EDILIZIA E URBANISTICA - 105 REPUBBLICA ITALIANA Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di
Brescia - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 1048/2002 proposto da GM ITALIA S.r.l. e O.P. S.p.a. contro COMUNE DI SERIATE,
costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv.to M.B.,
con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n.
12; e contro C.D.S. S.p.a.,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Y.M., con
domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12; e contro F.C.M. S.p.a.
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti P.F. e M.G., elettivamente domiciliati presso la Segreteria della Sezione
in Brescia, Via Malta n. 12; e contro M.F. S.p.a.,
costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’avv. Y.M., con
domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Malta n. 12; per l'annullamento della Denuncia di inizio attività in data 12/6/2002 n. 15681, presentata dalla
ditta F.C.M. S.p.a. e successivamente volturata a favore di C.D.S. S.p.a., avente ad oggetto la realizzazione di due nuovi capannoni per attività
produttiva, nonché del parere di conformità relativo alla D.I.A. medesima
rilasciato dal Comune in data 28/6/2002, oltre ad ogni altro atto preordinato o
connesso;
FATTO
T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 8
giugno 2004, n.
633
Impugnativa della DIA, interesse a ricorrere - Destinazioni urbanistiche nelle
zone omogenee «D» e norma del P.R.G. che impone dei rapporti percentuali tra le
diverse destinazioni - Distanza dai corsi d'acqua e norme locali.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
rappresentate e difese dall’avv.to I.G., con domicilio eletto presso il suo
studio in ...
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata e delle
ditte controinteressate;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Presa visione di tutti gli atti della causa;
Designato quale relatore alla pubblica udienza del 14/5/2004, il dott. Stefano
Tenca;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
In data 12/6/2002, la ditta F.C.M.
S.p.a. presentava al
Comune di Seriate una D.I.A. relativa alla realizzazione – sull’area posta in
Via Comonte, angolo via Stella Alpina – di due capannoni destinati ad attività
produttiva generica.
I terreni in questione – pari a complessivi mq 17.737,64 –
sono classificati dal P.R.G. vigente nel seguente modo:
a) in prevalenza (mq 13.342,55) in zona omogenea D1 “industriale di completamento e/o di sostituzione e/o ristrutturazione”;
b) in parte (mq. 4.172,85) nella zona omogenea SC5 “spazi pubblici e aree per parcheggi pubblici”;
c) in minima parte (mq 222,24) in zona omogenea E3 “verde di rispetto”.
Il progetto prevedeva la realizzazione dei due capannoni e di un’area di parcheggio di pertinenza, per una superficie lorda di pavimento complessiva pari a mq. 6.998,58, di cui 4.243,88 mq. per il primo e di 2.754,70 mq per il secondo. Dall’esame della documentazione prodotta, si evinceva l’intenzione di destinare il primo capannone a centro commerciale. L’amministrazione comunale, con provvedimento espresso di conformità in data 28/6/2002 n. 19214, riscontrava la D.I.A., la quale era immediatamente dopo volturata a favore della C.D.S. S.p.a. con nota del 29/6/2002.
Con ricorso notificato in data 17/10/2002, tempestivamente depositato, le ricorrenti impugnano la D.I.A. ed il parere espresso di conformità, deducendo i seguenti motivi:
- Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 36 delle N.T.A. del P.R.G., avendo la Società controinteressata previsto la realizzazione di una struttura commerciale in un ambito espressamente destinato dallo strumento urbanistico ad ospitare insediamenti produttivi/industriali;
- Violazione e mancata applicazione dell’art. 35 delle N.T.A., dell’art. 22 della L.r. 15/4/1975, n. 51 e dell’art. 4 della L.r. 23/7/1999, n. 14, in quanto mancherebbe – in relazione all’intervento – ogni previsione in merito alla cessione di aree a standard, per le quali la normativa sancirebbe l’obbligo di una dotazione di attrezzature pubbliche e di uso pubblico nella misura minima del 200% della superficie lorda di pavimento degli edifici previsti, di cui almeno la metà destinata a parcheggi;
- Violazione ed omessa applicazione dell’art. 41-sexies della L. 17/8/1942 n. 1150, non avendo la ditta controinteressata individuato la necessaria dotazione di parcheggi privati pertinenziali, fissata dalla legge in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione;
- Violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. e dell’art. 96 del R.D. 25/7/1904 n. 523, non avendo il progetto rispettato la distanza, lungo il lato ovest del lotto, di almeno dieci metri dal corso d’acqua esistente;
Nel frattempo il ricorrente veniva reso edotto delle ulteriori vicende che
avevano investito la D.I.A. impugnata.
