LAVORI PUBBLICI - 139
Consiglio di Stato, sezione V, 28 maggio 2004, n. 3465
Sul decorso del termine per impugnare l'aggiudicazione e sull’eccezione di irricevibilità; sull'inefficacia del contratto in seguito ad annullamento dell'aggiudicazione; sulla presenza della colpa quale elemento necessario per la condanna al risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
(Quinta Sezione)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 7315/2003 R.G., proposto da C.S. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria dell’ATI C.S. s.p.a. S. s.p.a., rappresentata e difesa dal prof. avv. E.S.D., ed elettivamente domiciliata in ...

CONTRO

- l’Azienda Unità sanitaria locale BR/1, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa anche quale Ente incorporante – l’Azienda ospedaliera “A. Di Summa” di Brindisi dal prof. Avv. P.L.P., con domicilio eletto in ...

e nei confronti

della X. s.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. V.B. e B.B. presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in ...

per l’annullamento e/o la riforma della sentenza del T.A.R. della Puglia, Lecce, n. 4476/2003 depositata in data 26 giugno 2003, notificata in data 27 giugno 2003.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 11 novembre 2003, relatore il consigliere Michele Corradino;
Uditi gli avv.ti S.D., P. e B. come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con la sentenza appellata il T.A.R. della Puglia ha respinto il ricorso con cui l’odierno appellante aveva richiesto l'annullamento di tutti gli atti della gara pubblica, indetta dall’Azienda ospedaliera “A. Di Summa” di Brindisi, per l'affidamento del servizio di gestione e manutenzione del patrimonio impiantistico della Azienda ospedaliera.
In particolare erano stati gravati:
- il bando di gara datato 8 agosto 2002;
- il disciplinare di gara e il capitolato speciale di appalto, nelle parti censurate;
- la deliberazione n. 821/G.C. del 20 settembre 2002 di nomina della commissione di gara;
- tutti gli atti della commissione di gara (verbali del 4 novembre 2002; verbale del 23 novembre 2002; verbale del 6 dicembre 2002; verbale del 7 dicembre 2002);
- la deliberazione commissariale n. 1118/G.C. del 13 dicembre 2002, avente ad oggetto: "Esito pubblico incanto per l'affidamento del servizio manutentivo del patrimonio impiantistico dell'Azienda Ospedaliera A. Di Summa", con cui si approvano le risultanze della gara disponendo l'aggiudicazione in favore della X. s.p.a.

Inoltre era stato richiesto in primo grado l'accertamento e la declaratoria della nullità e/o inefficacia o, in subordine, l'annullamento ex articolo 1441 del codice civile del contratto per l'affidamento della gestione manutentiva del patrimonio impiantistico dell'Azienda Ospedaliera A. Di Summa, ove stipulato tra le parti, nonché l'accertamento e la declaratoria del diritto della società ricorrente, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall'articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, ad ottenere il risarcimento del danno ingiusto conseguente all'illegittimo operato da parte dell'Azienda Ospedaliera A. Di Summa di Brindisi.

La sentenza è stata appellata dalla C.S. s.p.a., in proprio e quale mandataria dell’ATI C.S. s.p.a. e S. s.p.a. che contrasta le argomentazioni del T.A.R. della Puglia.
L’Azienda Unità sanitaria locale BR/1 e la X s.p.a. si sono costituite per resistere all’appello.
La X s.p.a ha, altresì, proposto appello incidentale.
L’Azienda ospedaliera “A. Di Summa” di Brindisi non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 11 novembre 2003, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato, e conseguentemente va annullata la pronuncia gravata.

1. Deve essere innanzitutto esaminata l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado avanzata, con appello incidentale, dalla X s.p.a., atteso che il suo accoglimento implicherebbe la declaratoria di irricevibilità del gravame di primo grado.
L’eccezione non può essere accolta.

L'aggiudicazione provvisoria, in quanto atto preparatorio e non conclusivo del procedimento, non obbliga all'immediata impugnazione; questa può essere differita al momento in cui si ricorre contro l'aggiudicazione definitiva.
Il termine per ricorrere contro l'aggiudicazione di un pubblico contratto, pertanto, decorre dalla piena conoscenza di quella definitiva, con la possibilità di far valere nel relativo giudizio anche i vizi propri di quella provvisoria (cfr.: Cons. Stato, Sez.V, 24/05/2002, n. 2863).

A conferma di tale orientamento può essere richiamato l’indirizzo interpretativo secondo cui, allorché l'impresa non aggiudicataria impugni l'aggiudicazione provvisoria di un contratto della pubblica amministrazione, ciò non l'esime dall'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva, a pena di improcedibilità del primo ricorso giurisdizionale, in quanto quest'ultima aggiudicazione è non già un atto meramente confermativo della prima, bensì una autonoma valutazione della vicenda contrattuale (Cons. Stato, Sez.V, 03/04/2001, n. 1913).

