LAVORI PUBBLICI - 079
T.A.R. Campania, Napoli, sezione
I, 29 maggio 2002, n. 3177
Nell'ambito della giurisdizione esclusiva in materia di appalti, annullata
l'aggiudicazione il giudice amministrativo può disporre l'annullamento del
contratto, quale conseguenza necessaria per riconoscere la reintegrazione
risarcitoria in forma specifica.
Tale conclusione non contrasta col
principio, affermato, riconosciuto e condiviso, della competenza del giudice
ordinario in materia di esecuzione (e risoluzione) del contratto, in quanto
trattasi di diversa ipotesi relativa alla cognizione della invalidità del contratto
per effetto e in conseguenza dell'intervenuto annullamento dell'aggiudicazione.
Solo qualora la reintegrazione risulti impossibile o eccessivamente onerosa, ai
sensi dell'articolo 2058, secondo comma, c.c., potrà valutarsi il
risarcimento per equivalente.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania, Napoli, sezione Prima,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 5220/2000 Reg. Gen., proposto dalla M.C. s.n.c. di geom. R.R. & C., in persona del socio amm.re R.R., con sede in ..., rappresentata e difesa dagli avv.ti R.M., A.G. e C.S., con domicilio eletto in ...
contro
il Comune di Calvizzano, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso, dall’avv. G.P. con domicilio eletto in ...
e nei confronti
della I.T. s.a.s. di L.G. & C, in persona dell’accomandatario gerente p.t., sig. G.L., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti R.S. e A.S., controinteressata ricorrente incidentale,
per l'annullamento, previa sospensione
«del verbale del 30 maggio 2000, con il quale la
commissione giudicatrice, disattendendo le specifiche deduzioni della odierna
ricorrente, determinava di non procedere alla esclusione dell’altro
concorrente, nonché di ogni altro atto antecedente, preordinato connesso e
consequenziale»;
nonché (motivi aggiunti notificati il 31 ottobre 2001 e
il 28 gennaio 2002),
«del provvedimento di aggiudicazione definitiva
dell’appalto de quo di cui alla determina del Responsabile
dell’ufficio Tecnico in data 22.9.2000 n. 283 ed il verbale di adunanza della
commissione giudicatrice del 30.5.2000 ed i relativi verbali di gara; nonché,
per quanto possa occorrere, a) del verbale d’intesa, in data 15.2.2001 prot.
562, sottoscritto tra la società I.T. s.a.s. ed il Comune di Calvizzano;
b) della nota in data 2.3.2001 prot. 2065, con cui il Sindaco comunicava alla I.T. la intervenuta modifica delle condizioni contrattuali, come
conseguenza della sottoscrizione del verbale in data 15.2.2001, nonché di tutti
gli atti precedenti, connessi e, comunque lesivi degli interessi della
ricorrente, ivi compreso il contratto stipulato in data 6.10.2000 n. 17»;
nonché per la condanna
«generica al risarcimento del danno da lucro cessante
in favore della ricorrente»;
quanto al ricorso incidentale proposto dalla società dalla I.T. s.a.s. con atti notificati il 6 giugno e il 24 novembre 2000:
per l’annullamento
«a) del verbale del 30 maggio 2000 della commissione
giudicatrice presso il Comune di Calvizzano per l’aggiudicazione della gara
relativa all’appalto del servizio di manutenzione , riparazione e sistemazione
della rete idrica e fognaria e servizi collaterali bandito con delibera del
consiglio comunale di Calvizzano del 28 febbraio 2000 n. 14 nella parte in cui
ha ammesso alla gara medesima la ricorrente in via incidentale (recte:
principale)».
VISTO il ricorso ed i relativi allegati;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio del comune
resistente e della società controinteressata,con le annesse produzioni;
VISTI gli atti di proposizione di motivi aggiunti notificati
dalla società ricorrente il 31 ottobre 2001 e il 28 gennaio 2002;
VISTI i ricorsi incidentali proposti dalla società
controinteressata con atti notificati il 6 giugno e il 24 novembre 2000;
VISTA l’ordinanza n. 2983 del 21 giugno 2000, con la quale
è stata respinta l’istanza cautelare;
VISTO l’atto depositato in data 13 febbraio 2002 dalla
società ricorrente, recante comunicazione di revoca del mandato agli avv.ti G.S. e
M.P., nonché della comunicazione dell’avv. G.A. di rinuncia al mandato;
VISTI gli atti tutti di causa;
UDITI alla camera di consiglio del 13 marzo 2002 - relatore
il Magistrato Dr. Carpentieri - gli avv.ti riportati a verbale;
RITENUTO e considerato in fatto e diritto quanto
segue:
FATTO
La controversia riguarda la licitazione privata indetta dal comune di Calvizzano (con delibera consiliare n. 14 del 28 febbraio 2000 e bando pubblicato il 20 marzo 2000) per l’appalto del servizio di manutenzione, riparazione e sistemazione della rete idrica e fognaria e servizi collaterali, per la durata di nove anni, per un importo a base di gara di £. 1.041.263.898 all’anno, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del d.lg. 157 del 1995).
Nella prevista seduta del 30 maggio 2000 la commissione giudicatrice all’uopo costituita procedette all’esame della documentazione amministrativa, disponendo l’ammissione al prosieguo della gara di entrambe le (due sole) imprese partecipanti (la ricorrente M.C. e la controinteressata I.T.), rinviando ad una seconda seduta l’apertura delle buste contenenti le offerte economiche.
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio –
notificato il 2 giugno e depositato in segreteria il successivo giorno 3 - la
società M.C. ebbe dunque ad impugnare tale primo verbale
lamentando la mancata esclusione della concorrente I.T. nonostante le
lacune della documentazione e la violazione di forme imposte a pena di
esclusione asseritamene poste in essere dall’avversaria e denunciate a verbale
dal legale rappresentante della ricorrente
(violazione del punto 4.d della
lettera A della lettera d’invito per la mancata attestazione del legale
rappresentante I.T. della vigenza e attualità dello statuto societario;
violazione del punto 13 della lettera A per l’avvenuta presentazione di una
cauzione di circa 20 milioni di £. pari al 2% dell’importo di una sola
annualità del contratto, cauzione inoltre genericamente riferita
all’esecuzione dei lavori, e non alla mancata sottoscrizione del contratto,
con autentica notarile della firma dell’agente della compagnia assicuratrice
apposta in calce ad un foglio separato dalla polizza non congiunto alla stessa,
in violazione dell’articolo 20 della legge 15 del 1968;
violazione del punto
14, lettera A, della lettera d’invito, per la mancata presentazione
dell’apposita garanzia di lire 30 milioni per eventuale rischio ambientale
o igienico-sanitario derivante nei confronti di terzi nell’espletamento dei
servizi;
violazione del punto 1 della lettera B della lettera d’invito per
l’avvenuta presentazione del progetto tecnico su fogli staccati e perforati,
contenuti in un comune raccoglitore ad anelli apribili;
presentazione di un
certificato dei carichi pendenti della Procura presso il Tribunale unificato di
Napoli asseritamene inidoneo a coprire il periodo anteriore all’unificazione
degli uffici giudiziari, intervenuta il 1 gennaio 2000;
irritualità della
presentazione dell’offerta per la mancata predisposizione di un pacco
raccomandato come da prescrizioni di gara;
carenza dei requisiti della regolarità
contributiva Inps, Inail e Cassa edile, poiché la certificazione relativa alla
I.T. varrebbe a coprire solo gli ultimi sei mesi di attività, dal febbraio
2000, ma non anche i periodi anteriori, nei quali l’attuale I.T. aveva la
denominazione di S. s.n.c. di L.G. & C.).
Lamentando altresì
ed infine la mancata motivazione da parte della commissione sulle eccezioni
formalmente sollevate dal rappresentante di essa società esponente.
