AFFARI ISTITUZIONALI - 069
Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la Sicilia, 13 gennaio 2009, n. 01/A/2009
I pareri di regolarità dei responsabili dei servizi tecnici e finanziari dei comuni legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali sono richiesti. Tuttavia non possono interferire sull’autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all’organo deliberante al quale spetta la ponderazione concreta e corretta dei pubblici interessi al di là dei pareri resi sulla proposta che non possono influire sulla competenza a provvedere spettante all'organo collegiale e non già agli  uffici

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA

Composta da

Dott. Antonino Sancetta, Presidente
Dott. Salvatore Cilia, Consigliere
Dott. Giuseppe Cozzo, Consigliere
Dott. Luciana Savagnone, Consigliere
Dott. Mariano Grillo, Consigliere

ha adottato la seguente sentenza

Sui ricorsi in appello in materia di responsabilità amministrativa, iscritti ai numeri 1777 resp. e 1801 resp. del registro di segreteria, presentati dai signori D.G.R., elettivamente domiciliato, insieme al suo difensore avvocato G.L., in P... e dal signor M.G. elettivamente domiciliato, insieme al suo difensore avvocato F.G., in ... per la riforma della sentenza n. 1712/2005 dell’8.7.2005 emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana, e nei confronti dei signori M.M., S.D., M.F., G.D., M.G., S.V., S.R., T.D., L.M., M.S.

Uditi nella camera di consiglio del 21 ottobre 2008 ... ed il vice procuratore generale Salvatore Marcinnò per il Pubblico Ministero.

Visti tutti gli atti della causa.

FATTO

A seguito di giudizio penale definito con sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 2953 dell’1.9.1999, che proscioglieva il signor V.B. e i signori T.F. e C.M. – rispettivamente ex segretario comunale, ex assessore ed ex sindaco del Comune di C. – dal delitto di truffa, mentre per l’imputazione di tentativo di abuso d’ufficio dichiarava la prescrizione maturata in corso di processo, il Consiglio di quel Comune con delibera n. 65 del 12.9.2001 riconosceva il debito fuori bilancio per il rimborso delle spese legali sostenute dai predetti, ritenendo che la sentenza della Suprema Corte fosse a contenuto favorevole agli imputati.

Il Procuratore regionale considerava non sussistenti le condizioni previste dalla disciplina vigente in materia di rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti pubblici coinvolti in giudizio civile, penale, amministrativo e contabile e imputava la responsabilità del danno di 111.485,00 euro ai componenti del Consiglio che avevano adottato la suddetta delibera ed al rag. D.G.R. che aveva espresso il parere di regolarità tecnica. A seguito dell’ordinanza n. 391 del 2004, la Procura regionale estendeva la domanda anche nei confronti di M.G. che aveva reso il parere di regolarità contabile sulla legalità della spesa.

La sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione siciliana, con sentenza n. 1712 del 2005, resa in prima istanza, mandava assolti per assenza di dolo e colpa grave i componenti del consiglio comunale, mentre dichiarava la responsabilità dei signori D.G.R. e M.G.; determinava il danno risarcibile nella misura del 25% di quello contestato e condannava in solido i convenuti al pagamento in favore del comune di C. della somma di 27.871,25 euro, oltre rivalutazione monetaria dalla data dell’esborso sino alla pubblicazione della sentenza, agli interessi legali sulle somme rivalutate, da questa ultima data sino al soddisfo ed alle spese del giudizio in favore dello Stato che liquidava in complessivi euro 398,50.

Il Giudice di primo grado ha affermato che il rimborso – delle spese sostenute per la difesa in sede penale - è radicalmente illegittimo e del tutto illogico, e che tanto si trae dal contenuto stesso della sentenza della Cassazione, la quale ha confermato le statuizioni civili della sentenza cassata, senza rinvio, relativamente al capo di cui al reato ex art. 640 bis c.p. (nel quale era stata dichiarata assorbita l'imputazione per il 640 c.c.) per non aver commesso il fatto e relativamente al capo di cui al reato ex art. 323 per intervenuta prescrizione.