Il sistema delineato dalla giurisprudenza appare, dunque, razionale: a fronte di aggiudicazione provvisoria, l'impresa non aggiudicataria non ha l'onere ma la facoltà di impugnare immediatamente tale aggiudicazione, che è autonomamente lesiva in quanto le inibisce l'ulteriore partecipazione al procedimento. Rispetto all'aggiudicazione provvisoria, però, quella definitiva non costituisce atto meramente confermativo o esecutivo, ma un atto che, anche quando recepisce pienamente i risultati dell'aggiudicazione provvisoria, comporta, comunque, un'autonoma valutazione; pertanto l'aggiudicazione definitiva necessita sempre di autonoma impugnazione, anche se è già stata impugnata quella provvisoria.

In sostanza, qualora l'aggiudicazione provvisoria venga impugnata immediatamente ed autonomamente, la parte ha l'onere di impugnare anche, in un secondo momento, quella definitiva, pena l'improcedibilità del primo ricorso (cfr.: Cons. Stato, Sez.V, 03/04/2001, n. 1998).
Va inoltre osservato che, secondo l’indirizzo consolidato, la piena conoscenza del provvedimento impugnato deve essere comprovata dalla parte che eccepisce l'irricevibilità del ricorso (Cons. Stato, Sez.V, 14/05/1992, n. 396), e che l’eccezione di irricevibilità del ricorso va disattesa ove la parte processuale che l’ha eccepita non fornisca alcuna prova idonea a dimostrare che il ricorrente fosse a conoscenza degli atti impugnati prima di sessanta giorni dalla notifica del ricorso.
Nel caso in esame la piena prova non è raggiunta.

2. Con il primo motivo di ricorso l’appellante deduce che dal chiaro tenore dell’art. 5 del disciplinare di gara (a norma del quale «le imprese che partecipano ad un raggruppamento temporaneo o ad un consorzio non sono ammesse a presentare offerte distinte, né come imprese singole né come partecipanti ad altro raggruppamento o consorzio»), risulta evidente il divieto assoluto ed incondizionato di partecipazione plurima, senza eccezioni di sorta. Afferma, altresì, l’appellante che, indipendentemente dalla lettura dell’art. 13 legge n. 109/1994, la lex specialis della gara può innalzare il livello di segretezza di fonte normativa e rendere assoluto il divieto di partecipazione plurima.
Sul punto, il giudice di primo grado ha ritenuto che la prescrizione di cui al prefato art. 5 del disciplinare di gara è ripetitiva del disposto legislativo (art. 13, comma 4, della legge n. 109/19944) ed esclude solo la partecipazione dei consorziati indicati come esecutori dell’appalto.

Ritiene invece il Collegio evidente la diversità del contenuto dei dati normativi coinvolti, non solo in ordine al profilo letterale ma considerando, altresì, il piano logico-sistematico.
Appare sufficiente, allo scopo, la lettura dei dati coinvolti, da cui è possibile inferire l’assenza di ripetitività ed identità fra prescrizione di legge e prescrizione del bando. Orbene, il bando di gara pubblica, in quanto lex specialis, vincola non solo i concorrenti ma la stessa amministrazione, che non può pertanto esimersi dall'osservarlo una volta che sia stato emanato, al fine di garantire la par condicio di tutti i concorrenti.
Nel caso che ci occupa dal bando discendeva l’esclusione dell’offerta della X s.p.a., per la perentoria ed assoluta prescrizione del divieto di partecipazione plurima.

3. Deduce ulteriormente l’appellante l’erroneità della gravata sentenza, per aver qualificato l’I., di cui fa parte la X s.p.a., consorzio di cooperative di produzione e lavoro ai sensi della legge n. 422/1909 e del r.d. n. 278/1911.

Il motivo è fondato.

Risulta, infatti, che i requisiti richiesti per i consorzi di cooperative previsti dalla legge 25 giugno 1909, n. 422 e dal r.d. 12 febbraio 1911, n. 278, non sono riscontrabili in capo alla I.
Invero, la disciplina contenuta nella legge 25 giugno 1909, n. 422 e nel r.d. 12 febbraio 1911, n. 278 caratterizza dette figure soggettive per la diuturna ed immanente presenza pubblicistica, dalla nascita alla estinzione del soggetto.
Nel caso che ci occupa, non è dato riscontrare tale presenza nella vita dell’I.
Quanto alla qualificazione giuridica della I., merita adesione la tesi dell’appellante, il quale sostiene trattarsi di comune consorzio di concorrenti (costituito in forma di società consortile ai sensi dell’art. 2615-ter c.c.) di cui agli artt. 2602 e ss. c.c., che rinviene espresso richiamo nell’art. 10 comma 1, lett. e), della legge n. 109/1994.

Non può, infatti, condividersi il ragionamento del giudice di primo grado, non solo nella parte in cui ha omesso di valutare attentamente la presenza delle caratterizzazioni pubblicistiche proprie dei consorzi di cooperative previsti dalla legge 25 giugno 1909, n. 422 e dal r.d. 12 febbraio 1911, n. 278, ma anche laddove ha sostenuto la assimilazione dei consorzi in esame ed i comuni consorzi di cooperative ammessi ai pubblici appalti.

Da tale impostazione discende l’applicazione dell’art. 13, comma 4, della legge n. 109/1994, nella parte in cui, riferendosi alle A.T.I. ed ai consorzi di cui all’art. 10, comma 1, lett. d) ed e), prescrive un divieto assoluto di partecipazione plurima.
Ne discende che l’amministrazione resistente avrebbe dovuto, in forza di tale tassativo divieto, escludere l’offerta della X s.p.a. trattandosi di soggetto che concorreva in forma individuale ed in forma di consorziata della I.

