LAVORI PUBBLICI - 072
Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2002, n. 2294
Sulla distinzione tra appalto pubblico di servizi e affidamento o concessione di servizi pubblici: differenze sostanziali e procedurali e relazione con la normativa in materia di contratti.
Negli appalti di servizi i requisiti di capacità tecnica non possono essere richiesti a ciascun concorrente raggruppato nella stessa misura (intera) richiesta al concorrente singolo

REPUBBLICA  ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5771/2001 proposto dai comuni di Tricase e di Castro, in persona dei sindaci in carica, rappresentati e difesi dall’Avv. Prof. E.S.D., ed elettivamente domiciliato presso il Cav. L.G., in ...

contro

A. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avvocati R.M., S.L. e G.C., ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in ...

e nei confronti di

V. Cooperativa a r.l., Associazione Intercomunale Castro – Tricase per la gestione dei servizi ambientali e di igiene, non costituiti in giudizio.

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione Staccata di Lecce, Sezione Seconda, 30 aprile 2001 n. 2094.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della ANCI S.r.l.;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 3518/2001 con la quale è stata accolta la richiesta di sospensione della esecuzione della sentenza appellata;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 11 dicembre 2001, il Consigliere Marco Lipari;
Uditi gli avv.ti S.D. e M.;
Visto il dispositivo di decisione n. 670 del 12.12.2001;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1. La sentenza appellata, in accoglimento del ricorso proposto dalla società A. s.r.l., ha annullato il bando della gara e la lettera di invito prot. 4752 del 6 marzo 2001, adottato dal responsabile dell’ufficio tecnico del comune di Tricase, per conto dell’associazione intercomunale tra i comuni di Tricase e Castro, concernente l’affidamento della gestione associata dei servizi ambientali e di igiene.

2. Le amministrazioni appellanti contestano la decisione di primo grado, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’originario ricorso.

3 L’appellata resiste al gravame.

DIRITTO

1. Con deliberazioni 8 febbraio 2001 n. 3 e 19 febbraio 2001 n. 4, i consigli comunali di Tricase e di Castro stabilivano di costituire un’associazione intercomunale per la gestione associata dei servizi ambientali, ai sensi dell’articolo 30 del testo unico degli enti locali.

2. Quindi, con deliberazioni 8 febbraio 2001 n. 4 e 19 febbraio 2001 n. 5 i due consigli comunali approvavano lo schema di capitolato dell’appalto per la concessione da parte dell’associazione, dei servizi di igiene urbana e dei servizi complementari ed accessori.

3. L’articolo 5 del capitolato, rubricato “modalità di aggiudicazione dell’appalto”, disponeva che il servizio sarebbe stato affidato “con le modalità di cui all’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 1 dicembre 1997, n. 468, come modificato ed integrato dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81”, per una durata di cinque anni, mediante trattativa privata, con un minimo di tre ditte, “da individuare a cura della conferenza dei sindaci”.

4. La stessa disposizione del capitolato stabiliva che le ditte avrebbero dovuto essere in possesso di alcuni requisiti soggettivi, tra i quali “l’aver realizzato nell’ultimo quinquennio un fatturato non inferiore a lire 7.500.000.000”. Inoltre, secondo la lex specialis di gara, “le imprese appositamente e temporaneamente raggruppate dovranno attenersi a tutte le disposizioni contenute nell’art. 10 del decreto legislativo n. 358/1992" e “ogni impresa del raggruppamento dovrà essere in possesso dei requisiti richiesti e presentare i documenti di cui ai precedenti punti”.

5. Con determinazione n. 3 del 26 febbraio 2001, la conferenza dei sindaci dell’associazione disponeva di individuare le ditte da invitare in tutte quelle che “a tutt’oggi hanno fatto richiesta di essere invitate”.

6. Con determinazione del responsabile del servizio affari istituzionali del comune di Tricase n. 205/S del 28 febbraio 2001, veniva approvato lo schema del bando di gara – lettera di invito da inviare alle ditte individuate dalla conferenza dei sindaci, il quale richiamava, fra l’altro, le prescrizioni del capitolato speciale.