Ha quindi ritenuto la delibera di riconoscimento di debito fuori bilancio con rifusione delle spese processuali illecita oltre che illegittima e l'esborso così effettuato costituente danno erariale. Ha ricondotto il danno alla responsabilità amministrativa, a titolo di dolo contrattuale o “in adimplendo”, di D.G.R. e M.G. ai quali addebita, nella rispettiva qualità di responsabile del parere di regolarità tecnica e del parere di regolarità contabile di non avere rilevato, per il bagaglio professionale posseduto, l'assoluta illiceità della proposta di deliberazione, e non avere indirizzato il Consiglio comunale verso una determinazione negativa, ritenendo pienamente assolutoria una sentenza che, invece, era tutt’altro, individuando in ciò una cosciente violazione dei doveri d'ufficio.

In conclusione, ritenendo comunque il concorso dei consiglieri comunali alla causazione del danno, sia pure in assenza di dolo o colpa grave, ha condannato i funzionari predetti alla rifusione del 25% del danno con vincolo di solidarietà, con rivalutazione monetaria ed interessi legali, disponendo che eventuali recuperi, già effettuati a seguito di spontanei versamenti effettuati dagli originari beneficiari della delibera consiliare in questione, vadano imputati in sede di esecuzione per il 75% alla quota di danno riferibile all’azione dei consiglieri comunali.

Avverso tale sentenza il signor D.G.R., difeso dall’avvocato G.L., e M.G., difeso dall’avvocato F.G., con separati appelli chiedono il proscioglimento per infondatezza della domanda, evocando in giudizio anche i consiglieri comunali assolti in primo grado.

Il primo ricorrente denuncia vizi della suddetta sentenza relativi alla misura del danno, deducendone poi la inesistenza; quindi eccepisce la mancanza del dolo e della colpa grave atteso che l’esito della sentenza della Cassazione ribaltava completamente quello di secondo grado, con conseguente proscioglimento senza rinvio, avendo il convenuto preso atto che la pronuncia della suprema corte si era limitata al proscioglimento degli ex amministratori e segretario comunale perché il fatto non sussiste e per intervenuta prescrizione, quindi, di assoluzione piena. (v. 531 e 129 c.p.p. per equiparazione delle due pronunce ex art. 530 c.p.p.).

Eccepisce infine che un parere tecnico non comporta una valutazione di legittimità dell’atto in riferimento all’oggetto della delibera, e che il solo parere tecnico non è sufficiente per il verificarsi del danno erariale essendo “condicio sine qua non” la condotta del consiglio comunale.

Conclusivamente chiede il proscioglimento da ogni addebito.

Propone appello anche il signor M.G. che censura la sentenza per la errata interpretazione e falsa applicazione delle norme di cui alle leggi n. 127 del 15.9.1997, n. 265 del 3.8.1999 e n. 267 del 18.8.2000. Afferma che il visto di regolarità contabile da parte del responsabile non interviene ad integrare la volontà già espressa dall’organo, che in nessun caso è demandato a tale parere la disamina dell’atto deliberativo né sotto un profilo di merito, né sotto un profilo di legittimità e non è comunque vincolante.

In conclusione chiede che in riforma della sentenza impugnata e che sia dichiarata la mancanza dei presupposti di fatto e diritto della responsabilità e di mandarlo assolto.

Con atto del 31 gennaio 2006 si costituiva M.F. – in quanto evocato in giudizio - con la difesa dell’avvocato M.B.M. che eccepiva il difetto di legittimazione attiva e passiva “ad causam”, oltre alla pregiudiziale della introdotta “mutatio libelli” da parte dell’appellante M., chiedendo la conferma della sentenza assolutoria del Marino e la condanna dell’appellante stesso alle spese di diritti ed onorari, sostenute nel presente grado di giudizio. Analoghe ragioni e domande svolgeva nei confronti dell’altro appellante.

Con atto del 6 febbraio 2006 si costituiva S.R. con la difesa dell’avvocato G.L., che eccepiva l’inammissibilità della citazione in giudizio del deducente, chiedendo la conferma della sentenza assolutoria.