4. Merita di essere condivisa, inoltre, l’ulteriore censura con cui l’appellante denuncia l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui non qualifica appalto di lavori, sebbene appalto di servizi, l'appalto de quo (per una applicazione: Cons. Stato, Sez. V, 11/06/1999, n. 630).
Invero, risulta evidente la prevalenza funzionale dell’attività di manutenzione degli impianti rispetto alle forniture ed alle attività qualificate in termini di servizi. Accanto alla richiamata prevalenza funzionale è, altresì, possibile riscontrare anche una prevalenza economica.

5. L’appellante chiede, altresì, l'accertamento e la declaratoria della nullità e/o inefficacia o, in subordine, l'annullamento ex articolo 1441 del codice civile del contratto per l'affidamento della gestione manutentiva del patrimonio impiantistico dell'Azienda Ospedaliera A. Di Summa, stipulato tra le parti.

La questione è complessa.

Si pone sulla linea di confine tra il diritto pubblico e il diritto privato ed involge la vexata quaestio dei rapporti fra provvedimenti amministrativi ed atti negoziali.

Nella materia in esame è possibile individuare quattro distinti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali.

Da un lato, si sostiene la sussumibilità della patologia del contratto nello schema dell’annullabilità relativa ex art. 1441 c.c.; dall’altro si propende per la nullità del vincolo negoziale e per la conseguente soggezione dello stesso al regime contemplato dagli artt. 1421 e seguenti c.c.; secondo la terza opzione ermeneutica si verificherebbe un effetto caducante automatico; infine, autorevole dottrina e recenti arresti giurisprudenziali, affermano l’inefficacia del vincolo negoziale.

A completare ulteriormente il quadro interpretativo in subiecta materia è intervenuto l’articolo 14, comma 2 (Nuove norme in materia processuale) del decreto legislativo n. 190 del 2002 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), che esclude la «risoluzione del contratto» per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione di lavori relativi alle infrastrutture oggetto di quella normativa speciale. Al riguardo si è rilevato, che il dato testuale della norma, riferentesi all’istituto civilistico della risoluzione che ha una struttura propria ben delineata dal codice civile, non è di univoca lettura, atteso che può essere interpretato come eccezione che conferma la regola della nullità, ovvero che la caducazione del contratto medesimo, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, costituisca evento normale; altri autori hanno tuttavia evidenziato che l’espressione utilizzata risponde probabilmente all’esigenza, avvertita dal legislatore, di non prendere posizione nell’ambito del dibattito.

5.1. La tesi che afferma l’annullabilità relativa del contratto ex art. 1441 c.c. ha caratterizzato, in misura univoca, la giurisprudenza del Giudice Ordinario, ma ha trovato significativi riscontri anche nella giurisprudenza amministrativa (Cfr. Cass. 17 novembre 2000, n. 14901; Cass. 8 maggio 1996, n. 4269, Cass. 28 marzo 1996, n. 2842; Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2002, n. 570; T.A.R. Puglia, Lecce, 28 febbraio 2001, n. 746; T.A.R. Lombardia, Brescia, 9 maggio 2002, n. 823; T.A.R. Lombardia, Milano, 29 novembre 1999, n. 4070; T.A.R. Lombardia, Milano, 23 dicembre 1999, n. 5049; T.A.R. Lombardia, Milano, 11 dicembre 2000, n. 7702; T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 2000, n. 3890).

Tale tesi muove dal rilievo secondo cui gli atti amministrativi adottati nella procedura di evidenza pubblica, che precedono la stipulazione dei contratti jure privatorum, «non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico, sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l’annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente» (Cass. 8 maggio 1996, n. 4269).

Detto diversamente, il procedimento ad evidenza pubblica ha la funzione di salvaguardare la corretta formazione del consenso da parte della pubblica amministrazione, garantendo che essa scelga il contraente migliore tra tutti i partecipanti alla procedura concorsuale; le relative norme sono, pertanto, dettate esclusivamente a tutela dell’interesse dell’amministrazione. I sostenitori della tesi dell'annullabilità, conforme all’interesse dell'Amministrazione, ritengono che tale soluzione sia quella più idonea ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, atteso che, diversamente, aderendo all’orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione potrebbe far valere, anche a distanza di tempo l'invalidità radicale del contratto, travolgendone gli effetti.

Ferma restando la tesi dell’annullabilità, dottrina e giurisprudenza ne hanno individuato un diverso fondamento: si è parlato ora di vizio del consenso per errore essenziale e riconoscibile sulla qualità di legittimo aggiudicatario dell’altro contraente (artt. 1428 e 1429, n. 3 c.c.), ora di annullabilità ex articolo 1425, primo comma, c.c., per una sorta di incapacità a contrattare dell’amministrazione ove sia caducata la delibera di contrattare (Cass., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2842), ora ancora di annullabilità per difetto di legittimazione negoziale della pubblica amministrazione intesa come ipotesi concreta di incapacità rispetto allo specifico negozio, a fronte di una generale capacità giuridica e di agire del soggetto (Cass., sez. II, 21 febbraio 1995, n. 1885 e Cass., sez. I, 13 ottobre 1985, n. 5712).