In data 26/7/2002 il Comune informava la controinteressata dell’avvio del procedimento di caducazione della D.I.A.
8/6/2002 e della relativa nota di volturazione, in quanto gli elaborati grafici
non avrebbero rappresentato l’effettiva regolamentazione riportata nel P.R.G.
vigente relativa al lotto oggetto di intervento (area individuata a spazi
pubblici per parcheggi).
Malgrado la presentazione, in data 5/8/2002 di una
D.I.A. in variante da parte della C.D.S. S.p.a. – la quale precisava
che nel capannone n. 1 si sarebbe esercitata attività commerciale all’ingrosso
ed apportava alcune modifiche al progetto originario – l’amministrazione
emetteva, in data 22/8/2002, dichiarazione di improcedibiltà della D.I.A.,
diffidando ad intraprendere qualsiasi opera.
Avverso tale provvedimento la ditta
M.F. S.p.a. proponeva ricorso, tutt’ora pendente presso la Sezione al n.
972 r.g.
A seguito di trattative, tuttavia, in data 24/10/2002 il Comune
comunicava la decisione di non annullare la D.I.A. esaminata, sottoscrivendo una
scrittura privata con la controparte che dava conto dell’intesa raggiunta.
Con motivi aggiunti depositati in data 27/11/2002, le ricorrenti hanno dedotto
la violazione e falsa applicazione del principio di trasparenza amministrativa,
avendo il Comune omesso di dare loro notizia dell’atto conclusivo del
procedimento sanzionatorio nei confronti della controinteressata; per il resto
richiamavano le censure in precedenza sollevate, ritenute valide anche nei
confronti della D.I.A. in variante.
Questa Sezione, con ordinanza n. 928 emessa nella Camera di consiglio in data
3/12/2002, ha respinto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento
impugnato, evidenziando comunque che la questione della compatibilità
urbanistica dell’intervento esigeva un approfondimento incompatibile con la sede
di cognizione sommaria.
Alla pubblica udienza del 14/5/2004 il ricorso veniva chiamato per la
discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
E’ necessario esaminare preliminarmente le eccezioni processuali sollevate dall’amministrazione intimata e dalla Società controinteressata.
1. I resistenti eccepiscono il difetto di legittimazione attiva in capo alle ditte ricorrenti le quali – avendo sede e svolgendo l’attività in Comuni diversi da Seriate – non vanterebbero alcun interesse diretto a dolersi dei provvedimenti in oggetto, né sarebbero titolari di una posizione differenziata e qualificata sotto l’aspetto urbanistico, difettando quello stabile collegamento fra soggetto agente e zona incisa dall’assentito titolo abilitativo che la giurisprudenza richiede come condizione per adire la tutela giurisdizionale.
L’eccezione è infondata.
