AFFARI ISTITUZIONALI - 024
T.A.R. Campania, Napoli, Sezione I, 7 dicembre 2001, n. 5301
I Consiglieri comunali non hanno alcun titolo di legittimazione ad impugnare le delibere dell'organo collegiale di cui fanno parte.
La giurisprudenza si è consolidata nel senso che ai componenti di un organo collegiale va riconosciuta la legittimazione ad impugnare la delibera del collegio di cui fanno parte nelle sole ipotesi in cui lamentino la lesione del loro munus - nel senso che incidano direttamente sulla loro sfera giuridica o sulla loro posizione all'interno del consesso ovvero ne modifichino la composizione ed il relativo funzionamento - in quanto soltanto in tali casi si qualificano come titolari di una situazione specifica e differenziata.
Ne consegue che l'impugnabilità delle deliberazioni collegiali da parte del componente dell'organo non è mai ammessa per motivi attinenti in via esclusiva al contenuto intrinseco della deliberazione mentre per i vizi del procedimento solo allorché incidano sulla loro posizione giuridica.
(in termini: T.A.R. Lombardia, Brescia, 14 maggio 2002, n. 857).

REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
Napoli (sezione I.a) composto da:

Giancarlo Coraggio, Presidente
Angelo Scafuri, Consigliere rel.est.
Arcangelo Monaciliuni, primo Referendario

ha pronunciato la seguente SENTENZA

sul ricorso n. 314/2001 R.G.,proposto da M.N., G.A., L.A., A.C., M.C., F.R. e A.S., rappresentati e difesi dagli avv.ti A.D'A. e G. P., presso il cui studio sono elettivamente domiciliati;

contro

il Comune di Marigliano,in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio con il patrocinio dell'avv. G.M., presso il cui studio è elettivamente domiciliato;
e nei confronti del Co.Re.Co. di Napoli (n.c.);
per l'annullamento della delibera del Consiglio Comunale n. 54 del 17.11.2000 e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, con particolare riferimento alla diffida del Co.Re.Co. adottata il 6.11.2000 verbale n. 84;

VISTO il ricorso, notificato in data 4-5 gennaio 2001 e depositato in data 12 gennaio 2001, con i relativi allegati;
VISTO gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato;
VISTO le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive pretese;
VISTO gli atti tutti di causa;
Alla pubblica udienza del 13 giugno 2001 relatore il Cons. Scafuri e presenti gli avvocati di cui al relativo verbale;

RITENUTO e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

I ricorrenti - consiglieri comunali di minoranza - si dolgono della determinazione consiliare avente ad oggetto la salvaguardia degli equilibri di bilancio.

A sostegno del gravame deducono l'illegittimità del provvedimento del Co.Re.Co. - per violazione degli articoli 136, 141, 151 e 193 del Testo Unico degli Enti Locali, in quanto l'organo tutorio ha concesso, dopo la diffida ad approvare la delibera di salvaguardia, l'ulteriore termine di venti giorni mentre avrebbe dovuto subito nominare il commissario ad acta - e quella della delibera del Consiglio Comunale - sia per l'omessa trasmissione all'organo di controllo nel termine perentorio stabilito dall'art. 134 T.U.E.L. sia per la sua tardiva adozione in violazione dell'art. 193 T.U.E.L. n. 267/2000 sia per la mancanza del previo riconoscimento dei debiti fuori bilancio in violazione degli artt. 193 e 194 del ripetuto T.U.E.L.

L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha resistito al ricorso.

L'istanza cautelare è stata respinta (ord. n. 527/2001).Alla pubblica udienza del 13 giugno 2001 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

I ricorrenti - consiglieri comunali di minoranza - si dolgono della delibera di approvazione dei “risultati della ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi e l'annessa verifica sul perdurare degli equilibri finanziari, in base alle risultanze contenute nella relazione istruttoria ..avente ad oggetto la salvaguardia e gli equilibri di bilancio e la verifica di attuazione programmi 2000”.

Si tratta di un atto proprio del consesso di cui fanno parte, previsto dalla legge mediante ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi in ossequio al principio del rispetto del mantenimento del pareggio di bilancio durante il corso della gestione.

