dal danneggiato e se possibile, in quanto materialmente fattibile e non eccessivamente onerosa per il debitore (in base a valutazione del giudice).

La formulazione dell’articolo 35, comma 1, suscita indubbie difficoltà interpretative. La norma, infatti, da un lato non si limita a richiamare le disposizioni civilistiche, dall’altro sembra voler porre l’accento sul ruolo del giudice (amministrativo), presumibilmente per sottolinearne la centralità nella definizione delle questioni risarcitorie in un ambito in cui entrano in gioco, oltre ad interessi privati, anche rilevanti (ed anzi prevalenti) interessi pubblici. Di tali specifici interessi il giudice è chiamato a tener conto nella decisione da assumere. Ciò tuttavia non porta ad escludere che anche nei giudizi ex articolo 35, comma 1 citato trovino applicazione i principi generali dettati in materia dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile, specie per quanto attiene al rapporto tra risarcimento per equivalente e reintegrazione in forma specifica. Tale considerazione è confortata sia dal fatto che nessuna indicazione contraria si rinviene nella disciplina dell’articolo 35, sia dal dato testuale della norma, che con l’inciso «anche attraverso la reintegrazione…» sembra aver voluto limitare il ricorso a tale modalità risarcitoria entro un ambito eventuale e residuale. Si può dunque concludere che anche nel giudizio ex articolo 35, comma 1, del decreto legislativo n. 80/1998 il risarcimento per equivalente costituisce la modalità ordinaria di ristoro del danno ingiusto.

4.7) Sulla base delle considerazioni svolte al punto precedente si deve poi affermare che la reintegrazione in forma specifica non può essere disposta dal giudice se non sia stata presentata dal danneggiato espressa richiesta in tal senso; e ciò appare logico se non altro perché è certamente ipotizzabile il caso del ricorrente danneggiato il quale, nelle more del giudizio, abbia perso ogni interesse ed anzi non sia più in grado di far fronte ad un’eventuale reintegrazione in forma specifica, peraltro ancora possibile (si pensi all’ipotesi di un appalto di lungo periodo). Una richiesta di tal genere deve comunque essere formulata in modo rituale, idoneo ad instaurare il necessario contraddittorio secondo le regole del processo amministrativo; e dunque, ove non proposta con l’atto introduttivo del giudizio, con successivo atto notificato alla controparte, in analogia con quanto sancisce il pacifico orientamento giurisprudenziale in tema di motivi aggiunti: anche nell’ipotesi qui considerata, infatti, si verifica una mutatio libelli. A tale conclusione si perviene non per soddisfare una mera esigenza di osservanza formale delle regole predette, ma piuttosto per garantire alla parte contro cui viene proposta la domanda di conoscerla secondo modalità che le assicurino effettive garanzie di difesa; non va infatti trascurato che spesso tra la notifica del ricorso e l’udienza di discussione, in cui la causa viene definita, non si verificano altre occasioni di confronto tra le parti davanti al giudice e che non sono previste modalità di conoscenza legale degli atti non notificati che le parti stesse depositano in segreteria in tali condizioni il richiamo all’onere che, in base ad ovvi principi di diligenza, incombe sugli interessati di attivarsi per avere notizia dei depositi (ed acquisire le relative copie) non basta a legittimare il sacrificio del contraddittorio che potrebbe di fatto determinarsi, ove si ammetta la possibilità di una presentazione successiva, con atto non notificato, della domanda risarcitoria o reintegratoria.
Nel caso in esame la domanda di reintegrazione in forma specificata è stata formulata nella memoria conclusiva, non notificata. Essa risulta perciò inammissibile.

