AFFARI ISTITUZIONALI - 018
T.A.R. Puglia, Bari, sezione II, 10 maggio 2001, n. 1577 (Presidente Perelli; Rel. Mangialardi)
E' viziato da incompetenza il provvedimento adottato dal sindaco ove l’attività provvedimentale sia trasferita ai dirigenti ai sensi dell’ art. 107, d.lgs. n. 267 del 2000) - Alla natura di atto sindacale non può opporsi la sigla del dirigente apposta sull’atto gravato se esso è intestato “Il Sindaco” ed è firmato per delega dall’Assessore -  La volontà provvedimentale si deve far risalire all’organo di rappresentanza politica sfornito di competenza a riguardo in virtù della norma citata, con conseguente illegittimità dell'atto.
In senso apparentemente contrario, nel senso dell'ammissibilità della cosiddetta "firma congiunta" di Sindaco e dirigente: stessa sezione, stessa data 10 maggio 2001, n. 1536 e 1 marzo 2001, n. 558: «Prescindendo per il momento dai profili fattuali della vicenda e passando al merito del ricorso, con il primo motivo, denuncia il ricorrente l’incompetenza del Sindaco a pronunciare la notificata ingiunzione a demolire. Il motivo è infondato. L’atto impugnato risulta sottoscritto congiuntamente dal Sindaco e dal Dirigente l’U.T.C.; quest’ultimo, secondo la prospettazione del ricorrente, sarebbe l’organo competente ad emanare l’atto. Dunque l’atto risulta emesso (quantomeno anche) dall’organo competente secondo l’assunto del ricorrente. Né a vanificare tale rilievo può richiamarsi l’epigrafe del provvedimento che fa riferimento al Sindaco; invero resterebbe sempre da spiegare il senso da attribuire alla firma del Dirigente che depone inequivocabilmente a favore della provenienza dell’atto dallo stesso Dirigente.»

Possibile la doppia firma sull'ordine di demolizione, anzi no - Le opposte tesi sulla possibilità che l’atto sia sottoscritto dall’organo politico e da quello gestionale - di Michele Miguidi

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA PUGLIA - BARI - Sezione II

ha pronunciato la seguente SENTENZA

sul ricorso n. 2568 del 1999, proposto da L.A. (nella duplice qualità di erede di L.D. e di nuda proprietà dell’immobile), rappresentata e difesa da G.V, domiciliatario nel suo studio in Bari ...

CONTRO

il Comune di Bari, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. R. V. e con lo stesso elettivamente domiciliato in Bari presso l’Avvocatura comunale alla Via Marchese di Montrone n. 5;

per l’annullamento

dell’ordinanza sindacale prot. 43446 del 23.9.1999 a firma dell’Assessore all’assetto e tutela del territorio nonché del Direttore di ripartizione con cui è stato ingiunto ai coniugi L.D. (deceduto il 18.5.1999) ed A.M. di demolire “un vano in muratura avente copertura con solaio in c.a. delle dimensioni di mt. 3,50 x 4.30 H mt. 2.00 circa”.

Di ogni altro presupposto e connesso compresi i pareri citati nel provvedimento impugnato della Commissione edilizia e del Dirigente della Ripartizione Tecnica.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista la domanda incidentale di sospensiva depositata, previa notifica, il 13 aprile 2001 ed allegato verbale di inottemperanza prot. n. 87/01 P.G.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, alla camera di consiglio del 26 aprile 2001, il Cons. Vito Mangialardi ed uditi gli l’avv. Valla per la ricorrente e l’avv. F., su delega dell’avv V., per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto – e sentiti sul punto i presenti difensori delle parti - che nella fattispecie sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 9, 1° comma, della legge 21/7/2000, n. 205, potendosi quindi assumere la decisione nel merito del ricorso con sentenza succintamente motivata;

