AFFARI ISTITUZIONALI - 001
Consiglio di Stato, A.P. - 4 - 5 febbraio 1997
Pres. Laschena, Rel. Salvatore - Cacaci c. Regione Marche
Atto amministrativo - Diritto di accesso - Atti riguardanti terzi - Esigenze di riservatezza - Prevalenza del diritto d'accesso per la difesa degli interessi giuridici del richiedente - Fattispecie. (legge n. 241 del 1990, art. 24, comma 2, lett. d) (D.P.R. n. 352 del 1992, art. 8, comma 5, lett. d)

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi prevale sull'esigenza di preservare la riservatezza dei documenti che riguardano terzi qualora venga esercitato per la cura o la difesa di un interesse giuridico. In tal caso è tuttavia consentita solo la visione di detti documenti, dei quali non è invece possibile né l'estrazione di copie, né la trascrizione.

DIRITTO:


1. La legge 7 agosto 1990 n. 241, nel disciplinare i rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione, delinea un ordinamento ispirato, da un lato, all'esigenza di un'azione amministrativa celere ed efficiente (art. 1), e dall'altro, ai principi di partecipazione dell'amministrato e di conoscibilità del concreto svolgimento della funzione pubblica. Ciò, al fine di assicurare, attraverso la salvaguardia del valore della «trasparenza», l'efficienza dell'amministrazione e, al contempo, la garanzia del privato e la «legalità» dell'ordinamento nel suo insieme. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è, infatti, riconosciuto (art. 22 della legge n. 241) al fine «di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale». Il diritto di conoscibilità degli atti e documenti amministrativi, inquadrato nel contesto più generale delle disposizioni contenute nella legge n. 241 - le quali delineano istituti (diritto di accesso, moduli di amministrazione per accordi, partecipazione procedimentale) e modalità dell'azione e dell'organizzazione amministrativa (motivazione, certezza dei tempi e responsabile del procedimento, predeterminazione dei criteri per ausili economici) preordinate alla configurazione di un nuovo modello di organizzazione amministrativa e di rapporti di questa con il cittadino - mira ad assicurare la circolazione delle informazioni tra pubbliche amministrazioni e, soprattutto, tra amministrazione e cittadino. Il riconoscimento legislativo nel nostro ordinamento del principio di pubblicità dei documenti amministrativi segna un totale cambiamento di prospettiva, perché comporta che se finora il segreto era la regola e la pubblicità l'eccezione, ora è vero il contrario.

Di fronte all'esercizio del diritto di accesso, è la pubblica amministrazione che deve giustificare il proprio rifiuto all'accesso, motivandolo con la necessità di proteggere mediante il segreto uno o più interessi previsti dal legislatore. L'esigenza di motivazione del segreto fondata sul rapporto fra determinante informazione (che l'amministrazione ritiene debbano essere segrete) e determinati interessi (che il legislatore ha previsto debbano essere protetti) indica il passaggio anche nel nostro ordinamento da una concezione soggettiva e «personale» del segreto amministrativo ad una concezione oggettiva e «reale», più consona ad un'amministrazione moderna. Il segreto amministrativo, cioè, non è più rapportato alla «qualità» della persona che li detiene, bensì alla «qualità» delle informazioni protette dal segreto; nel segreto di nuovo tipo ciò che rileva è la «qualità» delle informazioni, cioè il loro rapporto con determinati interessi, non la «qualità» del soggetto che le detiene, prevale in sostanza l'elemento oggettivo e «reale» costituito dalle informazioni oggetto del segreto e quindi, indirettamente, dagli interessi che ne formano il vero contenuto. 

Al rispetto di tale nuovo principio, in base al quale la regola generale è l'accesso e le ipotesi in cui i documenti possono essere sottratti all'accesso sono soltanto eccezioni, è informato anche l'art. 8 del regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, approvato con D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 in attuazione dell'art. 24, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241. La norma, che è intitolata alla «disciplina dei casi di esclusione» all'accesso, allorché dispone (con una formulazione che contiene una doppia negazione) che i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di arrecare un pregiudizio concreto agli interessi di cui all'art. 24 della legge n. 241 del 1990 (comma 2) e che la sottrazione non può essere opposta se la conoscibilità può essere differita nel tempo (comma 3), conferma chiaramente che la regola generale è l'eccezionalità dei casi di esclusione. Il successivo comma 5 del citato art. 8 prevede, poi, che, nell'ambito delle categorie di documenti, normalmente non secretati e quindi accessibili, ve ne sono alcuni che, sia pure nel rispetto dei criteri di cui ai commi 2, 3 e 4, possono essere sottratti all'accesso per una serie di ragioni specificamente indicate, fra cui quella di cui alla lett. d), che sottrae all'accesso i «documenti» che «riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche..., con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario..., di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano stati forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono». L'ultimo inciso della lett. d) stabilisce, però, che «deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici».

