LAVORI PUBBLICI - 002

VARIANTI IN CORSO D'OPERA, PERIZIE MODIFICATIVE E SUPPLETIVE (Art. 25, legge n. 109 del 1994)
I casi in cui si può ricorrere alle varianti in corso d'opera - La varianti tipiche per cause diverse dall'errore progettuale - Le varianti causate da errori od omissioni progettuali - Le variazioni dei lavori previste da norme diverse - Le varianti «inevitabili» - La procedura per le varianti - Gli interventi che non costituiscono variante

1 - I casi in cui si può ricorrere alle varianti in corso d’opera

1.1 - La varianti tipiche per cause diverse dall'errore progettuale (commi 1 e 3, secondo e terzo periodo)

La disciplina in materia di varianti è tesa sostanzialmente ad arginare il fenomeno delle perizie suppletive, ponendo uno sbarramento a prassi e abitudini che sono degenerate col tempo, tuttavia il testo legislativo soffre fortemente di una impostazione “di esclusione in negativo”. La norma cioè elenca i casi in cui è ammessa la variante, peccando necessariamente di incompletezza e di superficialità; si conferma così una tendenza criticabile della legislazione più recente: invece di indicare i casi nei quali è imposto il divieto di procedere alle varianti (sulla base del sano principio che tutto ciò che non è proibito deve ritenersi ammesso), presidiando le occasioni di degenerazione o di abuso, si sono voluti indicare i casi nei quali le varianti sono ammesse. Tale impostazione negativa è comune alle norme sulla trattativa privata, non a caso sia l’articolo 24 che l’articolo 25 contengono al primo comma l’avverbio “esclusivamente”.

Questo ha comportato la necessità di ricostruire una casistica dove le varianti, pur non previste come ammissibili dall’articolo 25, saranno inevitabili. Già il legislatore, con la riforma, ha introdotto la lettera b-bis) al comma 1 con la previsione di una nuova fattispecie di variante possibile e ha precisato, col nuovo comma 5-bis, la definizione di errore od omissione progettuale.

Le varianti in corso d’opera sono ammesse, sentiti il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente quando ricorra uno dei seguenti motivi:
a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni normative;
b.1) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento;
b.2) per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti e sempre che non alterino l’impostazione progettuale;
b-bis)per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi n corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;
c) nei casi previsti dall’articolo 1664, secondo comma, del codice civile (cosiddetta sorpresa geologica);
d) per il manifestarsi di errori o di omissioni nel progetto esecutivo;
e) per modifiche finalizzate al miglioramento dell’opera e alla sua funzionalità, motivate da obiettive esigenze sopravvenute e non prevedibili al momento del contratto, nel limite del 5 per cento dell’importo contrattuale e con copertura nello stanziamento già previsto per l’intervento (comma 3, secondo e terzo periodo).

Esaminiamo i casi nel dettaglio.

Comma 1, lettera a): per le esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni di legge e di regolamento la lettura è abbastanza semplice, salvo capire se la sopravvenienza è riferita all’approvazione del progetto, alla pubblicazione del bando o al contratto; si presume che il termine di riferimento sia la pubblicazione del bando (o la presentazione dell’offerta in caso di trattativa privata), quale primo atto che turba i rapporti tra l’amministrazione e i terzi anche solo potenzialmente interessati. Infatti le norme tecniche entrate in vigore prima della pubblicazione del bando devono dar luogo più correttamente ad un aggiornamento del progetto e alla sua riapprovazione, anche in considerazione di quanto disposto dall’articolo 30, comma 6. Per contro le disposizioni posteriori al bando, anche se precedenti al contratto, devono trovare la loro soddisfazione in corso d’opera, pena un'impraticabile ripetizione della procedura di gara sulla base del progetto adeguato.

Per esigenze derivanti da norme sopravvenute sono intese quelle originate da due tipi di prescrizioni:
- quelle la cui applicazione è obbligatoria, che danno luogo senz’altro a una variante in corso d’opera senza la necessità di una valutazione di merito;
- quelle la cui applicazione non è obbligatoria, ma risponde ad un criterio di opportunità, adeguatamente motivato nel senso del soddisfacimento delle esigenze tutelate dalle stesse norme sopravvenute.

Si pensi ad esempio a quello che è accaduto negli anni scorsi con la legislazione sul superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche, sulla sicurezza degli impianti o sulla prevenzione incendi, disposizioni che hanno inciso fortemente sul patrimonio costruttivo. Questo genere di varianti è ammesso anche nel caso la normativa sopravvenuta sia derogabile ove l'amministrazione ritenga di adeguarsi alle prescrizioni sopravvenute senza avvalersi della deroga; infatti sarebbe irragionevole imporre l'esecuzione forzata di un'opera che viene a trovarsi non più rispondente a determinati requisiti, sulla quale intervenire successivamente con un nuovo lavoro di adeguamento.

Per questo caso non sono imposti limiti di importo, almeno sotto il profilo amministrativo, ferma restando l’adeguata copertura finanziaria dei maggiori oneri e il limite contrattuale del sesto quinto di cui si dirà in seguito.

Comma 1, lettera b): qui sono previsti due casi.

Primo caso: varianti derivanti da cause impreviste e imprevedibili, le cui modalità di accertamento sono rinviate al regolamento. Malgrado questo rinvio, che in un primo momento sembrava rendere inefficace la disposizione, almeno in via transitoria, l'ipotesi appare applicabile anche senza intermediazione regolamentare. Infatti l'applicazione delle norme che non fanno rinvio al regolamento (articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 101 del 1995, come modificato dalla legge di conversione n. 216 del 1995) e la conseguente non applicazione delle norme che a tale regolamento fanno rinvio, sono concetti da intendere secondo l'orientamento interpretativo e i principi generali consolidati:
- sono condizionate all'entrata in vigore del regolamento quelle disposizioni il cui contenuto, in assenza della norma di attuazione, resti indeterminato o incompleto tanto da renderle inapplicabili o da svuotarne la sostanza del precetto;
- sono applicabili anche in assenza del regolamento quelle disposizioni per le quali il rinvio sia di natura meramente procedimentale e che abbiano un contenuto normativo sufficientemente preciso e definito.