4.8) In ogni caso il Collegio ritiene che, nel merito, non sussisterebbero comunque le condizioni per l’accoglimento dell’istanza di reintegrazione in forma specifica. Si controverte di un appalto già in corso di esecuzione, che andrà a scadere nel 2001; dunque, almeno in parte, sarebbe concretamente possibile una pronuncia di condanna comportante l’obbligo per l’Amministrazione di rinnovare la gara, così da reintegrare l’odierna ricorrente nella possibilità di parteciparvi. A tale soluzione osta però la circostanza che tra il Comune di Corsico e la controinteressata sussiste un rapporto contrattuale che non può ritenersi automaticamente travolto dall’accoglimento del ricorso e dall’annullamento degli atti presupposti; secondo l’orientamento della Corte di Cassazione (tra le più recenti cfr. Sez. II, 8 maggio 1996 n. 4269, nonché Sez. I, 28 marzo 1996 n. 2842 e Sez. II, 21 febbraio 1995 n. 1885), a cui anche questa Sezione si è richiamata (nella sentenza 18 febbraio 1998 n. 371) i vizi del procedimento prodromico alla stipulazione di un contratto da parte della P.A. non si riflettono sul contratto stesso, che rimane valido, ancorché annullabile per iniziativa e nell’interesse della sola P.A.

4.9) Il Comune di Corsico va dunque condannato, ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998, a risarcire per equivalente i danni subiti dalla ricorrente a causa dell’illegittimo operato dell’Amministrazione. In proposito il comma 2 della norma citata prevede un meccanismo procedimentale secondo cui il giudice «può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine», nel caso di mancato accordo il danneggiato potrà poi agire con il ricorso per l’ottemperanza, chiedendo la determinazione in via giudiziale della somma in questione. La disposizione citata non appare vincolante per il giudice, nel senso che non lo obbliga, ma solo lo facoltizza ("può stabilire") a dar corso alla fase di determinazione dei criteri; ricorrendone i presupposti egli ben può direttamente liquidare il danno, indipendentemente dalle eventuali richieste formulate dalle parti sul punto. Si può comunque ritenere che la fissazione dei criteri, nella prospettiva di una soluzione sostanzialmente transattiva della questione, sia utilizzabile soprattutto quando la liquidazione del danno non discenda dall’immediata applicazione di parametri quantitativi certi e sia dunque necessario ricorrere, in tutto o in parte, ad una determinazione equitativa. Tale è appunto il caso di specie. Perciò appare opportuno procedere secondo il dettato del secondo comma dell’articolo 35, ordinando al Comune di Corsico di proporre alla società ricorrente il pagamento, a titolo di risarcimento danni, di una somma da determinarsi tenendo conto:

a) dell’importo a base d’asta previsto per la gara relativa all’appalto di cui si discute:
b) della percentuale di utile presunto (pari al 10%) indicata dall’articolo 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F;
c) del ribasso offerto dalla ditta aggiudicataria dell’appalto;
d) di un coefficiente di riduzione correlato alle probabilità che, in base ad una ragionevole presunzione, la ricorrente avrebbe potuto avere di aggiudicarsi la gara, ove avesse potuto parteciparvi.

Tale proposta dovrà essere formulata dall’Amministrazione entro il termine di 40 (quaranta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza.

5) Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’Amministrazione resistente.

P.Q.M.

Il tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sez. III, previa riunione dei giudizi sui ricorsi nn.1305 e 2875 del 1998, li accoglie entrambi e conseguentemente annulla gli atti impugnati.

Accoglie altresì, nei limiti e nei sensi di cui in motivazione, la domanda di risarcimento del danno presentata dalla società G.S.C. nel ricorso n. 2875/98 e ordina al Comune di Corsico di provvedere ai conseguenti adempimenti, nel termine prefissato, ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio nella misura complessiva di lire 8.000.000 (otto milioni).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nelle Camere di Consiglio del 10 giugno e del 14 ottobre 1999, con l’intervento dei signori:
F. Mariuzzo Presidente
C. Testorio Giudice Est.
C. Deodato Giudice


