EDILIZIA - 009
T.A.R. Lombardia (MI), sez. II, 12 aprile 2000, n. 2793
(presidente Leo, estensore Passoni)
Ritardo nel rilascio (nella fattispecie nel diniego) di concessione edilizia - Domanda di concessione conforme alle richieste istruttorie del Comune - Adozione strumentale medio tempore di variante puntuale a P.R.G. (finalizzata al diniego, rectius alla sospensione) - Carenza di motivazione nell'adozione della variante puntuale - Imposizione immotivata di destinazione d'uso specifica (cinematografo) - Imposizione immotivata di obbligo di Piano di recupero (articoli 27 e 28 della legge n. 457 del 1998) in assenza di accertamento della situazione degrado - Risarcimento del danno - Limiti

(omissis)

CONTRO

Il Comune di Gallarate, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. G.B., ed elettivamente domiciliato nello studio dell'avv. C.G. in Milano,

e nei confronti

del sig. L.P.

per le seguenti richieste:

quanto al ricorso 4799/98:

per l'annullamento:

- della delibera n. 109 del 24.07.1998, con la quale il Consiglio Comunale di Gallarate ha adottato la variante alla normativa tecnica di attuazione del P.R.G., prescrivendo per l'edificio denominato Cinema Condominio vincoli conservativi della facciata su via Sironi, il mantenimento dell'attuale destinazione d'uso dell'edificio a locali per pubblico spettacolo e/o cultura, con la possibilità di modifica parziale della destinazione d'uso solo previa approvazione di piano di recupero convenzionato, che preveda comunque il recupero e la fruizione al pubblico di congrui spazi da destinare ad attività di pubblico spettacolo c/o cultura;
- della delibera n. 124 del 18.09.1998, con la quale il Consiglio comunale di Gallarate ha revocato la precedente delibera datata 24.07.1998 atto n. 109 ed ha riadottato nuovamente la variante al vigente P.R.G. con gli stessi vincoli di cui alla precedente delibera soprammenzionata, e con l'ulteriore vincolo che la sala destinata a pubblico spettacolo abbia una capienza di almeno 500 posti;
- del provvedimento prot. n. 16475/739 datato 14.09.1998, con cui il Comune di Gallarate ha sospeso ogni determinazione sulla richiesta di concessione edilizia presentata in data 15.07.1997 dal Teatro di Condominio avente per oggetto la ristrutturazione con modifica di destinazione d'uso dell'immobile di via Sironi;
- per l'accertamento del comportamento omissivo del Comune di Gallarate per non aver rilasciato la concessione edilizia entro i termini stabiliti dalla legge;
- per il risarcimento del danno ex articoli 34 e 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998.

Quanto al ricorso n. 3102/99:

-per l'annullamento della delibera n. 69 del 18.05.1999, con cui il Consiglio Comunale di Gallarate ha approvato la variante alla normativa tecnica di attuazione del P.R.G;
-per l'accertamento del comportamento omissivo del Comune di Gallarate per non aver rilasciato la concessione edilizia entro i termini stabiliti dalla legge, nonché per il risarcimento del danno ex articoli 34 e 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998.

Visti gli atti tutti delle due cause;
Visti gli arti di costituzione in giudizio del Comune di Gallarate;
Relatore alla pubblica udienza dell'8.3.2000 il dr. Paolo Passoni e uditi altresì i procuratori delle parti.

FATTO - DIRITTO

Gli atti impugnati hanno per oggetto l'immobile denominato "Teatro di Condominio", ubicato in Comune di Gallarate tra le vie Sironi - Verdi - 20 Settembre.
Si tratta di un edificio un tempo destinato a teatro, in regime di comproprietà indivisa tra numerose famiglie del gallaratese.
L'immobile in questione era stato destinato ad attività di cinematografo fino ai primi mesi del 1997.

Preso atto del calo di clientela nel settore (anche a causa del diffondersi del commercio di videocassette), la proprietà decideva di ristrutturare l'edificio, inserendo altre destinazioni d'uso (terziario-commerciali al pianterreno e residenziali nei rimanenti piani), consentite dall'art. 6.17 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del 1991, allora vigente.