Considerato che è fondato il vizio di incompetenza (2^ motivo di gravame) atteso che nella specie la ingiunzione di demolizione e adottata con ordinanza sindacale nel mentre, in tema, l’attività provvedimentale inulta trasferita ai dirigenti ai sensi dell’art. 2 comma 12 della legge 16 giugno 1998 n. 191 che ha integrato l’art. 6 della legge 15 maggio 1997 legge n.142/1990 (sulla competenza dirigenziale –e non sindacale – vedi pure ora art. 107, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267);

Considerato che alla ravvisabile natura di ordinanza sindacale non può opporsi la sigla del direttore di ripartizione apposta sull’atto gravato perché il provvedimento è intestato “Il Sindaco” ed è firmato per delega dall’Assessore e di Ordinanza Sindacale (in sigla O.S.) parlasi pure nel successivo verbale di inottemperanza ad esso provvedimento, talché non par dubbio chela volontà provvedimentale debba farsi risalire all’organo di rappresentanza politica dell’Ente sfornito di competenza a riguardo in virtù della normativa cui sopra si è fatto cenno;

Ritenuto poi che pare pure fondata la censura di eccesso di potere per difetto di motivazione (3^ motivo) in quanto –come riferito dalla difesa della ricorrente, e non contestato ex adverso - il verbale di accertamento dell’abuso parla di epoca di realizzazione del locale risalente ad oltre venti anni (la parte riferisce epoca ancor più remota) talché in casi del genere era necessario motivare (stante il lungo tempo intercorso e conseguente ingenerarsi nel privato di un qualche affidamento –cfr C. d. S., Sez. IV, 3.2.1996, n.95) in ordine alle ragioni pubblico interesse che presiedevano all’adozione del provvedimento sanzionatorio;

Visto la fondatezza delle esaminate censure comporta di per sé l’accoglimento del gravame;

Ritenuto, quanto alle spese, che si ravvisino ragioni per disporne la compensazione tra le parti in causa;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - sede di Bari, Sezione II, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti gravati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza, assunta in forma semplificata, sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 26 aprile 2001, con l’intervento dei Magistrati:

Dott. Michele Perrelli - Presidente
Dott. Vito Mangialardi - Componente Est.
Dott. Maria Abbruzzese - Componente


Possibile la doppia firma sull'ordine di demolizione, anzi no ...

Le opposte tesi sulla possibilità che l’atto sia sottoscritto dall’organo politico e da quello gestionale

Sull’incertezza (od il venir meno) della Giustizia

di Michele Miguidi (*)

Due recenti pronunce consentono di tornare sul tema della distinzione delle competenze fra gli organi degli enti locali. La materia è quella delle ordinanze di demolizione. Scontata la competenza dirigenziale nell’adottare ordini di demolizione in campo urbanistico-edilizio. La questione, invece, riguarda la legittimità o meno di tali atti se adottati dall’organo politico, su propria carta intestata, ma sottoscritti anche da quello gestionale.

Secondo una prima tesi, è illegittima, per vizio di incompetenza, l’ordinanza sindacale di demolizione a firma dell’Assessore all’assetto e tutela del territorio nonché del Direttore di ripartizione, atteso che nella specie la ingiunzione di demolizione e adottata con ordinanza sindacale nel mentre, in tema, l’attività provvedimentale risulta trasferita ai dirigenti ai sensi dell’articolo 2 comma 12 della legge 16 giugno 1998 n. 191 che ha integrato l’articolo 6 della legge 15 maggio 1997 legge n.142/1990 (sulla competenza dirigenziale – e non sindacale – vedi pure ora articolo 107, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)», e «considerato che alla ravvisabile natura di ordinanza sindacale non può opporsi la sigla del direttore di ripartizione apposta sull’atto gravato perché il provvedimento è intestato “Il Sindaco” ed è firmato per delega dall’Assessore e di Ordinanza Sindacale (in sigla O.S.) parlasi pure nel successivo verbale di inottemperanza ad esso provvedimento, talché non par dubbio che la volontà provvedimentale debba farsi risalire all’organo di rappresentanza politica dell’Ente sfornito di competenza a riguardo in virtù della normativa cui sopra si è fatto cenno»;

