AFFARI ISTITUZIONALI - 008
CONSIGLIO DI STATO, Adunanza Plenaria - Sentenza 15 settembre 1999, n. 14
Pres. Laschena, Est. Baccarini - Impresa Pizzarotti & C. S.p.A. (Avv. Sanino e Cugurra) c. Artelli e altro (Avv. Bianchini, Moze e Romanelli), Prefetto della Provincia di Udine (Avv. d. Stato) e altri (n.c.)
(conferma T.A.R. Friuli, 13 dicembre 1997, n. 1005)
Espropriazione per pubblica utilità - Dichiarazione di pubblica utilità - Procedimento ­ Applicabilità delle norme sulla partecipazione ex legge n. 241 del 1990 ­ Dichiarazione di pubblica utilità implicita - Sussiste.
Più destinatari dell'avviso ­ Applicabilità dell'articolo 8, comma 3, legge n. 241 del 1990 ­ Possibilità.
Occupazione d'urgenza ­ Procedimento ­ Applicabilità delle norme sulla partecipazione ex legge n. 241 del 1990 ­ Non sussiste.

La legge n. 241 del 1990 ha esteso il giusto procedimento e la partecipazione ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera giuridica degli interessati - Perché i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, è necessario che essi siano resi edotti della pendenza del procedimento mediante l'avviso di procedimento, che l'autorità è tenuta a dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenire.

Alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei cittadini, di un riserbo preordinato a rendere impossibile o difficile la tutela giurisdizionale, subentra il sistema della democraticità dalle decisioni e della accessibilità degli atti - L'adeguatezza dell'istruttoria si valuta nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire.

In presenza del criterio orientativo del "giusto procedimento", non par dubbio che le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita.

Prima dell'approvazione del progetto definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, si deve svolgere dinanzi all'organo competente   il giusto procedimento, secondo la sequenza: deposito atti - osservazioni - decisioni sulle stesse.

Nei procedimenti di massa è applicabile l'art. 8, comma 3, legge n. 241 del 1990, secondo cui «qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima»: norma di chiusura che, in presenza di ipotesi marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio nell'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, con applicazione soggetta al controllo giurisdizionale.

Il giusto procedimento, attuato nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha ragion d'essere nell'occupazione d'urgenza. Non tanto perché vi osti il presupposto dell'urgenza (ogni approvazione del progetto equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità) dato che l'urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione è un'urgenza qualificata, ma perché il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

FATTO

Con ricorso del T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia notificato il 13 gennaio 1996 le signore Sabina e Consuelo Artelli, comproprietarie di un'azienda agricola sita nel territorio del Comune di Cervignano del Friuli, impugnavano il decreto del Prefetto di Udine 14.12.1995, n. 8211/51601, che disponeva l'occupazione d'urgenza di un'area di oltre 10.000 mq. compresa nel perimetro della predetta azienda agricola per la realizzazione di opere ferroviarie ed il provvedimento 23.11.1995, n. 338 del Direttore dell'Area ingegneria e costruzioni delle Ferrovie dello Stato, che approvava il progetto delle opere medesime.

Deducevano che:

1) negli atti impugnati erano stati omessi l'avviso di procedimento e l'indicazione del termine e dell'autorità cui ricorrere;
2) l'avviso di immissione in possesso dei terreni era stato notificato ad un solo soggetto proprietario;
3) l'area oggetto degli atti impugnati aveva destinazione urbanistica incompatibile con quella ferroviaria;
4) era stata omessa l'indicazione dei termini per l'inizio ed il completamento dei lavori e non era stata determinata l'indennità di espropriazione;
5) le Ferrovie dello Stato, in quanto trasformate in società per azioni, non erano più titolari del potere di cui all'art. 25 legge n. 210 del 1985, per il quale l'approvazione del progetto equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori; il Direttore dell'Area Costruzioni era, inoltre, incompetente.

Deducevano altresì con motivi aggiunti che:

6) il provvedimento di approvazione del progetto era immotivato;
7) il progetto era incompatibile con la destinazione urbanistica dell'area;
8) la verifica della compatibilità urbanistica dell'area avrebbe dovuto essere effettuata d'intesa fra la Regione e lo Stato, invece non intervenuto nel procedimento.

