LAVORI PUBBLICI - 003

AUTODICHIARAZIONI NELLE PROCEDURE DI APPALTO. 
SEMPLIFICAZIONE O BANALIZZAZIONE AMMINISTRATIVA ?

(note a margine del decreto presidenziale T.A.R. Brescia, 28 marzo 2001, n. 265)

Il decreto presidenziale 28 marzo 2001, n. 265 del T.A.R. Lombardia-Brescia in merito alla possibilità di ammettere con riserva una ditta appaltatrice che ha presentato la cauzione provvisoria ridotta del 50% in base alla semplice presenza del logo della certificazione ISO 9000 nella propria carta intestata, deve portare a riflettere sul sistema complessivo delle verifiche sulle imprese partecipanti alle gare d'appalto e sulle conseguenze derivanti dall'applicazione dei principi sulla semplificazione amministrativa.

Prima, però, di procedere all'analisi, occorre rilevare come il decreto presidenziale abbia interpretato in senso nettamente evolutivo il principio di semplificazione contenuto nel d.P.R. n. 445 del 2000. Il testo unico sulla documentazione amministrativa, infatti, consente in via generale ai soggetti di sostituire i certificati o mediante il ricorso alle dichiarazioni sostitutive di certificazioni di cui all'articolo 46, oppure attraverso le dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà, regolamentate dall'articolo 47. Queste ultime possono essere utilizzate quando si tratti di dichiarare fatti, stati o qualità personali non attestabili dalle certificazioni definitivamente sostituibili attraverso le dichiarazioni di cui all'articolo 46.

Nello specifico caso della certificazione Iso 9000, l'elencazione dell'articolo 46, da ritenersi (sia pure relativamente) tassativa non riporta alcuna dichiarazione definitivamente sostitutiva del certificato di conformità. E la motivazione di ciò appare abbastanza chiara: non si tratta, infatti, di un certificato rilasciato da una pubblica amministrazione.

Pertanto, la certificazione Iso 9000 potrebbe rientrare nell'ambito dell'attestazione di un fatto personale dichiarabile ai sensi dell'articolo 47del d.P.R. n. 445 del 2000, relativo a situazioni che siano a diretta conoscenza dell'interessato, sicché non è necessario siano ricavabili da dati conservati presso archivi di amministrazioni pubbliche.

C'è, tuttavia, da chiedersi se nel caso di specie la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (Dsan) relativa alla certificazione ISO 9000 possa rientrare, o meno, nei limiti di utilizzo delle misure di semplificazione previsti dall'articolo 49 del d.P.R. n. 445 del 2000, il cui comma 1 così dispone: “i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore”.

Occorre domandarsi, allora, se questa elencazione sia da considerare tassativa, come lascerebbe intendere il principio generale della sostituibilità dei certificati con le dichiarazioni, immanente al d.P.R. n. 445 del 2000, o se possa considerarsi non tassativo, nei termini che di seguito si suggeriscono.

L'articolo 49 fa certamente riferimento a fatti personali, che il legislatore ha sottratto alla possibilità di autodichiarare dato il loro particolare rilievo rispetto alla fede pubblica. Lo stato di salute o la protezione giuridica derivante da un brevetto non sono stati considerati, correttamente, sostituibili da una dichiarazione proveniente dal soggetto interessato, che potrebbe avere tutto l'interesse a nascondere o mistificare la propria situazione di salute (si pensi alle richieste di benefici economici relativi, o alle richieste di assicurazioni sulla vita) o ad assicurare il possesso di un marchio o brevetto. Appare del tutto evidente la necessità che simili fatti continuino ad essere certificati da soggetti particolarmente qualificati anche dal punto di vista tecnico, e non dal diretto soggetto interessato.