Alla richiesta progettuale presentata in data 08.07.1996, l'amministrazione civica esprimeva un parere di massima favorevole, subordinato ad alcune prescrizioni poi recepite nella successiva richiesta (del 15.07.1997) di concessione edilizia; in data 02.02.1998 veniva inoltre trasmessa documentazione integrativa ritenuta necessaria dal Comune perla conformità al regolamento igienico ed edilizio.

Vanamente decorsi i 75 giorni previsti dalla vigente normativa per il riscontro alla richiesta di concessione edilizia, in data 29.06.1998 la proprietà diffidava l'amministrazione a provvedere entro 15 giorni (dunque entro il 14.07.1998), ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della legge 04.12.1993, n. 493, come modificato dall'art. 2, comma 60, della legge n. 662 del 1996.

A seguito di ulteriore inerzia, si procedeva ad inoltrare alla Giunta Regionale la richiesta di nomina del Commissario ad acta, sempre in conformità a quanto previsto dalla citata normativa introdotta nel 1996.

Peraltro, in data 24.07.1998 il Comune adottava variante al P.R.G., prescrivendo il mantenimento dell'attuale destinazione d'uso dell'edificio a locali per pubblico spettacolo e/o cultura, con possibilità di modifica parziale di tale destinazione solo previa approvazione di piano di recupero convenzionato, che preveda comunque il recupero e la fruizione al pubblico di congrui spazi da destinare ad attività di pubblico spettacolo e/o cultura.

In data 14.09.1998 l'ente civico comunicava alla proprietà di aver sospeso ogni determinazione sulla richiesta di concessione edilizia, a seguito della sopravvenuta variante al P.R.G.

In data 18.09.1998 il Consiglio Comunale revocava la precedente delibera del 24.07.1998, ma riadottava la variante al P.R.G. confermando i precedenti contenuti prescrittivi a carico del condominio, ma con l'ulteriore obbligo di conservare anche nel caso di piano di recupero una sala per pubblico spettacolo per una capienza di almeno 500 posti. Nella stessa seduta veniva altresì approvato un ordine del giorno avente per oggetto l'intendimento di acquistare l'immobile di cui trattasi.

Infine con delibera del 18.05.1999, il Consiglio Comunale approvava la suesposta variante al P.R.G.

Con le due impugnative in epigrafe, la proprietà del "Teatro di Condominio" ha impugnato l'intero plesso deliberativo sopra evidenziato, ed in particolare l'adozione delle due varianti (la seconda a modifica della prima) e la sospensione dell'esame della concessione edilizia nel ricorso n. 4799/98, nonché l'approvazione della seconda variante nel ricorso n. 3102/99.

Le censure possono così riassumersi:

- distorto uso del potere di variante su singoli immobili, consentito dall'articolo 10, settimo comma, della legge n. 1150 del 1942 solo in vista di sopravvenute ragioni di inattuabilità del piano o di convenienza per migliorarlo; al riguardo, si resterebbe al di fuori di entrambe le fattispecie, e comunque difetterebbe la puntuale motivazione sul punto che la giurisprudenza pacificamente richiede; la compressione dei notevoli interessi privati in gioco risulterebbe potenziata dalle crescenti e progressive pretese del Comune, visto che la proprietà aveva già modulato la richiesta di concessione edilizia in conformità alle prescrizioni del Comune stesso sulla facciata, sull'atrio di entrata, e sulla conservazione di una sala destinata alle proiezioni; inoltre l'ostinazione ad imporre sale cinematografiche di enormi dimensioni (pur a fronte della scarsa attenzione della collettività cittadina verso tale tipo di svago) non solo finirebbe per imporre gestioni imprenditoriali recessive in partenza, ma dimostrerebbe una scarsa cura dell'interesse pubblico, sotto il profilo di una indifferenza sulle reali esigenze e tendenze della cittadinanza;
- la scelta di imporre un preventivo piano di recupero per la modifica delle destinazioni d'uso dell'immobile resterebbe priva dei presupposti contemplati dagli articoli 27 e 28 della legge n. 457 del 1978, mancando la situazione di degrado necessaria per assoggettare lo stabile a quella pianificazione attuativa, che andrebbe peraltro a modificare -senza alcuna motivazione- un preesistente piano particolareggiato;
- le deliberazioni impugnate resterebbero in realtà preordinate a favorire l'acquisto da parte del Comune dell'edificio de quo, attraverso imposizioni urbanistiche via via sempre più afflittive, mirate a convincere i proprietari a cedere l'immobile a condizioni non favorevoli;
- la delibera del 24.07.1998 sarebbe illegittima anche per una violazione procedurale connessa al mancato allontanamento dall'aula di un consigliere interessato alla materia trattata, che pur astenendosi dal voto, avrebbe condizionato con la sua presenza gli esiti deliberativi;
- la successiva delibera del 18.09.1998 avrebbe dovuto annullare (e non revocare) la precedente determinazione, inficiata dal suesposto profilo di illegittimità, mentre sarebbe rimasta oscura la vera ragione alla base del ripensamento della P.A.;
- il provvedimento con cui è stata disposta la sospensione dell'esame della concessione edilizia sarebbe poi viziato, sia per illegittimità derivata dai vizi propri delle varianti di P.R.G. (che si sarebbero poste in modo incompatibile con l'iniziativa ad aedificandum della proprietà), sia perché comunque le pianificazioni ostative sarebbero sopraggiunte solo dopo la maturazione del silenzio-inadempimento sull'istanza del titolo edilizio, la cui tempestiva evasione avrebbe invece consentito agli istanti di poter beneficiare della normativa favorevole allora vigente.