Orbene per pacifica risalente giurisprudenza i componenti del Consiglio Comunale non hanno alcun titolo di legittimazione ad impugnare le delibere dell'organo collegiale di cui fanno parte, rivestendo una posizione differenziata e qualificata solo in ordine all'impugnazione di atti ritenuti lesivi delle competenze dell'organo medesimo.

Unica eccezione si ha allorché gli atti collegiali li riguardino personalmente, cioè siano destinati ad incidere negativamente sulla posizione giuridica ad essi spettanti nella detta qualità, nel qual caso hanno legittimazione a tutelare le loro attribuzioni e prerogative (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 383 del 25 maggio 1993).
In definitiva la giurisprudenza si è consolidata nel senso che ai componenti di un organo collegiale va riconosciuta la legittimazione ad impugnare la delibera del collegio di cui fanno parte nelle sole ipotesi in cui lamentino la lesione del loro “munus” - nel senso che incidano direttamente sulla loro sfera giuridica o sulla loro posizione all'interno del consesso ovvero ne modifichino la composizione ed il relativo funzionamento - in quanto soltanto in tali casi si qualificano come titolari di una situazione specifica e differenziata.
Ne consegue che l'impugnabilità delle deliberazioni collegiali da parte del componente dell'organo non è mai ammessa per motivi attinenti in via esclusiva al contenuto intrinseco della deliberazione mentre per i vizi del procedimento solo allorché incidano sulla loro posizione giuridica.
Nella specie non è dato ravvisare alcuna delle ipotesi suddette, atteso che, come riportato in narrativa, le doglianze di parte si appuntano primariamente sul contenuto della delibera adottata dal Consiglio Comunale.
Del pari le pure dedotte violazioni delle norme attinenti al procedimento, ivi compreso la fase del controllo, non configurano le suindicate ipotesi di vizi da cui consegua l'impossibilità di svolgere regolarmente l'ufficio di componente dell'organo per le quali è consentita l'impugnazione.

Ma anche a voler dar rilievo a tali censure formali, la conclusione non muterebbe.

Invero la doglianza inerente l'inosservanza del termine perentorio per l'adozione della delibera è inammissibile perché i ricorrenti vi hanno prestato acquiescenza mediante partecipazione alla successiva seduta mentre per l'omessa tempestiva trasmissione all'organo di controllo si tratta di ritardi burocratici al di fuori dell'iter di formazione dell'atto.
Del pari non può condividersi la censura inerente l'atto di controllo per non aver disposto subito in via sostitutiva, atteso che nulla impediva all'organo tutorio di rinnovare la diffida rimasta inevasa, in relazione alla natura del termine onde trattasi, che non può ritenersi perentorio proprio in virtù della funzione sollecitatoria che lo stesso è finalizzato ad assolvere.
La citata consolidata giurisprudenza deve essere seguita anche a voler prestare maggiore sensibilità alle esigenze di tutela giurisdizionale, a compensazione dell'indirizzo legislativo ispirato a sempre minori forme di controllo degli atti degli enti locali.
Il singolo componente non ha una funzione di controllo sulle modalità e sul risultato dell'azione collegiale e l'eventuale contrasto tra il singolo consigliere ed il collegio amministrativo di cui fa parte non può essere risolto prescindendo dalla volontà del collegio medesimo.

Il singolo consigliere può esercitare i suoi diritti nel corso del procedimento di formazione della delibera e soltanto durante la seduta; fuori ed oltre la seduta egli non gode di quei diritti che sono attinenti all'ufficio, tranne la qualifica che gli deriva dall'ufficio stesso, ad eccezione dei diritti che spettano personalmente al componente (ad esempio il diritto di parola e di dissenso).
In realtà la disciplina dei collegi amministrativi è diversa da quella dei collegi privati in ragione dell'interesse pubblico che è sotteso alle deliberazioni dei primi.
Nei collegi di diritto privato l'oggetto delle deliberazioni si riferisce ad una cosa comune - cioè ad una cosa di tutti i soci, allo stesso tempo componenti del collegio - nei collegi amministrativi invece i componenti non deliberano su cose proprie ma su un interesse pubblico, che li trascende, per cui se ad ogni componente venisse riconosciuto il potere di impugnare le deliberazioni alle quali sia rimasto estraneo ovvero dalle quali sia rimasto dissenziente od in minoranza si determinerebbe la paralisi di ogni organo collegiale amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, n. 358 del 31 gennaio 2001).Sussistono i motivi per disporre la compensazione delle spese di causa.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - sede di Napoli, sez. I,

DICHIARA INAMMISSIBILE 

per difetto di legittimazione attiva il ricorso in epigrafe proposto da Michele Nappi e gli altri soggetti pure in epigrafe indicati.