Ora, il possesso della certificazione Iso 9000, pur non essendo la stessa cosa della conformità CE, vi si avvicina moltissimo. Cambiando per un attimo prospettiva, l'articolo 13 del decreto legislativo n. 358 del 1992 consente alle amministrazioni, nelle gare per l'affidamento di forniture pubbliche, di chiedere alle imprese partecipanti la dimostrazione della propria capacità finanziaria ed economica attraverso “idonee dichiarazioni bancarie”. Anch'esse, come la certificazione ISO 9000, non sono menzionate dall'articolo 49, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000. Ciò significa che con una Dsan le ditte appaltatrici possono dichiarare da sé la propria capacità economica e finanziaria, senza l'intervento di un soggetto terzo che lo attesti?

Con le Dsan in teoria è possibile attestare tutto alle pubbliche amministrazioni. Ma bisogna capire se la possibilità di certificare con le dichiarazioni sostitutive tutto, sia compatibile con le regole disposte dalle normative speciali che riguardano gli appalti, il cui scopo consiste nel permettere alle amministrazioni di selezionare le imprese che diano il maggiore affidamento possibile sia dal punto di vista morale, sia dal punto di vista economico finanziario e tecnico amministrativo, anche per rispondere al principio secondo il quale le ditte non in possesso dei necessari requisiti non solo non possono stipulare contratti con la pubblica amministrazione, ma non possono nemmeno partecipare alle gare per l'individuazione del contraente (vedi articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994, o l'articolo 11 del decreto legislativo n. 358 del 1992).

Se è vero che la prova del possesso dei requisiti di moralità e tecnico-economici va fornita ai fini della partecipazione alle gare, la conseguenza dovrebbe consistere necessariamente nella necessità di fornire prove definitive del possesso di detti requisiti prima dell'apertura delle buste. Dette prove dovrebbero poter essere sostituite dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47 solo nei limiti in cui detti articoli possono operare, e non oltre. Giacché, se si ritenesse che la semplificazione permette di autodichiarare in modo definitivo ogni cosa, allora sembra davvero inutile il deleterio sistema di verifica di cui all'articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994, che per altro, essendo effettuato a campione, ha delle influenze estremamente negative sulla par condicio tra le ditte, poiché non è in grado di individuare tutte le possibili imprese carenti della qualificazione necessaria ai fini, si ripete, della partecipazione alla gara, incidendo così in modo decisivo sulla formazione delle medie delle offerte, ai fini della determinazione della soglia di anomalia dell'offerta e addirittura dell'esclusione automatica delle offerte nelle gare sotto soglia.

Tornando al caso esaminato dal T.A.R. Lombardia-Brescia, si è in presenza della decisione di ammettere con riserva un'impresa non in base alle dichiarazioni sostitutive presentate in base alle normativa vigente, ma per effetto della semplice stampigliatura del logo o marchio, riportante la dicitura che l'impresa è in possesso della certificazione ISO 9000, nella carta intestata, senza, dunque, la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.

Evidentemente il T.A.R. ha considerato che la carta intestata di per sé consista in una dichiarazione sostitutiva di fatti, stati e qualità personali con efficacia giuridicamente rilevante. In questo senso, la decisione del tribunale si pone in senso decisamente evolutivo, lungo la linea della semplificazione dei rapporti tra amministrazione e cittadini, rispondendo all'esigenza di tutelare il più possibile il principio della partecipazione più estesa possibile delle imprese nelle gare d'appalto.

La decisione testimonia dell'estendersi della concezione secondo la quale al privato è consentito sostituire ogni certificato anche con le modalità meno formali possibili, trasferendo nella pubblica amministrazione qualsiasi correlato compito di verifica successiva.

Lo spunto evolutivo suggerito dal T.A.R., tuttavia, non risolve il problema, che va sciolto dal legislatore e non dalla magistratura, del rapporto tra le norme sulla semplificazione amministrativa e le norme sulla qualificazione delle imprese, dal quale deriva il corto circuito che oggettivamente da più di un anno coinvolge il settore degli appalti pubblici.

Se, come le stesse disposizioni di legge stabiliscono, il possesso dei requisiti delle ditte va comprovato ai fini della partecipazione alle gare, come si concilia ciò con la possibilità di ammettere le imprese alle gare con riserva in base a qualsiasi dichiarazione o principio di prova, comunque ricavato (principio, questo, desumibile dal decreto del T.A.R. Brescia)?