La G.M. S.r.l. esercita sul territorio nazionale l’attività di vendita all’ingrosso di beni prevalentemente alimentari ed è titolare di un esercizio di grandi dimensioni nel Comune di Dalmine, mentre la O.P. S.p.a. possiede a Bergamo un insediamento per la commercializzazione all’ingrosso di prodotti ittici. I Comuni di Dalmine e Seriate distano tra loro circa dieci Km. e risultano collegati direttamente dall’autostrada, mentre Seriate sorge a ridosso della città di Bergamo dalla quale è pure facilmente raggiungibile, anche in considerazione della tipologia di attività svolta – il commercio all’ingrosso – nella quale il numero di transazioni è più limitato rispetto alla vendita al dettaglio ma contempla lo spostamento di copiose quantità di merci e prodotti con l’impiego di capienti mezzi di trasporto su gomma, ove per l’economia di ciascun viaggio è del tutto indifferente percorrere dieci o venti Km. in aggiunta. Le ricorrenti operano dunque all’interno della medesima area di influenza ove insiste il nuovo esercizio di vendita all’ingrosso, il quale è pertanto – tenuto conto della distanza, delle dimensioni e delle caratteristiche della sua attività – potenzialmente idoneo ad introdurre elementi di squilibrio nel tessuto commerciale della zona nella quale G.M. S.r.l. e O.P. S.p.a. hanno già acquisito legittimamente una posizione di mercato (Consiglio di Stato, sez. V – 3/1/2002 n. 11). In definitiva, la circostanza che gli esercizi siano ubicati in Comuni diversi, non fa venir meno l'interesse ad impedire lo svolgimento di un’attività economica potenzialmente concorrenziale la quale – per la natura dei prodotti offerti – è idonea a soddisfare parte della medesima domanda del pubblico, considerato che la clientela potrebbe essere attratta dal nuovo insediamento per l’oggettiva e relativa vicinanza dei punti vendita (Consiglio di Stato, sez. V – 30/3/1998 n. 378).
Né è possibile invocare l’orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale, in tema di impugnazione di una concessione edilizia, la legittimazione a ricorrere va individuata applicando il criterio dello “stabile collegamento” tra il ricorrente e la zona interessata dall’attività assentita dalla concessione asseritamente illegittima, ove tale relazione può derivare dalla residenza nella zona interessata, dalla proprietà, possesso o detenzione di immobili in detta zona o da altro titolo di radicata frequentazione di quest’ultima: tale indirizzo riconosce la legittimazione a ricorrere unicamente a salvaguardia dei valori urbanistici, e quindi apprezza “l’insediamento” come stabile ubicazione delle aspirazioni di vita dei cittadini (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 30/1/2003 n. 269), mentre nella fattispecie esaminata affiorano interessi di natura precipuamente commerciale, autonomamente idonei a radicare una pretesa tutelabile in sede giurisdizionale.
2. Il resistente Comune ha altresì eccepito il difetto di interesse delle ricorrenti, in quanto gli atti oggetto di gravame sarebbero stati superati e sostituiti da ulteriori provvedimenti, aggiungendo inoltre che i medesimi non sarebbero stati tempestivamente impugnati; ha altresì dedotto che il ricorso sarebbe comunque inammissibile per mancanza di natura provvedimentale dell’atto.
Le eccezioni sono infondate.
L’articolato snodo della vicenda sottoposta all’esame del Collegio ha contemplato una fase, compresa tra il 26/7/2002 – data in cui il Comune ha comunicato alla controinteressata l’avvio del procedimento di caducazione della D.I.A – ed il 24/10/2002, quando l’Ente ha adottato la decisione di non annullarla, con successiva sottoscrizione di una scrittura privata. L’epilogo del procedimento sanzionatorio – sfociato in una sostanziale archiviazione – ha comportato la reviviscenza del precedente provvedimento tempestivamente gravato, ossia del parere di conformità relativo alla D.I.A. in data 28/6/2002: pertanto non può dirsi venuto meno l’interesse ad ottenerne la caducazione, tenuto conto che la D.I.A. in variante – peraltro impugnata con la proposizione di motivi aggiunti – si è limitata a puntualizzare la natura commerciale dell’intervento sul capannone n. 1, con lieve incremento della superficie lorda di pavimento (divenuta mq 4.259,29) e ad introdurre talune modifiche, con l’aggiunta di parcheggi privati pertinenziali e la copertura di spazi esterni mediante tettoie.