Resistevano l'Impresa Pizzarotti, concessionaria dei lavori, e la Prefettura di Udine.

Il T.A.R. adito definiva il giudizio con sentenza 13 dicembre 1997, n. 1005, con cui accoglieva il ricorso per la ritenuta fondatezza dei motivi primo (limitatamente all'approvazione del progetto), terzo e settimo.

Avverso tale sentenza l'impresa Pizzarotti, con ricorso notificato il 25 febbraio 1998, propone appello con quattro motivi.

Resistono all'appello le signore Sabina e Consuelo Artelli, proponendo altresì appello incidentale per l'accoglimento integrale del primo motivo e dei motivi assorbiti.

La IV sezione, con ordinanza 17 febbraio 1999, n. 168, ritenendo dubbia e fonte di possibili contrasti giurisprudenziali la questione dell'applicabilità dell'avviso di procedimento ai procedimenti ablatori, ha rimesso il ricorso all'Adunanza plenaria.

All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo l'appellante principale censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto l'impugnato provvedimento di approvazione del progetto illegittimo perché emanato in carenza del relativo avviso di procedimento.
In ordine alla relativa questione la IV sezione ha rimesso il ricorso a questa Adunanza plenaria.
Il motivo è infondato.

2. Il regime del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità ha sempre oscillato tra i due poli contrapposti delle garanzie e della celerità.
Nella conformazione originaria di cui alla legge n. 2359 del 1865, la dichiarazione di pubblica utilità "esplicita" si articolava in due procedimenti distinti.

In primo luogo si svolgeva il procedimento attinente alla dichiarazione di pubblica utilità in senso proprio, i cui snodi procedimentali erano: presentazione della domanda (art. 3), pubblicazione della stessa presso gli uffici comunali (art. 4), presentazione di eventuali osservazioni da parte di chiunque vi avesse interesse (art. 5), emanazione del decreto di dichiarazione di pubblica utilità (artt. 9, 10 e 11).

In secondo luogo, si svolgeva il procedimento attinente alla "designazione dei beni da espropriarsi", i cui snodi procedimentali erano: formazione del piano particolareggiato di esecuzione (art. 16), pubblicazione del medesimo presso gli uffici comunali (art. 17), presentazione di eventuali osservazioni da parte degli interessati (art. 18), ordine di esecuzione del piano da parte del prefetto, il quale decideva sulle osservazioni e, se queste erano attinenti al tracciato o al modo di esecuzione dell'opera, o la respingeva o provvedeva a modificare il progetto, se competente, o altrimenti rinviava quest'ultimo all'autorità competente (art. 19).

Questi schemi realizzavano un sistema di giusto procedimento, articolato su pubblicità degli atti e contraddittorio degli interessi in ordine prima all'an, poi al quomodo dell'opera pubblica.

3. Successivamente, sopravvenuta la Costituzione repubblicana che stabilisce il principio del buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.) e leggi ordinarie, statali (art. 9 della legge n. 1150 del 1942) e regionali, che attuano i principi della pubblicità e della partecipazione (o del contraddittorio) degli interessati già nella formazione degli strumenti urbanistici generali, il legislatore si è dato carico nella disciplina dei procedimenti ablatori delle esigenze di celerità dell'azione amministrativa, che il precedente assetto sacrificava in vista di una più completa realizzazione delle garanzie dei proprietari espropriandi.

In un primo tempo, veniva eliminata la strutturazione "bifasica" della dichiarazione di pubblica utilità esplicita, prevedendo la presentazione in limine da parte dell'espropriante di una relazione esplicativa dell'opera, già corredata dalle mappe catastali illustrative delle aree da espropriare e dell'elenco dei proprietari iscritti negli atti catastali (art. 10, comma 1, legge n. 865 del 1971).
Per contro, un rafforzamento delle garanzie veniva disposto quanto alle misure di partecipazione, levando il deposito degli atti presso gli uffici comunali ad oggetto di notifica individuale ai proprietari espropriandi (art. 10, comma 2, legge cit.).