E’ stato, tuttavia, sottolineato da attenta dottrina che non tutte le fattispecie decise dalla Cassazione riguardano casi di precedente annullamento dell’aggiudicazione, sicché si è per certi versi dubitato che l’effettivo decisum abbia negato l’effetto di travolgimento del contratto scaturente dall’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione.

5.2. La tesi della nullità viene argomentata, in prevalenza, con riferimento al primo comma dell’art. 1418 c.c., che sanziona con la nullità il contratto contrario a norme imperative (c.d. nullità virtuale o extratestuale).
Il percorso argomentativo seguito dalla corrente giurisprudenziale in esame muove dalla constatazione che l’invalidità che inficia il contratto stipulato con il privato contraente deriva dalla violazione di norme di azione disciplinanti il procedimento di gara ad evidenza pubblica.
Le norme che prescrivono le modalità da osservare nella scelta del contraente esprimono un implicito divieto di stipulare con soggetti non siano risultati legittimi vincitori dalla pubblica selezione (Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281, che, però, si è soffermata sul caso particolare della carenza di potere della Pubblica Amministrazione in tema di rinegoziazione delle condizioni economiche previste in sede di aggiudicazione; T.A.R. Calabria, 26 novembre 2002, n. 2031; T.A.R. Campania, Napoli, 29 maggio 2002, n. 3177 in cui viene valorizzato il richiamo alla normativa sull’evidenza pubblica, diretta, attraverso la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti, ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità e di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa - art. 97 Cost. - nonché di tutela dell'effettività della concorrenza ex artt. 2, 3, par. 1, lett. g), e 4 Trattato CE).

Come è stato stabilito «tale qualificazione della patologia si fonda sulla constatazione secondo cui la procedimentalizzazione della scelta del contraente ed il suo coordinamento a profili di interesse pubblico in ordine all’acquisizione della migliore offerta contrattuale, configurano una fattispecie complessa, nella quale convergono meri atti, operazioni materiali, provvedimenti, dichiarazioni di volontà del privato, e del quale la stipulazione del contratto rappresenta l’effetto finale. Ne consegue che l’invalidità di atti della serie procedimentale che incidano sulla legittimità dell’aggiudicazione non consentono alla suddetta fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l’ idem consensus (ovvero l’accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto. E’ noto che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo difetto genetico originario, produce la nullità del contratto e non la semplice annullabilità, ai sensi dell’art. 1418 comma 2 c.c.» (T.A.R. Puglia, Bari, 23 ottobre 2002, n. 394).
Viene, poi, riconosciuta la nullità del contratto nel caso di incompetenza assoluta dell’organo stipulante (Cass., 9 ottobre 1961, n. 2058; Cass., 10 aprile 1978, n. 1668).
Sulla base di tali premesse, la nullità del contratto stipulato a seguito di procedura concorsuale illegittima viene giustificata secondo tre diverse prospettive.

Un primo orientamento ritiene che l’annullamento (giurisdizionale o amministrativo) degli atti di gara per motivi di legittimità, facendo venire meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, dà luogo ad una mancanza originaria del consenso dell’amministrazione all’assunzione del vincolo negoziale: la nullità del contratto si giustificherebbe alla stregua del combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 1, c.c.

Ne consegue l’applicabilità del regime normativo di cui agli artt. 1421 e seguenti c.c. (cfr.: Cass. Civ. 9 gennaio 2002, n. 193, ove per i giudici di legittimità «il venir meno della deliberazione attraverso cui si è espressa la volontà dell’ente conduttore rende nullo il contratto per assenza del requisito dell’accordo tra le parti » art. 1325, n. 1 e art. 1418, comma 2, c.c.).
Una tesi minoritaria, relativamente alla ipotesi particolare dell’originaria mancanza o dell’annullamento ex tunc della deliberazione a contrarre, ritiene che l’inosservanza del principio della necessità della copertura finanziaria determini la nullità del contratto per mancanza della causa ex art. 1418, comma 2, e 1325, n. 2.

Altra parte della dottrina riconduce la nullità del contratto alla generale previsione di cui all’art. 1418 , comma 1, sotto il profilo della violazione di norme imperative nel caso in cui i vizi della serie procedimentale ad evidenza pubblica siano tali da determinare l’inidoneità del contratto a perseguire il vincolo di scopo assegnato all’amministrazione.

5.3. La tesi dell’inefficacia è stata recentemente sostenuta dalla decisione Cons. Stato 6666/2003, secondo cui la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione, attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale dell’Amministrazione, dà luogo alla conseguenza di privare l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare; in sostanza, l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato privo della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti amministrativi (cfr. Cass., 20 novembre 1985, n. 5712): «la categoria che viene in gioco in tal caso non è l’annullabilità, ma l’inefficacia. E, infatti, nei contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi condizionano, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diviene ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa (cfr. Cass., 5 aprile 1976, n. 1197)».

