EDILIZIA E URBANISTICA - 083
T.A.R. Lombardia, Milano, sezione II, 9 maggio 2003, n. 1777
Impugnativa della D.I.A. ovvero del comportamento omissivo del Comune sulla D.I.A.
Necessità di previa ultimazione del sottotetto per consentirne il recupero in deroga anche dopo la legge regionale n. 18 del 2001.

(annullata per inammissibilità del ricorso in primo grado da Consiglio di Stato, sez. V, 4 febbraio 2004, n. 376)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA

Sede di Milano - Sezione Seconda

SENTENZA

sul ricorso n. 3975/02, proposto con deposito 30.12.02 dai Signori M.B. e A.B., rappresentati e difesi dall’Avv.to G.T., con domicilio eletto presso ...

contro

il Comune di Settimo Milanese, intimato con notifica 9.12.02, e non costituito;

e, nei confronti

della Settimo Immobiliare s.r.l., intimata con notifica a mezzo servizio postale il 6.12.02, e non costituita;

per l’accertamento

ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-bis legge 1034/71, dell’illegittimità del silenzio del Comune di Settimo Milanese, maturato a seguito di atto di diffida 27.9.02, in tema di variante DIA, presentata il 9.8.02 dalla Settimo Immobiliare s.r.l., diretta al recupero del sottotetto, ai sensi della L.R. 15/96 e successive modificazioni;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Alla camera di consiglio del 23.1.03, fissata nel rispetto dei termini di legge successivi al deposito del ricorso, udito il difensore di parte ricorrente, presente come da verbale, nessuno risulta essersi costituito in giudizio per il Comune di Settimo Milanese, nessuno per la società che aveva presentato una D.I.A. in variante per il recupero del sottotetto:

Udito poi il relatore;

FATTO E DIRITTO

Gli odierni ricorrenti, proprietari di un immobile in Via Buozzi di Settimo Milanese in zona B1, si gravano avverso il comportamento omissivo mantenuto dal citato Comune, a seguito di diffida dagli stessi notificata il 27.9.02 (doc. n. 7), affinché l’amministrazione comunale adottasse tutti i provvedimenti necessari per impedire la realizzazione delle opere, oggetto di una seconda variante DIA, presentata dalla società controinteressata il 9 agosto precedente (doc. n. 1), in tema di recupero del sottotetto, ai sensi e per gli effetti della L.R. 15.7.96 n. 15 e successive modificazioni.

La DIA, oggi in esame, segue ad una prima variante DIA presentata il 30 aprile precedente dalla medesima società (doc. n.6), per lavori di sopraelevazione dell’immobile progettata con la trasformazione dell’originario P.T. in piano accessorio seminterrato; a sua volta questa prima variante segue ad una DIA base che l’originario proprietario dell’area, circa un anno prima, aveva presentato, per realizzare un nuovo insediamento residenziale di tre piani fuori terra - quanti l’art. 25.2 delle vigenti N.T.A. prevede per la zona B1 (doc. n. 4) - oltre al “sottotetto” originariamente previsto come “non accessibile” (doc. n. 5).

A sostegno dell’accoglimento del ricorso sono state dedotte le seguenti censure:

1) violazione e falsa applicazione di legge: art. 2 L.R. 15.7.96 n. 15 e ss.mm.; art. 25.2 delle N.T.A. del P.R.G.. del Comune di Settimo Milanese;
2) violazione e falsa applicazione di legge: art. 1, 6 c., e art 2, 6 c., della L.R. 16.7.96 n. 15 e ss.mm.;
3) violazione e falsa applicazione di legge: art. 1 della L.R. 16.7.96 n. 15 e ss.mm.;
4) illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della L.R. 23.11.2001 n. 18, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione;

La mancata costituzione sia del Comune di Settimo Milanese sia della società controinteressata, intimate entrambe come precisato in epigrafe, offre al Collegio una ulteriore conferma a) della sovrapposizione delle tre DIA via via presentate nell’arco di 17 mesi, ciascuna delle quali modifica la precedente in una parte (al di là del “nomen juris” denunciato), tuttora incerta nella effettiva consistenza, b) della loro interconnessione, e c) della “non piena conoscenza” della consistenza planovolumetrica dei lavori in corso (DIA base per un edificio a tre piani fuori terra con sottotetto non accessibile, una prima variante DIA sulla trasformazione di un P.T. in piano seminterrato, una seconda variante DIA per il recupero di un sottotetto), sottotetto che - per la legge vigente, e per la giurisprudenza che ne è seguita (T.A.R. Lombardia Milano, 2 Sez., 22.1.03 n. 108, idem 31.7.01 n. 5310, e T.A.R. Lombardia, BS, 2.4.02 n. 553, pag. 3) - avrebbe dovuto pacificamente essere già preesistente almeno alla data dell’ultima variante.