In un secondo tempo, veniva adottata una disposizione generale sulla dichiarazione di pubblica utilità implicita, secondo la quale l'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi delle amministrazioni statali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indefferibilità delle opere stesse (art. 1, comma 1, legge n. 1 del 1978).
Veniva altresì disposta un'inversione dell'ordine degli atti del procedimento, differendo la redazione dello stato di consistenza del fondo, per l'innanzi necessariamente antecedente all'occupazione d'urgenza (art. 71, legge n. 2359 del 1865), al momento dell'immissione in possesso (art. 3, comma 2, legge n. 1 del 1978).
Il tutto, però, senza un raccordo con le norme che prevedevano il giusto procedimento per le dichiarazioni di pubblica utilità esplicite.
In questa logica acceleratoria si è calata la decisione Adunanza Plenaria, n. 6 del 1986, che ha segnalato come, in presenza di una dichiarazione di pubblica utilità implicita, il giusto procedimento di cui agli artt. 10 e 11 della legge n. 865 del 1971 non fosse soppresso, ma soltanto differito ad un momento successivo all'approvazione del progetto dell'opera pubblica, purchè anteriore alla pronuncia del provvedimento espropriativo.

4. In tale contesto normativo, è sopravvenuta la legge n. 241 del 1990, che, in quanto legge "breve", è legge sul procedimento amministrativo, non legge del procedimento amministrativo.
Tale legge, tra l'altro, ha esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, perché applicabile anche ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera giuridica degli interessati, per l'innanzi adottata soltanto per singoli procedimenti, alla generalità dei procedimenti amministrativi, fatta eccezione per alcuni tipi, per i quali quel modello è escluso o in senso assoluto o perché essi sono disciplinati in maniera speciale: i procedimenti per l'emanazione di atti normativi o amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, tributari (art. 13, legge n. 241 del 1990 cit.).
Perché i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, è necessario che essi siano resi edotti della pendenza del procedimento.
A ciò provvede l'avviso di procedimento, che l'autorità procedente è tenuta a dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenire (art. 7 legge cit.).
Tale disposizione ha una duplice valenza.

Per un verso, il giusto procedimento amministrativo, pur non essendo, allo stato, un principio costituzionale (Corte cost., sentenze n. 23 del 1978, n. 103 del 1993 e n. 210 del 1995), è pur sempre un criterio di orientamento per il legislatore e per l'interprete (Corte cost., sent. n. 57 del 1995).
L'applicabilità di tale disposizione è divenuta per la Corte costituzionale il presupposto interpretativo per negare con sentenza interpretativa di rigetto la legittimità costituzionale di disposizioni che disciplinano determinati procedimenti senza prevedere il contraddittorio con gli interessati (Corte cost., sent. n. 383 del 1996, in materia di procedimenti di secondo grado per il riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio del personale del Ministero della difesa; sent. n. 57 del 1995, in materia di procedimenti sanzionatori - di competenza della Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi – nei confronti dei sindacati che hanno violato le norme sullo sciopero).
Allo stesso modo, l'inapplicabilità della medesima disposizione è divenuta, a dispetto della ritenuta non costituzionalizzazione del giusto procedimento, il presupposto interpretativo per affermare con sentenza di accoglimento l'illegittimità costituzionale delle disposizioni che non prevedono la partecipazione degli interessati, per contrasto con il fondamentale canone di razionalità normativa e con il principio di buon andamento dell'amministrazione (Corte cost., in materia di dispensa dal servizio permanente per scarso rendimento di sottufficiali dei carabinieri: sent. n. 240 del 1997) e dell'esercito, marina ed aeronautica (sent. n. 126 del 1995); in materia di cessazione dal servizio continuativo per perdita del grado conseguente alle pena accessoria della rimozione dei vice brigadieri e dei militari dell'Arma dei carabinieri: sent. n. 363 del 1996).

Per altro verso, tale disposizione introduce, nell'attività amministrativa del Paese, un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile: l'innesto nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, fatto più eversivo di quanto non fosse stato, alla fine degli anni '60, l'inserimento della comunicazione giudiziaria all'indiziato e delle altre garanzie di difesa nel processo penale inquisitorio del codice di procedura penale abrogato.
Alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, subentra così il sistema della democraticità dalle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire.