La fattispecie di variante in commento, malgrado l'inequivocabile rinvio al regolamento, subordina a quest'ultimo solo la definizione delle modalità di accertamento della condizione e non l'efficacia della medesima; su questo punto ha già fatto chiarezza la direttiva emanata con il d.p.c.m. 29 aprile 1994. [1]

Più recentemente è parso dello stesso avviso anche il Ministero dei lavori pubblici. [2]

A questo tipo di variante non si applica la condizione del divieto all'aumento dei costi imposta dalla lettera b), con la conseguenza che non vi sono limiti di importo ai maggiori lavori; infatti il divieto all'aumento dei costi si riferisce solamente alla seconda ipotesi della stessa lettera b), che si commenta di seguito. [3]

Secondo caso: varianti derivanti dalla intervenuta possibilità di utilizzare nuovi materiali, componenti e tecnologie; per questo caso devono concorrere tutte le seguenti condizioni:
- i nuovi materiali, componenti e tecnologie non dovevano essere disponibili o reperibili al momento della progettazione,
- i nuovi elementi o le nuove tecniche di costruzione devono comportare significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o delle sue parti,
- la variante non deve alterare l’impostazione progettuale,
- la variante non deve comportare un aumento dei costi.

L’accertamento della indisponibilità delle novità tecniche al momento del progetto, della significatività o meno dei miglioramenti, dell’alterazione o meno dell’impostazione progettuale, sono demandati anche in questo caso alla professionalità del direttore dei lavori e alla competenza del responsabile del procedimento. Per quanto riguarda il divieto all'aumento dei costi, l'espressione sembra esprimere un concetto diverso sia dal divieto di aumento dell'importo del contratto stipulato (comma 3, primo periodo) o dell'importo originario del contratto (comma 3, ultimo periodo, commi 4 e 5), sia dal divieto di aumento della spesa prevista (comma 3, primo periodo, versione antecedente la riforma del 1998). La diversa terminologia, dove costo si adatta più alla previsione della spesa (l'importo del progetto risultante dal quadro economico) che non all'impegno di spesa vero e proprio (importo del contratto) sembra autorizzare la possibilità di variazioni contrattuali in aumento purché contenute all'interno della somma stanziata per l'opera.

Infatti la sopravvenuta possibilità di utilizzazione di nuovi materiali, in quanto non disponibili al momento del contratto, è sufficiente a garantire contro arbitrarie espansioni dei lavori ad indebito vantaggio dell'esecutore (e, al limite, artificiosamente occultate in sede di progetto in danno dei concorrenti non aggiudicatari), mentre il limite dell'aumento di costo (inteso come somma stanziata e non come somma impegnata) deriva dalla non tassatività di tali miglioramenti (l'opera potrebbe sopravvivere egregiamente anche senza di essi, conformemente al progetto), al contrario delle altre più importanti ipotesi dove non è previsto alcun limite agli aumenti di spesa, come alle lettere a), b) prima fattispecie, e c).

Comma 1, lettera b-bis): anche questa previsione, di nuova introduzione, si suddivide in due fattispecie:
- presenza di eventi, verificatisi in corso d’opera, inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene,
- rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale.

Francamente la modifica si poteva evitare disciplinandone i casi nel regolamento come previsto per la lettera b) prima parte; del resto la norma non può riferirsi ad eventi e rinvenimenti di carattere geologico, idrico e simili (e forse anche archeologico) già disciplinati alla lettera c); allo stato sembra più una formula per fare rientrare dalla finestra quelle varianti in corso d’opera che si volevano fate uscire dalla porta. Anche per questo tipo di varianti non sono posti limiti amministrativi al loro importo, fatta salva la ricerca della copertura finanziaria e, in ogni caso, il limite contrattuale del sesto quinto.

Comma 1, lettera c): previsione introdotta dalla legge n. 216 del 1995, è già stata oggetto di più di mezzo secolo di esperienza e di copiosa giurisprudenza; si tratta del caso, disciplinato appunto dal secondo comma dell’articolo 1664 del codice civile, in cui si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’appaltatore; in questo caso la variante, oltre ai fini tecnici e amministrativi, deve riconoscere l’equo compenso in favore dell’appaltatore; anche per questo tipo di varianti non sono posti limiti amministrativi al loro importo, sempre fatta salva naturalmente la copertura finanziaria.

Comma 1, lettera d): il manifestarsi di errori o di omissioni progettuali è il caso più delicato, viste le implicazioni soggettive che comporta, da una parte per l’elevato grado di intromissione esercitato dal responsabile del procedimento nella valutazione dei difetti, dei pregiudizi e dei danni, dall’altra per le pesanti responsabilità che gravano in capo al progettista. Per tale fattispecie si rinvia al capitolo seguente.

E’ importante rilevare come alcuni dei casi di variante descritti in precedenza (eventi o rinvenimenti imprevisti o non prevedibili, rinvenimenti imprevisti e imprevedibili, sorpresa geologica ed errori od omissioni progettuali) siano in stretta relazione logica tra di loro. Infatti la sorpresa geologica costituisce errore od omissione progettuale ogni volta che, pur prevedibile con i normali mezzi di indagine e di rilevazione (prescritti dall’articolo 16), non sia stata considerata adeguatamente in sede di elaborazione del progetto; in tale caso, e la discriminante non è di facilissima individuazione, la variante in corso d’opera non può essere disciplinata dalla lettera c) (articolo 1664, secondo comma, del codice civile) ma ricade, in tutto o in parte, nell’ambito delle previsioni della lettera d) (errori e omissioni progettuali), con le relative conseguenze. Lo stesso dicasi per gli eventi ed i rinvenimenti di cui alla lettera b-bis) quando l’istruttoria della variante si concluda con l’accertamento che gli stessi eventi e rinvenimenti erano ragionevolmente prevedibili se il progetto fosse stato preceduto dalle indagini e dalle rilevazioni secondo i criteri prescritti dalle norme.

Sempre in riferimento alle ipotesi di cui alla lettera b-bis) (eventi o rinvenimenti imprevisti o non prevedibili) e c) (sorpresa geologica ex articolo 1664, secondo comma, del codice civile), il diritto dell’impresa al riconoscimento di un maggior corrispettivo in seguito a perizia di variante in corso d’opera, dev’essere valutato anche in funzione della dichiarazione di responsabilità di cui all’articolo 1 del capitolato generale per le opere pubbliche approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962. [4]