Secondo tale impostazione l’inefficacia sopravvenuta derivante dall’annullamento degli atti di gara ovvero del provvedimento di aggiudicazione (in sede giurisdizionale, amministrativa o in via di autotutela) è relativa e può essere fatta valere solo dalla parte che abbia ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. Per il Collegio della decisione riportata «più problematica appare, invece, la posizione dell’Amministrazione. Di regola il contratto rimane vincolante inter partes, nonostante l’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale, fino all’adozione di apposite iniziative da parte degli interessati. Tuttavia, appare meritevole di protezione anche l’interesse dell’Amministrazione a rimuovere gli effetti di situazioni ormai riconosciute illegittime. In tale eventualità, tuttavia, la P.A. può determinare l’inefficacia del contratto, ma attraverso il procedimento di annullamento degli atti di gara in via di autotutela, applicando i principi garantistici in materia (avviso di avvio del procedimento; congrua motivazione; adeguata valutazione dell’interesse pubblico e dell’affidamento del contraente). Per quanto, più in particolare, riguarda la tutela dei soggetti che abbiano ottenuto ragione dinanzi al giudice amministrativo tramite l’annullamento dell’atto di aggiudicazione, nei casi in cui il contratto sia già stato concluso, ritiene il Collegio preferibile la posizione dottrinale orientata nel senso dell’applicazione della normativa dettata dal codice civile a proposito delle associazioni e fondazioni, in quanto esprimente principi generali, applicabili anche alla Pubblica amministrazione, quale persona giuridica ex art. 11 c.c., soggetta, quindi, oltre che alle norme di diritto pubblico, anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano le persone giuridiche (cfr., in tal senso, anche se nell’ambito della teoria della inefficacia del contratto per difetto di un presupposto o di una condizione di efficacia del contratto, Cons. St., Sez. VI, n. 2992 del 2003 cit.). Secondo tali principi, l’annullamento della deliberazione formativa della volontà contrattuale dell’ente "non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima" (articoli 23 e 25 c.c.). Questo criterio, invero, consente di tutelare la posizione del contraente di buona fede, ma allo stesso tempo consente di dare pieno riconoscimento alle ragioni di colui che abbia ottenuto l’annullamento di atti della fase di formazione (e segnatamente, dell’aggiudicazione) laddove possa essere esclusa la buona fede del contraente, travolgendo in tal caso detto annullamento la fattispecie contrattuale nella sua interezza».

Secondo la decisione in esame un argomento sistematico in favore della tesi della inefficacia sopravvenuta può trarsi dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive), la quale, all’art. 1, comma 2, indica, tra gli altri, il principio e criterio direttivo (lettera n): «previsione, dopo la stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente generale, di forme di tutela risarcitoria per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica; …».
La delega, com’è noto, è stata attuata con l’art. 14 del decreto legislativo n. 190 del 2002, con cui, appunto, si esclude che l’annullamento dell’aggiudicazione comporti la risoluzione del contratto nelle more stipulato dalla P.A.

Ora, se il legislatore, in applicazione di una facoltà riconosciuta dalla direttiva 89/665 (art. 2, par. 5 e 6) - che postula il principio in forza del quale, di regola, la stipulazione del contratto non preclude affatto la reintegrazione in forma specifica, anche se gli Stati membri potrebbero introdurre norme interne con tale contenuto - ha avvertito la necessità di stabilire una apposita norma derogatoria di tale principio in un particolare settore, allora significa che, in linea generale, la stipulazione del contratto non è di ostacolo alla tutela in forma specifica della parte interessata, assicurata attraverso la verificazione del contratto e la conseguente possibilità di subentro.
D’altronde, il riferimento del legislatore delegato (anche se per escluderla) alla risoluzione del contratto conseguente all’annullamento della procedura sembra far propendere per il rifiuto della categoria della invalidità e per l’adesione a quella della perdita di efficacia del contratto.

6. Si è poi fatto strada nella giurisprudenza amministrativa l’orientamento della caducazione automatica (Cons. St., Sez. V, 25 maggio 1998, n. 677, in un caso di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione; Cons. St., Sez. V, 30 marzo 1993, n. 435, che afferma il travolgimento automatico del contratto per effetto dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione; Cons. St., Sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244, muovendo dal principio di conservazione degli atti, per cui la graduatoria della gara conserva i suoi effetti per il caso in cui venga meno la prima aggiudicazione, afferma che l’annullamento dell’aggiudicazione in favore del primo graduato comporta l’aggiudicazione automatica in favore del secondo graduato; di recente, Cons. St., Sez. V, 5 marzo 2003, n. 1218; Cons. St., Sez. VI, 14 marzo 2003, n. 1518).

La tesi della caducazione automatica è stata, poi, di recente approfondita dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (cfr. dec. 5 maggio 2003, n. 2332), che ha ripreso la tesi, di matrice dottrinaria, della inefficacia del contratto per mancanza legale del procedimento, vale a dire per carenza del presupposto legale di efficacia del contratto costituito dalla fase di evidenza pubblica, riconducendone l’effetto al principio generale, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria, secondo cui simul stabunt, simul cadent.