Con controricorso e ricorso incidentale notificato in data 6 giugno 2000 la società I.T. ha replicato alle censure avversarie ed ha a sua volta contestato l’ammissione alla gara della M.C., sul rilievo che la stessa avesse presentato documentazione difforme rispetto alle previsioni di bando (in particolare, la società M.C. avrebbe prodotto una copia non autenticata del certificato Uni En Iso 9002 e avrebbe dichiarato il possesso di un parco automezzi nonché di materiali diversi rispetto a quelli indicati nella suddetta certificazione, in violazione della lettera A, punto 12, della lettera d’invito; avrebbe altresì inserito le dichiarazioni bancarie in un plico chiuso con mera striscia adesiva, anziché in busta adeguatamente sigillata, senza firma o sigla sulla chiusura; avrebbe commesso altresì ulteriori imperfezioni e irregolarità formali nella presentazione dell’offerta).
Si è altresì costituita resistendo al ricorso l’amministrazione comunale di Calvizzano.
Questa Sezione, con ordinanza n. 2938/2000 del 21 giugno 2000 (confermata in appello dalla Sez. V del Consiglio di Stato con ordinanza n. 4216 del 29 agosto 2000), ha respinto la domanda incidentale di sospensione dell’atto impugnato sulla considerazione della non attualità della lesione lamentata dalla impresa ricorrente.
La commissione giudicatrice ha intanto proseguito nelle operazioni di gara, nelle sedute del 26 giugno e del 5 agosto 2000, pervenendo all’aggiudicazione in favore della I.T. (che aveva conseguito un punteggio totale di 77,53 punti, di cui 54,50 punti per l’offerta tecnica e 23,03 punti per l’offerta economica, con un ribasso pari allo 0,468%, contro il punteggio totale di 61 punti della ricorrente M.C., di cui 36 punti per l’offerta tecnica e 25 punti per quella economica, per un ribasso proposto dell’8,29%). Con determina dirigenziale n. 283 del 22 settembre 2000 venivano approvati gli atti di gara e disposta l’aggiudicazione definitiva in favore della I.T. Il successivo 6 ottobre 2000 veniva dunque stipulato il contratto di appalto.
Con atto di proposizione di motivi aggiunti notificato il 31 ottobre 2000 e depositato in segreteria il successivo 15 novembre, la società M.C. ha quindi impugnato tali successivi atti deducendo l’illegittimità della lex specialis per la asserita prevalenza quantitativa dei lavori sulle prestazioni di servizi – donde l’applicabilità alla procedura della legge 109/1994 - ribadendo e ulteriormente articolando altresì le censure già dedotte nell’atto introduttivo in relazione alla mancata esclusione dell’impresa avversaria, e svolgendo infine nuovi motivi (rubricati come "terzo" motivo) denuncianti la mancata prefissione dei criteri di valutazione delle offerte, il difetto di motivazione nell’attribuzione dei punteggi relativi ai parametri (rivelatisi determinanti) costituiti dalla valutazione del progetto (35 punti su cento) e delle varianti migliorative (15 punti su cento), la mancata specificazione del voto espresso da ciascun componente della commissione, l’eccessivo punteggio (9 punti) attribuito alla concorrente per la certificazione di qualità (benché la I.T. avesse solo la certificazione ISO 9002, relativa ai soli acquisti, mentre essa esponente, pur in possesso della certificazione ISO 9001, relativa a tutte le fasi lavorative, ivi inclusa la progettazione, ha ottenuto solo un punto in più dell’avversaria, per un totale di 10 punti), l’avvenuta apertura delle buste contenenti le offerte economiche in seduta non pubblica della commissione, la violazione del principio del collegio perfetto per la frequente assenza, durante i lavori di esame delle offerte, di alcuni commissari.
In sede di proposizione di motivi aggiunti parte ricorrente ha altresì per la prima volta introdotto una domanda risarcitoria per la condanna «generica al risarcimento del danno da lucro cessante in favore della ricorrente».
A seguito della proposizione di tali motivi aggiunti la società I.T. ha a sua volta notificato un ulteriore ricorso incidentale (in data 24 novembre 2000) nel quale ha censurato l’ammissione dell’avversaria M.C. sotto ulteriori profili (contestando, in particolare, la regolarità contributiva INPS e INAIL della M.C., la cui certificazione evidenziava l’esistenza di procedure di regolarizzazione in corso e la pendenza di controversie con gli indicati enti) ed ha altresì contestato l’attribuzione alla stessa di 10 punti (il massimo punteggio previsto) per il possesso della certificazione di qualità ISO 9001, che risulterebbe, invece, "sospesa".
Con atto notificato il 18 maggio 2001 e depositato in segreteria il successivo 4 giugno, la M.C. ha chiesto, ex articoli 25, comma 5, legge 241/1990 e 1 legge 205/2000, l’accesso agli atti della procedura di gara e, in particolare, all’offerta tecnica della ditta avversaria.
La Sezione, con ordinanza n. 225/01 dell’11 luglio 2001 ha dichiarato irricevibile per tardività la suddetta domanda.
Con ulteriore atto notificato il 28 gennaio 2002 e depositato il successivo giorno 31, la società ricorrente ha proposto ulteriori motivi aggiunti, estendendo l’impugnativa al verbale d’intesa in data 15 febbraio 2001 prot. 562 sottoscritto tra la società I.T. e il comune di Calvizzano, nonché alla conseguente nota prot. 2065 del 2 marzo 2001 di modifica delle condizioni contrattuali, proponendo altresì impugnazione dello stesso contratto n. 17 del 6 ottobre 2000. La società ricorrente ha in questa sede sostenuto che la variazione contrattuale successiva – dì per sé illegittima perché contraria alla par condicio e comportante uno stravolgimento della gara esperita – dimostrerebbe la non serietà dell’offerta dell’aggiudicataria e l’impossibilità per la stessa di rispettare le condizioni del capitolato e i termini e le scadenze proposti, con vanificazione del giudizio della commissione in sede di gara che aveva giudicato migliore l’offerta I.T. proprio per le varianti migliorative tecniche proposte (la I.T. ha difatti vinto per il miglior punteggio tecnico conseguito, avendo invece presentato un’offerta di ribasso minore di quella della M.C.). In particolare, ha osservato criticamente la società ricorrente, la variazione contrattuale, intervenuta dopo soli tre mesi dalla stipula del contratto, avrebbe previsto un congruo slittamento di tutti i tempi di rendimento del servizio per i quali la I.T. aveva presentato proposte migliorative (tempi di ultimazione dei lavori: l’anticipazione di sei mesi proposta si sarebbe ridotta a tre mesi; lettura periodica dei contatori: la variante avrebbe posticipato i tempi della prima e della seconda lettura a scadenze successive a quelle di capitolato, con vanificazione dell’offerta migliorativa sul punto proposta dalla I.T.; stampa e recapito bollette: la variante impugnata avrebbe mantenuto fino al 30 settembre 2001 il vecchio sistema di lettura a nucleo familiare etc.). In tal modo, ha concluso parte ricorrente, il verbale di intesa del 15 febbraio 2001 avrebbe concretato in realtà un affidamento a trattativa privata del servizio.
Le parti resistenti hanno opposto ai suddetti, nuovi, motivi aggiunti sia eccezioni di rito (tardività dell’impugnativa, difetto di giurisdizione, carenza d’interesse), sia controdeduzioni di merito, intese a evidenziare come le variazioni contrattuali ex adverso contestate fossero di scarso rilievo e si fossero rese necessarie a seguito dell’approvazione, nelle more della gara e della stipula del contratto, da parte della giunta comunale di Calvizzano, con delibera n. 181 del 23 novembre 2000, di un nuovo schema di contratto di utenza del servizio idrico, donde la necessità delle intervenute posticipazioni delle scadenze della prestazione del servizio e le conseguenti variazioni contrattuali oggetto di discussione.
Le parti hanno quindi prodotto ulteriori copiose memorie e documentazioni, fino alla stessa data di celebrazione dell’udienza pubblica, con reciproco consenso al deposito tardivo e rinunzia ai termini.
Alla pubblica udienza del 13 marzo 2002 la causa è stata infine chiamata, discussa e introitata in decisione.
DIRITTO
Occorre preliminarmente rilevare in rito che la questione dell’ammissibilità dell’originario ricorso introduttivo – diretto avverso un atto interno della procedura selettiva (il verbale della commissione giudicatrice del 30 maggio 2000 di ammissione delle imprese partecipanti) – deve considerarsi superata dall’avvenuta rituale e tempestiva proposizione di motivi aggiunti avverso l’atto terminale del procedimento (la determina dirigenziale di aggiudicazione definitiva n. 283 del 22 settembre 2000).