Quanto infine alla questione dell’ammissibilità del gravame avverso una D.I.A., se è vero che essa – qualificabile come atto privato legittimante l’esercizio di un’attività – non è autonomamente impugnabile, è tuttavia censurabile il comportamento successivo dell’amministrazione finalizzato alla verifica della sua legittimità. Infatti, l’introduzione nell’ordinamento di tale strumento di semplificazione – consistente in un fatto abilitante ex lege lo svolgimento di un’attività economica – non ha modificato la disciplina sostanziale delle singole materie ma semplicemente il titolo di legittimazione, trasformando il tradizionale iter di autorizzazione su impulso del privato in un procedimento di verifica ex post ad iniziativa pubblica necessaria, che l’Ente pubblico ha cioè l’obbligo di promuovere qualora ravvisi il difetto dei presupposti normativamente stabiliti. La tutela del terzo controinteressato avverso l’attività del Comune susseguente alla presentazione di una D.I.A. è comunque sempre ammissibile, sia qualora si tratti di censurare l’inerzia dell’Ente, sia quando, come nella fattispecie, l’amministrazione sia intervenuta dichiarando la conformità urbanistica dell’intervento (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 7/10/2003 n. 4504).
3. Devono essere parimenti respinte le ulteriori eccezioni in rito sollevate dai
controinteressati, sia circa l’asserito difetto di legittimazione passiva della
F.C.M. S.p.a., la quale, in seguito all’avvenuta
volturazione a favore di C.D.S. S.p.a., non assumerebbe la posizione
di controinteressata nel giudizio di annullamento della D.I.A. in variante, sia
riguardo alla necessità di promuovere un nuovo ed autonomo ricorso in luogo dei
motivi aggiunti, alla proposizione dei quali osterebbe la mancanza del
presupposto delle “stesse parti” coinvolte.
Al riguardo è sufficiente evidenziare come sia il ricorso originario che i
motivi aggiunti siano in realtà stati notificati, ad abundantiam, a tutte le
parti nel tempo coinvolte nella causa (F.C.M. S.p.a.,
C.D.S. S.p.a. e M.F. S.p.a.), e dunque il contraddittorio può
dirsi correttamente instaurato come può pure considerarsi integrato lo speciale
presupposto richiesto dall’art. 21, comma 1, della L. 6/12/1971, n. 1034 per la
proposizione di motivi aggiunti, nella parte in cui esige che i provvedimenti
siano adottati, in pendenza di ricorso, tra “le stesse parti”.
4. Passando all’esame del merito, con il primo motivo il ricorrente ha dedotto
la violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 36 delle N.T.A. del P.R.G.,
avendo la Società controinteressata previsto la realizzazione di una struttura
commerciale in un ambito espressamente destinato dallo strumento urbanistico ad
ospitare insediamenti produttivi/industriali.
Ad avviso del ricorrente, l’art.
35 delle N.T.A. conterrebbe un’articolata elencazione, corredata da una
disciplina di carattere generale, di tutte le funzioni ammissibili in zona D,
che spaziano dall’industriale all’artigianale, al terziario commerciale e
direzionale, mentre nei successivi articoli sarebbero puntualizzate le
destinazioni specifiche assentite in ogni singola subzona omogenea: si
tratterebbe dunque di un P.R.G. rigido, recante una circostanziata individuazione
delle funzioni insediabili nelle subzone omogenee ciascuna delle quali, secondo
le indicazioni del piano, sarebbe idonea ad ospitare unicamente l’attività
esplicitamente contemplata dalla norma di riferimento. Pertanto le zone D1 e D2
sarebbero destinate agli insediamenti industriali, le zone D3 e D4 a quelli
artigianali, le zone D6 e D7 alle iniziative terziario-commerciali, mentre solo
nella zona D5 sarebbe ammessa la polifunzionalità, ossia tutte le destinazioni
elencate in via generale all’art. 35 seppure previa indicazione “con
nomenclatura nelle tavole grafiche”.