Altro orientamento della VI Sezione del Consiglio di Stato ritiene accoglibile l’impostazione tradizionale relativa alla normale efficacia caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto conseguente, ma con il temperamento costituito dalla salvezza dei diritti dei terzi in buona fede in applicazione analogica degli artt. 23, comma 2 e 25, comma 2, del codice civile, applicabili alla Pubblica amministrazione in quanto persona giuridica ex art. 11 dello stesso codice (cfr. Cons. St., Sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2992).

7. Il Collegio condivide la tesi dell’efficacia caducante, nel caso di annullamento giurisdizionale, come in quello dell’eliminazione a seguito di autotutela o di ricorso giustiziale, degli atti della procedura amministrativa, in forza del rapporto di consequenzialità necessaria tra la procedura di gara ed il contratto successivamente stipulato. Sul punto, stante la novità e la rilevante complessità della tematica in esame, ritiene il Collegio di doversi soffermare sulle ragioni che inducono a tale adesione e a specificare il proprio orientamento sul punto.

Sul piano della ricostruzione fenomenica, è necessario prendere le mosse dall’innegabile esistenza di un raccordo fra gli atti della serie pubblicistica ed il contratto stipulato all’esito dell’aggiudicazione. Tale raccordo induce l’interprete ad interrogarsi in ordine alla applicabilità, al caso in esame, della distinzione elaborata in sede giurisprudenziale, in relazione agli atti amministrativi, tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante.

Tale distinzione (criticata da autorevole dottrina) risale alla pronuncia del Consiglio di Stato, Ad. Plen. 19 ottobre 1955 n. 17, e si fonda sulla diversa intensità che contraddistingue il nesso di presupposizione o di derivazione intercorrente fra atti (ed in particolare fra atto annullato e atto successivo).
La distinzione, in definitiva, consente di misurare il diverso grado di incidenza pregiudiziale fra atto presupposto (annullato) e atto consequenziale. Detto diversamente, i due termini della distinzione sono accomunati dall’esistenza di un nesso di derivazione o presupposizione fra c.d. “atto a monte” e c.d. “atto a valle”; tuttavia, mentre nel caso di invalidità ad effetto viziante l’atto a valle l’atto consequenziale deve essere impugnato per essere eliminato dal mondo giuridico (resistendo all’annullamento dell’"atto presupposto”), nel caso di invalidità ad effetto caducante, l’annullamento dall’atto presupposto implica l’automatico travolgimento dell’atto consequenziale senza bisogno di impugnativa ad hoc.

Risulta a questo punto indispensabile chiarire se tale meccanismo sia applicabile anche nei rapporti fra atti amministrativi ed atti negoziali (non aderendo all’autorevole ricostruzione dottrinale che configura gli atti di evidenza pubblica come atti amministrativi negoziali), atti, questi, appartenenti a seriazioni giuridiche ontologicamente eterogenee.

Sul punto, ritiene il Collegio che la diversa natura degli atti in questione non escluda l’applicabilità della prefata distinzione, essendo rilevante, in via esclusiva, l’obiettiva connessione (presupposizione o derivazione) fra atto primario ed atto consequenziale (nel nostro caso, di natura pubblicistica il primo, privatistica il secondo).
La validità di tale ricostruzione è comprovata dal riconoscimento, in sede giurisprudenziale e dottrinale, dell’esistenza del nesso di derivazione fra atti di natura giuridica eterogenea: si pensi al rapporto fra regolamento e provvedimento amministrativo (valorizzando il profilo di fonte del diritto del regolamento); al legame fra sentenza ed atto amministrativo adottato in esecuzione della prima; si pensi, infine, al legame fra accordo endoprocedimentale e provvedimento finale (aderendo alla tesi che ricostruisce l’accordo in chiave privatistica).

Orbene, dimostrata l’applicabilità della richiamata distinzione anche ad atti di natura diversa, deve essere precisato che il nesso di connessione fra atti non sussiste solo in caso di legame endoprocedimentale (è il caso della connessione accordo – provvedimento ex art. 11 legge n. 241/1990) ma, altresì, nel caso di preordinazione funzionale (id est: legame esterno) fra atti: ricorre tale ipotesi proprio nel caso del legame fra aggiudicazione e contratto, aderendo alla prevalente ricostruzione che li configura, rispettivamente, come ultimo atto della serie pubblicistica e primo atto della serie privatistica.

Che la intensa connessione (preordinazione funzionale) fra aggiudicazione e contratto sussista è, non solo giuridicamente evidente (appare necessaria, in tal senso la citazione di un passo significativo di Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria – Sentenza 29 gennaio 2003, n. 1 - «Pur senza affrontare la questione generale del rapporto processuale tra l’azione di annullamento degli atti amministrativi e quella del risarcimento del danno dai medesimi eventualmente provocato, nell’ambito della nuova disciplina del processo amministrativo, un rapporto di pregiudizialità necessaria può, comunque, porsi, tutte le volte che si sia di fronte alla necessità di stabilire le conseguenze dell’annullamento degli atti di gara sul contratto eventualmente stipulato tra l’Amministrazione appaltante e l’originario aggiudicatario; in tal caso, la previa proposizione del ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, e la definizione del relativo giudizio, appare, comunque, necessaria, posto che si tratta di stabilire quali siano le conseguenze, sul contratto di appalto nelle more stipulato tra Amministrazione ed aggiudicatario, dell’avvenuto annullamento degli atti di gara a seguito del ricorso del partecipante non aggiudicatario»), ma anche intuitivo: post hoc, propter hoc: è la fase dell’evidenza pubblica che determina e genera, in via esclusiva e necessaria, la controparte del rapporto contrattuale.