La ricorrente proprietà ha poi chiesto il risarcimento del danno ex articoli 34 e 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, anche per il denegato caso di reiezione dei due ricorsi.

Anzi, mentre nell'ipotesi di accoglimento i danni resterebbero limitati al ritardo sofferto per il rilascio della concessione edilizia (che il Comune sarebbe comunque tenuto a rilasciare), maggiori danni scaturirebbero dall'eventuale legittimità delle varianti impugnate, poiché in quel caso l'impossibilità di ottenere il titolo edilizio accentuerebbe le conseguenze irreversibili di quella responsabilità omissiva dell'amministrazione, che avrebbe ingiustamente impedito alla comunione immobiliare di finire della pregressa e più favorevole pianificazione (ancora vigente durante lo spatium deliberandi entro cui l'ente civico avrebbe dovuto provvedere).

Si è costituito nei due giudizi il Comune di Gallarate, il quale ha eccepito in primis l'inammissibilità dell'impugnativa della prima variante adottata in data 24.07.1998, trattandosi di atto ormai superato e revocato dalla successiva delibera del 18.09.1998.

In secondo luogo si sostiene che, al contrario di quanto dedotto nei ricorsi, l'adozione e l'approvazione della variante troverebbero la loro ratio (ai sensi dell'art. 10, settimo comma, della legge urbanistica) in seguito a fatti nuovi collegati all'interruzione dal 1997 di quell'attività di cinematografo, che pure aveva nel tempo caratterizzato la valenza storica e culturale dell'edificio in questione; il contestato intervento pianificatorio avrebbe così evitato lo stravolgimento della struttura, mentre la previsione del piano di recupero consentirebbe nel contempo alla proprietà (attraverso una giusta ponderazione degli interessi privati coinvolti) di utilizzare ampi spazi con destinazione residenziale, pur salvaguardando le esigenze della collettività connesse al mantenimento dei pubblici spettacoli (con un totale di posti riservati alla platea peraltro inferiore rispetto al passato).

Il piano di recupero resterebbe poi appropriato, in presenza (come nella specie) di un immobile soggetto fin dagli anni 50 ad interventi episodici e parziali, ancora privo di soluzioni unitarie preordinate alla conservazione dei pregi dell'immobile medesimo; questa sarebbe del resto la vera (e ben dichiarata) finalità dell'impugnata pianificazione, si che resterebbero apodittiche le asserzioni del patrocinio ricorrente circa pretesi sviamenti di potere, dedotti da generiche dichiarazioni di stampa o quant'altro.

Infine, nessun rilievo assumerebbe la circostanza che la variante sia intervenuta a distanza di tempo dalla domanda di concessione edilizia, atteso che l'eventuale inadempimento a provvedere del Comune non potrebbe mai aver assunto una valenza di atto positivo sull'istanza, si che il potere deliberativo dell'amministrazione sarebbe rimasto integro e comunque (ormai) rigorosamente soggetto al principio del tempus regit actum.

Alla pubblica udienza dell'8 marzo 2000 i due ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.