Infatti, dal documento n. 8 emerge come l’edificio de quo, al 30.12.02, data di deposito del ricorso (cioè ben 5 mesi dopo la presentazione della seconda variante DIA), risulta ancora tutto “ingabbiato”, senza consentire – neanche ai ricorrenti frontisti – di percepire il numero dei piani effettivamente realizzati (in difformità o meno dalle tre DIA), né percepire la consistenza delle “modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde”, oggetto della prima censura.

Riaffiora spesso la tentazione di ritenere la D.I.A. non impugnabile da parte del vicino perché è atto del privato, ma – a ben vedere, e al di là delle espressioni usate dalle difese (ampie ed onnicomprensive per evidenti ragioni tuzioristiche) – quel che s’impugna in questa sede non è la “mera denuncia” di chi vuole costruire, ma solo il comportamento silente, tenuto dall’amministrazione nel termine di appena 20 gorni dalla presentazione della D.I.A.; che, “ex lege” è legittimante l’attività edilizia denunciata, purché conforme alla vigente strumentazione urbanistica comunale (così, per l’art. 4, 3 c.,della L.R. 19.11.99 n. 22).

E’ la stessa legge ordinaria (art. 7 della L. n. 205/00, che ha, tra l’altro, modificato l’art. 34 del D.L.vo 31.3.98 n. 80, il cui 1 c. devolve al g.a. la giurisdizione esclusiva sugli atti, sui provvedimenti e sui comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alla stessa equiparati in materia di urbanistica ed edilizia”, ed il cui 2 c. precisa che “la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”; il concetto di “comportamento”, contrapposto ai primi due termini, è ben più ampio del mero silenzio (assenso o diniego che sia), perché logicamente comprende anche ogni attività ostativa, anche uno o più atti, apparentemente slegati dal contesto (e forse neanche conoscibili dal “quisvis de populo”, che solo ex post si trova ad esserne interessato), eppure preordinati a raggiungere ben altro risultato.

La tesi della impugnabilità del comportamento omissivo della p.a., che per legge legittima l’attività edilizia, risponde ad una interpretazione del sistema più conforme ai principi costituzionali, desumibili dal combinato disposto del seguenti articoli: l’art. 24, 1 c. secondo cui “Tutti possono agire in giudizio per la tutele dei propri diritti e interessi”, e il 2 c., secondo cui “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; e, ancora, l’art. 103, 1 c., secondo cui “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della p.a. degli interessi legittimi, e, in particolari materie indicate dalla legge (oggi, l’art. 34 del D.L.vo n. 80/98, novellato dall’art. 7 della L. n. 205/00) anche dei diritti soggettivi”; e, infine, l’art. 113, 1 c., secondo cui “contro gli atti della p.a. (dove “atti” sta anche per “attività” e quindi per “comportamento”) è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”.

A ben vedere, l’art. 21-bis, 1 c., della L. n. 1034/71, nel legittimare un ricorso solo per chiedere la declaratoria di illegittimità di un silenzio inadempimento, risolve solo il profilo processuale di un “procedimento speciale in camera di consiglio”, e prescinde dal contenuto sottostante a quel silenzio, che, nel caso specifico, riguarda materia (urbanistica ed edilizia) oggi pacificamente riconducibile alla giurisdizione esclusiva del G.A

Senonchè, l’interesse legittimo al mero accertamento dell’illegittimità del silenzio non può prescindere dall’esistenza e dal pieno riconoscimento di un interesse pubblico al corretto uso del territorio ed al buon andamento del procedere amministrativo, e quindi, nel caso di specie, a verificare in corso d’opera se “quanto in concreto realizzato” risponda o meno a quanto denunciato con la DIA.