La nuova formulazione dell’articolo 21, comma 1, della legge 1034 del 1971 conseguente all’aggiunta, da parte dell’articolo 1 della legge 205 del 2000, di un secondo periodo ove è previsto che tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti, ha caratterizzato l’azione introdotta dai motivi aggiunti – se diretta avverso atti successivi del procedimento - in termini di più marcata autonomia rispetto all’atto introduttivo, sì da svincolarla – ove, come nella specie, dotata dei requisiti sostanziali di un autonomo ricorso – dalle sorti processuali dell’azione principale, non potendo l’eventuale inammissibilità del gravame originario ripercuotersi automaticamente in una conseguente irritualità del motivo aggiunto dotato di valenza di autonoma azione impugnatoria.
Nell’esame del merito della controversia deve procedersi secondo l’ordine logico-giuridico delle questioni sollevate, che nel caso in esame coincide con l’ordine cronologico di proposizione dei motivi, dovendosi prendere le mosse dalla questione concernente l’ammissione della ditta I.T. controinteressata, contestata sotto più profili dalla ricorrente, alla procedura di gara oggetto di lite.
E nel merito di tali censure ab initio sollevate dalla parte ricorrente il Collegio reputa fondati e assorbenti di ogni altra doglianza – siccome dì per sé bastevoli a determinare l’esclusione della I.T. dalla procedura – i rilievi volti a contestare la idoneità della cauzione provvisoria presentata in gara da tale ultima società per un importo pari al 2% non già dell’intero valore della commessa (avuto cioè riferimento all’intero periodo di nove anni di durata del servizio), ma ragguagliato al solo valore di una annualità dell’appalto, nonché l’idoneità, pur ritenuta dalla stazione appaltante, della fideiussione bancaria di £. 30.000.000 presentata dalla medesima I.T., agli effetti del punto 14) della lettera A della lettera d’invito, ancorché priva di ogni riferimento alla copertura del rischio ambientale o igienico sanitario derivante nei confronti di terzi nell’espletamento dell’appalto.
Sotto il primo profilo le parti resistenti àncorano la propria replica al dato testuale della formulazione letterale dell’"oggetto" recato dalla lettera d’invito, nella quale compare la dizione "Importo annuo a base d’asta £. 1.041.263.898 pari a Euro 537.767,9". Sicché, ne hanno dedotto i resistenti, avendo il numero 13) della lettera A della medesima lettera d’invito richiesto il versamento di una "cauzione pari al 2% dell’importo a base d’asta del servizio" correttamente la I.T. avrebbe fatto riferimento al suindicato valore annuale di £. 1.041.263.898 e non al valore complessivo dell’appalto per nove anni.
L’assunto è destituito di fondamento, sia sul piano dell’interpretazione letterale della lex specialis, sia sotto il profilo della logicità della previsione nell’ottica della funzione dell’istituto della cauzione provvisoria. Sul piano letterale, nello stesso oggetto scritto in apertura della lettera d’invito l’importo di £. 1.041.263.898 è espressamente definito come "importo annuo a base d’asta", mentre al rigo precedente figura l’inequivoca indicazione della "durata di anni 9 (nove)" dell’appalto. E’ di indubbia evidenza, dunque, che l’importo a base d’asta totale deve essere ed è pari a quello annuale moltiplicato nove. Il numero 13) della lettera A, d’altronde, richiede una "cauzione pari al 2% dell’importo a base d’asta del servizio", senza alcuna specificazione, e non una cauzione pari al 2% dell’importo annuo a base d’asta del servizio, sicché per calcolare l’importo della cauzione deve letteralmente aversi riguardo al valore complessivo totale (novennale) dell’appalto, e non al solo importo annuale a base d’asta. Sul piano della logicità della previsione, in relazione alla funzione della cauzione, rileva il Collegio che tale istituto, siccome diretto a garantire l’amministrazione appaltante circa la serietà dell’offerta, operando a mo’ di caparra confirmatoria (Cons. St., sez. IV, 29 marzo 2001 n. 1840), deve commisurarsi al valore reale complessivo dell’appalto, sia al fine di poter costituire un efficace mezzo di dissuasione di possibili comportamenti scorretti dell’impresa offerente, sia al fine di poter assicurare alla stazione appaltante una copertura adeguata e significativa degli eventuali costi che essa potrebbe ragionevolmente dover sostenere a causa del venir meno dell’offerta aggiudicataria (aggiudicazione ad altra impresa a condizioni più onerose, eventuale e possibile rifacimento della gara, necessità di assicurare comunque nelle more la continuità del servizio). Né convince del contrario l’ulteriore considerazione difensiva del comune resistente, secondo la quale la limitazione del 2% all’importo annuo a base d’asta si ricaverebbe a contrario dal fatto che l’articolo 24 del capitolato speciale, nel regolare le garanzie e coperture assicurative, a proposito della cauzione definitiva, specifica che "la cauzione sarà calcolata sull’intero ammontare dell’appalto (numero anni x canone annuo)", specificazione non presente nella lettera d’invito a proposito della cauzione provvisoria. L’argomento difensivo non può essere condiviso perché raffronta dati non omogenei, antepone il capitolato speciale alla lettera d’invito (facendo discendere da una previsione speciale del capitolato effetti integrativi di una previsione chiara e compiuta della lettera d’invito) e perché confonde tra loro i due istituti della cauzione provvisoria e della cauzione definitiva, pretendendo di trarre dalla seconda indicazioni ed effetti direttamente riferibili alla prima.
Assistita da pari evidenza è la fondatezza del secondo rilievo critico proposto da parte ricorrente, circa l’inidoneità della fideiussione bancaria presentata dalla I.T. rispetto alla previsione del numero 14) della lettera A della lettera d’invito. Ai sensi di tale previsione, le imprese partecipanti dovevano presentare una "fideiussione bancaria a favore del comune di Calvizzano, della somma di lire 30.000.000 (trentamilioni), quale somma a disposizione e garanzia dell’ente per eventuale rischio ambientale o igienico-sanitario derivante nei confronti di terzi nell’espletamento dei servizi del capitolato". Tale adempimento è stato assolto dalla aggiudicataria I.T. mediante presentazione di una fideiussione (n. 16/60/346621/3231 del 17 maggio 2000) costituita dalla Banca di Credito Popolare di Torre del Greco "sino alla concorrenza massima di L. 30.000.000 a garanzia degli obblighi di cui in premessa", ivi definiti come "obblighi derivanti dalla partecipazione alla gara".
Condivisibilmente parte ricorrente sostiene l’inadeguatezza della fideiussione presentata dalla I.T. perché riferita a un rischio diverso da quello preso in considerazione dal numero 14 della lettera d’invito.
La fideiussione bancaria ivi richiesta palesa una natura chiaramente assicurativa rispetto al rischio di conseguenze dannose sanitarie e igienico-ambientali e, più in generale, rispetto al rischio di responsabilità civile del comune per danni di tal genere arrecati a terzi nello svolgimento dell’attività di servizio. La esatta definizione del rischio assicurato è elemento essenziale del contratto di assicurazione, come si desume dagli articoli 1892, 1893 e 1895-1898 c.c.. La fideiussione presentata in gara dalla I.T. – sopra esaminata - non può conseguire lo scopo – voluto dalla legge di gara – di assicurare il comune di Calvizzano rispetto ai rischi sopra indicati poiché presenta, quale proprio oggetto, un rischio del tutto diverso, consistente nel generico inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto (così in effetti confondendosi con la funzione della cauzione definitiva di cui all’articolo 24 del capitolato speciale). Anche per tale ragione l’offerta I.T. avrebbe dovuto dunque essere esclusa.
Si impone dunque la necessità di procedere all’esame del ricorso incidentale proposto dalla I.T., che ha a sua volta contestato la legittimità dell’ammissione della M.C.
Le contestazioni proposte dalla controinteressata ricorrente incidentale risultano tutte non assistite da idoneo fondamento, risultando per lo più rivolte a evidenziare meri profili di irregolarità formale, nella sostanza irrilevanti ai fini della partecipazione alla gara.