Comma 3, secondo e terzo periodo, che consente varianti migliorative, subordinate al verificarsi congiunto e contemporaneo di quattro condizioni:
1)- le varianti siano finalizzate al miglioramento dell’opera e alla sua funzionalità; il miglioramento e la funzionalità devono essere motivate nella relazione che accompagna la variante;
2)- le varianti siano motivate da obiettive esigenze sopravvenute e non prevedibili al momento del contratto, quindi non derivanti da errori progettuali, da negligenze o da dimenticanze; anche queste esigenze devono essere illustrate nella relazione;
3)- le varianti non comportino un aumento di spesa superiore al 5 per cento dell’importo contrattuale originario; il limite percentuale si applica alla somma di tutte le varianti qualora siano più di una; sempre in caso di più varianti l'importo sul quale calcolare il limite percentuale è sempre quello del contratto originario a prescindere dal suo incremento mediante successivi atti di sottomissione per perizie suppletive;
4)- il maggior onere per le opere, fermo restando il limite di cui al punto precedente, deve trovare copertura nello stanziamento già previsto per l’intervento; cioè non necessariamente all’interno dell’impegno di spesa registrato in relazione al rapporto economico sorto nei confronti dell’appaltatore (che come noto corrisponde all’importo contrattuale), ma all’interno della somma stanziata in origine per il singolo intervento (in sede di approvazione del progetto esecutivo); tale onere quindi può essere affrontato attingendo alle somme a disposizione per imprevisti, al risparmio ottenuto col ribasso in sede di gara o ad altri risparmi accertati rispetto al quadro economico del progetto, che non aumenta nel suo importo complessivo.

La possibilità di riutilizzare i risparmi ottenuti col ribasso d'asta per finanziare le varianti in corso d'opera, nei limiti stabiliti dall'articolo 25, è prevista dal punto 4.1 della deliberazione CIPE 6 maggio 1998, n. 42/98 (Assegnazioni a carico delle risorse per le aree depresse: modifiche e indicazioni procedurali); indicazione significativa anche se si tratta di un semplice provvedimento amministrativo, per di più con efficacia limitata territorialmente.

Per la parte non incompatibile con la legge quadro si deve ritenere ancora il vigore l'articolo 20 della legge n. 412 del 1991 [5] che considera fornite di copertura finanziaria (anche ai sensi dell'articolo 55, comma 5, della legge n. 142 del 1990) i maggiori oneri per lavori suppletivi o di variante al progetto originario che trovino copertura nell'ambito del mutuo concesso; la norma è compatibile anche con l'ordinamento contabile che, all'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 77 del 1995, definisce come impegnate automaticamente le spese finanziate con mutui a specifica destinazione.

Le disposizioni dell’articolo 25 in tema di varianti trovano applicazione ai lavori i cui progetti siano stati affidati a partire dal 3 giugno 1995 e a quelli che, affidati prima, non siano stati oggetto di pubblicazione del bando di gara (non siano state presentate le offerte, per le trattative private) entro il 31 gennaio 1997.

1.2 - La varianti causate da errori o da omissioni progettuali (commi 2, 4, 5 e 5-bis)

Il comma 5-bis introduce la definizione dell’errore od omissione progettuale: si considerano errore o omissione di progettazione l’inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali. Interessante l’introduzione della necessità che i requisiti funzionali ed economici eventualmente non rispettati risultino da prova scritta: ecco la necessità che tutti gli aspetti non disciplinati da leggi o da regolamenti siano formalizzati; ad esempio le prescrizioni speciali impartite dal responsabile del procedimento ai sensi dell’articolo 16, comma 2, non potranno essere limitate a raccomandazioni verbali, pena la loro inutilità nella definizione degli errori progettuali.

Il nuovo intervento legislativo porta poche altre novità rispetto a quanto già si era individuato: sono errori e omissioni progettuali tutte le deficienze che possono essere evitate con una progettazione rispettosa dei criteri fissati dalla legge, peraltro con sufficiente precisione, e successivamente dal regolamento.

Il progettista è responsabile dei danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni nella progettazione che abbiano comportato le varianti in corso d’opera di cui al comma 1, lettera d); a questo fine non è rilevante che il progettista sia esterno o appartenga all’ente: la responsabilità esiste comunque.

A proposito di errori ed omissioni progettuali, illuminante è la Corte dei Conti, sezione giur. Lombardia, 2 novembre 1999, n. 1243/99/EL, che ha condannato al risarcimento i progettisti e direttori dei lavori (esterni alla pubblica amministrazione) per insufficienti indagini preliminari, nel senso che i tecnici non possono omettere una ricognizione del luogo dove sarà eseguito il lavoro pubblico altrimenti di tale omissione, come degli errori progettuali, il direttore lavori e il progettista rispondono degli oneri sopportati dalla stazione appaltante.

In questi casi non si potrà prescindere da un esame della condotta del responsabile del singolo intervento per accertare se possa ravvisarsi anche una sua responsabilità in vigilando, quando per negligenza o colpa non scusabile non abbia saputo evitare gli errori e rimediare alle omissioni imputabili al progettista (articolo 7, commi 4 e 5, articolo 30, comma 6); tuttavia questa resta un’ipotesi marginale in quanto la disposizione legislativa individua con sufficiente precisione nel progettista la responsabilità primaria per gli stessi errori ed omissioni. Peraltro gli errori e le omissioni progettuali possono essere di due tipi:
- quelli che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera; questi e solo questi sono gli errori disciplinati dall’articolo 25, comma 1, lettera d), e quindi questi e solo questi sono colpiti dalle prescrizioni dei commi 2, 4 e 5;
- quelli che non compromettono, nemmeno in parte, la realizzazione o la funzionalità dell’opera.

Di questi ultimi errori la legge non fa cenno, ma essi meritano una riflessione per la quale si rinvia ai capitoli seguenti.

In presenza di varianti causate da errori od omissioni progettuali, che eccedano il quinto dell’importo originario del contratto la stazione appaltante deve procedere alla risoluzione dello stesso; anche per l'approfondimento di questa circostanza si rinvia ai prossimi capitoli.

La norma sugli errori e le omissioni progettuali non si applica ai lavori di manutenzione e agli scavi archeologici, interventi che non richiedono un progetto esecutivo; ciò non significa che per questi lavori tutto sia consentito, ma significa solo che in questi casi trovano applicazione le norme ordinarie del codice civile che regolano i rapporti contrattuali.

1.3 - Le variazioni ai lavori previste da norme diverse

E' noto il limite finanziario del 30 per cento posto alle varianti dall'articolo 13, terzo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito dalla legge 26 aprile 1983, n. 131, poi sostituito dall'articolo 9 del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 359, convertito dalla legge 29 ottobre 1987, n. 440. Quest'ultima norma è stata poi abrogata espressamente dall'articolo 123, lettera l), del decreto legislativo n. 77 del 1995. Il fatto che il legislatore delegato del 1995 abbia abrogato solo la norma del 1987 ha fatto insorgere in qualcuno il dubbio della riviviscenza del limite del 30 per cento come disciplinato in origine dalla legge del 1983. Ma tale interpretazione non può essere condivisa: l'abrogazione di una norma che ne abrogava un'altra (sostituendola interamente), nel quadro del riassetto complessivo dell'ordinamento contabile degli enti locali operato dal decreto legislativo n. 77 del 1995, permette di concludere che il limite del 30 per cento posto alle perizie suppletive non sia più applicabile e che la relativa norma non sia più efficace.