L’area interessata dal ricorso, inserita nella zona omogenea D1 – “industriale
di completamento e/o di sostituzione e di ristrutturazione” di cui all’art. 36
delle N.T.A., avrebbe come destinazione d’uso fondamentale l’attività lavorativa
di tipo industriale, mentre la distribuzione all’ingrosso apparirebbe come
destinazione fondamentale nelle zone D6 e D7 di cui agli artt. 41 e 42 delle
N.T.A. “a destinazione terziaria prevalente, di completamento e/o sostituzione
e/o ristrutturazione” ovvero “a destinazione terziaria prevalente, di espansione
e/o nuovo impianto”.
La scelta di allocare un centro commerciale in zona D1
sarebbe pertanto in palese contrasto con la disciplina dettata dal PRG che
prevede appunto la possibilità di insediare, come funzioni prevalenti,
unicamente attività di natura industriale. Né potrebbe invocarsi l’art. 35 comma
3 delle N.T.A., che indica le funzioni integrative compatibili con la
destinazione fondamentale delle zone produttive, ove non sia specificamente
richiamata nelle ulteriori indicazioni del PRG.
Il motivo è parzialmente fondato.
L’art. 35 comma 1 delle N.T.A. dispone testualmente che “Le zone produttive
devono essere riservate, secondo le indicazioni del P.R.G., alla sistemazione dei
luoghi, alle attrezzature, alle costruzioni ed agli impianti, tutto ciò
destinato ad attività industriali o artigianali o di sosta, smistamento,
distribuzione di merci e prodotti, dirette alla trasformazione dei beni ed alla
prestazione di servizi, nonché destinati ad attività commerciali, direzionali,
turistiche e terziario amministrative”.
Al successivo comma 5 lo strumento
urbanistico stabilisce testualmente che “Per le zone produttive polifunzionali
sono specificamente individuate con apposito segno grafico e nomenclatura
indicante le funzioni insediabili”.
Il P.R.G. del Comune di Seriate enuclea diverse
tipologie di attività produttive collocandole nell’unica zona D, le cui aree
sono al contempo suddivise in sette diverse subzone omogenee, ciascuna con un
proprio peculiare regime urbanistico.
La generale elencazione – contenuta
nell’art. 35 – delle categorie di funzioni insediabili, è dunque meramente
esemplificativa, essendo ognuna di esse puntualmente allocata in una subzona
“secondo le indicazioni del P.R.G.” (cfr. art. 35 comma 1).
Così, ad esempio, nella subzona D1 di cui all’art. 36 sono contemplate le attività industriali di
completamento, e/o di sostituzione e/o di ristrutturazione, nella subzona D3
sono previste le attività artigianali di completamento, e/o di sostituzione e/o
di ristrutturazione, mentre nella zona D7 di cui all’art. 42 – a destinazione
terziaria prevalente e di espansione e/o nuovo impianto – sono elencati uffici,
negozi, grandi magazzini di vendita, alberghi, ristoranti, etc.
Del resto, l’art. 40 delle N.T.A. stabilisce che “Il P.R.G. individua le zone
parzialmente edificate con destinazione esistente prevalentemente produttiva, in
cui è ammessa la trasformazione urbanistico-edilizia con destinazione
polifunzionale, ammettendo quindi di norma tutte le destinazioni produttive di
cui al precedente art. 35 e più precisamente sono ammesse le destinazioni
indicate con nomenclatura nelle tavole grafiche”.