Sotto un primo profilo la I.T. ha contestato alla M.C. di aver prodotto una copia non autenticata del certificato di conformità "Uni" dei macchinari e delle attrezzature offerte. L’assunto – peraltro infondato nel merito posto che il bando non richiedeva tale formalità, dovendo ritenersi sufficienti i documenti in copia di regola allegati dalle case costruttrici alla documentazione dei macchinari - si palesa irrilevante, posto che – a termini della lettera E "esclusioni – avvertenze" della lettera d’invito - il documento in questione, richiesto dal numero 10) della lettera A, non figura tra quelli la cui mancanza, incompletezza o irregolarità comporta l’esclusione dalla procedura.
La M.C. – ha proseguito la ricorrente incidentale - avrebbe dichiarato il possesso di un parco automezzi e di materiali diversi rispetto a quelli indicati nella suddetta certificazione "Uni", in violazione della lettera A, punto 9), della lettera d’invito. In realtà deve replicarsi che il suddetto numero 9) non contiene affatto tale prospettata prescrizione di corrispondenza tra i mezzi e le attrezzature desumibili dal certificato Uni En Iso 9000 e i mezzi e le attrezzature di cui all’elenco da presentarsi in concreto in sede di gara, riguardo al quale vi è la sola previsione – quanto alle attrezzature e ai materiali – di allegazione della certificazione di conformità Uni (ad essi relativa).
Sotto un diverso profilo la I.T. ha contestato che la impresa ricorrente principale avrebbe inserito le dichiarazioni bancarie in un plico chiuso con mera striscia adesiva, anziché in busta adeguatamente sigillata, senza firma o sigla sulla chiusura. Anche tale censura non trova riscontro nella lex specialis, poiché il numero 12) della lettera A della lettera d’invito si limita (come è del resto logico) a richiedere che le suddette idonee dichiarazioni bancarie siano contenute in "busta chiusa", ma non impone ulteriori e specifiche formalità di chiusura e sigillatura, che sarebbero risultate peraltro ultronee rispetto alla funzione della documentazione in questione.
La ricorrente incidentale ha quindi insistito su alcuni profili formali delle referenze bancarie (inidoneità della formula adoperata "ci dicono", insufficienza delle dichiarazioni rese) che appuntano l’interesse su aspetti obiettivamente marginali e irrilevanti, inidonei a poter fondare un giudizio di esclusione della società avversaria, e in ordine ai quali l’apprezzamento discrezionale positivamente esercitato dalla commissione giudicatrice si sottrae alle proposte censure.
Con un successivo atto notificato in data 24 novembre 2000 la I.T. ha proposto altri motivi a sostegno del proprio ricorso incidentale, censurando l’ammissione dell’avversaria M.C. sotto ulteriori profili. In particolare, la I.T. ha qui sollevato la questione della regolarità contributiva INPS e INAIL della M.C., la cui certificazione evidenziava l’esistenza di procedure di regolarizzazione in corso e la pendenza di controversie con gli indicati enti. La aggiudicataria ricorrente in via incidentale ha altresì contestato l’attribuzione alla M.C. di 10 punti (il massimo punteggio previsto) per il possesso della certificazione ISO 9001, che risulterebbe, invece, "sospesa".
La prima doglianza è infondata alla stregua della giurisprudenza di questa Sezione che ha in più occasioni chiarito che la certificazione di regolarità contributiva rilasciata dagli enti previdenziali e assicurativi non è sindacabile – quanto ai suoi contenuti ed effetti liberatori - dal giudice amministrativo chiamato a giudicare della legittimità dell’ammissione (o dell’esclusione) di un’impresa in una gara per l’aggiudicazione di pubblici appalti, salva l’ipotesi, che qui non ricorre, di assoluta dubbiezza, o di palese e macroscopica incongruenza e illogicità dei contenuti di tali certificazioni. Nel caso di specie in esame le certificazioni della M.C. contestate dalla I.T. presentano un inequivoco giudizio e un chiaro contenuto liberatorio per l’impresa certificata, a nulla rilevando il fatto (che, evidentemente, non è stato giudicato a tanto ostativo dal competente ente previdenziale certificante) della pendenza di procedure di regolarizzazione in corso e di controversie con gli indicati enti.
Ininfluente si presenta infine la censura riguardante il punteggio attribuito alla M.C. per il possesso della certificazione ISO 9001, che risulterebbe, invece, "sospesa". Trattandosi di questione che attiene non già all’ammissione, ma alla sola graduazione del punteggio attribuito all’offerta avversaria, essa non risulta assistita da sufficiente interesse processuale poiché, ove pure risultasse fondata, non potrebbe comunque determinare l’esclusione della M.C. e così paralizzare l’azione di quest’ultima volta a determinare l’esclusione della deducente I.T. dalla procedura concorsuale, risultando pertanto inidonea a mutare le sorti processuali del giudizio.
In conclusione, il ricorso principale proposto dalla Mirella Costruzioni deve giudicarsi fondato e va conseguentemente accolto, per gli assorbenti motivi sopra illustrati, con conseguente annullamento dell’ammissione della I.T. alla procedura di gara de qua e degli atti conseguenti, fino all’aggiudicazione definitiva di cui alla determina dirigenziale n. 283 del 22 settembre 2000, assorbito ogni altro profilo. Il ricorso incidentale proposto dalla I.T. - diretto a provocare l’esclusione della Mirella Costruzioni - deve viceversa giudicarsi infondato.
Deve ora esaminarsi la domanda della M.C. di impugnazione del contratto di appalto nelle more stipulato tra il comune di Calvizzano e la I.T., nonché del successivo verbale d’intesa del 15 febbraio 2001, modificativo del contratto.
Al riguardo va posto in evidenza che tale domanda di annullamento risulta in concreto proposta in termini molto generici. Essa figura nell’epigrafe dell’atto di proposizione di motivi aggiunti notificato il 28 gennaio 2002, ma non viene coltivata e supportata da specifici motivi nel corso del mezzo d’impugnazione. Nella sostanza la domanda in esame si pone come servente, sul piano argomentativo, al fine di sostenere il motivo di illegittimità dell’aggiudicazione sotto il profilo della asserita non serietà ed eseguibilità del progetto offerta dell’avversaria società aggiudicataria, nel raffronto tra le pattuizioni dell’originario contratto del 6 ottobre 2000 e le modifiche ad esso apportate dal verbale d’intesa del 15 febbraio 2001.
Nondimeno, in relazione alla successiva domanda risarcitoria per equivalente proposta dalla società ricorrente, e alla necessità di coordinare la tutela ripristinatoria derivante dall’annullamento dell’aggiudicazione e la richiesta tutela risarcitoria, si pone l’esigenza di definire la condizione giuridica del contratto dopo e in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale dell’atto di aggiudicazione.
Occorre in primo luogo rilevare che la M.C. ha proposto contro il comune di Calvizzano domanda di condanna "generica" al risarcimento del danno. Al riguardo osserva in rito osserva il Collegio che l’istituto della condanna "generica", previsto dall’articolo 278 c.p.c. (che postula la prosecuzione del giudizio con ordinanza per la liquidazione del quantum) deve contemperarsi con la speciale previsione dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. 80/1998, come sostituito dall’articolo 7 della legge 205/2000, a mente della quale "2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta".
La domanda di condanna "generica" dovrà in tali termini intendersi e convertirsi in domanda di pronunzia dei criteri per la successiva definizione, in sede amministrativa, ai sensi della citata normativa, del quantum della somma da risarcirsi.
La peculiarità della fattispecie concreta sottoposta all’esame del Collegio (appalto di servizio di durata novennale, con intervenuta esecuzione del rapporto, nelle more del giudizio, per il periodo di un anno e cinque mesi circa) sollecita –come detto - un approfondimento sul punto del rapporto, nel giudizio amministrativo, tra tutela riparatoria derivante dall’annullamento dell’atto illegittimo (con conseguente riesercizio conforme della funzione) e tutela risarcitoria (in forma specifica e per equivalente). Con le implicazioni che ne derivano sulla questione della sorte del rapporto contrattuale nelle more instaurato dall’amministrazione con chi è stato illegittimamente dichiarato aggiudicatario della gara.