Se, per ipotesi astratta, si volesse considerare “tamquam non esset” quell’interesse pubblico (come pur qualche sentenza del g.a. è pervenuta pur di giustificare la non impugnabilità della DIA), allora non esisterebbe neanche l’interesse legittimo del privato a tutelarsi attraverso la diffida per la formazione di un silenzio, ma questo collegio ritiene contraddittorio che ciò possa sostenersi proprio in materia, nella quale al g.a. è stata devoluta la giurisdizione esclusiva !

E se la semplificazione amministrativa della procedura DIA (invero, circoscritta alla sola fase di esame dei progetti denunciati) dovesse finire per tradursi in una generalizzata “deresponsabilizzazione” di tutto il personale comunale (pur istituzionalmente impegnato al controllo), significherebbe abbandonare il c.d. “uso del territorio” (di cui parla il 2 c., del citato art. 34, novellato) alla mercè dei soggetti privati, in ipotesi senza scrupoli, e, dall’altra, lasciare senza tutela il frontista, al quale spesso l’amministrazione nega perfino l’accesso agli atti.

Trascurare l’onere istituzionale di verifica allorché, come nel caso di specie, si sovrappongano più DIA, significa esporre la p.a. ad una “deresponsabilizzazione” ancora maggiore: infatti, proprio la correlazione interna fra i contenuti delle tre DIA, rende complesse la stessa attività di controllo su quanto progettato e quanto in concreto eseguito, e, proprio questa sovrapposizione di contenuti può maggiormente indurre il privato a “confidare” in un silenzio (consapevole o meno) dell’amministrazione.

Assorbente è il terzo motivo sulla seconda variante DIA in tema di recupero di un sottotetto, che – all’epoca della sua presentazione – non poteva ritenersi “preesistente”, perché, fu solo progettato come “sottotetto non accessibile” (DIA base), e, al 9 agosto 2002, non risultava ancora essere stato ultimato; il fatto, affermato dalla difesa ricorrente, non è stato mai contraddetto né dal Comune né dalla società controinteressata, le quali, anche senza costituirsi in giudizio, avrebbero potuto farlo, depositando una prova certa sulla data del completamento della copertura.

E’ illegittimo invocare come preesistente un “sottotetto non accessibile”, in realtà non ancora ultimato, perché elude chiaramente la finalità del legislatore regionale di contenere il consumo del territorio (e, quella in esame, è una nuova costruzione, sic, per la DIA base), se non anche l’altra di favorire gli interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici, e solo con la verifica che la p.a. dovrà effettuare ora per allora, sarà possibile saperlo !

Anche a voler prescindere dalla denunciata violazione, elusiva della ratio voluta dal legislatore del 1996, meglio poi definita dall’art. 2 della L.R. n. 18/01, risulta determinante anche la prima censura sulla violazione dell’art. 25.2 delle N.T.A. del P.R.G., applicabile in zona B1, perché la legittimità o meno delle “modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde” (quale risulterebbe dalle tavole nn. 1 e 2, prodotte dai ricorrenti) è strettamente connessa alla integrazione in corso d’opera dei “tre piani fuori terra” con “sottotetto non accessibile” (in origine progettati con la DIA base), poi, con un P.T. trasformato in seminterrato e con un recupero ai fini abitativi di un sottotetto che – a ben vedere – non poteva cosiderarsi “presistente”, se – dopo ben 5 mesi dalla presentazione della seconda variante DIA, l’edificio era ancora tutto “ingabbiato”.

Nel caso specifico, è illegittimo il comportamento omissivo tenuto dal Comune di Settimo Milanese, in presenza di una diffida 27.9.02 ad assumere gli (eventuali) provvedimenti necessari per impedire i lavori di recupero abitativo del sottotetto; il solo fatto che sia stato inerte, prescindendo dalla fondatezza o meno della pretesa sostanziale del privato (Ad. Pl. 9.1.2002 n. 1), giustifica la condanna alle spese di giudizio che si liquidano nella misura precisata in dispositivo.

Poiché, d’altra parte, la declaratoria dell’illegittimità del silenzio non è fine a se stessa, ma è necessariamente prodromica a sollecitare un’attività di controllo e verifica dell’operato della società costruttrice, controinteressata, cioè – come argomentato in precedenza - a sollecitare la verifica di un interesse pubblico al buon andamento del procedere amministrativo e al corretto uso del territorio (non adeguatamente curato), ne consegue necessariamente che l’impugnativa avverso il silenzio è solo strumentale al citato perseguimento dell’interesse pubblico, senza il quale non esisterebbe neanche l’interesse legittimo del privato.