7. La sentenza impugnata, pronunciandosi sul ricorso proposto dalla A. s.r.l. (impresa invitata alla selezione), ha annullato il bando di gara, nella parte in cui si prevede che ogni impresa del raggruppamento deve essere in possesso dei requisiti previsti, compreso quello concernente l’entità economica dei servizi precedentemente svolti.

8. Con un primo motivo, i comuni appellanti sostengono che la censura accolta dal tribunale è inammissibile per acquiescenza e per carenza di interesse. Si afferma, in particolare, che “la ditta ricorrente in primo grado ha formulato l’istanza di partecipazione – riferendosi espressamente alla deliberazione consiliare n. 4/01 – successivamente all’approvazione del capitolato speciale recante i requisiti di ammissione alla gara, sicché, sin dal momento della richiesta partecipativa, erano alla stessa note le condizioni di ammissione ed in specie il requisito del possesso di un fatturato non inferiore a lire 7.500.000.000 nell’ultimo quinquennio.

9. La tesi degli appellanti non può essere condivisa.

Come correttamente rilevato dal tribunale, le delibere dei consigli comunali dei due enti locali associati costituiscono ancora atti interni della sequenza procedimentale, poi sfociata nella approvazione del bando e della lettera di invito.
Solo in tale fase le amministrazioni hanno definito, in modo conclusivo, i requisiti di partecipazione alla gara, riferendo il procedimento alla associazione intercomunale.
In questa prospettiva, non è necessario stabilire se la convenzione tra i comuni associati dia vita ad un ente autonomo, cui imputare le determinazioni assunte dagli organi del comune “capofila”.
Assume rilievo determinante, semmai, la circostanza che, fino alla pubblicazione del bando ed alla comunicazione della lettera di invito, le decisioni adottate dai comuni, relative alla definizione dei contenuti del capitolato speciale, non presentano ancora carattere lesivo delle posizioni degli aspiranti alla gara.
Va aggiunto, ancora, che il riferimento alle delibere consiliari, compiuto dalla Società A. all’atto della richiesta di essere invitata alla trattativa privata, pare riferito, essenzialmente, alla riscontrata volontà dell’amministrazione di procedere all’indizione della gara, piuttosto che alla completa indicazione di tutte le clausole regolanti la procedura selettiva.

10. Sotto altro profilo, i comuni appellanti sostengono l’inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto la ricorrente ha domandato di partecipare alla gara come impresa singola e non in raggruppamento temporaneo.
Il motivo non merita accoglimento.
Infatti, nel caso di specie, la ricorrente ha chiesto di partecipare ad una procedura ancora in itinere, in epoca antecedente alla stessa formazione del bando e della lettera di invito.
Solo dopo l’adozione degli atti regolanti la gara, la ricorrente ha potuto verificare la presenza di clausole ostative alla sua partecipazione alla procedura selettiva, tanto in forma singola, quanto in forma associata.

11. In senso contrario non vale richiamare i principi relativi alla immutabilità della veste giuridica con la quale un’impresa partecipa alla procedura di gara. Dette regole si riferiscono alle ipotesi in cui, dopo una prima fase di preselezione, l’amministrazione procede alla valutazione delle offerte delle concorrenti.
Nel caso di specie, invece, l’amministrazione ha stabilito di invitare alla gara tutti i soggetti che avevano, in precedenza, dichiarato il proprio interesse alla procedura selettiva. Solo in un momento successivo l’amministrazione ha reso noti i requisiti di partecipazione.
Va notato che, in tal modo, l’atteggiamento dell’associazione comunale è risultato alquanto contraddittorio, in quanto si è dapprima manifestata la volontà di invitare alla gara alcuni soggetti, e poi si sono stabilite delle rigorose condizioni ostative alla partecipazione delle stesse imprese.

12. Nel merito, le amministrazioni appellanti deducono, anzitutto, il vizio di extrapetizione, in quanto, a loro dire, il tribunale ha basato la pronuncia di annullamento degli atti di gara sull’applicazione dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 157/1995, mentre la ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva richiamato solo l’articolo 10.
La censura è priva di pregio.
Al di là delle formali indicazioni contenute nell’atto di ricorso, pare incontestabile che il ricorrente di primo grado abbia inteso lamentare la violazione delle regole e dei principi in materia di affidamento di appalti e di servizi pubblici.
Pertanto, il tribunale si è limitato a qualificare la domanda, individuando le norme applicabili alla fattispecie, nei limiti delle censure sostanzialmente articolate dalla parte interessata.