5. Riferire i principi e le forme della partecipazione alla dichiarazione di pubblica utilità presuppone chiarirne effetti e natura giuridica.
Orbene, la dichiarazione di pubblica utilità, secondo il più comune sentire, ha come effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilità; determinando l'affievolimento del diritto di proprietà e ponendosi come presupposto dell'espropriazione.
Essa, pertanto, incidendo direttamente sulla sfera giuridica del proprietario è immediatamente lesiva e, come tale, viene comunemente ritenuta autonomamente impugnabile.
In termini procedimentali, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità non è un subprocedimento del procedimento espropriativo, ma è un procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale, immediatamente impugnabile.

6. Pertanto, la tesi secondo cui la norma sull'avviso di procedimento non si applicherebbe alla dichiarazione di pubblica utilità implicita equivale a espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo.
Né ora, nell'attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione potrebbe valere a tal fine una partecipazione differita, successiva alla dichiarazione di pubblica utilità ed all'occupazione d'urgenza.
Questa, infatti, oltre a intervenire in una situazione di fatto irreversibile, resterebbe comunque esterna allo sviluppo procedimentale della dichiarazione di pubblica utilità, che risulterebbe priva di garanzia partecipativa.

7. Non giova in contrario richiamare l'esclusione della partecipazione prevista per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l'approvazione degli strumenti urbanistici generali.
Se il giusto procedimento, infatti, è un criterio di orientamento per il legislatore e l'interprete, non è dato comprendere come un'esclusione riferita ai procedimenti di pianificazione possa essere riferita ai procedimenti ablatori, ed in particolare alla dichiarazione di pubblica utilità, da essi del tutto autonomi, anche se attuativi delle previsioni degli strumenti urbanistici generali.
Vero è che la partecipazione che si attua nei procedimenti di pianificazione in ordine alla destinazione urbanistica delle singole aree involge la parte essenziale della potestas decidendi degli enti territoriali competenti, ma è altrettanto certo che non la esaurisce.
Se la destinazione urbanistica dell'area è questione già definita in sede di pianificazione urbanistica, il progetto dell'opera pubblica, che nel suo fieri è preliminare e poi definitivo prima di divenire esecutivo, e la sua localizzazione di dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo sui quali il contraddittorio degli interessi può apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del buon andamento dell'azione amministrativa, specialmente ove esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non ineluttabile compressione del diritto di proprietà può implicare un sacrificio sproporzionato all'interesse pubblico.

8. Né, attesi i profili generali implicati, il fatto che la partecipazione dei privati espropriandi sia talora strumentalmente diretta a fini meramente dilatori ovvero a conseguire un ristoro di tipo risarcitorio anziché meramente indennitario può contrastare l'esattezza dei rilievi ora svolti in linea teorica.
Sul piano effettuale, invece, considerato che il processo dell'opera pubblica non scaturisce automaticamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali (o attuativi), ma dipende da scelte progettuali discrezionali che si articolano, ora, in tre successivi livelli di approfondimenti tecnici, ciò che più da vicino concerne la civiltà giuridica è il fatto che, indipendentemente dall'eventuale informatio ad aures, il proprietario espropriando viene formalmente reso edotto dall'approvazione del progetto dell'opera pubblica soltanto al momento dello spossessamento del bene.
La reazione dell'ordinamento a tale stato della questione è dimostrata, del resto, anche dal disegno di legge n. 1388-A A.S., in seguito definitivamente approvato (oggi legge 3 agosto 1999, n. 265 - n.d.r.), il cui articolato contiene una disposizione (art. 3) che aggiunge al disposto dell'art. 6, comma 2, della legge n. 142 del 1990 («Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto»), con le parole: «nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241», un contenuto precettivo più penetrante.