Le spese del giudizio sono compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio del 13 giugno e del 12 luglio 2001.

IL PRESIDENTE: Giancarlo Coraggio
IL CONSIGLIERE estensore: Angelo Scafuri
PRIMO REFERENDARIO: Arcangelo Monaciliuni

AFFARI ISTITUZIONALI - 024-bis
T.A.R. Lombardia, Brescia, 14 maggio 2002, n. 857
Idem c.s. Consiglieri comunali non hanno alcun titolo di legittimazione ad impugnare le delibere dell'organo collegiale di cui fanno parte.
(Nel caso di specie il consigliere contestava la legittimità delle deliberazioni di adozione e approvazione di varianti al P.R.G. lamentando la violazione sostanziale e procedurale degli articoli 2 e 3 della legge regionale Lombardia n. 23 del 1997).

REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia - Sezione staccata di Brescia

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1573 del 1998 proposto da C.M. rappresentato e difeso dall’Avv. M.B. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Brescia ...

contro

il Comune di CALCINATO in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. G.B. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Brescia, ...

per l'annullamento

delle deliberazioni del Consiglio comunale di Calcinato 10.6.1998 n. 59, di adozione variante al P.R.G. vigente, 25.9.1998 n. 89, contenente esame osservazioni e controdeduzioni alla variante al P.R.G. vigente, 9.10.1998 n. 104, integrativa della deliberazione n. 89/1998.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Designata quale relatore, alla pubblica udienza dell’8.1.2002, la dott.ssa Rita Tricarico;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO

Al momento della presentazione del ricorso in epigrafe il ricorrente era consigliere del Comune di Calcinato, in rappresentanza del Gruppo politico denominato “Linea indipendente”.
In tale sua qualità ha partecipato alle sedute consiliari che hanno condotto all’approvazione della variante al Piano regolatore generale del Comune resistente, secondo la procedura semplificata di cui alla L.r. 23.6.1997, n. 23.
Come lo stesso ricorrente afferma espressamente nel ricorso e secondo quanto si evince, d’altra parte, dalle deliberazioni qui gravate, egli ha manifestato il proprio voto contrario nelle sedute cui si fa riferimento.

Le deliberazioni rispettivamente di adozione della variante, di esame delle osservazioni alla proposta di variante nonché di approvazione in via definitiva della stessa ed, infine, di rettifica di errore materiale della delibera di adozione, indicate in epigrafe, sono state impugnate con l’odierno ricorso per i seguenti motivi di diritto:

1) violazione di legge per errata e falsa applicazione dell’art. 2 della L.r. 23.6.1997, n. 23 - eccesso di potere per contrasto tra il dispositivo della delibera ed il contenuto della variante;
2) violazione di legge per errata, falsa e mancata applicazione dell’art. 2 della L.r. 23.6.1997, n. 23.

Il ricorrente sostiene di “non essere interessato sotto il profilo personale al contenuto delle varianti approvate” e di agire “nella sua qualità di consigliere comunale”.
Il Comune intimato si è costituito in giudizio, eccependo, in via pregiudiziale, la carenza di legittimazione in capo al ricorrente e contestando la fondatezza dei richiamati motivi di doglianza.
Con ordinanza 26.2.1999 n. 130, questo Tribunale ha accolto l’incidentale domanda di sospensione.
L’appello avverso detta ordinanza è stato accolto dal Consiglio di Stato -sez. IV, con conseguente reiezione dell’istanza di sospensiva proposta in primo grado nei confronti delle delibere impugnate.

Alla pubblica udienza dell’8.1.2002 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1 - Il Collegio deve preliminarmente esaminare la sussistenza o meno, in capo al ricorrente, della legittimazione a presentare il ricorso de quo, contestata dal Comune resistente.