13. I comuni appellanti sostengono, poi, che, nella presente fattispecie, non trova diretta applicazione la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 157/1995.
A dire degli appellanti detta normativa riguarda solo i “contratti di scambio”, vale a dire i servizi svolti da soggetti terzi in favore della stazione appaltante. La disciplina in esame, invece, non è applicabile ai servizi pubblici in senso stretto, svolti per la collettività, nell’interesse dell’amministrazione comunale.

14. Il motivo articolato dagli appellanti propone la delicata questione della delimitazione della figura dell’appalto di servizi, in rapporto alla contigua nozione della concessione (od affidamento) di servizi pubblici.
I dati normativi di diritto interno e di diritto comunitario non sono affatto univoci e chiari, riflettendo un complesso itinerario evolutivo, tuttora in corso.
L’articolo 112 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, rubricato “servizi pubblici locali”, non contiene una precisa definizione della categoria del servizio pubblico, limitandosi a prevedere la seguente disciplina:
1. Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
2. I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge.
3. Ai servizi pubblici locali si applica il capo III del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, relativo alla qualità dei servizi pubblici locali e carte dei servizi
.”

15. In questo modo, peraltro, la valorizzazione dell’elemento organizzativo ed istituzionale compiuta dal legislatore conferma la sostanziale ampiezza del concetto di servizio pubblico locale, che non preesiste alla decisione di assunzione dell’ente locale, ma viene definito dall’amministrazione territoriale, nel quadro della propria autonomia, in relazione agli obiettivi, di valenza politica, preordinati allo sviluppo sociale ed economico della collettività.

16. Il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi), all’articolo 1 definisce il proprio ambito di applicazione, qualificando gli appalti pubblici di servizi come “contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice”, e rinviando alla elencazione degli appalti di servizi di cui agli allegati 1 e 2.
Dunque, la disciplina di derivazione comunitaria adotta una definizione di carattere enumerativo ed analitica, volta a ridurre i margini di incertezza interpretativa.

1.7 La dottrina tradizionale ha individuato la distinzione fra l’appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, facendo riferimento a molteplici criteri:

a) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, contrapposta al carattere negoziale dell’appalto;
b) il carattere surrogatorio dell’attività svolta dal concessionario di pubblico servizio, chiamato a realizzare i compiti istituzionali dell'ente pubblico concedente, mentre l’appaltatore compie attività di mera rilevanza economica nell’interesse del committente pubblico;
c) l’effetto accrescitivo della concessione, che attribuisce al privato concessionario una capacità estranea alla sua originaria sfera giuridica;
d) il trasferimento di potestà pubbliche (autoritative o certificative) in capo al concessionario, che opererebbe quale organo indiretto dell’amministrazione, mentre l’appaltatore eserciterebbe solo prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico.

18. La dottrina più recente ha rilevato, in senso critico, che, nell’evoluzione concreta della disciplina dei servizi pubblici, il modulo concessorio è frequentemente sostituito da altri titoli (anche convenzionali) di affidamento del servizio.
Pertanto, in termini più convincenti, si è posto l’accento sulla diversità dell’oggetto dei due contrapposti istituti, che si riflette anche sulla fisionomia dei rapporti considerati.
L’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell’amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l’amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio.

19. Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sulla individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell’attività svolta. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’amministrazione l’onere di compensare l’attività svolta dal privato. Tale criterio integrativo, peraltro, assume un rilievo apprezzabile solo quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive, è divisibile tra gli utenti che, in concreto, ne beneficiano direttamente.

20. Ora, nel caso di specie, l’oggetto del rapporto, riguardante il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti urbani, è riconducibile senz’altro alla figura dell’affidamento di un servizio pubblico: le prestazioni richieste al privato “appaltatore” sono rivolte non già a vantaggio dell’amministrazione, ma riguardano, in modo generalizzato, le collettività locali rappresentate dai due comuni.
A ciò va aggiunto che, ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), “i comuni effettuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui alla legge 8 giugno 1990, n. 142, e dell'articolo 23”.