E' ormai estraneo all'ordinamento anche il limite operativo del 50 per cento di cui all'articolo 9, lettera d), del decreto legislativo n. 406 del 1991 (che in realtà si riferiva ai lavori complementari che, affidati alla stessa impresa esecutrice, in ben poco si differenziavano dalle perizie suppletive), travolto per giudizio unanime dagli articoli 24 e 25 della legge quadro, insieme alle disposizioni regionali dello stesso genere. [6]

Quindi, per le ipotesi di perizie di variante di cui all'articolo 25 della legge quadro, la maggior spesa, ove ammessa, non incontra i descritti limiti finanziario e operativo.

Sono ancora in vigore fino alla loro eventuale sostituzione ad opera del regolamento, in quanto compatibili con la legge quadro nei soli casi in cui l'articolo 25 consenta di aumentare l'importo contrattuale, le disposizioni di cui all'articolo 20, commi 2, 4 e 6, del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, in base alle quali:
- qualora per circostanze impreviste, per le condizioni del terreno in cui si fanno i lavori, o per assicurarne la solidità, si rendesse necessaria ed urgente qualche lieve variazione nelle quantità delle singole categorie di opere dichiarate nel contratto, il responsabile del procedimento può autorizzare queste variazioni o addizioni nel limite di un terzo del fondo per imprevisti e in ogni caso non superiore a Lire 5.000.000 per ciascun intervento;
- in caso di più interventi i maggiori oneri autorizzabili complessivamente dal responsabile del procedimento sono limitati all'importo inferiore tra un terzo della somma stanziata per imprevisti e la cifra assoluta di Lire 25.000.000;
- il limite di un terzo è aumentato a tre quinti se il fondo per gli imprevisti non sia superiore a Lire 5.000.000. [7]

Considerazioni del tutto diverse sono necessarie per il limite del cosiddetto sesto quinto, già previsto dalla legge fondamentale sui lavori pubblici e tuttora in vigore secondo la disciplina degli articoli 13 e 14 del capitolato generale approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962.

Questo limite non è una condizione di legittimità della variante, bensì una condizione che regola esclusivamente i rapporti contrattuali tra la stazione appaltante e l'esecutore. In altri termini le varianti in corso d'opera, nei casi in cui siano ammesse dall'ordinamento, possono essere autorizzate a prescindere dal limite del quinto (conosciuto come sesto quinto o quinto d'obbligo), il quale può essere invocato dalle parti per recedere dal contratto, ma è estraneo all'approvazione amministrativa del progetto di perizia suppletiva. In altri termini si tratta di un limite all'esercizio unilaterale dello jus varianti da parte del committente ma non ha alcun valore quando la variante oltre tale limite, anziché essere imposta, è concordata e accettata dall'appaltatore.

Qualora l'amministrazione abbia approvato delle varianti ai sensi dell'articolo 25, a prescindere dal loro importo, qualora esse comportino un aumento (o una diminuzione in caso di varianti riduttive) dell'importo contrattuale maggiore di un quinto (da qui la definizione di sesto quinto), l'appaltatore può recedere dal contratto contro il pagamento dei lavori eseguiti; se la variazione è inferiore ad un quinto l'appaltatore è tenuto all'esecuzione dei lavori nella nuova consistenza (da qui la definizione di quinto d'obbligo).

Raggiunti i sei quinti dell'importo contrattuale o anche prima, qualora sia prevedibile il superamento del sesto quinto in ragione di una perizia di importo superiore, l'amministrazione ne dà comunicazione all'appaltatore il quale, nel termine dei successivi 10 giorni, deve dichiarare per iscritto alla direzione dei lavori se intenda recedere dal contratto oppure proseguire i lavori. Nel secondo caso potrà indicare le eventuali condizioni poste per l'esecuzione dei maggiori lavori, sulle quali l'amministrazione deve pronunciarsi entro i successivi 45 giorni. Qualora l'appaltatore non risponda alla comunicazione dell'amministrazione e prosegua i lavori, le maggiori opere si intendono assunte alle stesse condizioni del contratto originario.

Per il calcolo del sesto quinto non sono mai tenuti in considerazione i maggiori oneri sopportati, rispetto al contratto, per le opere di fondazione; qualora questi maggiori oneri siano superiori al quinto del contratto l'appaltatore ha diritto ad un equo compenso per la parte eccedente senza che nulla di questo incida sulla disciplina del quinto d'obbligo.

Le norme sul quinto d'obbligo non hanno nulla a che vedere con gli eventuali scompensi verificatisi nell'esecuzione dei lavori nei contratti a corpo, per i quali il rischio della congruità era sin dall'origine assunto dall'appaltatore (salvo ovviamente errori, negligenze o altri inconvenienti imputabili all'amministrazione titolare del progetto); essa trova applicazione solo dove vengano introdotte varianti al progetto (a prescindere dalla stipulazione del contratto a corpo o a misura), e non dove il progetto sia stato male interpretato o non ben valutato dall'appaltatore.

A queste conclusioni non è di alcun ostacolo il comma 4 dell'articolo 25, che impone l'obbligo della risoluzione del contratto quando le varianti causate da errori od omissioni progettuali eccedano il quinto dell'importo originario del contratto. Infatti questa non è altro che una disposizione speciale che non contraddice affatto le previsioni dell'articolo 14 del capitolato generale d'appalto, ma, limitatamente a quella precisa fattispecie, sottrae alle parti la scelta di proseguire i lavori in eccesso o recedere dal contratto, imponendo la seconda soluzione.

Un diverso e del tutto particolare tipo di variante è quella relativa alla modifica concernente gli oneri per i piani di sicurezza, che trae origine dall'articolo 31, comma 2-bis, della legge quadro oltre che, ex adverso, dall'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo n. 494 del 1996. Questa fattispecie è trattata nel commento all'articolo 31 (dedicato appunto ai piani di sicurezza) in quanto l'argomento per la sua peculiarità non può essere affrontato senza una preventiva analisi delle norme da ultimo citate. Sotto il profilo dell'incidenza economica, delle responsabilità e delle procedure questo tipo di variante può essere ricondotta, per molti versi, all'interno della casistica disciplinata dall'articolo 25, tuttavia non è priva di implicazioni che ne travalicano la portata. Si rinvia pertanto il suo approfondimento all'apposito capitolo.