La giurisprudenza ha puntualizzato che "la struttura impugnatoria del processo amministrativo comporta che il petitum principale, e dunque la principale forma di tutela, è tutt’oggi quella dell’annullamento dell’atto illegittimo", cui "consegue poi la necessità del rinnovo dell’atto nel rispetto delle regole procedurali previste, sicché l’annullamento dell’atto e il conseguente rinnovo conforme a legge, è dì per sé una forma di risarcimento in forma specifica, che esclude o riduce altre forme di risarcimento" (Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; ma già, di questa Sezione, decisione n. 603 del 2001, n. 4485 del 19 settembre 2001, e ivi ulteriori richiami, tra cui, in particolare, T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 24 gennaio 2001, n. 189, nonché, sempre di questo T.A.R. Napoli, Sezione I^, più di recente e approfonditamente, dec. n. 1651 del 27 marzo 2002). Il principio della priorità logico-giuridica della tutela riparatoria, rispetto a quella risarcitoria per equivalente, vale peraltro in generale anche nel diritto privato dei contratti (Cass., sez. II, 22 febbraio 2001, n. 2613).
Se, dunque, l’impresa ricorrente ha agito per l’annullamento dell’aggiudicazione attribuita alla controinteressata, e non già per l’annullamento dell’intera procedura concorsuale, essa, evidentemente, ha avuto di mira, come interesse processuale che sorregge l’azione, il conseguimento di quel particolare bene della vita costituito dall’ottenimento dell’appalto oggetto di lite.
Sotto tale profilo si è osservato che "la domanda di annullamento di un atto amministrativo contiene in sé, implicita, la domanda di risarcimento in forma specifica, mediante il rinnovo legittimo dell’atto annullato" (Cons. St., sez. VI, n. 6281/2001 cit.; non rileva in questa sede la precisazione terminologica circa la distinzione tra tutela ripristinatoria - consistente specificamente nell’effetto caducatorio dell’annullamento - e risarcimento in forma specifica).
L’annullamento dell’aggiudicazione ritenuta illegittima è disposto facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (articoli 26, comma 2, legge T.A.R. e 45 t.u. Consiglio di Stato) e reca l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa (articolo 65, comma 1, n. 5, del r.d. 642 del 1907).
L’amministrazione deve conformarsi alla decisione e, salvo che le sopravvenienze non rendano tale adempimento impossibile (esecuzione del contratto: quod factum est, infectum fieri nequit) o eccessivamente oneroso, ovvero vi ostino specifiche e stringenti ragioni di interesse pubblico, deve agire per rimuovere gli effetti pregiudizievoli dell’atto annullato e per sostituire alla disciplina dell’affare, recata dal primo provvedimento annullato, una regola amministrativa conforme alle statuizioni giurisdizionali.
La società ricorrente ha domandato esplicitamente il risarcimento del danno per equivalente e non anche il risarcimento in forma specifica sub specie di conseguimento dell’appalto in luogo dell’aggiudicataria soccombente, ma ciò non esclude la necessità, nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, alla stregua dei principi sopra enunciati, di accertare e statuire, nella presente sede, l’ambito degli effetti scaturenti dalla decisione di annullamento dell’aggiudicazione e le modalità di conseguente, doverosa, conformazione dell’azione amministrativa, che ne devono derivare. E ciò per effetto della perdurante e ineliminabile presenza, alla base della originaria domanda di annullamento dell’aggiudicazione, di un’implicita domanda di ripristino della situazione giuridica lesa di pretesa al conseguimento dell’appalto. Né, sotto tale profilo, può consentirsi alla parte ricorrente di abdicare in corso di causa alla domanda di ripristino della situazione soggettiva lesa, optando per la forma risarcitoria per equivalente, giudicata più conveniente. In questo senso è innegabile che la giustizia amministrativa di legittimità postula la tendenziale convergenza – ove possibile - tra il ripristino della legalità nell’interesse pubblico e la riparazione-risarcimento della situazione soggettiva lesa nell’interesse soggettivo del ricorrente. La discrezionalità dell’amministrazione nella esecuzione della sentenza può spaziare nei limiti dell’apprezzamento della rilevanza di sopravvenienze che impediscano o rendano non più conforme all’interesse pubblico la conformazione piena alla statuizione giurisdizionale, ma non può estendersi fino alla scelta di pura convenienza tra il risarcimento per equivalente e quello in forma specifica, che costituisce di regola la soluzione più aderente ai canoni di legittimità che presiedono all’agire amministrativo.
Prima di procedere all’esame della domanda di risarcimento del danno per equivalente, occorre dunque verificare quali margini sussistano, nel caso in esame, per il dispiegarsi degli effetti direttamente satisfattivi della pronuncia di annullamento dell’aggiudicazione e quali siano i limiti della tutela riparatoria e risarcitoria in forma specifica che può utilmente scaturire da tale decisione a ristoro della situazione soggettiva lesa della società ricorrente.
Al riguardo il primo quesito che occorre esaminare è se possa utilmente coniugarsi con la ricostruzione ora delineata della sequenza logico-giuridica della tutela derivante dall’annullamento dell’atto di aggiudicazione il tradizionale arresto giurisprudenziale della Cassazione affermativo della mera annullabilità relativa – per vizio di formazione del consenso della persona giuridica pubblica – del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione annullata dal giudice amministrativo (Cass, sez. II, 8 maggio 1996, n. 4269, secondo la quale in tema di vizi concernenti l’attività negoziale degli enti pubblici, sia che questi si riferiscano al processo di formazione della volontà dell’ente, sia che si riferiscano alla fase preparatoria ad essa precedente, il negozio stipulato - salvo particolari ipotesi di straripamento di potere – è annullabile ad iniziativa esclusiva di detto ente; nello stesso senso, Cass. 14 febbraio 1964, n. 337; 11 marzo 1976 n. 855; 10 aprile 1978, n. 1668; 24 maggio 1979, n. 2996; 7 aprile 1989, n. 1682; nonché, tra i giudici amministrativi, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999, n. 5049). La Cassazione fonda il proprio orientamento sul rilievo per cui gli atti amministrativi che devono precedere la stipulazione dei contratti jure privatorum della p.a. non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico, sicché i loro vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l’annullabilità del contratto, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente.
Ritiene la Sezione che tale indirizzo vada rivisitato e non sia condivisibile per tre ordini di ragioni:
a) perché sottovaluta l’incidenza della illegittimità della scelta del contraente su primari interessi pubblici coinvolti dalla procedura selettiva di evidenza pubblica;
b) perché provoca un’eccessiva espansione di fatto della scelta discrezionale della stazione appaltante in ordine alla prosecuzione del rapporto contrattuale instaurato con l’impresa illegittimamente prescelta, con una sostanziale vanificazione dell’effetto ripristinatorio della sentenza di annullamento pronunciata dal giudice amministrativo;
c) perché, infine, mal si coniuga con il nuovo assetto del riparto della giurisdizione, seguente all’introduzione (d.lgs. 80/1998 e legge 205/2000) della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici e della giurisdizione piena del medesimo giudice estesa a conoscere, nell’ambito di tutta la sua giurisdizione, esclusiva e di sola legittimità, di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica.
Prima di sviluppare gli esposti assunti, deve verificarsi l’ascrivibilità alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - ex articoli 33, commi 1 e 2, lettera d) del d.lgs. n. 80 del 1998 e 6 della legge 205 del 2000 - della cognizione della invalidità del contratto stipulato a seguito di aggiudicazione annullata.
E’ noto che la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo obbedisce (storicamente e nella ratio legis dell’intervento normativo del 1998-2000, come ricavabile anche dall’esame dei lavori parlamentari) – tra l’altro – all’esigenza di concentrazione dinanzi a un unico giudice di tutte le controversie appartenenti ad una determinata materia, a prescindere (almeno agli effetti del riparto di giurisdizione) dalla natura (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) della situazione soggettiva protetta azionata dalla parte.
Il giudice "unico" delle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture è dunque quello amministrativo, il quale, nell'àmbito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali (articolo 7, comma 3, della legge 1034 del 1971 dapprima sostituito dall'art. 35 del d.lgs. n. 80, poi dall'art. 7 della legge n. 205).