Chiarita la stretta ed intensa consequenzialità fra aggiudicazione e contratto, occorre comprendere il meccanismo giuridico in forza del quale l’annullamento giurisdizionale, ovvero l’eliminazione a seguito di autotutela o di ricorso giustiziale, degli atti della procedura amministrativa importa la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato.

In primo luogo occorre premettere che l’efficacia caducante è cosa diversa dalla nullità del contratto successivamente stipulato.
Nonostante alcune somiglianze (come, ad esempio, la declaratoria ex officio da parte dello stesso giudice che pronuncia l’annullamento), non può dirsi che il contratto successivamente stipulato sia invalido a causa della demolizione giuridica del provvedimento di aggiudicazione.
Al contrario, al contratto in questione si attaglia la situazione negativa di “mancanza di effetti”.
L’inefficacia è una categoria concettuale che non trova nel codice civile del 1942 una considerazione unitaria e generale (a differenza della nullità e della annullabilità); è, inoltre, una figura che presenta una estensione maggiore rispetto alla invalidità, nonché una diversa morfologia ed un diverso trattamento normativo.
L’ in se di tale figura, come messo in rilievo dalla maggioritaria dottrina civilistica, è l’idoneità a meglio realizzare il trattamento corrispondente agli interessi in gioco (in contrasto con la disciplina - rigida – dell’invalidità).
Tale tesi affonda le radici nel pensiero della pandettistica che ben distingueva fra inefficacia ed invalidità, approfondendo con acume e rigorosa considerazione la autonomia dell’ “atto” rispetto al “rapporto”. L’inefficacia è pertanto una qualificazione giuridica di contenuto negativo che l’ordinamento riserva a tutti i casi di inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici che ne realizzino la funzione.

Sulla base di tale impostazione, si ritiene di dover prendere le mosse dalla tesi sostenute da questo Consesso nelle decisioni Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666. In particolare, mentre nella prima decisione l’efficacia caducante viene ricondotta alla carenza di uno dei presupposti di efficacia del contratto, carenza determinata dall’annullamento dell’aggiudicazione, nella seconda l’inefficacia sopravvenuta del contratto viene ricondotta alla mancanza del requisito della legittimazione a contrarre, derivante dall’annullamento degli atti di gara.

Al riguardo il Collegio, in parte diversamente argomentando rispetto agli arresti or ora citati, ferma restando l’adesione alla tesi della caducazione automatica, che i termini della questione debbano essere ricostruiti alla luce della categoria dell’inefficacia successiva, che ricorre allorché il negozio pienamente efficace al momento della sua nascita divenga inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, quest’ultima da intendersi come inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l’incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore incompatibili con l’interesse interno negoziale.
Tale interferenza non implica alcuna alterazione strutturale della fattispecie contrattuale, incidendo unicamente sulla funzione dell’atto ovvero, per meglio dire, sul momento effettuale; in tali casi l’ordinamento è chiamato a risolvere un problema di contrasto fra situazioni effettuali: non viene in rilievo l’atto sotto il profilo genetico (validità o invalidità), bensì la sua efficacia.

L’inefficacia successiva, al pari della nullità successiva, agisce retroattivamente ma differentemente dalla seconda incontra il duplice limite delle situazioni soggettive che si siano già consolidate in capo ai terzi fino alla domanda volta a far dichiarare l’inefficacia (arg. ex. rtt. 1452, 1458, comma 2, 1467 e 2901 c.c.) e delle prestazioni già eseguite nei negozi di durata.
La fondatezza dell’assunto si coglie considerando che il negozio giuridico, atto di autoregolamento di privati interessi, vincolando le parti alla realizzazione nel tempo dell’obiettivo programmato, rimane esposto al verificarsi di fatti e vicende, inerenti ad altri tipi di interessi delle parti o di terzi, che sopravvenendo interferiscono con il ciclo di efficacia del contratto.

Nel caso in esame, inoltre, l’interferenza dell’interesse esterno è mediata da una pronuncia giurisdizionale (di annullamento degli atti di gara) che dà la stura al meccanismo di travolgimento automatico dell’atto della serie privatistica. L’interesse superiore di cui si tratta è consacrato dalle prescrizioni di evidenza pubblica, che una antica ed ormai superata tesi riteneva volte esclusivamente al soddisfacimento dell’interesse particolare della pubblica amministrazione.