Se lo strumento urbanistico
generale ha individuato specificamente delle aree – classificate D5 – ove sono
ammesse tutte le funzioni elencate all’art. 35 previa indicazione con apposito
segno distintivo nella cartografia, si evince a contrario che non è altrove
consentito in zona D l’insediamento, a titolo principale, di una qualunque
attività produttiva, ma si possono unicamente realizzare le destinazioni
testualmente previste dalla normativa dettata per ogni singola subzona omogenea.
Pertanto in zona D1 sono ammessi in prevalenza insediamenti industriali, che si
pongono in alternativa alle strutture di tipo artigianale previste in subzona D3
e D4 ed a quelle terziarie, elencate all’art. 42 riguardante la subzona D7:
“uffici, negozi, grandi magazzini di vendita, alberghi, ristoranti, sale di
spettacoli e di ricreazione, esercizi e servizi pubblici ed istituti di
credito”.
Va pertanto condiviso il rilievo del ricorrente diretto a sussumere il
commercio all’ingrosso entro la subzona D7, che contempla attività afferenti la
distribuzione di beni e la prestazione di servizi ossia tipicamente commerciali,
direzionali, turistiche e amministrative.
Né appare congruo il richiamo, da parte dei resistenti, della norma di cui
all’art. 1, comma 2, della L.r. 15/1/2001, n. 1: “I Comuni indicano, attraverso lo
strumento urbanistico generale, le destinazioni d’uso non ammissibili rispetto a
quelle principali delle singole zone omogenee o di immobili; in tutti gli altri
casi il mutamento di destinazione d’uso è ammesso”: con tale disposizione il
legislatore regionale avrebbe inteso consentire, in ciascuna zona, ogni
destinazione d’uso non espressamente vietata in sede di regolamentazione
urbanistica.
Osserva il Collegio che il comma 6 del medesimo articolo dispone testualmente
che i Comuni debbono provvedere ad adeguare i propri strumenti di pianificazione
alla novella legislativa. Inoltre il successivo articolo 8 prevede che “le
disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono immediatamente prevalenti sulle
norme e previsioni urbanistiche comunali o contenute in strumenti
pianificatori”, mentre non si rintraccia nell’articolato legislativo un’identica
previsione in riferimento alla disciplina contenuta nell’articolo 1. In
definitiva, l’invocata disposizione non può ritenersi immediatamente operativa
ed automaticamente applicabile in deroga alla regolamentazione vigente, ma
richiede l’intermediazione dei competenti organi comunali a mezzo di una
specifica variante al P.R.G., che nella fattispecie non è ancora stata adottata.
Deve viceversa essere valorizzata l’osservazione della controinteressata diretta
ad evidenziare la previsione, al comma 3 dell’art. 35 delle N.T.A., delle
funzioni integrative, le quali sono dichiarate compatibili con tutte le
specifiche destinazioni d’uso fondamentali delle zone produttive, nel limite
massimo del 30% della superficie lorda di pavimento ammessa. In particolare, la
lettera c) del comma 3 contempla espressamente, tra le attività consentite in
ciascuna subzona, “magazzini e depositi, ristoranti, bar, locali di divertimento
e svago”. La generica locuzione contenuta nella norma urbanistica – che
individua i magazzini ed i depositi senza esplicitare ulteriormente la specifica
destinazione – rende evidente la volontà del soggetto pianificatore di
permettere l’insediamento di tale tipo di strutture a prescindere dall’attività
in concreto esercitata, ovvero industriale, artigianale o commerciale (T.A.R.
Lombardia Milano, sez. III – 28/2/2002, n. 888).