Ritiene il Collegio di procedere alla riunione delle due impugnative, attesa loro evidente connessione obiettiva e soggettiva.

Preliminarmente deve accogliersi l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla P.A. resistente, in relazione alle doglianze (anche di tipo procedimentale) collegate alla prima variante adottata il 24.07.1998.

Trattasi infatti di una statuizione pianificatoria superata dalla successiva deliberazione di revoca del 18.09.1998, e pertanto ormai priva di giuridica esistenza; la stessa fase approvativa impugnata con il secondo gravame ha (ovviamente) riguardato la sola variante da ultimo adottata, per cui nessun interesse all'impugnativa può residuare nei confronti della citata variante del 24.07.1998.

Per i restanti capi di impugnativa, i due riuniti ricorsi trovano invece accoglimento.

Per costante giurisprudenza, nell'ipotesi di variante limitata e ad oggetto specifico (come nel caso di specie, che afferisce ad un singolo immobile), l'autorità amministrativa è tenuta ad esternare analiticamente i motivi della scelta innovativa, ove questa sacrifichi aspettative private tutelate, anche non intangibili.

Nella vertenza in esame, la variante è intervenuta per salvaguardare la preesistente attività di cinematografo nell'edificio, alla luce degli intendimenti della proprietà (tempestivamente manifestati al Comune nel vigore della pregressa, compatibile pianificazione), mirati ad inserire nell'edificio medesimo altre destinazioni d'uso (uffici e negozi), in luogo del settore del cinema, ormai caratterizzato da scarso risultato gestionale.

Altri profili pubblicistici connessi alla conservazione dell'immobile erano stati già adeguatamente considerati e recepiti nel progetto edilizio a suo tempo presentato dalla comunione immobiliare (con particolare riguardo al mantenimento della facciata e dell'atrio prospettante sulla via Sironi), si che l'esclusiva finalità concretamente perseguita con la variante adottata ed approvata dal Comune resta proprio il mantenimento della preesistente attività di cinematografo.

Ora, osserva il Collegio come tale finalità sia inidonea ad assurgere a sufficiente e razionale motivazione della variante medesima, perché la cura dell'ente locale verso la conservazione di attività culturali e di svago all'interno della propria circoscrizione civica non può prescindere da una motivata analisi circa l'attuale propensione della collettività a fruire di tali svaghi; trattasi di una ricognizione di basilare importanza, sia per valutare il gradimento dei cittadini, sia soprattutto per non imporre, al destinatario del vincolo, gestioni fatalmente recessive ed onerose.

Nel caso di specie, il Comune ha invece insistito nel pretendere una centralità funzionale dell'edificio-cinema, ormai non più in linea con le richieste del mercato e con le (elementari) esigenze di non incorrere in spese, investimenti e gestioni senza alcuna prospettiva di utile ritorno.

Nel delineato contesto, la dismissione dell'attività nel 1997 non può certo costituire il "fatto nuovo" idoneo a giustificare l'intervento in variante, come invece assunto dal patrocinio resistente.

Parimenti illegittima resta la previsione di un piano di recupero come unica possibilità di modificare parzialmente tale destinazione (salvaguardando comunque una sala da almeno 500 posti da adibire per pubblici spettacoli).

Va infatti puntualizzato che il piano di recupero di cui alla legge 5 agosto 1978, n. 457 è lo strumento di intervento per il recupero del patrimonio edilizio nelle zone dichiarate degradate dal P.R.G., ed in questo si differenzia dal piano particolareggiato (Cons. di Stato, sez. IV, n. 925 del 31.05.1999); nel caso in vertenza, la variante impugnata non dichiara il degrado dell'edificio, privo quest'ultimo di alcun connotato di usura o di abbandono tale da potersi considerare degradato, tanto più che le esigenze storiche connesse alla manutenzione della facciata risultavano già recepite nel progetto a suo tempo presentato dalla comunione immobiliare, al fine del rilascio della concessione edilizia.
Si è invece sopra ben visto come il dichiarato scopo del (preteso) recupero riguardi in realtà una vera e propria attività di impresa che il Comune - invocando la cultura e la tradizione locale - ha ritenuto opportuno di dover conservare, per far fronte alle volontà dismissive della gestione, causate dal registrato calo di clientela.
Non solo, ma il ricorso alla pianificazione attuativa finisce per costituire un anomalo strumento al quale viene subordinata ogni possibilità di attenuazione del vincolo di destinazione, ed anche in questo senso emerge lo sviamento funzionale in cui è incorso l'ente civico nella scelta del piano di recupero, preordinato (non già a risanare ma piuttosto) a mitigare il rigore impositivo dato dalla variante, anche a voler prescindere dal fatto che le dimensioni del cinematografo resterebbero pur sempre eccessivamente onerose per la proprietà dell'edificio.