AFFARI ISTITUZIONALI - 009-bis
T.A.R. Lombardia, Sez. III, sentenza del 16 luglio - 29 luglio 1999 (dep. il 23 dicembre 1999) n. 5049
E' riconosciuta meritevole di risarcimento danni la chance e si individuano i criteri per la determinazione della somma che la pubblica amministrazione soccombente deve proporre ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998.
La "chance di vittoria" è meritevole di risarcimento, alla stregua dei principi enunciati nella sentenza Cassazione, Sez. Unite, del 22 luglio 1999, n. 500.
Il T.A.R. adotta la pronuncia che determina i criteri in base ai quali la pubblica amministrazione deve «proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine», ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998.
E' congruo il termine di 60 giorni entro il quale la proposta di cui all’ articolo 35, comma 2, del decreto legislativo n. 80 del 1998 deve essere formulata dalla pubblica amministrazione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 608/99 proposto da IPRAMS S.p.A., in persona del legale rappresentante pro - tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Daniela Anselmi, Marco Barilati e Maurizio Saladino, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Viale Regina Margherita, 43

FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA, in persona del legale rappresentante pro – tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato ex art. 7 decreto legislativo 23 aprile 1988, n. 134, ed elettivamente domiciliato presso gli uffici della stessa in Milano, Via Freguglia, 1

e nei confronti

dell’A.T.I. costituita tra la Soc. COOPERATIVA PULIZIE SAVONESI a.r.l. – capogruppo mandataria, in persona del legale rappresentante, e la GRATTACASO SOFIA & C. s.n.c., non costituitasi in giudizio

per l’annullamento

- del provvedimento in data 25 gennaio 1999, recante la mancata esclusione dell’A.T.I. COOPERATIVA PULIZIE SAVONESI – GRATTACASO e la conseguente aggiudicazione alla stessa dell’appalto del servizio di pulizia dell’Ente Autonomo Teatro Comunale dell’Opera di Genova, nonché di ogni atto preparatorio, presupposto, conseguente e/o comunque connesso e, segnatamente, occorrendo:
- di tutte le operazioni concorsuali e degli atti della Commissione giudicatrice;
- della deliberazione di approvazione dei risultati della gara;
- del contratto stipulato tra il Teatro dell’Opera di Genova e l’A.T.I.;

Ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con lettera del 17 novembre 1998 la IPRAMS S.p.A., già titolare dell’appalto di pulizia del Teatro Carlo Felice di Genova, veniva invitata a partecipare ad una trattativa privata per l’aggiudicazione del servizio di pulizia presso il medesimo Teatro per tre anni.
Con il ricorso in epigrafe la IPRAMS S.p.A., dopo aver partecipato alla gara, impugnava gli atti recanti la mancata esclusione del raggruppamento COOPERATIVA PULIZIE SAVONESI – GRATTACASO dalla gara, e la conseguente aggiudicazione avvenuta in favore del raggruppamento medesimo, unitamente:
- alle operazioni concorsuali e agli atti della Commissione giudicatrice;
- alla deliberazione di approvazione dei risultati della gara;
- al contratto stipulato tra il Teatro dell’Opera di Genova e l'A.T.I.
L’impugnativa si basava sul seguente motivo di ricorso:
1) violazione e/o falsa applicazione degli articoli 13,14, comma 2, e 22 decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, e delle prescrizioni contenute nella lettera d’invito a pena di esclusione; violazione della par condicio tra i partecipanti: eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti legittimati e d’istruttoria; difetto di motivazione, travisamento, illogicità ed ingiustizia grave e manifesta; violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, imparzialità e buona amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Costituzione.
Con atto notificato il 27-28 aprile 1999, la ricorrente ha chiesto altresì la disapplicazione e/o l’annullamento del regolamento gare dell’ente, approvato con deliberazione n. 42/1998 in data 6 novembre 1998, ed ha proposto i seguenti motivi aggiunti di ricorso:

1) violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1 e 4 decreto legislativo 17 marzo 1995, n.157, e dell’articolo 7 Direttiva CE 92/50 del 18 giugno 1992;

2) violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 23, comma 1, lettera b) decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, in relazione alla violazione dell’articolo 1 Direttiva CE 92/50 del 18 giugno 1992 e dell’articolo 1 decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157; violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 7 del regolamento gare approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 42/1998 in data 6 novembre 1998; violazione della lettera invito e più in generale delle norme che presiedono all’aggiudicazione della gara: eccesso di potere per difetto dei presupposti e d’istruttoria; illogicità grave e manifesta; immotivata contraddittorietà con precedenti determinazioni; violazione dell’articolo 3 legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto di motivazione; mancata predeterminazione dei criteri di massima; violazione dei principi di cui all’art. 97 Costituzione violazione del principio di imparzialità e correttezza del procedimento di gara;

3) violazione della par condicio tra i concorrenti e delle prescrizioni contenute nella lettera invito a pena di esclusione; eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti legittimati e d’istruttoria difetto di motivazione, travisamento, illogicità ed ingiustizia grave e manifesta; violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, imparzialità e buona amministrazione di cui agli articoli. 3 e 97 Costituzione.

4) violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1 e 4 decreto legislativo 17 marzo 1995, n.157, e dell’articolo 7 Direttiva CE 92/50 del 18 giugno 1992. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e d’istruttoria; illogicità manifesta; violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 12 decreto legislativo n. 157/95 e dell’articolo 11 comma 1, lett. d) del decreto legislativo n. 157 del 1995 e successive modifiche.

Oltre all’annullamento degli atti impugnati la ricorrente chiedeva il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, ai sensi del decreto legislativo n. 80 del 1998.

Si costituiva in giudizio la FONDAZIONE TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Il ricorso veniva chiamato per la discussione all’udienza del 16 luglio 1999 e quindi trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. La IPRAMS S.p.A., già titolare dell’appalto del servizio di pulizia del Teatro Carlo Felice di Genova, essendo stata invitata con lettera del 17 novembre 1998 alla trattativa privata per l’aggiudicazione del servizio di pulizia presso il medesimo Teatro per tre anni, ed avendo partecipato alla gara, impugna gli atti recanti la mancata esclusione del raggruppamento COOPERATIVA PULIZIE SAVONESI – GRATTACASO dalla gara, e la conseguente aggiudicazione avvenuta in favore del raggruppamento medesimo.

2. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla difesa di parte resistente nella comparsa di costituzione, con riferimento all’avvenuta trasformazione dell’Ente Autonomo Teatro Comunale dell’Opera di Genova in Fondazione di diritto privato Teatro Carlo Felice, per effetto del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 e del decreto legislativo 23 aprile 1998, n. 134.
L’eccezione si fonda sulle seguenti considerazioni:
a) l’articolo 4 decreto legislativo n. 367/96 ha stabilito che le fondazioni “hanno personalità giuridica di diritto privato e sono disciplinate, per quanto espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo”, tale impostazione è stata confermata dal decreto legislativo 23 aprile 1998, n. 134;
b) a parte il potere di vigilanza governativo ai fini dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 367/96 nonché il potere di controllo della Corte di conti (a motivo dei contributi pubblici ordinari di cui beneficiano questi enti), si applicano le prerogative proprie dei soggetti di diritto privato;
c) un significativo indizio in questo senso sarebbe rappresentato dall’articolo 15, comma 4 del decreto legislativo n. 367/96, che sancisce espressamente l’inapplicabilità alle fondazioni della normativa sugli appalti di opere pubbliche di cui alla l. n.109/94;
d) conclusivamente, i contratti per l’acquisizione dei servizi relativi all’attività teatrale sarebbero svincolati dalle disposizioni contenute nel d.p.c.m. 6 maggio 1994, n. 565 con riferimento agli (allora) Enti lirici.
L’eccezione è infondata.
Il Collegio ritiene che, per l’individuazione della giurisdizione, occorre verificare la possibilità di qualificare la Fondazione Teatro Carlo Felice come amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 157/1995.
Al riguardo va preliminarmente osservato che ai sensi dell’articolo 33, comma 1 e comma 2, lett. e) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 – applicabile alla presente controversia, instaurata dopo il 30 giugno 1998 – sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti e di forniture in tema di pubblici servizi svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale”.
Questa impostazione si pone in continuità con la giurisprudenza relativa al periodo anteriore: secondo Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, l’inclusione di un soggetto tra le «amministrazioni aggiudicatrici comporta che gli atti emanati dallo stesso siano vincolati, sotto il profilo procedurale e funzionale, alla normativa di diritto pubblico, a partire dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento; essi devono pertanto godere del medesimo trattamento giurisdizionale, e la relativa giurisdizione non può che spettare al giudice amministrativo, trattandosi di atti costituenti espressione di potere pubblico». Tale linea interpretativa è stata condivisa di recente dalle Sezioni Unite della corte di Cassazione, con particolare riferimento agli appalti rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria (S.U.C. 5 febbraio 1999, n. 24; 13 febbraio 1999, n. 64; 26 febbraio 1999, n. 101).
Nel caso di specie è indubbio che l’importo dell’appalto sia superiore alla soglia di 200.000 ECU (ora 200.000 EURO, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento CE 17 giugno 1997, n. 1103) prevista dalla citata direttiva comunitaria: il valore complessivo dell’appalto si avvicina infatti, complessivamente, al miliardo e mezzo di lire.
Occorre allora stabilire se la Fondazione Teatro Carlo Felice possa essere considerata un “organismo di diritto pubblico”, ai sensi dell’articolo 1, lettera b), comma 2, della direttiva CE n.92/50 e dell’articolo 2 del decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157.
E’ evidente, infatti, che tale qualificazione, ove ritenuta pertinente, comporterebbe l’applicabilità della disciplina comunitaria e la conseguente irrilevanza, ai fini dell’individuazione della giurisdizione:
- della natura privatistica della fondazione, alla stregua del diritto interno;
- della questione relativa all’applicabilità analogica della disposizione di cui all’articolo 15, comma 4 del decreto legislativo n. 367/96, che sancisce la non applicabilità alle fondazioni in questioni della legge n. 109 del 1994.
L’articolo 1, lettera b) comma 2, della direttiva n. 92/50 così recita:
«Per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi organismo: - istituto per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e
- avente personalità giuridica e
- la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione di direzione o di vigilanza è costituita da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o da latri organismi di diritto pubblico»
.
In particolare, occorre aver presente che i tre parametri costitutivi della nozione di organismo pubblico (soddisfazione di bisogni di carattere generale aventi natura non industriale o commerciale, personalità giuridica, stretta dipendenza da amministrazioni pubbliche) hanno carattere cumulativo, e pertanto devono essere congiuntamente presenti perché un ente possa essere qualificato come organismo di diritto pubblico (Corte di Giustizia CE, 15 gennaio 1998, in causa C-44/96).
Nel caso in esame è possibile riscontrare la sussistenza di tutti e tre i cennati requisiti.
In primo luogo, è innegabile che la diffusione della cultura musicale risponda ad un bisogno di interesse generale (l’art. 3 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367 fa riferimento alla “educazione musicale della collettività”); e d’altra parte tale attività non riveste carattere industriale o commerciale né intrinsecamente, né sotto il profilo istituzionale (le fondazioni perseguono, ai sensi del citato articolo 3, “senza scopo di lucro, la diffusione dell’arte musicale”).
Parimenti indubbia è l’esistenza del requisito della personalità giuridica.
Sussiste altresì il terzo requisito di identificazione, in quanto:
- la fondazione è finanziata in modo maggioritario da enti pubblici: l’articolo 10, comma 3 del decreto legislativo n. 367/96 (richiamato dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 134/98) prevede che l’apporto dei privati al patrimonio della stessa non superi nel primo quadriennio la percentuale del 40% del patrimonio medesimo;
- essa è soggetta al controllo della Corte dei conti (articolo 15, comma 5 del decreto legislativo n. 367/96) e dell’autorità di governo (articoli 19 e 21 del decreto legislativo n. 367/96);
- il Consiglio di amministrazione è interamente costituito da membri designati da enti pubblici (ossia dal Sindaco di Genova, da due membri dallo stesso designati, da un membro designato dalla Regione Liguria ed uno designato dall’autorità di governo competente in materia di spettacolo).
Tutti questi elementi consentono di ritenere sussistente la giurisdizione esclusiva di questo giudice con riferimento al caso di specie, trattandosi di una vicenda in cui è applicabile la normativa di fonte comunitaria.