21. Si tratta ora di stabilire se la riscontrata differenza tra l’affidamento del servizio pubblico e l’appalto di servizi comporta anche l’inapplicabilità al primo delle regole specificamente contenute nel decreto legislativo n. 157/1995.
Al riguardo, va premesso che nel progetto originario della direttiva 92/50/CEE si prevedeva l’estensione della disciplina concorrenziale anche alla concessione di servizi, definita come “un contratto, diverso dalla concessione di lavori pubblici ai sensi dell’art 1, lett. D) della direttiva 71/305/CEE, concluso tra una amministrazione ed un altro ente di sua scelta in forza del quale l’amministrazione demanda all’ente l’esecuzione di un servizio pubblico di sua competenza e l’ente accetta di svolgere tale attività avendo come corrispettivo il diritto di sfruttare il servizio, oppure tale diritto accompagnato da una controprestazione pecuniaria”.
Analoga nozione di concessione di servizi è ora contenuta nella comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario, adottata il 12 aprile 2000, la quale fa riferimento al “criterio della gestione” ed a quello dell’assunzione del rischio.

22. Da ciò potrebbe derivare la conclusione che nella scelta dell’affidatario del servizio pubblico, l’amministrazione non è tenuta ad applicare alcuna disciplina di evidenza pubblica, operando con maggiori possibilità di scelte discrezionali. Questa conclusione, tuttavia, non terrebbe conto di altri elementi sistematici, di valenza radicalmente opposta.
Nell’ambito del diritto interno, intanto, esistono precise indicazioni di dirette ad affermare l’applicabilità della regola concorsuale nell’affidamento dei servizi pubblici.Secondo l’articolo 267 del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale), tuttora in vigore, “le concessioni di cui all'art. 265 devono, di regola, essere precedute da asta pubblica. Tuttavia, quando circostanze speciali in rapporto alla natura dei servizi lo consigliano, il Prefetto può consentire che i contratti seguano a licitazione o a trattativa privata”.

23. La norma di diritto interno conferma il principio della concorsualità nell’affidamento del servizio pubblico. Si tratta, del resto, di una indicazione legislativa seguita anche dai più recenti progetti di riforma dei servizi pubblici locali, tutti rivolti a rendere ancora più chiara e precisa la regola del previo esperimento di gare aperte, accompagnata dalla definizione di ulteriori regole di dettaglio, riferite ai requisiti soggettivi di partecipazione.

24. Ma, anche prima di una precisa codificazione delle regole concorrenziali, va considerata la portata espansiva dei principi comunitari, che, indirettamente, toccano anche il settore sei servizi pubblici.In tale direzione, va segnalato, che, anche in mancanza dei un’apposita direttiva, la comunicazione interpretativa della commissione europea del 12 aprile 2000 chiarisce che, nell’affidamento dei servizi pubblici, vanno comunque applicati i principi riguardanti:

a) il divieto di discriminazione basato sulla nazionalità dei concorrenti;
b) la libera circolazione delle merci;
c) la libertà di stabilimento;
d) la libera prestazione di servizi;
e) la parità di trattamento;
f) la trasparenza;
g) la proporzionalità.

25. Detto ultimo principio (enunciato al punto 3.1.3 della comunicazione interpretativa della commissione) assume una valenza generale ed esige, conformemente alla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, che “ogni provvedimento adottato sia al tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti. Uno stato membro, infatti, nella scelta dei provvedimenti da adottare deve ricorrere a quelli che comportino le minori turbative per l’esercizio di una attività economica”.Applicato alle concessioni, questo principio, pur lasciando alle organizzazioni concedenti la facoltà di definire, in particolare, i termini di prestazione e di specifiche tecniche, l’obiettivo da raggiungere, esige però che ogni provvedimento adottato sia al tempo stesso necessario e adeguato in relazione all’obiettivo fissato”.In questo senso, afferma la commissione, devono ritenersi contrarie al principio di proporzionalità, fra l’altro, le determinazioni con cui l’amministrazione esige, “per la selezione dei candidati, capacità tecniche e finanziarie eccessive rispetto all’oggetto dell’appalto”.