2 - Le «varianti inevitabili» o non riconducibili all’articolo 25

Un breve cenno alle varianti che, pur non previste direttamente dall’articolo 25, non possono ritenersi espulse dall’ordinamento nonostante la rigidità della prescrizione dello stesso articolo ricavabile dall’uso, al comma 1, dell’avverbio “esclusivamente” e che devono considerarsi “inevitabili” in coerenza con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico e della stessa legge quadro.

La prima ipotesi di variante non codificata si ha in caso di errori od omissioni progettuali lievi, quelli cioè che non pregiudicano nemmeno in parte la realizzazione o la funzionalità dell’opera e per ciò stesso sfuggono alla disciplina del comma 1, lettera d). Questi errori possono ben esserci, e avere un livello di gravità intermedio tra le modifiche migliorative di cui al comma 3, secondo e terzo periodo (col limite del 5 per cento dell’importo contrattuale, all’interno del quadro economico originario) e gli errori gravi (quelli appunto che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione o l’utilizzazione dell’opera).

In questi casi, sempre che non si ricada nelle modifiche di dettaglio e senza oneri, liberalizzate dal comma 3, primo periodo, l’articolo 25 non prevede il ricorso alla variante; ma per questo non si può dire che il progetto debba per forza essere realizzato in conformità all’errore o viziato dall’omissione progettuale, una simile tesi sarebbe aberrante; non solo, ma se fosse applicabile, l’amministrazione in seguito dovrebbe procedere ad un secondo progetto di adeguamento (per porre riparo agli errori ed omissioni che hanno influenzato negativamente l’opera pubblica), con effetti a catena difficilmente sostenibili.

Sempre in questi casi non trova applicazione diretta il comma 2, sulla responsabilità del progettista; tuttavia, per principio generale, questi risponderà secondo le norme del codice civile come dovrebbe essere sempre stato prima della legge quadro, anche per i danni derivanti da errori e omissioni che non hanno né la modestia del comma 3, né la gravità del comma 1, lettera d). Negli stessi casi, in assenza di pregiudizio nemmeno parziale per l’opera, non sono necessarie le comunicazioni al progettista e all’Osservatorio.

Ancora una volta sono necessarie un’elevata preparazione professionale, una consapevolezza nell’uso della discrezionalità tecnica e una sensibilità da parte del direttore dei lavori e del responsabile del procedimento, per la valutazione circa il livello di gravità degli errori e omissioni progettuali e circa l’esistenza o meno della compromissione, in tutto o in parte, della realizzazione e dell’utilizzazione dell’opera.

Ecco quindi che dobbiamo interpretare la rigidità imposta dall’avverbio “esclusivamente” tenendo conto della ratio legis, ammettendo le ipotesi di variante che, pur non direttamente disciplinate, possono essere contenute, in termini quantitativi e qualitativi, tra quelle elencate dall’articolo 25, e non si pongono in contrasto insanabile con la stessa disciplina.

Un altro tipo di variante è quella che influenza il quadro economico senza coinvolgere i rapporti con l’impresa e quindi il contratto. Si noti che la preoccupazione del legislatore, ben chiara nell’articolo 25, è quella di disciplinare le varianti cosiddette contrattualizzate, vale a dire quelle che influenzano i lavori appaltati e i rapporti con l’impresa; il tutto allo scopo evidente di inibire le prassi abusate delle perizie suppletive; non si sofferma invece su quelle variazioni progettuali che pur modificando il quadro economico del progetto non modificano il contratto.

A titolo di esempio citiamo maggiori oneri per le espropriazioni, per variazioni delle aliquote I.V.A., per contributi a società concessionarie titolari di servizi in esclusiva per l’estensione delle reti ecc.; è chiaro che queste varianti necessitano di approvazione e di rifinanziamento qualora comportino maggiori oneri, in relazione al loro contenuto. Anche se queste varianti dovrebbero essere limitate al minimo dal grado elevato di elaborazione progettuale complessiva (e non solo in relazione ai lavori) richiesto dall’articolo 16, non risultano espressamente vietate. E’ quindi chiaro, appunto per la mancanza di una disciplina all’interno dell’articolo 25, che questo tipo di varianti improprie è ancora possibile come lo era nel vecchio regime; questa affermazione potrebbe sembrare inutile se non avessimo personale esperienza di irragionevoli opposti atteggiamenti.

Qualche atteggiamento di chiusura è stato avvertito anche sugli adeguamenti progettuali che precedono il bando di gara, come se le limitazioni dell’articolo 25 congelassero il progetto approvato costringendo l’amministrazione a realizzare un’opera inadeguata o non più rispondente alla sua volontà. E’ sempre stato pacifico, e così rimane anche dopo la legge quadro, che qualora l’amministrazione ritenga di modificare il progetto per qualsiasi motivo (riparazione di vizi progettuali rilevati, diverse necessità da soddisfare, adeguamenti di qualunque genere) prima di turbare i rapporti con gli interessi dei potenziali esecutori (cioè prima della pubblicazione del bando), può benissimo farlo ancora, con un’adeguata motivazione e una nuova approvazione e, se del caso, con un’integrazione del finanziamento, con l’unico vincolo della coerenza con gli stanziamenti di bilancio, con il programma triennale e con l’elenco annuale per la sua attuazione, eventualmente aggiornati allo scopo. Si è già detto che il rapporto con questi ultimi strumenti di programmazione resta delicato: se la variante al progetto esecutivo mantiene il lavoro pubblico nell’alveo delle previsioni del progetto preliminare per caratteristiche, destinazione e consistenza (intese come esigenze, criteri, vincoli, indirizzi e indicazioni), non è necessario intervenire sull’elenco annuale (quindi per forza di cose in questo caso la variante non può essere sostanziale); in ogni altro caso, se il progetto esecutivo variato non corrisponde più al progetto preliminare (che ricordiamo è parte integrante dell’elenco annuale, a sua volta parte integrante del bilancio di previsione), si dovrà attendere la modifica dello stesso progetto preliminare, dell’elenco annuale e la relativa approvazione.