3. Con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente lamenta la mancata applicazione, nei confronti dell’aggiudicataria della gara, della prescrizione della lettera d’invito che stabilisce il requisito del possesso di “un fatturato di importo non inferiore a due miliardi e cinquecento milioni, IVA esclusa, per ciascun anno”.
Con i motivi aggiunti, poi, la ricorrente fa valere:
1) la mancata applicazione della normativa di fonte comunitaria in materia di appalti di servizi: la gara in questione avrebbe dovuto essere espletata ai sensi di tale normativa e non del regolamento gare del 6 novembre 1998 (di cui in subordine si chiede comunque la disapplicazione e/o l’annullamento), approvato con deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’ente, da ritenersi vigente solo per le gare “sotto soglia”;
2) la mancata predeterminazione dei criteri per la valutazione dell’offerta, e l’applicazione del meccanismo del prezzo più basso, nonostante che la lettera d’invito prevedesse l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
3) la mancata applicazione, nei confronti dell’aggiudicataria, della previsione della lettera – invito, secondo cui le ditte partecipanti avrebbero dovuto produrre, a pena di esclusione e senza possibilità di regolarizzazione successiva, il certificato del casellario giudiziale, lo stato di famiglia e il certificato di residenza “di tutti i soci se trattasi di s.n.c.”
4) la mancata previsione, tra i requisiti di ammissione alla gara, della dimostrazione di assolvimento degli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali in favore dei lavoratori.
Il quinto “motivo aggiunto” costituisce in realtà un’articolazione della domanda: il ricorrente chiede che, in caso di accoglimento dei motivi aggiunti, questo giudice dichiari l’obbligo di rinnovazione della gara ad opera di una commissione diversa da quella che ha già esaminato le offerte.