Come sopra rilevato, il ricorrente qui fa valere non già un suo interesse personale, bensì agisce nella qualità di consigliere comunale.
Per giurisprudenza pressoché costante (cfr. T.A.R. Abruzzo- L’Aquila 9.1.1992 n. 1; T.A.R. Veneto 20.12.1999 n. 2479; T.A.R. Basilicata 27.5.1999 n. 191), si riconosce tale legittimazione in capo ai consiglieri comunali solo qualora l’impugnativa di una delibera adottata dall’organo politico si assuma lesiva del loro munus.
Il caso di specie non rientra in tale ipotesi, giacchè i vizi dedotti attengono alla violazione di norme del procedimento, e più precisamente, degli articoli 2 e 3 della L.r. 23.6.1997, n. 23.
In particolare, il ricorrente lamenta che si sarebbe fatto ricorso alla procedura semplificata di cui alla richiamata L.r. n. 23/1997 al di fuori delle tassative ipotesi espressamente contemplate dalla legge medesima e che, pertanto, al contrario, si sarebbe dovuta utilizzare la procedura ordinaria, che richiede l’intervento della Regione in sede di approvazione delle varianti al P.R.G.

Inoltre lo stesso sostiene che i documenti allegati sarebbero diversi da quelli previsti dalla legge.

In proposito il Collegio ritiene di condividere un indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale, nei casi in cui non venga dedotta la lesione dello jus ad officium, deve riconoscersi un interesse a ricorrere ad un Consigliere comunale di minoranza, quale è il ricorrente in questione, quando lo stesso non abbia avuto a disposizione il testo oggetto di adozione e di approvazione, nonché i relativi allegati, onde consentirgli di esaminare preventivamente la documentazione e di esprimere le proprie opinioni in merito (cfr. T.A.R. Lazio - II 27.10.1998 n. 1712).

Nel caso qui in esame il ricorrente ha partecipato attivamente a tutte le sedute che hanno condotto alle deliberazioni gravate, esprimendo il proprio voto contrario o astenendosi dal voto.

Egli sostiene che sarebbe stato “impossibilitato a capire il contenuto delle varianti”, in quanto la scheda di controllo di cui alla L.r. 12.3.1984, n. 14, allegata al posto della scheda informativa prevista per le varianti semplificate dalla L. r. n. 23/1997, non era ex se, a suo dire, non in grado di rendere chiaro tale contenuto.
In realtà risulta evidente come la detta scheda di controllo allegata alla delibera di adozione fosse più completa ed esaustiva di quella informativa di cui alla L.r. n. 23/97, quest’ultima peraltro allegata alla delibera n. 103/1998.

Infatti, dal confronto tra le stesse si evince che nella prima sono, comunque, riportati, seppure in forma diversa, anche i dati contenuti nella seconda.

Inoltre le quattro tavole progettuali allegate sempre alla delibera n. 59/1998 - di adozione delle varianti in questione - riportano in modo analitico gli ambiti considerati nonché le relative varianti.

D’altra parte, la conferma di detta chiarezza e sufficienza viene proprio dalla circostanza che il ricorrente non si è limitato ad esprimere il proprio voto, ma ha discusso diffusamente le dette varianti nel corso dei suoi numerosi interventi in sede consiliare, senza, peraltro, mai prospettare alcuna osservazione in ordine all’iter procedimentale adottato o a supposte violazioni della normativa applicata.
Il ricorrente, edotto circa il contenuto delle varianti, al contrario di quanto lo stesso sostiene, ben avrebbe potuto far valere in detta sede le censure sollevate davanti a questo Tribunale.

Ne deriva che non può riconoscersi, in capo allo stesso, la legittimazione a ricorrere e, pertanto, il ricorso deve dichiararsi inammissibile.

2 - Con riferimento alle spese di giudizio, il Collegio è dell’avviso che debbano essere poste a carico del ricorrente e che possano essere liquidate in € 2.150,00 (duemilacentocinquanta/00), oltre ad oneri di legge.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente a corrispondere al Comune di Calcinato la somma di € 2.150,00 (duemilacentocinquanta/00), a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.

Così deciso, in Brescia, l’8 gennaio 2002, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco MARIUZZO - Presidente;
Sergio CONTI - Giudice;
Rita TRICARICO - Giudice estensore.