Né si rende necessaria, in questo caso, un’ulteriore indicazione del P.R.G. per ciascuna subzona, sia per l’assenza di un’esplicita disposizione in tal senso, sia per l’univocità del dettato normativo, peraltro coerente con l’intero assetto delineato dall’Ente titolare del potere di programmazione urbanistica: se il P.R.G. ha rigidamente distinto le aree ad uso produttivo in sette subzone, ciascuna con una funzione prevalente incompatibile con le altre, è oltremodo logica la previsione di una serie di attività complementari o integrative (dai servizi sociali al ricovero per automezzi, dagli spazi di vendita diretta ai magazzini e depositi agli impianti pubblici ed alle urbanizzazioni) il cui insediamento è ovunque consentito, sia pur entro una determinata misura percentuale. Si tratta di una norma di chiusura e di riequilibrio di un sistema già abbastanza articolato che, diversamente opinando, sarebbe da considerare irragionevolmente rigido, dovendo attendere l’adozione di una variante per l’apertura di un bar o di una palestra qualora il P.R.G. non l’avesse espressamente indicata nella singola subzona.
Resta tuttavia da affrontare la questione della base per il calcolo percentuale della superficie lorda di pavimento ammessa per le funzioni integrative, ovvero se essa sia riferibile all’intera zona oppure alle sole aree di proprietà del soggetto richiedente. La soluzione al quesito permetterà di verificare se il Centro commerciale della Società controinteressata abbia rispettato tale parametro con riferimento alla D.I.A. in variante presentata.
Il Collegio ritiene che ragioni di ordine logico suggeriscano di aderire alla
seconda opzione interpretativa.
Riferendo l’indice del 30% all’intera subzona
omogenea, si finirebbe per consentire al soggetto che lo richiede per primo lo
sfruttamento dell’intero spazio disponibile per dislocare attività di tipo
integrativo ai sensi dell’art. 35 comma 3 delle N.T.A: paradossalmente, il
proprietario del 30% della superficie di zona potrebbe realizzare impianti e
strutture complementari fino ad esaurimento dell’indice, mentre gli altri
soggetti titolari di diritti reali su aree di superficie maggiore sarebbero
irragionevolmente penalizzati per la semplice circostanza di aver rassegnato il
proprio progetto in un momento successivo.
E’ dunque più congruo applicare
l’indice del 30% alla superficie lorda di pavimento ammessa nelle singole aree
di proprietà, peraltro in ossequio al principio di tutela piena del diritto
dominicale espresso all’art. 832 c.c. per cui il titolare del bene può
realizzare ogni facoltà consentita dall’ordinamento e, nella fattispecie,
insediare attività integrative entro il limite del 30% della superficie lorda di
pavimento del suo lotto.
Alla luce di queste considerazioni, nel caso sottoposto all’esame del Collegio i
controinteressati avevano titolo per realizzare l’insediamento commerciale nella
misura massima del 30% della superficie lorda di pavimento dei lotti di
proprietà. Esaminando la D.I.A. in variante del 5/8/2002, risulta che la
superficie lorda di pavimento del capannone n. 1 – destinato a Centro
commerciale – è pari a mq 4259,29, mentre la superficie del capannone n. 2 è
pari a mq 2754,70, per un totale complessivo di mq 7013,99. Applicando il 30%
a tale ultimo valore si ottengono i mq ammissibili per funzioni integrative,
pari a 2104,19.
Appare evidente come la Società controinteressata, costruendo del Centro
commerciale, abbia oltrepassato il limite percentuale massimo consentito di
circa il doppio: pertanto la D.I.A. in variante e il parere di conformità emesso
dal Comune sono illegittimi.
5. Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione e mancata applicazione dell’art. 35 delle N.T.A., dell’art. 22 della L.r. 15/4/1975, n. 51 e dell’art. 4 della L.r. 23/7/1999, n. 14, in quanto mancherebbe – in relazione all’intervento – ogni previsione in merito alla cessione di aree a standard, per le quali la normativa sancirebbe l’obbligo di una dotazione di attrezzature pubbliche e di uso pubblico nella misura minima del 200% della superficie lorda di pavimento degli edifici previsti, di cui almeno la metà destinata a parcheggi.
La censura è priva di pregio.