26. Quindi, anche prescindendo dal profilo riguardante l’applicazione diretta, o in via analogica, della disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 157/1995, la clausola del bando di gara che impone a ciascuna delle partecipanti al raggruppamento di imprese di dimostrare lo stesso fatturato richiesto alla impresa singola appare irragionevole e contrastante con il richiamato principio di proporzionalità.Infatti, l’articolo 14, comma 3, del decreto legislativo n. 157/1995, nella parte in cui prevede che “le informazioni di cui all’articolo 13 e quelle di cui al comma 1 non possono eccedere l’oggetto dell’appalto”, specifica un concetto di portata più ampia e generale, sintetizzabile nelle regole comunitarie della proporzionalità, della adeguatezza e della ragionevolezza.

27. Nel caso di specie, poi, è proprio l’amministrazione procedente che richiama espressamente la disciplina di derivazione comunitaria riguardante i requisiti soggettivi dei concorrenti (articolo 10 del decreto legislativo n. 358/1992).

28. La pronuncia appellata è certamente condivisibile, poi, nella parte in cui afferma che la contestata previsione del bando determinerebbe una grave compressione delle prerogative delle associazioni temporanee di impresa.
In linea generale, infatti, l’ordinamento comunitario ed il diritto interno manifestano uno spiccato apprezzamento per i raggruppamenti temporanei di imprese e di professionisti, costituiti per ottenere l’affidamento di contratti e di servizi pubblici. Tali aggregazioni svolgono, sul piano economico, una obiettiva funzione antimonopolistica, consentendo un ampliamento della dinamica concorrenziale e favorendo l’ingresso sul mercato di imprese di minore dimensione, o specializzate in particolari settori produttivi e tecnologici, fisiologicamente selezionate attraverso il confronto negoziale tra i prezzi offerti.
Per realizzare adeguatamente gli scopi perseguiti, la normativa impone di assoggettare le ATI ad un trattamento tendenzialmente uguale a quello previsto, in generale, per gli altri soggetti ammessi alle gara, definendo omogenei requisiti soggettivi di partecipazione.
In questa prospettiva, la disciplina di rango comunitario e nazionale si articola in un complesso di regole che realizza un ragionevole punto di equilibrio fra due diverse esigenze, potenzialmente contrapposte:

a) la scelta del modulo associativo non deve comportare un trattamento indiscriminatamente deteriore rispetto a quello previsto, in generale, per tutti i concorrenti singoli;
b) lo schema dell’ATI non deve tradursi in uno strumento elusivo delle regole dirette ad imporre alle imprese particolari requisiti minimi necessari per partecipare alla gara d’appalto.

29. Questo duplice criterio consente di impostare correttamente il problema in esame, distinguendo i requisiti che:

I) devono necessariamente essere posseduti, singolarmente, da ciascuna delle imprese riunite;
II) possono essere riferiti ad una sola delle imprese del raggruppamento, oppure possono essere accertati cumulando le qualità di due o più imprese associate.

Al riguardo, non pare dubitabile, intanto, che i requisiti di carattere morale e di generica affidabilità (quali l’inesistenza di precedenti penali ostativi, la regolarità contributiva, il rispetto della normativa “antimafia”), come riconosciuto dallo stesso tribunale, devono essere posseduti da ciascuna delle imprese. Il rapporto di collaborazione economica tra i soggetti non può surrogare l’apprezzamento riguardante profili di questo tipo, non direttamente connessi alla struttura imprenditoriale del concorrente, ed alla sua articolazione in una organizzazione temporanea complessa.
In proposito, è utile ricordare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di aggiudicazione dei contratti della p.a., il principio secondo il quale i requisiti richiesti dal bando o dalla lettera di invito devono essere posseduti dal raggruppamento di imprese e non dalle singole imprese raggruppate consente di cumulare solo i requisiti di natura tecnica singolarmente posseduti dalle imprese (o dalle cooperative consorziate), vale a dire che, ove sia richiesto il possesso di un determinato numero di mezzi o di unità di personale, esso può essere raggiunto sommando tra loro quello delle singole imprese che, raggruppate e consorziate, dovranno svolgere il servizio o realizzare l'opera; peraltro, tale principio non implica che requisiti di natura formale relativi alla regolarità della gestione delle imprese sotto il profilo dell'ordine pubblico, anche economico, possano ritenersi accertati con esclusivo riferimento al consorzio o al raggruppamento e non debbano invece essere posseduti e documentati dalle imprese designate quali esecutrici del servizio o dell'opera (Cons. Stato, sez. V, 24.11.1997, n. 1367).