2. Alla stregua di tale ultima disposizione, che ribadisce quanto già stabilito alla lett. d) del secondo comma dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990, ritiene questa Adunanza plenaria che il quesito deve essere risolto nel senso che l'accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, debba prevalere rispetto all'esigenza di riservatezza del terzo. Anche se la norma non prevede che i documenti arrechino o possano arrecare un pregiudizio ovvero che dalla loro conoscenza possa derivare una lesione specifica ed individuata, e ritiene sufficiente, ai fini di escluderne la conoscibilità, che questi documenti «riguardino», si riferiscano, in senso ampio, alla vita privata o alla riservatezza, non sembra esservi dubbio che nel conflitto tra accesso e riservatezza dei terzi la normativa statale abbia dato prevalenza al primo, allorché sia necessario per curare o difendere i propri interessi giuridici. Sia la norma primaria (art. 24, comma 2, lett. d) legge 241/1990) si la norma regolamentare (art. 8, comma 5, lett. d) D.P.R. 352/1992) hanno cercato di contemperare esigenze diverse, stabilendo che i richiedenti, di fronte a documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di altri soggetti, non possono ottenere copia dei documenti, né trascriverli, ma possono solo prendere visione degli «atti» di quei procedimenti amministrativi che sono relativi ai loro interessi. Si deve, pertanto, concludere che l'interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l'accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti ovviamente in cui esso è necessario alla difesa di quell'interesse. 

3. Passando all'esame del caso che ha dato luogo alla presente controversia, si deve rilevare che il parziale rifiuto all'accesso viene giustificato dalla regione con l'esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, nella specie pazienti tossicodipendenti del SER.T. di S. Benedetto del Tronto, al fine di non deteriorare il rapporto medico-paziente. Il diniego, cioè, non riguarda i «documenti» e le informazioni in esso contenute, bensì la «qualità» dei soggetti denunciati, per cui, come ha messo in luce l'ordinanza di rimessione, la Regione sembra aver esercitato, sia pure per ragioni di rilevante valore sociale, un potere discrezionale di diniego che la legge non le conferisce. Ove poi si consideri che i sottoscrittori dell'esposto, denunciando le disfunzioni del servizio, hanno dato luogo all'apertura del procedimento, nel quale l'appellante è parte sostanziale; che quest'ultimo, nella sua qualità di responsabile del servizio è già a diretta conoscenza della particolare situazione in cui versano i vari pazienti, e, infine, che il contenuto del documento attiene alle modalità di esplicazione delle funzioni connesse alla qualifica del richiedente, investono cioè la sfera giuridico-professionale del medesimo, si deve concludere che il caso di specie non appare riconducibile alle ipotesi di salvaguardia della riservatezza disciplinata dall'art. 8, comma 5 del D.P.R. 352 del 1992.

L'appellante, ha quindi, diritto di prendere visione dei documenti rifiutati dalla Regione né vi è ragione per ritenere che da tale conoscenza possano derivare possibili ritorsioni nei confronti dei pazienti tossicodipendenti. Alle pur apprezzabili preoccupazioni espresse al riguardo dall'amministrazione regionale si è già opposto che l'insistenza del ricorrente dell'acquisire la conoscenza dei documenti e soprattutto dell'identità dei loro autori, esibita nel corso del procedimento amministrativo e di due gradi di giudizio, ha un carattere così singolarmente indiziante da costituire per gli interessati un autentico salvacondono, con la conseguenza che ogni comportamento nei loro confronti difforme dalla normalità statistica determinerebbe, in fatto, una sorta di presunzione di discriminazione, attirando sul suo autore pesanti e plurime responsabilità.

A tali considerazioni si può aggiungere che la cura o la difesa dei propri interessi giuridici costituiscono sia il presupposto per il diritto di prendere visione degli atti, altrimenti non accessibili, che il limite della loro utilizzabilità, che non può andare oltre le finalità previste dalla normativa per la deroga alla sottrazione dell'accesso. Si vuole, cioè, dire che, anche in considerazione della peculiare «qualità» dei pazienti assistiti e dei rapporti che per tale motivo devono intercorrere fra questi ed i sanitari preposti, la conoscenza dei documenti non può non essere finalizzata alla responsabile valutazione delle lamentele espresse dai sottoscrittori e all'adozione dei conseguenti rimedi che appariranno utili ed opportuni sia per riportare il rapporto medico-pazienti al clima di serenità e comprensione, che il particolare status dei soggetti beneficiari del servizio impone.

Di ciò è consapevole la stessa difesa dell'appellante la quale sottolinea (pag. 4, punto IV della memoria depositata il 22 ottobre 1996) che «la conoscenza di tali atti permetterebbe al ricorrente non soltanto di difendere le proprie ragioni ma anche di comprendere quali migliorie dei servizi resi potrebbero essere realizzate a vantaggio degli stessi utenti». In nessun caso, pertanto, la conoscenza di tali atti e documenti potrà determinare nei confronti degli utenti comportamenti discriminatori o ritorsivi, i quali, ove posti in essere, integrerebbero gravi violazioni dei doveri che fanno capo al responsabile del servizio e giustificherebbero l'immediato intervento repressivo da parte dell'autorità deputata alla vigilanza del SER.T.
L'appello deve, pertanto, essere accolto e in riforma della sentenza appellata, deve essere ordinato alla regione Marche di consentire all'appellante di prendere visione dei documenti parzialmente rifiutati. Sussistono peraltro giusti motivi per compensare interamente fra le parti le spese e le competenze di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI) pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, ordina alla Regione Marche di rilasciare all'appellante copia degli atti e documenti richiesti.