I riuniti ricorsi trovano pertanto accoglimento per i suesposti motivi, assorbita ogni altra doglianza, e fatta salva, ovviamente, l'inammissibilità del sopra citato capo di impugnativa di cui al ricorso n. 4799/98.

Quanto ai profili risarcitori derivanti dalla presente pronuncia (da vagliare ormai in conformità alle indicazioni di cui alla nota sentenza Cassazione, SS.UU., n. 500 del 1999), si è già detto che il ricorrente patrocinio ha prospettato in via alternativa due misure di risarcimento del danno, a seconda dell'accoglimento o meno dei ricorsi, reclamando una maggiore entità proprio nel denegato caso di soccombenza giudiziale; ciò in quanto l'eventuale legittimità (e persistenza) della variante speciale finirebbe per aggravare in modo ormai irreversibile le conseguenze dannose dell'inerzia del Comune sull'istanza di concessione edilizia, presentata sotto il vigore del vecchio (compatibile) P.R.G., parimenti vigente anche durante l'intero arco temporale previsto dal comma sessanta dell'articolo 2 della legge 23.12.1996 n. 662, entro cui l'autorità amministrativa avrebbe dovuto pronunciarsi.

Nel caso di specie, la concludenza dispositiva dei due giudizi ha condotto comunque all'annullamento della variante speciale, senza che possa dunque aversi concreto riguardo alla subordinata ipotesi di reiezione dei ricorsi.

Rispetto agli assunti della ricorrente, va peraltro puntualizzato che l'accoglimento dei ricorsi non postula ex se l'accertamento del diritto al rilascio del titolo ad aedificandum.

Ai sensi del quarto comma dell'articolo 4 della legge 4.12.1993 n. 493 (come appunto modificato dalla legge 662/1996), «la concessione edilizia è rilasciata (...) qualora il progetto presentato non sia in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici ed edilizi e con le altre norme che regolano lo svolgimento dell'attività edilizia».

Ora, se è vero che la norma non subordina il beneficio a poteri discrezionali dell'ente civico (condizionandolo invece ad un mero accertamento negativo di eventuali elementi ostativi), resta il fatto che i presenti giudizi trovano la delimitazione del loro thema decidendum nel vaglio di legittimità di una variante incompatibile con l'originario progetta edilizio, non esaminato dal Comune nei prescritti termini, vanamente decorsi nel vigore della preesistente (e più favorevole) previsione di P.R.G.

L'acclarata illegittimità della variante, ed anche l'accertamento dell'inerzia durante l'intero periodo entro cui l'ente civico avrebbe dovuto tempestivamente deliberare, non possono tuttavia determinare tout court il diritto alla concessione edilizia, poiché esula dai giudizi in esame il riscontro degli altri occorrenti requisiti (conformità del progetto con ogni norma edilizia, esclusa ovviamente la variante annullata).
Né tali considerazioni possono essere superate dal contesto di giurisdizione esclusiva della materia trattata, atteso che è basilare principio (anche) della giurisdizione su diritti quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).
Ciò non di meno, è evidente il danno causato dal Comune per il superamento ex se delle rigorose tempistiche previste dalla legge in materia di esame dell'istanza di concessione edilizia, nonché per le ulteriori dilazioni temporali connesse al giudizio di annullamento, resosi necessario dalla illegittima adozione di quelle nuove misure pianificatorie sopravvenute al predetto silenzio-rifiuto (già interamente maturato nel vigore della preesistente più favorevole previsione di P.R.G.).