Se tutto dovesse finire solo con la mera declaratoria del silenzio, il fatto compiuto finirebbe per premiare proprio il silenzio inadempimento della p.a. e, dall’altra, il privato costruttore, premiato per la velocità dei lavori, a danno non solo degli specifici interessi legittimi del confinante, che, ricorrendo, ha dato solo l’occasione di attivare l’intervento pubblico, ma anche a danno di un territorio in ipotesi illegittimamente deturpato; il “danno ingiusto” lo subirebbe non tanto il confinante, che non deve essere incentivato a ricorrere per beneficiare di un risarcimento del danno a suo favore, ma indirettamente tutta la collettività, per cui la soluzione adeguata al caso non è tanto il risarcimento (salva la richiesta della Corte dei Conti a beneficio dell’erario locale o/e nazionale), ma la reintegrazione in forma specifica, ai sensi dell’art. 35 del D.L.vo n. 80/98, novellato dall’art. 7 della L. n. 205/00.

Le spese del presente giudizio e l’eventuale compenso al commissario ad acta nominato vengono poste a carico del Comune di Settimo Milanese e liquidate (o solo quantificate) in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale

1) accoglie il ricorso in epigrafe, e dichiara la grave illegittimità del comportamento omissivo, mantenuto dalla p.a. in presenza di esplicita diffida; pertanto condanna il Comune di Settimo Milanese al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in pari favore degli odierni ricorrenti in complessive 3.000 € (tremila euro), dovute per il solo fatto dell’accoglimento, e prescindendo dalle incombenze contemplate ai punti 2 e 3; conseguentemente,

ORDINA

2a) alla società controinteressata di depositare presso la Segreteria del T.A.R. entro 24 ore dalla comunicazione via fax della presente decisione, copia autenticata del giornale di cantiere dall’inizio della costruzione dell’edificio alla data odierna, in cui risultino annotate le operazioni di inizio, sospensione, ripresa, stadi di avanzamento dei lavori, nonché copia autentica delle comunicazioni inviate all’amministrazione comunale, e la prova delle relative comunicazioni, tenendo presente che, a seguito di ulteriore istanza giudiziale dei ricorrenti, il collegio potrà valutare tempi e contenuto dell’ottemperanza, per ogni eventuale incombente di giustizia;

2b) al Comune di compiere ora per allora, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione ex lege (art. 12 della L. n. 205/00), l’attività istituzionale di controllo che avrebbe dovuto svolgere dopo che la seconda variante DIA sia divenisse operativa, e, a maggior ragione, dopo la diffida dei ricorrenti;

3) di depositare nel termine anzidetto presso la Segreteria del T.A.R. una relazione sulle “modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde” apportate alla copertura, nonché sul numero dei piani effettivamente realizzati (in difformità o meno dal contenuto delle tre DIA che si sono susseguite nel tempo), nonché, se del caso, copia della diffida alla società controinteressata a demolire quanto dovesse aver realizzato oltre il consentito.

4) demanda fin d’ora al Dirigente dell’Agenzia del Territorio di Milano l’onere di nominare un proprio funzionario per le funzioni di commissario ad acta, che – ai sensi del 2 e 3 comma dell’art. 21-bis della legge n. 1034/71 - possa intervenire in sostituzione dell’amministrazione comunale, ove – alla scadenza del primo termine - non dovesse aver mantenuto l’impegno, sopra descritto ai punti 2 e 3, in modo adeguato allo scopo.

5) riconosce al funzionario che, nella eventualità indicata sub 4, dovesse intervenire la misura del compenso spettante corrispondente alla tariffa oraria spettante, al suo livello, per il lavoro straodinario, oltre ai diritti di vacazione, compenso che fin d’ora viene posto a carico del Comune inadempiente nella misura di 1000 € a titolo di acconto (da liquidare al suddetto entro tre gg. lavorativi dalla declaratoria di persistente inadempimento effettuata dal Presidente di questa Sezione), e, a consuntivo, nella misura che sarà liquidata dal medesimo a consuntivo, a piè di lista;

Così deciso nella camera di consiglio del 23.1.03, con l’intervento dei Signori

Pio Guerrieri, Presidente, relatore
Adriano Leo, Consigliere
Gianluca Bellucci, Referendario