Secondo una seconda ed opposta tesi, invece, è da ritenersi legittimo l’atto «sottoscritto congiuntamente dal Sindaco e dal Dirigente l’Ufficio Tecnico Comunale», tenuto conto che esso «risulta emesso (quantomeno anche) dall’organo competente (…). Né a vanificare tale rilievo può richiamarsi l’epigrafe del provvedimento che fa riferimento al Sindaco; invero resterebbe sempre da spiegare il senso da attribuire alla firma del Dirigente che depone inequivocabilmente a favore della provenienza dell’atto dallo stesso Dirigente».

Pur nella rispettabilità delle due opposte tesi, la peculiarità della vicenda sta nel fatto che entrambe le pronunce sono state adottate dalla medesima sezione (la seconda, di Bari) del medesimo T.A.R. (Puglia), e depositate nel medesimo giorno (il 10 maggio 2001).

La prima pronuncia, la n. 1577, in sostanza, rileva come la volontà provvedimentale non possa essere imputata all’organo competente (il Dirigente) nel caso vi siano “indizi” che consentano di imputare la stessa a quello politico (Sindaco o Assessore che siano).

La seconda, la n. 1536, opta invece per una scelta di conservazione, ritenendo che in caso di più firme il provvedimento sia comunque legittimo qualora almeno una sia imputabile all’organo competente (nello stesso senso, in precedenza, cfr anche la sentenza 1 marzo 2001, n. 558).

Ulteriore peculiarità sta nella composizione dell’organo giudicante. Due componenti sono gli stessi. Muta invece la presidenza e l’attribuzione della funzione di estensore.

Pur in una situazione in cui facili sarebbero le battute circa l’affidabilità degli organi di giustizia, si ritiene invece di sottolineare una questione che si muove nel più fumoso campo della filosofia e sociologia del diritto, e che consiste nell’ambiguità delle regole giuridiche, e non degli organi posti ad applicarle.

Ludovico Antonio Muratori (Dei difetti della giurisprudenza, Venezia, 1742), raccontava dei forensi suoi contemporanei che gli raccontavano come solitamente perdevano le cause che erano sicuri di vincere, mentre vincevano quelle che erano sicuri di perdere.

La soluzione dell’Autore era quella di codificare non solo le Leggi, ma anche le «opinioni dei dottori», in quanto dopo Giustiniano erano «venute migliaia d'altri Ulpiani, Papiniani, Triboniani» con il conseguente «diluvio di libri che formano le biblioteche de' legisti, in cadauna nondimen delle quali più sono i libri che mancano che quei che vi fanno comparsa».

Oggi una preoccupazione in più e diversa, che sta non (almeno nel caso di specie) nel valore dei giudici ma nella Giustizia stessa.

La questione non è solo tecnica (il dibattito sarebbe quello della proliferazione delle regole e della loro non organica stratificazione). Nel Diritto legittimamente si contemperano vari principi ed interessi, spesso fra loro contrapposti.

Quando tuttavia la complessità degli interessi (e, forse, della società) è tale da far far adottare due opposte decisioni in ragione di due opposti principi, viene da pensare che il Diritto stia nella società semplice e non in quella complessa, quasi che, all’opposto del pensiero di Marx, a farlo venir meno (il Diritto e, passi la provocazione, la Religione) non sia il socialista ordine, quanto piuttosto il capitalistico disordine.

Nonostante i meccanismi (direi: “di maggioranza”) che si possono creare all’interno dei collegi giudicanti giustifichino certamente le due opposte decisioni, dedico ugualmente un caro pensiero ai colleghi “destinatari” delle pronunce ed ai loro clienti, che forse, pur nella diversità dei destini, avranno pensato al venir meno della Giustizia.


(*)  L’A. è avvocato in Verona, consulente ed esperto in materia di appalti, edilizia e personale, è autore di numerose pubblicazioni e cultore in Diritto Amministrativo presso la facoltà di Giurisprudenza di Verona.