Nelle sue conclusioni la Procura generale chiedeva il rigetto degli appelli.

Con istanza in data 8.2.2006 gli appellanti congiuntamente dichiaravano di volersi avvalere della disposizione di cui all’art. 1, comma 231, della legge n. 266 del 23.12.2005 con la definizione del procedimento mediante il pagamento in solido del 10% della somma portata in condanna nella sentenza impugnata.

Riuniti i ricorsi gli atti erano rimessi alla Corte Costituzionale per il vaglio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 231, 232, 233 della legge n. 266 del 2005, intervenuto il quale e comunicata alle parti l’avvenuta pubblicazione della sentenza relativa, il Procuratore generale riassumeva il giudizio.

Con atto in data 29.2.2008 si è costituito il signor M.S., difeso dall’avvocato A.S., in quanto evocato in giudizio, che in via pregiudiziale ha eccepito il difetto di legittimazione attiva e passiva ad causam e non legittimata la parte privata ad interporre appello avverso il compartecipe assolto in primo grado ed argomentando nel merito ha chiesto la conferma della sentenza assolutoria con condanna dell’appellante alle spese, diritti ed onorari, sostenute nel presente grado di giudizio.

Con ordinanza n. 33 dell’ 8.4.2008 veniva respinta l’istanza di definizione agevolata e fissata la discussione del merito per l’odierna udienza.

All’udienza le parti hanno confermato le rispettive domande e ragioni in particolare l’avv. Lentini evidenzia che solo una pronuncia di condanna esclude il rimborso delle spese agli amministratori e che il D.G. ha espresso solo un parere tecnico e non di legittimità, mentre l’avv. G. si richiama alla memoria prodotta ed in particolare afferma che il parere di regolarità contabile non implica anche valutazione della legittimità dell’atto in generale e comunque non ha natura vincolante.

L’avvocato M. interviene per Marino Francesco e, su delega dell’avvocato S., per M.S. ed insiste per il difetto di legittimazione passiva di coloro che sono stati assolti in primo grado ed evocati nel presente giudizio.

Il Procuratore generale evidenzia che la pronuncia della Corte di Cassazione è significativa in quanto afferma che l’abuso di ufficio si è consumato anche se coperto dalla prescrizione e lascia integre le prescrizioni patrimoniali a favore del comune. In conclusione afferma che non potevano essere rimborsate le spese legali e chiede la conferma della sentenza appellata.

DIRITTO

IL giudice di primo grado ha posto a fondamento della decisione di condanna il fatto che i signori D.G.R. e M.G., nella rispettiva qualità di responsabile del parere di regolarità tecnica e del parere di regolarità contabile, non avevano rilevato, per il bagaglio professionale posseduto, l'assoluta illiceità della proposta di deliberazione di rimborso di spese legali (all’ex segretario comunale, all’ ex assessore ed all’ex sindaco del comune di C., interessati da un procedimento penale), ed ha dichiarato la loro responsabilità per non avere indirizzato il Consiglio comunale verso una determinazione negativa, ritenendo pienamente assolutoria una sentenza che, invece, era tutt’altro, e ha individuato in ciò una cosciente violazione dei doveri d'ufficio.

A tale prospettazione gli appellanti hanno opposto: - l’uno - che il parere tecnico non comporta una valutazione di legittimità dell’atto in riferimento all’oggetto della delibera, essendo un parere tecnico e non di legittimità, diversamente da quello che in precedenza veniva dato dal segretario comunale, e si limita ad attestare che l’atto corrisponde all’attività istruttoria compiuta, ai fatti acquisiti nell’attività istruttoria, che l’atto nella sua composizione formale corrisponde a quanto voluto dalla normativa sulla formazione della delibera nel suo aspetto estrinseco e non attesta nulla in ordine alla legittimità delle ragioni di merito che sottostanno al tipo di delibera adottata. In conclusione afferma che la volontà di procedere al rimborso delle spese legali e la valutazione della legittimità del rimborso medesimo è invece stata effettuata dal Consiglio Comunale, che ha ritenuto di dovere provvedere in tale senso e che è tale atto che ha fatto consumare il danno erariale, potendo il consiglio comunale approvare le delibere, anche disattendendo il relativo parere del funzionario; - l’altro - che nel visto (o parere) di regolarità contabile emesso dal responsabile del servizio finanziario, rientra la verifica della esatta imputazione della spesa al bilancio, la disponibilità finanziaria del capitolo sul quale la spesa viene imputata, nonché la regolarità, sotto l’aspetto economico e fiscale della proposta. In conclusione aggiunge che il parere in esame, seppure obbligatorio, non è vincolante e non interviene ad integrare la volontà dell’organo adottante.