4. Questo Tribunale ritiene che il primo e il secondo motivo aggiunto rivestano in concreto carattere pregiudiziale, in quanto diretti a far valere, nel complesso, la mancata applicazione della normativa comunitaria alla gara in questione, e a ottenere la caducazione di tutti gli atti di gara.
Va infatti disattesa la prospettazione della ricorrente, la quale ha affermato il carattere subordinato dei motivi aggiunti.
Nella specie viene dedotta la violazione di normative comunitarie. Il Collegio ritiene che anche l’ordine di esame delle censure non possa non essere influenzato, nella specie, dall’orientamento emergente dalle sentenze della Corte di Giustizia CE 14 dicembre 1995, in cause riunite C – 430/93 e C – 413/93 (Van Schijndel e Peterbroeck), e 24 ottobre 1996, in causa C – 72/95 (Kraaijeveld). Da queste pronunce si evince un maggiore rilievo dei poteri officiosi del giudice nazionale nel sollevare d’ufficio questione attinenti al diritto comunitario; e questa impostazione, ad avviso di questo Tribunale, comporta a fortiori la possibilità di dare rilievo pregiudiziale alle censure formulate dal ricorrente in via subordinata, qualora le stesse avvengano – come nella specie - a profili di invalidità comunitaria maggiormente pregnanti.
Nel merito, il primo e il secondo motivo aggiunto, da considerarsi congiuntamente, sono fondati.
Nella specie, l’Amministrazione avrebbe dovuto applicare la normativa comunitaria all’intera gara; ed in particolare avrebbe dovuto dare corretta applicazione al metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il che non è avvenuto: infatti da un lato la stazione appaltante non ha prefissato i criteri di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera b), e comma del decreto legislativo n. 157/95; dall’altro, ha seguito una procedura intimamente contraddittoria, in quanto, pur avendo optato per il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ha poi proceduto, in buona sostanza, ad un’aggiudicazione al prezzo più basso, con ciò ponendo in essere un procedimento assolutamente anomalo, in violazione sia all’articolo 7 del regolamento gare (di cui alla delibera del Consiglio di Amministrazione n. 42/1998), sia – soprattutto – della normativa di fronte comunitaria, la quale postula una conduzione della procedura che sia coerente con il metodo scelto dalla stazione appaltante. E tale contraddittorietà, si badi bene, emerge sin dalla lettura della lettera d’invito del 17 novembre 1998, la quale, ambiguamente, da un lato fa riferimento al metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, dall’altro richiede la presentazione di due buste, la prima contenente l’offerta prezzi, la seconda la documentazione a corredo, senza una vera e propria relazione tecnica di offerta.
Le suesposte considerazioni sono sufficienti per l’accoglimento del ricorso, nella parte relativa all’annullamento degli atti impugnati, restando assorbiti i rimanenti motivi di gravame; vanno conseguentemente annullati gli atti di gara, ed in particolare la lettera invito nonché l'aggiudicazione a favore dell’A.T.I. Cooperativa Pulizie Savonesi – Grattacaso. Non può invece essere annullato il contratto: trattasi infatti di questione che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, mentre la giurisdizione del giudice amministrativo rimane circoscritta alla procedura di gara.

5. Per quanto attiene alla richiesta di risarcimento dei danni, ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/98, il Collegio ritiene in primo luogo:
a) che il risarcimento in forma specifica, mediante assegnazione dell’appalto alla ricorrente, rimanga precluso:
- dall’avvenuta stipulazione del contratto (che va considerato annullabile, e quindi non automaticamente caducato in seguito all’annullamento dell’aggiudicazione: Cass. 8 maggio 1996, n. 4269; v. pure Cass. 28 marzo 1996, n. 2842; Cass. 21 febbraio 1995, n. 1885; Cass. 7 aprile 1989, n. 1682; Cass. 5 febbraio 1982, n. 671; Cass. 10 aprile 1978, n. 1668);
- dal fatto che nella specie va comunque annullata l’intera gara, il che impedisce di riscontrare in capo all’odierna ricorrente una pretesa all’aggiudicazione;
b) che anche il risarcimento integrale per equivalente sia precluso dal fatto dell’annullamento dell’intera gara.
La ricorrente ha altresì chiesto il risarcimento per equivalente del mancato utile conseguito e dei danni all’immagine nonché dell’aumento del costo delle spese generali, derivanti dal non aver potuto proseguire nella gestione del servizio in essere: ciò in quanto la Fondazione non avrebbe tenuto conto della condizione sospensiva prevista nel nuovo contratto nei confronti della ditta appaltante, che non potrebbe essere ritenuta in regola con i versamenti previdenziali.
Il Collegio ritiene che la domanda sia infondata in radice, in quanto le posizioni nascenti dal contratto nuovo riguardano solo le parti dello stesso, e non possono essere poste a fondamento di pretese di terzi, che non sono titolari di una posizione giuridicamente qualificata al riguardo.