30. L’accertamento dei requisiti di idoneità tecnica, finanziaria ed economica presenta, invece, aspetti più complessi.
Essi possono presentare connotazioni differenti, valorizzando, di volta in volta, profili soggettivi, oggettivi, o misti.
Di regola, il possesso dei requisiti di carattere oggettivo può essere dimostrato facendo riferimento alla sommatoria dei mezzi e delle qualità delle imprese facenti parte del raggruppamento. Anche in tal caso, però, resta fermo un duplice limite.
Il primo riguarda la previsione normativa di una soglia minima quantitativa prescritta per ciascuna impresa: un eccessivo frazionamento del requisito renderebbe l’accertamento scarsamente attendibile, diminuendo l’efficacia del giudizio sull’affidabilità dell’impresa e la tutela del correlato interesse pubblico.
Il secondo limite riguarda, invece, la necessaria corrispondenza tra il requisito e la parte del servizio, dell’opera o della fornitura effettuata da ciascuna delle imprese associate, nelle ipotesi in cui sia prevista la specificazione delle prestazioni.

31. Soltanto i requisiti tecnici di carattere soggettivo, invece, devono essere posseduti singolarmente da ciascuna impresa, a meno che non risulti che essi siano incontestabilmente riferiti solo ad una parte delle prestazioni, eseguibili da alcune soltanto delle imprese associate.
Infatti, la previsione di requisiti di tale tipo riflette la scelta dell’amministrazione di ottenere, nel complesso, una garanzia qualitativa di un certo livello, riferita all'intero rapporto contrattuale, considerato in ciascuna delle singole fasi di svolgimento.

32. Dunque, nel caso di specie, non emergono apprezzabili ragioni per escludere che i requisiti economici riferiti al raggruppamento possano essere dimostrati facendo riferimento alla sommatoria dei requisiti riferiti a ciascuna della impresa partecipanti, ferma restando la possibilità di individuare un livello minimo quantitativo, per ciascuno degli associati.

33. Nella presente vicenda, poi, l’operatività del principio comunitario di proporzionalità non può essere sterilizzata dalla disciplina contenuta nel decreto legislativo 1 dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196).
Questo prevede, all’articolo 10, comma 3, che “per l'affidamento a terzi dello svolgimento di attività uguali, analoghe o connesse a quelle già oggetto dei progetti di lavori socialmente utili da essi promossi, gli enti interessati possono, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, stipulare convenzioni di durata non superiore a 60 mesi con società di capitale, cooperative di produzione e lavoro, consorzi di artigiani, a condizione che la forza lavoro in esse occupata sia costituita nella misura non inferiore al 40 per cento da lavoratori già impegnati nei progetti stessi, ovvero in progetti di contenuti analoghi ancorché promossi da altri enti e nella misura non superiore al 30 per cento da soggetti aventi titolo ad esservi impegnati, in qualità di dipendenti a tempo indeterminato, o di soci lavoratori, o di partecipanti al consorzio”.
L’eccezionale deroga prevista dalla normativa in esame riguarda l’obbligo di utilizzazione di lavoratori appartenenti a particolari categorie, ma non giustifica affatto la violazione di altre regole, di rango comunitario, concernenti la definizione dei requisiti soggettivi dei raggruppamenti partecipanti alle selezioni.

34. La reiezione dell’appello rende superfluo l’esame delle censure dichiarate assorbite dal tribunale e riproposte dall’appellato in modo solo subordinato ed eventuale.

35. In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato.

Le spese possono essere compensate.

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello, compensando le spese;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11 dicembre 2001, con l'intervento dei signori:

Emidio Frascione - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Filoreto D’Agostino - Consigliere
Marco Lipari - Consigliere Estensore