I profili di appello delineati sono fondati.

Nella specie sia il responsabile dell’area tecnica che il responsabile dell’area economico finanziaria hanno espresso i pareri dovuti sulla delibera di riconoscimento di debito fuori bilancio secondo la delimitazione che a detti pareri sono conferiti dalla legge.

E tali limitazioni vanno individuate da un lato, nella verifica di legittimità, in linea tecnica, che la materia in deliberazione rientri nella effettiva competenza dell’organo deliberante e che sul piano della regolarità tecnico-amministrativa sussistono i presupposti di fatto che legittimano il ricorso ad una tale deliberazione a prescindere da ogni valutazione e sindacato nel merito degli atti prodromici che hanno resa necessaria l’assunzione della deliberazione, nella specie, di riconoscimento di debito fuori bilancio. Merito e ragioni le cui valutazioni appartengono esclusivamente all’ organo deliberante, libero di determinarsi in ordine alle stesse, non essendo il parere predetto vincolante per l’organo deliberante medesimo. A maggior ragione deve ritenersi non pertinente la pretesa di attribuire al responsabile dell’area economico-finanziaria valutazioni di legittimità generale, al quale, invece, spettano valutazioni solo riferite alla regolarità contabile, qualora, come nella specie, la deliberazione proposta comporti impegno di spesa o diminuzione di entrata.

Il richiamato parere di legittimità contenuto nell’art. 58, comma 4, lett. A) del regolamento sull’ordinamento del comune di C., nello stabilire che il parere in questione riguardi anche “la legalità della spesa”, va inteso nei termini sopradetti e, quindi solo con riferimento agli aspetti puramente contabili e finanziari e di validità formale.

La giurisprudenza, peraltro, è concorde nel ritenere che i pareri espressi dai responsabili dell’aerea tecnica e del servizio finanziario dei comuni costituiscono atti preparatori che legittimano l’adozione delle deliberazioni per le quali i pareri sono richiesti. Detti pareri, perciò, rispetto alla validità formale della medesime deliberazioni operano quale presupposto di diritto, ma non possono interferire sull’autonomo e corretto esercizio dei poteri spettanti all’organo deliberante; a questi spetta la ponderazione concreta e corretta dei pubblici interessi, al di là della mera relazione funzionale dei pareri stessi che sono resi "ex ante" sulla proposta di deliberazione e costituiscono il presupposto al corretto esercizio dei poteri amministrativi dell’organo deliberante, senza intervenire sulla volontà di questo nei casi in cui, come nella specie, la competenza a provvedere spetta allo stesso Consiglio comunale e non già ad altri uffici tecnici o amministrativi dell’amministrazione comunale (cfr. C. Conti Marche, sez. giurisdiz., 22/02/1994, n.1)

Poiché nel caso specifico la competenza ad adottare la delibera approvativa del debito fuori bilancio è di esclusiva pertinenza del Consiglio comunale, e che il parere del responsabile dell’area tecnica e del responsabile dell’ area economico finanziaria si sono correttamente ispirati, nei confini delle valutazioni tecniche e contabili attribuiti dall’ordinamento, alla verifica della positiva sussistenza dei presupposti legittimanti l’adozione della delibera n. 65 del 12.9.2001, il Collegio ritiene che, come espressamente intendono con la domanda gli appellanti, nessun nesso causale corre nella specie tra i pareri espressi nell’ambito della loro competenza dai signori D.G. e M.G. ed il dedotto danno erariale, che, pertanto, non è riconducibile alla loro responsabilità.