Quanto sopra vale anche, seppure con le dovute cautele, per le varianti in corso d’opera rese necessarie da intervenute mutate volontà da parte dell’amministrazione appaltante, non rientranti nella casistica dell’articolo 25, in quanto non originate né da sopravvenute disposizioni normative, né da cause impreviste e imprevedibili, né da sorpresa geologica, né da errori progettuali. Nessuna amministrazione può essere costretta, nemmeno dalle limitazioni oggettive dell’articolo 25, a realizzare lavori che vengano a trovarsi in contrasto con la propria volontà, eventualmente formatasi o modificatasi successivamente all’appalto. Anche dopo la stipula del contratto infatti possono modificarsi o venire meno quelle condizioni che erano poste a base della realizzazione o verificarsi condizioni diverse rispetto a quelle considerate in sede di programmazione.

Certamente questo non significa che si possono operare varianti come se l’articolo 25 non esistesse, significa solo che questa norma dev’essere posta in relazione logica con tutto l’impianto legislativo, dove hanno almeno la stessa importanza la coerenza tra gli obbiettivi che l’amministrazione si pone (dinamici e non necessariamente congelati dalla programmazione) e i mezzi per raggiungerli, la completezza dell’opera da realizzare, nonché la sua reale utilità e rispondenza al pubblico interesse, considerati nella loro attualità, che possono essere diversi rispetto a quelli considerati in sede di formazione del programma, tenendo conto che tra le due fasi (programmazione ed esecuzione) possono interporsi alcuni anni o addirittura un ricambio della compagine amministrativa e dei relativi programmi elettorali (che hanno una dignità riconosciuta dalla legge elettorale per gli enti locali).

Tanto che il possibile, ma sempre eccezionale e straordinario, ricorso alla variante nei casi non contemplati dall’articolo 25, rimarrebbe comunque subordinato almeno alle seguenti tre condizioni:
1)- le puntuali e inoppugnabili motivazioni in ordine alle mutate condizioni che sono poste a base della modifica degli intendimenti dell’amministrazione, considerando anche le eventuali responsabilità contabili per i possibili maggiori oneri ovvero per gli oneri di una progettazione ed eventualmente di una esecuzione divenute inutili;
2)- la coerenza con la programmazione finanziaria, con il programma triennale dei lavori pubblici e con l’elenco annuale per la sua attuazione, eventualmente da variare o da integrare con le procedure previste dalla legge;
3)- la salvaguardia degli interessi economici dell’impresa appaltatrice incolpevole, anche in termini di adeguamento delle condizioni contrattuali e di eventuale indennizzo del mancato guadagno.

3 - La procedura per le varianti

A regime la procedura di esame delle proposte di variante sarà definita dal regolamento, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, lettera o); tuttavia per tutti i lavori i cui progetti sono stati affidati a partire da 3 giugno 1995 e quelli che, pur affidati prima, non sono stati banditi entro il 31 gennaio 1997 l'articolo 25 si applica anche in assenza del regolamento; in tale periodo non abbiamo però a disposizione una nuova procedura per l’esame delle proposte di variante, quindi per il particolare meccanismo di entrata in vigore graduale della legge, si applicano le limitazioni imposte dall’articolo 25, ma le procedure di esame delle proposte di variante sono quelle che abbiamo sempre conosciuto per la parte che non risulta incompatibile con lo stesso articolo 25 (ai sensi dell’articolo 1, commi 4 e 6, della legge n. 216 del 1995, di conversione del decreto-legge n. 101 del 1995).

E’ superfluo ricordare qui la procedura attualmente applicabile all’approvazione delle varianti, che per la loro natura intrinseca non sono suscettibili di portare a modifiche tali da ricondurre il lavoro ad un progetto diverso; tuttavia queste varianti pur necessitando di approvazione hanno diversi tipi di impatto sotto il profilo finanziario:
1)- quelle che possono comportare aumenti di spesa ma nessun aumento dello stanziamento previsto per l’intervento, quali le modifiche finalizzate al miglioramento, nel limite del 5 per cento dell’importo contrattuale, di cui al comma 3, secondo e terzo periodo e quelle per l'utilizzo di nuovi materiali, componenti e tecnologie di cui al comma 1, lettera b), seconda parte;
2)- quelle che possono comportare anche modifiche in aumento allo stanziamento previsto per l’intervento, quali le varianti per sopravvenute disposizioni normative, per cause o eventi o rinvenimenti imprevisti o non prevedibili, per sorpresa geologica, per errori progettuali, di cui al comma 1, lettere a), b), prima parte, b-bis), c) e d).

Ovviamente non è detto che tutte le varianti citate comportino un aumento di spesa: qualora tale circostanza non si verificasse non si porrebbe alcun problema, si ritiene anzi che in questi casi esse possano, in genere, essere approvate con atto del responsabile del procedimento senza investire alcun organo collegiale, salvo che la modifica coinvolga aspetti in qualche modo suscettibili di scelta a livello diverso da quello tecnico, tale da rendere necessario una specifica approvazione del progetto esecutivo variato da parte della Giunta comunale.

Per il primo tipo di variante non occorre alcuna modifica agli stanziamenti previsti in bilancio e nemmeno al programma triennale o all’elenco annuale dei lavori, è necessaria però un’appendice contrattuale (il cosiddetto atto di sottomissione) nella quale l’impresa esecutrice prenda atto delle variazioni; qualora l’importo contrattuale sia modificato in aumento (nel limite massimo del 5 per cento), è necessaria la registrazione di un nuovo impegno di spesa, ancorché all'interno delle somme già stanziate nel quadro economico (risparmi per ribasso d'asta, imprevisti ecc.). A questo proposito rileva l’organizzazione interna che l’ente si è dato con proprio strumento regolamentare per definire la procedura, quindi l’impegno di spesa per il maggior onere sarà assunto dal responsabile del servizio ai sensi degli articoli 19 e 27, comma 9, del decreto legislativo n. 77 del 1995.

Per quanto riguarda invece gli interventi del secondo tipo, potrebbero rendersi necessarie le variazioni al bilancio, sia per la parte entrata (reperimento delle risorse) che per la parte spesa (stanziamento per l’intervento); in tal caso è necessario l'intervento del Consiglio comunale (o della Giunta comunale, in questo caso con deliberazione soggetta a ratifica), a meno che i maggiori oneri, a prescindere dal loro rapporto percentuale con l'importo del contratto, siano fronteggiati con economie di progetto (il solito ribasso d'asta, minori spese di esproprio, imprevisti ecc.), per cui si ricadrebbe nella seconda ipotesi.

In caso di maggiori oneri l'esistenza della previsione a bilancio non è sufficiente: occorre infatti il preventivo impegno di spesa, per cui le perizie suppletive devono essere approvate prima che i relativi lavori aggiuntivi abbiano inizio (articolo 35, comma 1, decreto legislativo n. 77 del 1995), con la sola eccezione dei lavori di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, ma in tal caso la perizia dev'essere approvata e l'impegno di spesa regolarizzato nel termine perentorio dei successivi 30 trenta giorni e comunque entro il 31 dicembre (articolo 35, comma 3, decreto citato).