In questo contesto normativo – che indubbiamente valorizza e potenzia la giurisdizione esclusiva del g.a. come giurisdizione unica e piena, naturalmente destinata a fornire all’attore tutta la tutela di cui egli ha diritto, con esclusione della necessità di una duplicazione di giudizi innanzi a giudici diversi – ritiene la Sezione che debba affermarsi l’estensione della giurisdizione esclusiva introdotta dalle sopra trascritte norme fino a ricomprendere nel suo ambito anche la cognizione della invalidità del contratto per vizi derivati dalla (già accertata) illegittimità della procedura di evidenza pubblica. Il punto centrale della tutela assicurata alla parte nella sede della giurisdizione esclusiva sulle controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture deve infatti rinvenirsi nel giudizio sulla (modalità della) scelta del privato contraente nell’ambito di fattispecie già amministrativamente vincolate (poiché è dal meccanismo stesso della gara legittimamente esperita che scaturisce la scelta del ricorrente). Tale giudizio può tradursi nella stessa individuazione dell’impresa che ha titolo a stipulare, di talché la tutela dell’interesse fatto valere dall’impresa ricorrente innanzi alla giurisdizione amministrativa esclusiva deve potersi svolgere e compiere per intero, fino al controllo di validità del contratto sotto il profilo della legittimazione alla stipula dello stesso. Il contratto, da questo punto di vista, diviene il momento finale attuativo della scelta del contraente; è esso stesso, in questo senso, scelta del contraente e, sotto questo profilo, deve poter essere sindacato dal giudice esclusivo e unico avente giurisdizione sulle procedure di selezione del privato contraente della p.a.
Tale posizione non collide con l’orientamento maggioritario dei giudici amministrativi (da questa stessa Sezione condiviso) che ha escluso dalla giurisdizione esclusiva le controversie relative alla esecuzione del contratto (sulla spettanza al g.o. della cognizione delle controversie attinenti al contratto, pur dopo la legge 205/2000, cfr., di questa Sezione, sentenza n. 868/2001 e giurisprudenza ivi citata, nonché, più di recente, Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6325; id., 27 giugno 2001, n. 3483; sez. V, 28 dicembre 2001, n. 6443). Quest’ultimo indirizzo ha riguardo a ipotesi diverse da quella in esame, nelle quali, ferma la validità del contratto, la lite, intercorrente tra appaltatore e p.a. committente, investe lo svolgimento del rapporto in executivis (ivi inclusi gli esiti risolutivi per inadempimento, eccessiva onerosità sopravvenuta, recesso etc.). Non v’è dunque alcuna contraddizione tra quella posizione – che va, anzi ribadita e confermata – e la tesi qui sostenuta della devoluzione al g.a. in sede di giurisdizione esclusiva della cognizione della controversia sulla validità del contratto per effetto e in conseguenza dell’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione.
Tornando all’esame delle ragioni che, ad avviso della Sezione, impongono il riesame critico della surrichiamata tesi tradizionale della Cassazione, deve osservarsi che:
a) E’ indiscusso che l’invalidità che inficia il contratto stipulato con il privato contraente deriva dall’illegittimità dell’aggiudicazione e, quindi, dalla violazione di norme di azione dell’amministrazione di disciplina del procedimento di evidenza pubblica. Le norme che prescrivono il modo della scelta del contraente esprimono di riflesso un divieto di stipulare – allorquando la procedura ad evidenza pubblica sia imposta dalla legge o sia stata comunque adottata dall’amministrazione con proprio autolimite – con soggetti che non siano stati legittimamente selezionati e non siano riusciti legittimamente vincitori nella pubblica selezione. Come osservato da condivisibile opinione, le norme di azione, nel contesto dei principi comunitari di tutela della concorrenza, e in relazione alla prognostica valutazione di spettanza dell’aggiudicazione al soggetto che sarebbe dovuto riuscire vincitore della gara, vengono "doppiate" da altrettante norme di relazione, ovvero si traducono (anche) in norme di relazione attributive di posizioni sostanziali di vantaggio a soggetti determinati con i quali la p.a. venga in relazione.
E’ noto che la riferita normativa sull’evidenza pubblica è diretta – attraverso la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti - ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità e di efficienza-efficacia dell’azione amministrativa (articolo 97 Cost.), nonché di tutela della effettività della concorrenza (articoli 2, 3, par. 1, lettera g, e 4 Trattato CE). Essa innegabilmente cura e protegge interessi pubblici di primario rilievo, che assurgono a veri e propri principi del diritto pubblico dell’economia vivente, in attuazione di valori essenziali dell’ordinamento, interno e comunitario. In questa ottica – ormai acquisita e indiscutibile – appare assai riduttiva la tesi tradizionale secondo la quale gli atti amministrativi che devono precedere la stipulazione dei contratti jure privatorum della p.a. non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell’ente pubblico, sicché i loro vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare l’annullabilità del contratto, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente. La legittimità degli atti amministrativi attraverso i quali si dipana il procedimento di evidenza pubblica di scelta concorrenziale del privato contraente della p.a. è in realtà imposta a salvaguardia e protezione di preminenti interessi pubblici e non può essere ridotta a mero requisito interno al processo di formazione della volontà dell’ente.
Il giudice civile ha condivisibilmente chiarito che "la nullità diventa uno strumento di controllo normativo utile a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema e si differenzia dalla annullabilità, non solo perché l’atto è difforme dallo schema legale e pregiudica gli interessi del suo autore, ma perché mette a rischio i valori preminenti della comunità, il cui contrasto costituisce la regione dell’impedimento che l’ordinamento oppone alla efficacia giuridica tipica degli atti", sicché "a tale stregua il compimento dell’atto contro il divieto legale genera ipotesi di nullità, cd. virtuali, proprio perché non necessitano di espresse comminatorie di legge – a fronte di quelle testuali dei commi 2 e 3 dell’articolo 1418 c.c. – sempreché il controllo della natura della disposizione violata porti a verificare che l’interesse sotteso sia pubblico e non privato" (Cass., sez. I, 6 aprile 2001, n. 5114).
Alla stregua di tale canone di giudizio ritiene la Sezione che l’invalidità di cui è affetto il contratto stipulato dalla p.a. con chi è illegittimamente aggiudicatario assuma la connotazione della nullità per contrasto con le norme di disciplina del procedimento di evidenza pubblica, e non della sola annullabilità su azione giurisdizionale della parte nel cui interesse è stabilito dalla legge (e cioè della p.a. appaltante).
b) La diversa, tradizionale soluzione comporterebbe inoltre l’attribuzione all’amministrazione inadempiente di una ambito assai ampio di scelta discrezionale circa le sorti del contratto invalido (ambito che va, sì, riconosciuto, ma nei termini più circoscritti che più avanti si preciseranno), con sostanziale vanificazione dell’effetto ripristinatorio conformativo del giudicato di annullamento dell’aggiudicazione.
c) La soluzione qui proposta consente altresì di realizzare appieno il fine perseguito dal legislatore del 1998-2000, che ha esteso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed ha attribuito a tale giudice piena giurisdizione – estesa anche al risarcimento del danno, per equivalente e in forma specifica – in tutte le materie devolute alla sua cognizione (esclusiva o di sola legittimità) proprio allo scopo di realizzare una giurisdizione unica, in determinate materie, tale da evitare per il futuro l’irrazionalità di un dispendioso sistema che costringeva il cittadino alla moltiplicazione dei giudizi, con passaggio dall’una all’altra giurisdizione, per poter conseguire il bene dell’effettività della tutela. Tale soluzione, in caso contrario, rimarrebbe sostanzialmente invariata poiché al presente giudizio dovrebbe seguire un secondo davanti al giudice ordinario (proposto dall’ente appaltante) per ottenere l’annullamento del contratto e, infine, un terzo giudizio, di nuovo davanti al giudice amministrativo, per il risarcimento del danno. Optando invece per la configurazione in termini di nullità della condizione patologica del contratto in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione, è possibile realizzare la concentrazione di tutti i rimedi innanzi allo stesso ed unico giudice amministrativo, con l’apprezzabile risultato di rendere attingibile in un unico giudizio l’intera tutela offerta dall’ordinamento al ricorrente che ha ragione, dall’annullamento dell’atto amministrativo, alla declaratoria di nullità del conseguente contratto, fino al risarcimento del danno per equivalente, ovvero, sul piano del risarcimento in forma specifica, fino alla conformazione del successivo riesercizio della funzione entro i binari vincolanti di una previa valutazione giurisdizionale di spettanza dell’aggiudicazione.