Si dovrebbe, allora, ammettere in sostanza tutte le imprese in base alle dichiarazioni (in qualsiasi modo e forma formulate), e procedere ad una verifica d'ufficio prima per la fase di ammissione in merito ai requisiti morali, poi in merito ai requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, poi ancora in merito al possesso delle ulteriori qualità necessarie per la stipula del contratto, nei confronti della ditta aggiudicataria.

In sostanza, le gare, la cui durata è stata dilatata in termini inaccettabili già per effetto del d.P.R. n. 34 del 2000 e dell'articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994, dovrebbero durare ancora di più (quanto non si sa), anche perché per le verifiche il termine di risposta a disposizione delle amministrazioni è di 30 giorni (altro che i 10 previsti dal più volte ricordato articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994).

L'applicazione dei principi della semplificazione amministrativa inevitabilmente travolge il sistema delle verifiche previsto dalla legislazione sugli appalti, nonostante la funzione delle verifiche abbia l'importantissimo scopo di impedire che con le pubbliche amministrazioni contrattino imprese non in grado di eseguire il lavori con la necessaria competenza, o, peggio, sotto il controllo della criminalità organizzata.

Allora, se la semplificazione deve prevalere (e questa può essere una legittima scelta di natura politica) occorre che il legislatore faccia uscire dall'equivoco amministrazioni, imprese e la stessa magistratura. Si è in presenza di una sostanziale disapplicazione di fatto dei sistemi di controllo previsti dagli articoli 10, comma 1-quater, e 21, comma 1-bis, della legge n. 109 del 1994, nonché 75 del d.P.R. n. 554 del 1999, giustificata dalla semplificazione amministrativa. Se è vero che la semplificazione deve prevalere, allora, perché dalla semplificazione non si decada nella banalizzazione di un sistema nel quale deve andare bene tutto, ancorché le norme non dicano espressamente questo, bisogna risolvere l'ipocrisia e cancellare le norme sopra indicate, con una chiara presa di posizione. I controlli si effettuino solo a valle, nei confronti della ditta aggiudicataria, prima della stipula del contratto o nelle more, salvo decadenza.

Il sistema della qualificazione morale o tecnica in fase di gara, previsto dal combinato disposto delle norme citate e dal d.P.R. n. 34 del 2000 è più vicino al fallimento che non al raggiungimento dell'obiettivo, soprattutto ora che il bene della semplificazione pare prevalere sul bene dell'accertamento preventivo delle qualità delle imprese.

Sembra inutile, allora, proseguire lungo una strada che porta ad una conflittualità elevatissima tra amministrazioni ed imprese e ad una complicazione estrema delle procedure di gara. Se il sistema degli appalti è maturo per voltare pagina, si abbandoni l'esigenza della qualificazione delle imprese in fase di gara: aumenta il rischio di contatti tra pubblica amministrazione ed imprese inefficienti o influenzata dalla criminalità, ma aumenta il beneficio della snellezza amministrativa e procedurale.

Ma questa snellezza non può operare solo nel senso che tutto è autocertificabile e tutto va, tuttavia, controllato a posteriori da parte delle amministrazioni. Occorre capire che gli enti appaltanti hanno un programma delle opere pubbliche da rispettare, che non lascia il tempo necessario per operare come un'agenzia di investigazioni private.

Ben venga, allora, l'interpretazione del T.A.R. Lombardia-Brescia, ma nell'ambito di un sistema normativo diverso. Si consenta, allora, alle imprese di indicare nella propria carta intestata tutte le qualità richieste dalle leggi, ed alle amministrazioni di procedere alle verifiche solo riguardo alla ditta aggiudicataria, rinunciando anche alla prequalificazione nelle licitazioni (del resto la carta intestata supera tutto). Si farebbe prima, con risparmio di tempo e denaro da parte di tutti.

Luigi Oliveri