L’invocato art. 4 della L.r. 14/99 – nel prevedere il minimo di parcheggi e di aree standard per l’adeguamento dei P.R.G. – si riferisce testualmente alle “grandi strutture di vendita”. Tale tipologia esula dal sistema di vendita all’ingrosso in quanto il D. Lgs. 31/3/1998 n. 114 “Riforma della disciplina relativa al sistema del commercio”, dopo aver distinto il commercio all’ingrosso dal commercio al dettaglio (art. 4), disciplina le grandi strutture di vendita al titolo III la cui rubrica è così formulata: “Esercizio di attività di vendita al dettaglio su aree private in sede fissa”; l’art. 4, comma 5, della L.r. 14/99 dunque, facendo espresso riferimento alle grandi strutture di vendita, non si applica agli insediamenti commerciali all’ingrosso, ai quali peraltro accede un numero di clienti selezionato ed assai inferiore, diversamente dalla grande distribuzione al dettaglio che richiama un pubblico numeroso e per il quale appare logica la previsione di un adeguata percentuale di standard. Giova inoltre sottolineare, come correttamente osservato dai resistenti, che l’art. 22 della L.r. n. 51 del 1975 richiede la dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche negli strumenti urbanistici generali e nei piani attuativi, mentre nella fattispecie siamo in presenza di una D.I.A.
6. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione ed omessa applicazione dell’art. 41-sexies della L. 17/8/1942 n. 1150, non avendo la ditta controinteressata individuato la necessaria dotazione di parcheggi privati pertinenziali, fissata dalla legge in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione. Il Comune si sarebbe uniformato ad un discutibile parere della Commissione edilizia, la quale aveva escluso l’applicabilità della norma nei casi di insediamenti produttivi.
La doglianza è infondata.
Secondo le previsioni della D.I.A. in variante del 5/8/2002, la superficie destinata a parcheggi pertinenziali è quantificata in mq 3.427, in misura superiore a quella dovuta, come ammesso in memoria dalle stesse ricorrenti. Né influisce sulla correttezza del progetto il fatto di assoggettare una quota di essi ad uso pubblico – come stabilito all’esito della transazione intervenuta tra il Comune e la controinteressata – in quanto tale asservimento non reca alcun pregiudizio alla loro precipua funzione pertinenziale.
7. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. e dell’art. 96 del R.D. 25/7/1904 n. 523, non avendo il progetto rispettato la distanza, lungo il lato ovest del lotto, di almeno dieci metri dal corso d’acqua esistente, in quanto la prescrizione varrebbe anche per i corsi intubati o interrati.
Il motivo è privo di fondamento.
Osserva il Collegio che l’art. 15 delle N.T.A. prescrive l’arretramento di 10 metri degli edifici unicamente “lungo i corsi d’acqua correnti a pelo libero”, mentre sul fronte ovest della proprietà scorre una roggia coperta, come ammesso dagli stessi ricorrenti. Del resto, l’invocato art. 96 al comma 1, lettera f) – nel disporre una distanza di dieci metri tra le fabbriche ed i corsi d’acqua – fa esplicitamente salve le discipline locali vigenti, e la stessa giurisprudenza ha evidenziato che la disposizione è univoca nel consentire al P.R.G. di prevedere l’edificazione anche ad una distanza inferiore a dieci metri (T.A.R. Emilia Romagna Parma – 29/5/1989, n. 197).
In definitiva il ricorso è fondato e va accolto, nei limiti di cui in
motivazione.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le
spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di
Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei
limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento espresso
di conformità emesso dal Comune e dichiara l’illegittimità della D.I.A. in data
12/6/2002 e della D.I.A. in variante in data 5/8/2002.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, in Brescia, il 14/5/2004, dal Tribunale Amministrativo Regionale
per la Lombardia con l'intervento dei Signori:
Francesco MARIUZZO - Presidente
Stefano TENCA - Giudice relatore ed estensore
Gianluca MORRI - Giudice