Il giudice amministrativo è per parte sua pervenuto ad affermare la caducazione del contratto quale effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma ha fondato tale assunto sulla base di un’assiomatica traslazione dell’effetto annullatorio dal piano amministrativo alla sfera (di diritto privato) del contratto conseguente all’aggiudicazione, senza condurre un adeguato approfondimento sul punto (Cons. St., sez. V, 25 maggio 1998, n. 677, in un caso di autoannullamento in autotutela dell’aggiudicazione; id., 30 marzo 1993, n. 435, che afferma il travolgimento del contratto per effetto dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione; così anche Cons. St., sez. IV, 8 ottobre 1985, n. 430; tale linea interpretativa è stata peraltro seguita da questa Sezione I del T.A.R. Napoli; cfr. decc. 20 agosto 2001, n. 3865 e 11 aprile 2001, n. 1612; su di un piano diverso Cons. St., sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244, muovendo dal principio di conservazione degli atti, per cui la graduatoria della gara conserva i suoi effetti per il caso in cui venga meno la prima aggiudicazione, afferma che l’annullamento dell’aggiudicazione in favore del primo graduato comporta l’aggiudicazione automatica in favore del secondo impostata nell’ottica propria). Più di recente tale indirizzo ha trovato espressione nella massima secondo la quale l'annullamento dell'aggiudicazione di una gara pubblica elide il vincolo negoziale sorto con l'adozione del provvedimento rimosso, con la conseguenza che restituisce in pieno alla potestà di diritto pubblico della stazione appaltante la scelta fra l’avvalersi della procedura espletata, ovvero procedere ad una nuova gara previa revoca degli atti che vi hanno dato luogo, a fronte della quale non sono rinvenibili posizioni di diritto soggettivo in capo agli altri partecipanti alla gara, ancorché costoro si trovino in posizione utile per subentrare all'aggiudicatario rimosso (Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 244; id., 19 dicembre 2000, n. 6838).
Né può ritenersi influente ai fini dell’indagine sulla natura e l’entità del vizio che invalida il vincolo contrattuale la questione circa l’estensibilità (affermata da Cass., sez. I, 21 giugno 2000 n. 8420 e negata da Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1902 e 20 settembre 2001, n. 4976) ai contratti degli enti locali della regola (articoli 16 r.d. 2440/1923 e 88 e 97 r.d. 827/1924) per cui, ad eccezione delle ipotesi di appalto concorso, l’aggiudicazione definitiva vale contratto. La modalità cronologica e formale del perfezionamento del vincolo contrattuale non sembra invero influire sulla definizione della natura della invalidità dello stesso.
Tale indirizzo – che nell’affermare l’elisione del vincolo negoziale sorto sulla base dell’atto annullato postula la nullità del contratto, e non già la sua mera annullabilità ex articoli 1441 e ss. c.c. – va precisato solo nel senso che il margine di scelta dell’amministrazione nel riesercizio della funzione è inversamente proporzionale al grado di accertamento della spettanza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente contenuto nella sentenza di annullamento del giudice amministrativo.
Ne consegue che l’annullamento dell’aggiudicazione implica la declaratoria di nullità - per contrasto con le norme imperative violate – del contratto nelle more stipulato con l’illegittimo aggiudicatario.
Non osta alla proposta ricostruzione l’indirizzo comunitario fornito con la direttiva 89/665/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989 (che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori), il cui articolo 2, paragrafi 5 e 6, prevede che Gli Stati membri possono prevedere che, se un risarcimento danni viene domandato a causa di una decisione presa illegalmente, per prima cosa l'organo che ha la competenza necessaria a tal fine annulli la decisione contestata. 6. Gli effetti dell'esercizio dei poteri di cui al paragrafo 1 sul contratto stipulato in seguito all'aggiudicazione dell'appalto sono determinati dal diritto nazionale. Inoltre, salvo nel caso in cui una decisione debba essere annullata prima della concessione di un risarcimento danni, uno Stato membro può prevedere che, dopo la stipulazione di un contratto in seguito all'aggiudicazione dell'appalto, i poteri dell'organo responsabile delle procedure di ricorso si limitino alla concessione di un risarcimento danni a qualsiasi persona lesa da una violazione. Il legislatore nazionale (con la legge 142 del 1992, peraltro in parte qua - articolo 13 - abrogata dal d.lgs. 80 del 1998) non ha preso posizione circa gli effetti sul contratto già stipulato derivante dalla decisione del giudice di annullamento dell’aggiudicazione, così demandando al giudice la ricostruzione di tali effetti. Neppure è stata esercitata dal legislatore la facoltà riconosciuta in sede comunitaria di limitare al risarcimento per equivalente il ristoro dovuto per il caso in cui, nelle more del giudizio di annullamento, si sia già pervenuti alla stipula del contratto.
La stazione appaltante, ove nella sentenza di annullamento dell’aggiudicazione sia contenuto l’accertamento della spettanza dell’aggiudicazione in favore della ditta ricorrente, è sostanzialmente vincolata nel successivo riesercizio della funzione, salvo il discrezionale apprezzamento di talune sopravvenienze, nei termini che si chiariranno in appresso.
Nel caso in esame l’annullamento dell’aggiudicazione contiene effettivamente l’accertamento della spettanza dell’aggiudicazione in favore della ditta ricorrente, posto che nella procedura selettiva oggetto di giudizio si sono avute due sole offerte ammesse e la lettera E), punto 7, della lettera d’invito reca la previsione dell’aggiudicabilità della gara "anche nel caso sia pervenuta una sola offerta valida". Alla esclusione della ditta aggiudicataria, scaturente dall’accoglimento del ricorso principale, consegue quale logica implicazione la conclusione che, se la stazione appaltante non avesse posto in essere le illegittimità in questa sede rilevate, l’aggiudicazione sarebbe spettata alla impresa ricorrente.
Permane tuttavia un margine residuo di apprezzamento discrezionale in capo all’amministrazione procedente, considerato anche che tale forma di tutela riparatoria incontra quei peculiari limiti oggettivi di possibilità che sono indicati nell’articolo 2058 c.c. e che possono considerarsi espressivi di un principio generale di disciplina delle forme di tutela, sia riparatoria che risarcitoria in forma specifica, consistenti nella previa domanda di parte, nella perdurante possibilità materiale di tale forma di reintegrazione e, infine, nella non eccessiva onerosità per il debitore.
Occorre al riguardo interrogarsi circa la forma giuridica nella quale possa legittimamente esplicarsi la scelta amministrativa – a termini del ripetuto articolo 2058 c.c. – ove essa si orienti nel senso della prosecuzione del rapporto con il precedente appaltatore, pur a fronte della nullità per contrasto con norma imperativa del relativo contratto. Orbene, deve sul punto considerarsi che, per definizione, una tale evenienza si rende possibile solo allorquando – a causa dello stato in cui si trova in fatto lo svolgimento del rapporto di appalto - si profili l’impossibilità o la eccessiva onerosità per l’interesse pubblico di assicurare la reintegrazione in forma specifica del diritto-interesse della ricorrente vincitrice a conseguire l’appalto medesimo. Ritiene la Sezione che, in un caso del genere, trattandosi nella sostanza di prosecuzione di un servizio già in corso e dovendosene assicurare la continuità e la omogenea conclusione, nell’interesse pubblico, possa soccorrere in via analogica la previsione dell’articolo 7, comma 2, lettera f) del d.lgs. 157 del 1995 – che ammette la trattativa privata per affidare nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati allo stesso prestatore – ovvero la norma generale dell’articolo 41, numero 6), del r.d. 827 del 1924 (che ammette la trattativa privata alla ricorrenza di speciali ed eccezionali circostanze). E’ appena il caso di precisare che il modo di esercizio, da parte della stazione appaltante, di tale facoltà di discrezionale valutazione, è comunque astretto a stringenti canoni di legittimità e alla effettiva rispondenza a preminenti necessità dell’interesse pubblico, ed è pienamente sindacabile anche nel merito nella sede dell’ottemperanza dal giudice amministrativo adito per l’esecuzione del giudicato.