6. Ad avviso del Collegio residua un danno risarcibile in capo all’odierna ricorrente: danno individuabile nella cd. “perdita di chance”.
La controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva di questo giudice ai sensi dell’articolo 33, comma 1 e comma 2, lett. e) del decreto legislativo 31marzo 1998, n. 80; pertanto questo giudice, ai sensi dell’articolo 35 del medesimo decreto legislativo, può disporre il risarcimento del danno ingiusto ove ne sussistano i presupposti.
6.1. Nel caso di specie, la ricorrente avrebbe potuto partecipare, ove non fosse già stato stipulato il contratto tra l’ente resistente e l’A.T.I. vincitrice della gara annullata, ad una nuova procedura di gara, in tal modo beneficiando di una possibile chance di vittoria.  Ad avviso del Collegio questa chance è meritevole di risarcimento, alla stregua dei principi enunciati nella sentenza S.U.C. 22 luglio 1999, n. 500, secondo cui anche la lesione dell’interesse legittimo è fonte di responsabilità aquiliana, qualora lo stesso sia correlato ad un interesse sostanziale meritevole di tutela alla stregua dell’ordinamento.
La ricorrente, già titolare del servizio, e classificatasi al secondo posto nella gara annullata, avrebbe potuto partecipare ad una nuova gara facendo valere una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza.
6.2. Circa l’elemento soggettivo dell’illecito, il Collegio ha ben presenti le indicazioni contenute nella citata sentenza S.U.C. n. 500/99, la quale richiede, per l’imputabilità dell’evento dannoso alla P.A. a titolo di colpa, il riscontro della «…violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio dell’azione amministrativa deve ispirarsi ...», nella specie, è evidente l’avvenuta violazione di tali principi, che presuppongono tra l’altro il rispetto della normativa di fonte comunitaria.
D’altra parte il Collegio non ritiene praticabile una più approfondita indagine sull’elemento psicologico, potendosi tutt’al più ipotizzare l’esistenza di peculiari circostanze tali da ridurre o eliminare la colpevolezza (equivocità della normativa di riferimento, novità delle questioni); circostanze che non ricorrono nella specie, tenuto conto, in particolare, dell’assoluto evidenza della qualificazione della Fondazione come organismo di diritto pubblico, con tutte le conseguenze sul piano della normativa applicabile.
6.3. Il Collegio ritiene di poter adottare in questa sede una pronuncia determinativa dei criteri in base ai quali la P.A. deve «proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine», ai sensi dell’articolo 35, comma 2 , del decreto legislativo n. 80 del 1998.
Infatti, tale disposizione prevede un meccanismo di particolare utilità, tenuto conto delle esigenze di economia processuale, nei casi in cui, come nella specie, la determinazione del danno rivesta carattere almeno in parte equitativo.
6.4. Va quindi ordinato alla Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova di proporre alla ricorrente il pagamento di una somma da determinarsi tenendo conto:

- dell’importo a base di gara;
- di una percentuale di utile presunto pari al 10% (articolo 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F );
- di un coefficiente di riduzione correlato alle probabilità che, in base ad una ragionevole presunzione, l’odierna ricorrente avrebbe potuto avere di aggiudicarsi la gara, in esito all’ipotetica rinnovazione della stessa.

Tale proposta dovrà essere formulata dall’Amministrazione resistente entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione della presente sentenza.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sez. III accoglie il ricorso e per l’effetto:
annulla la lettera d’invito e gli atti di gara, nei termini di cui in motivazione;
ordina alla Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova di provvedere ai conseguenti adempimenti, nel termine e nei sensi stabiliti in motivazione, ai sensi dell’articolo 35, comma 2 , del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80.
Condanna dal pagamento, in favore della ricorrente, delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, oltre agli accessori di legge, nella misura di L. 4.000.000 (quattro milioni).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Milano dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, nelle Camere di Consiglio del 16 luglio 1999 e del 29 luglio 1999, con l’intervento dei signori:
F. Mariuzzo Presidente
F. Arzillo Referendario Est.
C. Deodato Referendario