Si tratta di un danno da ritardo che, pur non esattamente correlato al tardivo rilascio del titolo edilizio (atteso che è inconfigurabile nella specie l'accertamento del diritto al titolo stesso), resta pur sempre collegato alle insistite dilazioni procedimentali subite dal ricorrente nel vedersi vagliare la propria istanza secondo la originaria normativa urbanistica, con gravi incertezze gestionali dovute alle vane e prolungate attese per l'esame del nuovo progetto strutturale e funzionale dell'edificio.

Il nocumento da ritardo sussiste pertanto anche nell'ipotetico caso in cui dovesse in prosieguo ravvisarsi un'altra causa (mai emersa né in sede procedimentale né in quella giudiziale) di obiettivo ostacolo al rilascio del titolo edilizio, e ciò proprio a causa dell'atteggiamento dilatorio sopra evidenziato che il Comune ha tenuto.

Trattasi in buona sostanza di un danno da chance, peraltro rinforzato e qualificato da concrete prospettive di accoglimento del progetto edilizio, atteso che nessuna contraria osservazione il Comune aveva formulato prima di adottare (dopo il vano decorso dello spatium deliberandi a sua disposizione) l'illegittima novazione urbanistica.

Va altresì ravvisata la sussistenza dell'elemento psicologico a carico dell'amministrazione, che ha atteso di pronunciarsi sull'istanza (superando i prescritti termini di legge), per attendere l'adozione della (ostativa) variante, a sua volta inficiata da vizi di legittimità.

E' del resto da puntualizzare che - seppure il formalizzarsi del silenzio rifiuto non impedisce all'autorità amministrativa di provvedere negativamente sull'istanza - l'accertamento dell'inerzia può avere significativi riflessi sulla responsabilità risarcitoria - quando l'amministrazione non opponga e non documenti attendibili ragioni (es. di eccessivo carico di lavoro) che possano aver determinato il ritardo; quando poi quest'ultimo resti addirittura collegato ad una sorta di "attesa" dirimente di ius superveniens (incompatibile con la pendente istanza), la responsabilità assume di per sé connotati significativi, anche a prescindere dalla legittimità del passaggio normativo sopravvenuto; in questo senso restano di massima condivisibili le argomentazioni svolte dal ricorrente patrocinio sulla salvezza del suo diritto al risarcimento, pur nella subordinata ipotesi di soccombenza giudiziale (che avrebbe determinato la resistenza della impugnata variante speciale).

Più in generale, poi, non può che richiamarsi quanto già in precedenza osservato da questo Tribunale, secondo cui, in presenza di un atto (o comportamento) della P.A. inficiato da violazione di legge e/o da eccesso di potere, la condotta illegittima della medesima P.A. può non essere colposa (e quindi non caratterizzata da negligenza, imprudenza o imperizia o da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline), solo quando «si riscontri, nella fattispecie concreta, l'esistenza di particolari circostanze (equivocità o contraddittorietà della normativa di riferimento, contrastanti orientamenti giurisprudenziali, novità delle questioni) che abbiano contribuito in misura determinante a condizionare negativamente l'operato dell'amministrazione» (T.A.R. Lombardia - sez. III, n. 5049 del 23.12.1999; cfr. anche sez. III, n. 4070 del 29.11.1999).

Tale situazione di incertezza non è ravvisabile nel caso di specie, mancando quelle esimenti peculiarità sopra puntualizzate, con conseguente responsabilità risarcitoria del Comune intimato.

Il Collegio ritiene pertanto che il danno risarcibile debba essere posto a carico dell'amministrazione e liquidato, con criterio equitativo e presuntivo, nella misura che le parti stabiliranno con successivo accordo ex art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998, tenendo conto del mancato reddito dell'edificio, in attesa della definizione del procedimento di rilascio della concessione edilizia che prevede le nuove destinazioni d'uso.

Le spese relative ai due riuniti gravami sono poste a favore della ricorrente comunione immobiliare, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P. Q. M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Milano - sez. II, definitivamente pronunciandosi sui ricorsi numero 4799/98 e n. 3102/99, in parte dichiara inammissibile ed in parte accoglie il ricorso n. 4799/98 ed accoglie il ricorso n. 3102/99, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Spese a carico del Comune, liquidate in complessive lire 6.000.000 (seimilioni). Ordina che la presente decisione venga eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano, alla camera di consiglio dell'8 marzo 2000, con intervento dei signori:

dott. A. Leo Presidente - dott. D. Giordano Consigliere - dott. P. Passoni Estensore