In assenza del preventivo impegno di spesa (o, per i lavori di somma urgenza, in assenza della regolarizzazione nel termine di 30 giorni), non è possibile alcuna sanatoria se non quella parziale di cui all'articolo 37, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 77 del 1995; tale norma consente al Consiglio comunale di riconoscere la legittimità della spesa effettuata in violazione delle procedure per la sola parte di cui sia accertata e dimostrata l'utilità e l'arricchimento che ne ha tratto l'ente locale. In ogni altro caso, come per la parte di spesa della quale il Consiglio comunale non abbia accertato l'utilità effettiva e il contemporaneo l'arricchimento per l'ente (inteso anche come minor onere), il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini del pagamento, tra l'esecutore e l'amministratore o il dipendente che hanno consentito i lavori suppletivi senza preventivo impegno di spesa.

L'annoso problema delle spese ordinate irregolarmente (che sussiste da sempre, anche sé è venuto alla ribalta solo nell'ultimo decennio), che gravavano sulla responsabilità personale di chi le avesse ordinate o consentite (prima per effetto dell'articolo 23, quarto comma, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, poi dell'articolo 35, comma 4 del decreto legislativo n. 77 del 1995) ha trovato parziale soluzione con il decreto legislativo 15 settembre 1997, n. 342 che, nella scia di una non sempre univoca giurisprudenza contabile e di legittimità, ha appunto modificato l'articolo 37, comma 1, lettera e), del decreto legislativo sul nuovo ordinamento contabile degli enti locali.

Se non potranno essere riconosciute, quale utilità e arricchimento per l'ente, le somme per interessi, rivalutazione monetaria, spese giudiziali e, in alcuni casi, nemmeno la quota di utili per l'impresa (o il fornitore o il prestatore d'opera), non è detto che ogni altro onere sorto in seguito a obbligazione non regolare possa essere riconosciuto: i lavori di perizia potrebbero essere infatti ritenuti inutili da parte del Consiglio comunale o contrastanti con i suoi indirizzi. In questo caso permarrebbe la responsabilità contabile ed extracontrattuale del responsabile del procedimento che avesse consentito l'esecuzione dei lavori in variante senza preventiva autorizzazione (o dell'amministratore che lo avesse obbligato a tanto o, addirittura, avesse agito direttamente all'insaputa dello stesso responsabile).

Qualora la variante, oltre al profilo finanziario, modifichi anche il progetto in maniera non marginale o addirittura sostanziale tale da far prefigurare un progetto diverso, si rendono necessarie le relative approvazione con le stesse modalità previste per il progetto originario: in genere della sola Giunta per il progetto esecutivo ma, in casi eccezionali, previa deliberazione del Consiglio comunale per il progetto preliminare e l'adeguamento dell'elenco annuale qualora la variante si configuri come un'opera diversa da quella prevista.

In presenza di varianti causate da errori od omissioni progettuali che eccedono il quinto dell’importo originario del contratto, la stazione appaltante deve procedere alla risoluzione del contratto. Dopo l’approvazione della variante (necessaria per riparare i vizi progettuali e garantire il completamento funzionale del lavoro), si procede ad una nuova gara, con i sistemi ammessi, avente per nuovo oggetto la somma dei lavori non eseguiti e di quelli aggiunti o modificati con la variante. A tale gara dev’essere obbligatoriamente invitato l’aggiudicatario iniziale, titolare del contratto risolto, purché naturalmente sia ancora in possesso dei necessari requisiti di partecipazione. Quest’ultima disposizione è quantomeno curiosa. A prima vista sembra naturale l’obbligo di invitare alla nuova gara l’aggiudicatario iniziale, in quanto pressoché incolpevole in relazione alla risoluzione del contratto, tuttavia la circostanza comporta alcuni problemi non secondari:
- questo invito obbligatorio viola certamente il principio delle pari opportunità e della libera concorrenza, in quanto questo concorrente può utilizzare le conoscenze del lavoro che gli derivano dalla condizione di aggiudicatario iniziale (non accessibili alle altre imprese), inoltre egli ha la possibilità di usufruire di sinergie ed economie (si pensi solo al cantiere già installato) precluse agli altri concorrenti;
- l’aggiudicatario iniziale viene indennizzato per la rescissione del contratto anche sotto il profilo del cosiddetto mancato guadagno (si veda più avanti), per cui a quel punto perde ogni presunto diritto di preferenza e non può godere di altri vantaggi che turbino la libera concorrenza;
- qualora la nuova aggiudicazione avvenga in favore dello stesso aggiudicatario iniziale (cosa altamente probabile), in presenza di continuità dei lavori e della gestione del cantiere, il riconoscimento dell’indennizzo conseguito in seguito alla risoluzione del primo contratto è conforme alla lettera della legge ma non pare rispondere a criteri di giustizia ed equità.

La risoluzione del contratto, alla quale si pervenga in seguito all’applicazione dell’articolo 25, comporta il pagamento a favore dell’impresa dei lavori eseguiti, dei materiali utili (anche se non ancora messi in opera) e del 10 per cento dei lavori non eseguiti, questi ultimi fino a quattro quinti dell’importo del contratto.
Esemplificando: di fronte ad un contratto di 750.000.000, di lavori eseguiti per 400.000.000, di materiali utili per 50.000.000, all’impresa spetta la somma di Lire 450.000.000, oltre al 10% di Lire (750.000.000 x 4/5 - 400.000.000) pari a Lire 20.000.000, per un totale di Lire 470.000.000.

In ogni caso gli atti di approvazione delle varianti devono dare atto che sulle stesse sono stati sentiti il progettista e il direttore dei lavori (comma 1), a meno che sia lo stesso direttore dei lavori a proporre la variante.

4 - Gli interventi che non costituiscono variante (comma 3, primo periodo)

Non sono considerati varianti gli interventi disposti dal direttore dei lavori, per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 5 per cento (aumentato al 10 per cento per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro) delle singole categorie di lavoro appaltato e che non comportino un aumento della spesa prevista per la realizzazione dell’opera (comma 3, primo periodo). Queste modificazioni in corso d’opera sono quindi liberalizzate nella procedura, non necessitano di approvazione da parte degli organi comunali, di integrazione dell’impegno di spesa, di integrazione o modifica delle condizioni contrattuali, di autorizzazione o benestare del progettista, del coordinatore unico o del responsabile dell’intervento, anche se rimane in capo a quest’ultimo il compito di verificare che le modifiche rispettino le condizioni alle quali sono subordinate.