I signori D.G.R. e M.G., in riforma della sentenza appellata, vanno pertanto assolti.

Infine, per quanto riguarda l’eccezione di difetto di legittimazione attiva e passiva avanzata dai signori M.S., M.F. e S.R., gli stessi sostengono che la parte privata non è legittimata ad interporre appello avverso il compartecipe assolto in primo grado, spettando il potere di iniziativa processuale ai fini del perseguimento della responsabilità amministrativa in via esclusiva al Procuratore regionale e per l’appello anche al procuratore generale il che impedisce alla parte privata di emettere l’atto di chiamata in causa e di formulazione della domanda ed essendo insussistente in appello ogni forma di litisconsorzio necessario. Il signor S. in particolare evidenzia che nessun motivo

 l’impugnazione è stato avanzato nei confronti del capo dell’impugnata sentenza relativo all’assoluzione del deducente, unitamente ad altri consiglieri comunali, e nessuna richiesta di riforma della sentenza è stata formulata per tale capo della sentenza medesima.

I predetti in sostanza tutti sostengono l’inammissibilità dell’appello.

Il Collegio ritiene sia opportuno chiarire che nella pronuncia oggetto dell’odierno appello i  consiglieri del comune di C., fra cui i signori M.S., S.R. e M.F., sono stati assolti in ragione della circostanza che avrebbero pur sempre concorso alla produzione del danno, sia pure in assenza di dolo o colpa grave.

Ciò posto va precisato che nel giudizio di responsabilità amministrativa, che pur è caratterizzato dalla parziarietà, normalmente i singoli e distinti comportamenti degli eventuali compartecipi nella produzione dell'evento danno concorrono alla costituzione di un rapporto che, anche se non è unitario, tuttavia, in un vicenda processuale, in cui si controverte sull’esistenza, quantificazione e ripartizione del danno medesimo, impone la necessità di una valutazione unitaria dei singoli apporti causali. Orbene i ricorrenti hanno provveduto legittimamente a notificare il proprio appello anche ai predetti nella veste formale della citazione a giudizio, senza però avanzare nei loro confronti alcuna richiesta di condanna al risarcimento del danno in contestazione.

Tanto premesso, va rilevato che nel caso specifico la notificazione dell’appello ai compartecipi, assolti in primo grado per mancanza di colpa grave, non realizza un’ipotesi di “vocatio in jus” per integrare il contraddittorio, ma ha valore di una "litis denuntiatio" che, in quanto tale, da un lato non espone chi la effettua all'onere delle spese giudiziali e, dall’altro, non attribuisce veste di parte – e quindi di legittimati passivi - agli intimati, lasciandoli liberi di costituirsi o meno (cfr. Cass. civ. III 22.5.2003 n. 8054), tanto più se, come nella specie, nessuna motivazione né domanda è stata spiegata relativamente alla loro assoluzione.

Le eccezioni opposte dai signori M.S., M.F. e S.R. che sono intervenuti nell’attuale fase di gravame sono, pertanto, destituite di fondamento e va necessariamente  disattesa la censura d’inammissibilità dell’appello e dichiarato il non luogo a provvedere sulla richiesta di liquidazione delle spese processuali presentata dai signori M.S. e M.F., in quanto domanda che esula dall’oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa.

Va sospesa la pronuncia sulla liquidazione degli onorari e diritti spettanti ai difensori dei prosciolti, sino alla definizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, che impone la suddetta liquidazione, in relazione agli articoli 24, 103, comma 2, e 111, comma 2, della Costituzione, che è stata rimessa alla Corte costituzionale con ordinanza n. 98 di questa sezione depositata in data odierna.

P.Q.M.

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello dei signori D.G.R. e M.G. e, per l’effetto, annulla la sentenza appellata e li manda assolti dagli addebiti contestati.

Sospende per le ragioni espresse in motivazione la pronuncia sulla liquidazione degli onorari e diritti spettanti alla difesa dei prosciolti.

Così deciso in Palermo il 21 ottobre 2008.

L’ESTENSORE          IL PRESIDENTE

f.to (Mariano Grillo) f.to (Antonino Sancetta)