Invero, è di recente acquisizione che le prescrizioni in tema di procedure di gara, interna o comunitaria, devono essere lette nell’ottica della tutela dell’interesse generale. I principi fondamentali della concorrenza e del mercato - (articoli 2, 3, par. 1, lettera g, e 4 Trattato CE) - (affermati con forza soprattutto in sede comunitaria) nonché del buon andamento e dell’imparzialità (come enunciati dall’art. 97 della Costituzione) sono valori in stretto collegamento fra loro, elevati a canoni fondamentali dell’intera azione amministrativa per la cura e la protezione di interessi pubblici di primario rilievo (assurti, ormai, a veri e propri principi del diritto pubblico dell’economia vivente).
Tale prospettiva è decisivamente valorizzata dal diritto comunitario che, nella materia che ci occupa, è proteso alla salvaguardia dei valori della concorrenza e, quindi, della libertà competitiva delle singole imprese. L’interesse poziore esterno (alla scelta del legittimo contraente), valorizzato e consacrato dalla sentenza di annullamento dell’atto amministrativo, espone il contratto già stipulato ad una vicenda effettuale di carattere negativo, spiegabile come precarietà ex post di carattere peculiare.

7-bis. In ordine alle conseguenze derivanti dall’inefficacia successiva, va precisato che essa deve formare oggetto di mera declaratoria da parte dello stesso giudice che pronuncia la sentenza costitutiva di demolizione dell’atto gravato (coerentemente alla pienezza di giurisdizione che il legislatore del 1998 e del 2000 ha voluto riconoscere al plesso giurisdizionale amministrativo), ed infine che essa non estende i suoi effetti sulle prestazioni medio tempore eseguite.
In punto di giurisdizione la soluzione esposta esclude in radice il sorgere di dubbio alcuno circa la spettanza della potestas decidendi (in ordine alla declaratoria di inefficacia) in capo al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva.

E’, infatti, evidente che non viene in rilievo una vicenda propria del contratto (come potrebbe essere un suo aspetto patologico), ma degli effetti automaticamente prodottisi sulla fattispecie contrattuale per effetto dell’annullamento della procedura amministrativa di gara (o di un suo segmento). Di qui il corollario, coerente con le esigenze di concentrazione e pienezza della tutela, che il giudice amministrativo, dotato di giurisdizione esclusiva sulla procedura di affidamento, indaghi anche sugli effetti prodotti dall’annullamento della procedura sul contratto medio tempore stipulato. Diversamente opinando sarebbe reintrodotto, in palese contrasto con le scelte del legislatore del 1998-2000, il dispendioso sistema che costringeva il cittadino alla moltiplicazione dei giudizi, con passaggio dall’una all’altra giurisdizione, per poter conseguire il bene dell’effettività della tutela.

8. Non può essere accolta l’istanza avanzata dalla X s.p.a. al fine di provocare la remissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del giudizio. La X s.p.a. sostiene che sarebbe costituzionalmente illegittimo, ai sensi degli artt. 3 e 97 Cost., ammettere alla gara cui partecipi il consorzio, ex artt. 10, comma, 1, e 13, comma 4, della legge n. 109/1994, i consorziati di cooperative di produzione e lavoro puri non indicati come esecutori dell’appalto in caso di aggiudicazione, e non ammettere ai consorzi di cooperative misti ammessi ai pubblici appalti di cui all’art. 1, n. 3, del R.D. n. 278/1911. La questione difetta del requisito della rilevanza, atteso che la qualificazione dell’I. quale consorzio ex art. 2602 c.c. esclude l’applicazione dei dati normativi richiamati dalla X s.p.a.

9. In ordine alla richiesta di risarcimento del danno, deve essere osservato che la domanda risarcitoria non sostenuta dalle allegazioni necessarie all'accertamento della responsabilità dell'amministrazione risulta proposta in modo generico e, quindi, va respinta; grava, infatti, sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (Cons. Stato, Sez. V, 25/01/2002, n. 416; Cons. Stato, Sez. V, 06/08/2001, n. 4239).
Invero, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva d'interesse tutelata dall'ordinamento, è indispensabile che sia accertata la colpa dell'amministrazione, e l'esistenza di un danno al patrimonio e che sussista un nesso causale tra l'illecito ed il danno subito.

Però più che accedere direttamente alla colpa - intesa come profilo soggettivo di responsabilità e ritenuta configurabile quando l'adozione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità - è indispensabile accedere a una nozione di tipo oggettivo che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all'organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell'apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento; pertanto se la violazione è l'effetto di un errore scusabile dell'autorità, non si potrà configurare il requisito della colpa, se, invece, la violazione appare grave e se essa matura in un contesto nel quale all'indirizzo dell'amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa dovrà sussistere (Cons. Stato, Sez. IV, 14/06/2001, n. 3169; Cons. Stato, Sez. VI, 18/12/2001, n. 6281).
Nel caso in esame non è dato ravvisare una manifesta e grave violazione da parte dell’amministrazione; difetta, pertanto, l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità di un danno risarcibile.
A ciò si aggiunge la mancanza della necessaria dimostrazione del danno che rende comunque inaccoglibile la domanda.

10. Assorbito quant’altro il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui sopra, con conseguente annullamento della sentenza impugnata, accoglimento del ricorso di primo grado con annullamento degli atti impugnati.

Per le ragioni esposte l’appello va accolto.
Sussistono giuste ragioni per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie l’appello nei sensi di cui in motivazione.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio dell’11.11.03, con l'intervento dei signori:

Emidio Frascione, presidente,
Raffaele Carboni, consigliere,
Paolo Buonvino, consigliere,
Claudio Marchitiello, consigliere,
Michele Corradino, consigliere estensore