Le condizioni affinché il direttore dei lavori possa ricorrere a queste modifiche senza ricadere nella disciplina delle varianti in corso d’opera sono così riassumibili:
1) le modifiche devono risolvere aspetti di dettaglio, quindi da una parte devono essere motivate e non dettate dalla mera discrezionalità (in tal senso va inteso il significato del verbo “risolvere”, che presuppone l’impossibilità o l’inopportunità di realizzare l’aspetto di dettaglio previsto originariamente dal progetto), dall’altra non devono introdurre variazioni significative e tanto meno sostanziali al progetto (la discriminante tra aspetti di dettaglio e aspetti significativi è demandata alla professionalità del direttore dei lavori che dispone la modifica e alla competenza del responsabile del procedimento che ne verifica l’ammissibilità);
2) le modifiche devono essere contenute entro un importo non superiore al 5 per cento delle categorie di lavoro (aumentato al 10 per cento per i lavori sull'esistente); quindi non per ogni singola voce dell’elenco prezzi; i capitolati speciali d’appalto pertanto devono prevedere, oltre all’importo totale preventivato della spesa, anche l’importo suddiviso per singole categorie (ad esempio: movimenti di terra, impianto elettrico, pavimentazione, ecc.); sull’importo preventivato di ciascuna categoria le modifiche non devono incidere, per difetto o per eccesso, per più del 5 per cento (aumentato al 10 per cento per i lavori sull'esistente); è chiaro che le modifiche possono anche essere più di una e introdotte in tempi successivi, tuttavia la loro somma, sempre riferita a ciascuna categoria, deve rientrare nel limite prescritto;
3) le modifiche non devono comportare aumento dell’importo netto del contratto; quindi le variazioni in risparmio e in eccedenza di cui al punto precedente devono essere compensate tra di loro.

Per quanto riguarda la condizione di cui al punto 2), si è posto il problema di individuare le categorie sull’importo delle quali calcolare la percentuale di variazione “liberalizzata”, non essendo definite nemmeno se fossero ricondotte al combinato disposto degli articoli 13, quinto comma, e 7, terzo comma, del capitolato generale d'appalto. Per categorie si devono intendere quelle definite dalla tabella approvata con il decreto ministeriale 15 maggio 1998, n. 304, in attuazione dell'articolo 8 della legge quadro (e in sostituzione del decreto ministeriale 25 febbraio 1982, n. 770), in sostanza le categorie di iscrizione all’Albo nazionale costruttori. Infatti nella legislazione sui lavori pubblici non si rinviene altra definizione di “categoria di lavoro” o altro riferimento (si vedano a tale proposito l’articolo 2 del d.p.c.m. n. 55 del 1991, l’articolo 18, comma 3, della legge n. 55 del 1990). Peraltro tale indicazione ha una sua ragione d’essere in quanto tali categorie sono facilmente individuabili a priori in sede di progettazione e redazione dei preventivi, devono essere comunque indicate nel capitolato e sui bandi.

Pur nell’incertezza, non pare possa essere accolta altra soluzione.

Note:

[1] Decreto del presidente del consiglio dei ministri in data 29 aprile 1994, paragrafo 10: «Al differimento di operatività .., non si è, infatti, accompagnato anche il rinvio della nuova disposizione, a struttura compiuta (e perciò immediatamente operativa), dell'art. 25 che vieta ogni variazione del progetto nel corso della sua esecuzione salvo che la variante sia imposta da ius superveniens o da circostanze di forza maggiore (da accertare, peraltro - fino a quando il regolamento non sarà sopraggiunto - senza il rispetto delle particolari modalità che, in sede regolamentare, dovranno essere definite)».

[2] Ministero dei lavori pubblici, Ufficio studi e legislazione, parere n. 354/UL del 3 marzo 1998, espresso su richiesta della Regione Lombardia: «Pur contenendo detto articolo (25 - n.d.r.) un riferimento al regolamento di cui all'art. 3 della legge quadro, le relative disposizioni sono immediatamente operative, essendo invece demandata alla disciplina regolamentare la sola definizione delle modalità di accertamento della sussistenza delle cause impreviste ed imprevedibili che legittimano l'introduzione delle varianti».

[3] Ibidem: «Pur non disponendosi … di alcun supporto interpretativo giurisprudenziale, effettivamente il dato testuale fa ritenere che la legge quadro non stabilisca un limite di importo per le modifiche progettuali (varianti in corso d'opera - n.d.r.) a seguito del verificarsi di situazioni impreviste ed imprevedibili (articolo 25, primo comma, lettera b, prima parte), mentre la legge stessa pare mantenere fermo il requisito della non ulteriore onerosità per le varianti la cui introduzione dipenda dalla sopraggiunta possibilità di utilizzo di migliori tecniche finalizzate al miglioramento qualitativo dell'opera (stessa norma, lettera b, seconda parte)».

[4] Corte di Cassazione, Sez. I civile, 21 dicembre 1996, n. 11469: «La dichiarazione espressa resa dall’appaltatore, in sede di conclusione del contratto, di aver preso conoscenza dello stato dei luoghi ove devono essere eseguiti i lavori e di avere valutato i riflessi ai fini dell’esecuzione degli stessi, non può essere considerata una clausola di stile ed esclude, perciò, ogni responsabilità del committente per preteso difetto di informazione sullo stato dei luoghi».

[5] Il comma 1 dell'articolo 20 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (legge finanziaria per l'anno 1992) è stato riscritto dall'articolo 8 della legge 17 maggio 1999, n. 144 come segue: «1. Le economie verificatesi nella realizzazione di opere pubbliche, finanziate con ricorso a mutui con ammortamento a carico del bilancio statale in base a specifiche disposizioni legislative, possono essere utilizzate per il finanziamento di ulteriori lavori afferenti al progetto originario ovvero a un nuovo progetto di opere della stessa tipologia di quelle previste dalla legge originaria di finanziamento, previa autorizzazione del ministero competente».

[6] Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 29 aprile 1994, paragrafo 11.3; Corte costituzionale, sentenza n. 482 del 1995; Consiglio di Stato, sentenza n. 1964 del 1995.

[7] Gli importi di 5.000.000 e 25.000.000 di lire sono stati così aumentati, dalla precedente misura rispettivamente di 1.200.000 e 6.000.000, dall'articolo 20 del d.P.R. n. 367 del 1994 con efficacia dal 1° novembre 1995.