LAVORI PUBBLICI - 004

Il problema della documentabilità della certificazione di qualità

Studio Lino Bellagamba in Jesi

La certificazione di qualità non è sostituibile con autodichiarazione.

Già l’art. 10, comma 1, del d.P.R. 403/1998 stabiliva un’eccezione al principio di generale autocertificabilità: non sono sostituibili i certificati “di conformità Ce”. L’art. 49, comma 1, del T.U. approvato con d.P.R. 445/2000 ha mantenuto tale limite ([1]).

Ora, si potrebbe anche convenire che i certificati CE si riferiscano anzitutto ai prodotti anziché all’impresa concorrente. E si potrebbe anche convenire sul fatto che i “limiti di utilizzo delle misure di semplificazione” di cui all’art. 49 del T.U. non siano estensibili analogicamente ad ipotesi non puntualmente previste.

Quanto predetto non toglie, tuttavia, che la medesima ratio di non autocertificabilità vada con certezza di diritto estesa anche alla certificazione di qualità in senso proprio. Ciò, non tanto perché sia nell’uno sia nell’altro caso si è in presenza di normativa tecnica europea, quanto per il motivo fondamentale e decisivo che l’autocertificazione può avere valenza giuridica di sostituzione di certificazione soltanto se quest’ultima sia di carattere pubblico-amministrativo.

La certificazione di qualità viene rilasciata da soggetti di diritto privato i quali, in caso di verifica d’ufficio da parte della stazione appaltante procedente, non sono tenuti affatto a produrre la certificazione di qualità (obbligo che invece avrebbero se potessero considerarsi pubbliche Amministrazioni certificanti).

Il principio ora affermato implica che il soggetto privato non possa neanche autocertificare la conformità all’originale della certificazione di qualità di cui sia in possesso. Infatti, l’art. 19 del T.U. stabilisce che “la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (…) può riguardare anche il fatto che la copia di un atto o di un documento” è conforme “all’originale”, soltanto qualora quest’ultimo sia “conservato o rilasciato da una pubblica amministrazione”.

In ipotesi allora, la stazione appaltante potrebbe anche stabilire in bando – senza peraltro averne assolutamente alcun obbligo – di far autocertificare la certificazione di qualità, ma precisando (come per le dichiarazioni bancarie nell’appalto di forniture e servizi) che, in caso di verifica d’ufficio, sarebbe il soggetto verificando stesso a dover esibire il certificato in originale o in copia conforme autenticata da pubblico ufficiale.

Anche la Funzione Pubblica è dell’opinione della non autocertificabilità:

“Si condivide quanto espresso nella lettera prot. 76946/99 della Provincia di Ancona (…). Infatti ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 403/98 non è possibile sostituire con una propria dichiarazione i certificati di conformità CE, quindi anche la certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee” (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, 22 marzo 2000, prot. 8875).

La sentenza del T.A.R. di Brescia, nei suoi esatti contorni.

È da menzionare il T.A.R. Lombardia, Sezione di Brescia, il quale, con Decreto cautelare presidenziale 28 marzo 2001, n. 265 aveva stabilito che, “in difetto di (…) certificazione” di qualità, la stessa “poteva e doveva essere tratta (…) dalla stessa carta intestata”. Attenzione, però.

Si afferma anche che rimane impregiudicata la questione dell’”eventuale successiva dimostrazione del suo effettivo possesso”. In definitiva, sulla base della carta intestata si doveva ammettere l’impresa con riserva di regolarizzazione documentale del requisito, e non escluderla perché la polizza presentata non era capiente.

La sentenza nel merito del medesimo T.A.R. (6 aprile 2001, n. 226) ha riconfermato il principio di obbligo per la stazione appaltante di far regolarizzare la carenza documentale. “Ove si fosse profilato un ragionevole dubbio, ben avrebbe potuto essere richiesto un definitivo chiarimento alla medesima impresa”, tanto più se si considera – e questo è un punto decisivo – che “né il bando di gara né la lettera di invito prescrivevano la presentazione di alcuna particolare documentazione”.

Di qui, però, ad affermare il principio di diritto sostanziale che la carta intestata con il logo della certificazione di qualità equivalga a documentazione piena del possesso del requisito, ce ne passa. E infatti tale principio non è affatto affermato dall’organo giurisdizionale. Né, ci sia consentito, sarebbe affermabile.

Ciò che non convince nella sentenza è invece la definizione del rapporto di strumentalità rispetto a fine, fra diritto da documentarsi (riduzione della polizza al 50%) e requisito da addursi a comprova (possesso della certificazione di qualità). Non è tanto il primo che deve far presumere il secondo, ma è il secondo che deve servire a legittimare il primo. Il collegio ha ritenuto, invece, che “l’eventuale dichiarazione del possesso della ridetta certificazione poteva e doveva evincersi in via implicita, ma sicura dalla stessa attestazione della somma versata dalla ricorrente per la partecipazione alla gara”.

Peraltro, “l’ente appaltante non può escludere l’impresa che abbia prodotto una fideiussione” non conforme a norma, “atteso che la presentazione di tale fideiussione costituisce un’irregolarità formale che, su invito dell’amministrazione, l’impresa può sanare presentando una valida cauzione” (Cons. Stato, IV, 3 aprile 2001, n. 1927, in Edilizia e Territorio, 2001, 16).

La disapplicabilità del principio di non autocertificabilità nell’appalto di servizio di valore comunitario.

L’eccezione va disapplicata nell’appalto di servizi sopra-soglia.

In ordine alla certificazione di qualità è da evidenziare l’ultima parte dell’art. 33 della Direttiva 92/50 (cfr. anche comma 4 dell’art. 14 del decreto legislativo n. 157/1995). Le Amministrazioni aggiudicatrici sono tenute ad ammettere altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità qualora il concorrente non abbia accesso a tali certificati o non possa ottenerli nei termini richiesti. Sicuramente, va detto, un’autocertificazione rientra fra le “altre prove” ammissibili.

Va esplicitato, però, che nell’ordinamento italiano si pone il problema di accettare o meno l’autocertificazione in quanto (come si è detto) “i certificati (…) di conformità CE (…) non possono essere sostituiti da altro documento” (art. 49, comma 1, del T.U.).

In tal caso, in presenza dei motivi previsti, va disapplicata in appalto sopra soglia la norma interna, in quanto incompatibile con il principio comunitario. Altrimenti, per una questione di par condicio di carattere documentale, ne risulterebbe svantaggiato il concorrente italiano di fronte a quello di altro Paese UE, che ben potrebbe rilasciare “dichiarazione solenne” in quanto per lui il divieto autocertificatorio non si applicherebbe.

Peraltro, l’ultima parte del comma 1 dell’art. 49 del T.U. aggiunge che sono fatte salve “diverse disposizioni della normativa di settore”.

 

([1]) Cfr. Lino Bellagamba, La gara d’appalto – Autocertificazione e semplificazione, Milano, 2001, III edizione, 105-106 e 160.