In conclusione, sussistendo nella fattispecie il requisito della domanda di parte (implicita, per quanto sopra chiarito, nella domanda di annullamento dell’aggiudicazione all’avversario), resta demandato all’amministrazione, nel conformarsi alla presente pronuncia, di valutare la ricorrenza degli altri due presupposti sopra indicati (materiale possibilità e non eccessiva onerosità per l’interesse pubblico) per fare luogo a una reintegrazione in forma specifica della ricorrente vincitrice nel suo diritto-interesse all’aggiudicazione. In altri termini, derivando nel caso in esame dall’annullamento dell’aggiudicazione la declaratoria di nullità del contratto stipulato tra il comune di Calvizzano e la società I.T. il 6 ottobre 2000 (e del connesso atto aggiuntivo del 15 febbraio 2001), si impone sull’amministrazione comunale soccombente il dovere funzionale di valutare e stabilire motivatamente se sussistano quelle ragioni di oggettiva impossibilità o di eccessiva onerosità per l’interesse pubblico che, a termini dell’articolo 2058 c.c., sole possono precludere il diritto – interesse della M.C. ricorrente a conseguire piena tutela reintegratoria in forma specifica mediante aggiudicazione alle condizioni da essa proposte in sede di offerta, e successiva stipula del contratto (per il periodo, s’intende, a venire, fino alla naturale scadenza del rapporto).
La domanda di risarcimento del danno per equivalente potrà infine essere favorevolmente apprezzata solo in via residuale per il caso in cui, nella sede dell’esecuzione della presente decisione, l’amministrazione comunale intimata dovesse motivatamente ritenere impossibile, ex articolo 2058 c.c., il ripristino integrale della legalità, nei termini suddetti. Ed infatti, risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente costituiscono forme alternative di ristoro, di cui la prima, ove praticabile, elimina l’area del danno risarcibile per equivalente, ovvero la riduce al solo danno emergente o al lucro cessante per il periodo anteriore alla reintegrazione in forma specifica.
La domanda di risarcimento per equivalente deve dunque valere altresì a coprire il periodo dal 6 ottobre 2000 fino alla presente pronuncia e al successivo (eventuale) effettivo affidamento del servizio alla società ricorrente, periodo per il quale gli effetti già verificatisi dell’atto illegittimo annullato e del contratto nullo non possono in tutta evidenza essere rimossi.
Al riguardo, e con le dette precisazioni, la domanda di
risarcimento per equivalente è fondata e va accolta.
Senza dover in questa sede
prendere posizione sulla complessa questione – che attende ancora una
stabilizzazione giurisprudenziale e un miglior approfondimento dottrinario –
circa la natura della responsabilità civile predicabile a carico della stazione
appaltante per lesione dell’interesse legittimo dell’impresa che ha
partecipato alla procedura selettiva e che illegittimamente non si è vista
aggiudicare la gara (responsabilità extracontrattuale, nel solco di Cass.,
ss.uu. 500/1999: Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281; responsabilità
precontrattuale: T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 2 luglio 2001, n. 4717;
responsabilità quasi-contrattuale da contatto qualificato: T.A.R. Puglia, Bari, 17
maggio 2001, n. 1761; responsabilità aquiliana, ma temperata quanto
all’elemento soggettivo e all’onere della prova in senso quasi-contrattuale:
Cons. St., sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239), deve rilevarsi che nel caso in esame
si impone in tutta evidenza il rilievo della sussistenza di tutti quei
presupposti costitutivi della fattispecie di responsabilità della p.a. che sono
comuni nella sostanza a tutte le posizioni giurisprudenziali sin qui espresse,
sintetizzabili nella sussistenza di una evidente illegittimità degli atti (per
l’insufficienza della cauzione provvisoria della vincitrice e la inadeguatezza
della speciale fideiussione bancaria da essa prestata), espressiva di un
comportamento negligente della p.a., per il tramite dei suoi funzionari,
generatore di un danno ingiusto, siccome lesivo della legittima pretesa,
prognosticamente fondata, dell’impresa ricorrente a vedersi prescelta per la
stipula del contratto di appalto del servizio oggetto di lite.
Occorre infine procedere alla definizione del criterio da fornire all’amministrazione per la quantificazione del danno risarcibile.
In relazione al petitum proposto, il risarcimento per equivalente andrà riconosciuto limitatamente al lucro cessante, che può stimarsi equitativamente (articoli 1226 e 2056 c.c.) corrispondente alla misura pari all’utile che l’impresa ricorrente avrebbe ritratto dall’esecuzione dell’appalto alle condizioni economiche da essa offerte in gara, relativamente al periodo in cui non le è stato consentito di assumere l’appalto.
In tal senso, a termini dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. 80/1998, l’amministrazione convenuta dovrà, nell’ordine: valutare alla stregua dell’articolo 2058 c.c. se sia possibile la reintegrazione in forma specifica della M.C. nel diritto – interesse a divenire appaltatrice del servizio oggetto di lite, per il periodo non ancora eseguito dell’appalto; in caso positivo procedere alla nuova aggiudicazione e alla stipula del contratto, con risarcimento del danno per equivalente pecuniario, in favore della M.C., per il solo periodo di appalto già svolto dalla controinteressata; altrimenti, ritenuta la necessità di proseguire il rapporto con l’attuale aggiudicataria (previa stipula di un apposito contratto a trattativa privata, nei sensi sopra specificati, con tale appaltatore, in luogo dell’attuale contratto nullo), dovrà proporre alla M.C., entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o dalla notifica di essa a cura di parte, se anteriore, il pagamento di una somma stabilita in base al criterio sopra indicato, entro il successivo termine congruo di giorni 30 (trenta), a titolo di risarcimento del danno ragguagliato all’intero periodo di durata pluriennale dell’appalto.
Se le parti non dovessero giungere ad un accordo, si provvederà in sede di ottemperanza, ai sensi dell'articolo 27, primo comma, n. 4, del testo unico di cui al regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, alla determinazione della somma dovuta.
Sulle somme comunque liquidate a titolo di risarcimento del danno per equivalente vanno infine riconosciuti, in favore della creditrice società ricorrente, gli interessi al saggio legale dal dì del dovuto – da identificarsi nella data di pubblicazione della presente sentenza – fino all’effettivo pagamento, mentre non spetta il maggior danno da svalutazione monetaria, non idoneamente provato.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, vanno poste, in parti uguali, a carico dei resistenti, nell’importo liquidato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Seziona I.a, definitivamente pronunciando nel giudizio in epigrafe indicato, così decide:
- accoglie il ricorso principale e, per l’effetto, assorbito ogni altro motivo, annulla il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell’appalto oggetto di causa di cui alla determina del responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Calvizzano in data 22 settembre 2000 n. 283;
- rigetta il ricorso incidentale;
- dichiara la nullità del contratto di appalto stipulato tra il comune di Calvizzano e la s.a.s. I.T. in data 6 ottobre 2000 e del successivo verbale d’intesa del 15 febbraio 2001;
- accoglie la domanda risarcitoria, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, in applicazione dell’articolo 35, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998 (e successive modifiche e integrazioni) condanna il comune di Calvizzano, ..., al risarcimento del danno in favore della M.C. s.n.c. e, per l’effetto, a proporre alla medesima, entro il termine di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione in via amministrativa – o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza - il pagamento di una somma di danaro corrispondente al mancato utile d’impresa, nei sensi precisati in motivazione;
- condanna il comune di Calvizzano, in persona del suo legale rapp.te p.t., nonché la I.T. s.a.s., ... , al pagamento, in parti uguali, delle spese processuali, che si liquidano in complessivi € 4.000,00.
Così deciso in Napoli nelle Camere di Consiglio del 13 e del 20 marzo 2002.
Il Presidente
Il Relatore