9. La disposizione sull'avviso di procedimento ha un duplice contenuto precettivo: diretto o indiretto, come criterio orientativo, a seconda del tipo di lacuna che i singoli procedimenti presentano circa la disciplina della partecipazione.
Nel caso della dichiarazione di pubblica utilità implicita, il paradigma generale di cui all'art. 1 della legge n. 1 del 1978 è stato modificato dall'art. 4, comma 3, della legge n. 415 del 1998, che ha precisato, per i casi di progetti di opere pubbliche non conformi a specifiche destinazioni di piano o relative ad opere ricadenti su aree non destinate a pubblici servizi o destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e regolamentate con standard minimi da norme nazionali o regionali, la competenza del consiglio comunale per il progetto preliminare a quella della giunta comunale per il progetto definitivo e per quello esecutivo.
Inoltre, l'art. 14, comma 13, della legge n. 109 del 1994, nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, legge n. 415 del 1998, ha stabilito che è l'approvazione del progetto definitivo da parte di una amministrazione aggiudicatrice che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Ciò posto, va richiamato che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità non è del tutto carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della legge n. 865 del 1971, ne regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito atti - osservazioni - decisione sulle stesse.
In presenza del criterio orientativo del "giusto procedimento", non par dubbio che le norme previste per la dichiarazione di pubblica utilità esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita.
La disposizione dell'art. 11, pertanto, è inapplicabile nella parte in cui postula la pronuncia di uno specifico decreto di dichiarazione di pubblica utilità da parte di un'autorità - il presidente della giunta regionale – diversa da quella istituzionalmente competente alla realizzazione dell'opera pubblica.
A parte ciò, non vi sono ostacoli a che, prima dell'approvazione del progetto definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, si svolga dinanzi all'organo competente, secondo la sequenza: deposito atti - osservazioni - decisioni sulle stesse, il giusto procedimento; quest'ultimo, infatti, resiste alla sostituzione di una decisione pluristrutturata con una monostrutturata, come già nella vicenda della soppressione dell'approvazione regionale sugli strumenti urbanistici attuativi (art. 24, legge n. 47 del 1985), che ha devoluto all'organo comunale la competenza a decidere le osservazioni degli interessati.
A questi fini, la disposizione sull'avviso di procedimento ha l'effetto non di imporre la sua disciplina generica, ma di orientare all'applicazione analogica di una disciplina specifica.
Per contro, nel caso di procedimenti di massa è applicabile in materia l'art. 8, comma 3, legge n. 241 del 1990, secondo cui «qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima»: norma di chiusura dell'ordinamento, che, in presenza di ipotesi marginali di procedimenti di massa, ove sussista un pericolo concreto di pregiudizio nell'interesse pubblico, rende possibile lo svolgimento sollecito del procedimento indipendentemente dalla comunicazione personale, con applicazione soggetta al controllo giurisdizionale.

10. Ciò detto, appare conseguente affermare che il giusto procedimento, ove attuatosi nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha ragion d'essere nell'occupazione d'urgenza.
Ciò non tanto perché vi osti il presupposto dell'urgenza: ogni approvazione del progetto di un'opera pubblica equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità, mentre l'urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione dell'avviso del procedimento è un'urgenza qualificata.
Ma piuttosto perché il giusto procedimento ha ragion d'essere nell'ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell'ambito dell'occupazione d'urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

Dal rigetto del primo motivo, attinente ad un capo autonomo della sentenza, restano conseguentemente assorbiti i motivi secondo e terzo, il cui accoglimento non potrebbe impedire l'annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.

Privo di pregio è il quarto motivo, con cui l'appellante principale lamenta la condanna alle spese in primo grado.
La condanna alle spese, infatti, si giustifica in base alla soccombenza nei confronti di entrambi i provvedimenti impugnati, di cui l'appellante principale aveva sostenuto in giudizio la legittimità e che la sentenza di primo grado ha annullato: l'occupazione d'urgenza, che era stata disposta per l'appunto a favore dell'appellante, e la dichiarazione di pubblica utilità, che ne era il presupposto.

Per le suesposte considerazioni, l'appello principale va respinto.
Resta conseguentemente assorbito l'appello incidentale.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in s.giurisd. (Adunanza plenaria), definitivamente pronunciando:

1) Rigetta l'appello principale;
2) Dichiara assorbito l'appello incidentale;
3) Compensa le spese del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.