EDILIZIA E URBANISTICA - 089
Consiglio di Stato, sezione V, 8 settembre 2003, n.  5032
Sulla distinzione tra le ipotesi di ricostruzione fedele assorbita nella più ampia definizione di ristrutturazione, e di ricostruzione quale nuova costruzione.
Diversità di trattamento in relazione alla normativa sulle distanze in presenza di diversa disciplina nel P.R.G.: anche se la norma sulle distanze legali tra edifici è posta a tutela delle esigenze di ordine pubblico e non può essere derogata da accordi privati, in mancanza di norme contrarie del P.R.G., in sede di ristrutturazione mediante ricostruzione fedele (stessa area di sedime) non debba rispettarsi l'obbligo del rispetto delle distanze legali.

sul punto:
Consiglio di Stato, sezione V, 18 settembre 2003 n. 5310: il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31, comma 1, lett. d) legge n. 457 del 1978 ( ora l’art. 3, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001 - Testo unico dell’edilizia) comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto. E’ illegittimo il divieto imposto in sede di rilascio di una concessione edilizia, di demolizione e ricostruzione di un manufatto: tale divieto contrasta con la definizione di ristrutturazione edilizia codificata dall’art. 3, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, che consente la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso n. 7137/02 R.G. proposto da P.A., P.G. e P.E., rappresentati e difesi dagli Avv. E.L. e M.S. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in ...

CONTRO

- F.V., rappresentato e difeso dagli Avv. L.P. e L.M., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ...

nonché nei confronti di

- Comune di San Bonifacio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv. G.S. e N.P., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ... appellante principale nelle forme dell’appello incidentale;

PER L'ANNULLAMENTO

della sentenza resa dal T.A.R. per il Veneto, sezione Seconda, n. 3070/02, in data 27.6.2002, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da F.V.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’appello principale nelle forme dell’appello incidentale presentato dal Comune di S.Bonifacio;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il Consigliere Michele Corradino;
Uditi alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 gli avv.ti S., M. e P.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sezione seconda, il sig. F.V., il quale, in qualità di proprietario di un immobile confinante con quello di P.A., P.G. e P.E., chiedeva l’annullamento della concessione edilizia n. 8655/98/01 rilasciata dal Comune di S. Bonifacio in data 12.9.01 con la quale i sigg. P. venivano autorizzati a compiere lavori di ristrutturazione del loro immobile, adibito a deposito, mediante demolizione e successiva ricostruzione, e di realizzazione di un piano interrato.

L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con sentenza in forma abbreviata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205/2000, n. 3070/2002, accoglieva il ricorso ed annullava la concessione edilizia, sulla base della considerazione che nella specie doveva applicarsi la normativa dettata in ordine all’edilizia condonata che, avendo natura di norma specifica, prevaleva sulla generale normativa sulla ristrutturazione urbanistica, imponendo il rispetto, nell’ipotesi in esame, della normativa di zona.

Avverso la predetta decisione proponevano rituale appello P.A., P.G. e P.E, assumendo, nel merito, l’erroneità della sentenza, sotto diversi profili:

- Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 26 Legge 1034/71, come modificata dalla legge 205/2000, perché emanata in forma semplificata in mancanza dei presupposti di legge;
- Acquiescenza del ricorrente al provvedimento impugnato, con conseguente inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado;
- Violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S.Bonifacio. Difetto e/o illogicità nella motivazione;
- Violazione ed erronea applicazione di altre norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di S. Bonifacio con riferimento alle normative sulle distanze da edifici di altezza inferiore ai tre metri.

Proponeva, altresì, appello principale, nelle forme dell’appello incidentale, il Comune di S. Bonifacio, deducendo anch’esso, nel merito, l’erroneità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Bonifacio e per illogicità e insufficienza della motivazione;

P.A., P.G. e P.E, con l’adesione del Comune di San Bonifacio, chiedevano, altresì, con il medesimo ricorso, in via preliminare e cautelare, la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 11.10.2002, ha accolto l’istanza cautelare, sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.
Si è costituito F.V. per resistere all’appello.
Con memoria depositata in vista dell'udienza l’appellante ha insistito nelle proprie conclusioni.

Alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, gli appellanti deducono la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 26 della l. 1034/71, come modificata dalla legge 205/2000, perché la sentenza è stata emanata in forma semplificata in mancanza dei presupposti di legge, sollevando, eventualmente, questione di costituzionalità di tale norma.

Rilevano che la sentenza in forma semplificata è stata emanata in assenza del presupposto, richiesto dalla legge, della “completezza del contraddittorio”, ritenendo soddisfatto tale requisito non con la semplice rituale notificazione all’amministrazione resistente ed ai controinteressati, ma con la effettiva partecipazione di tali soggetti all’udienza cautelare in cui è stata pronunciata la sentenza.

Sul punto, basta osservare come la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 546 del 20.01.2002, sez. IV, n. 3929 del 12.07.2002 e n. 3931 del 12.07.2001), ha più volte precisato che la valida costituzione nel giudizio di primo grado si ha con la rituale intimazione delle parti interessate.

Né il Collegio ritiene meritevole di accoglimento la richiesta di sospensione del giudizio con rimessione alla Corte Costituzionale di suddetta normativa per la violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto di difesa, all’effettività della tutela giurisdizionale, e all’obbligo di motivazione, posto che la giurisprudenza ha, più volte, sancito la legittimità costituzionale della sentenza emessa in forma semplificata. Infatti, la Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost., 10 novembre 1999, n. 427) ha già affermato che la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione, e la giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. V, n. 268 del 26.01.2001) ha ribadito che la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, comma 2°, Cost., essendo compatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

2. Con il secondo motivo di ricorso P.A., P.G. e P.E lamentano l’acquiescenza del resistente, ricorrente in primo grado, al provvedimento impugnato, per cui il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile o irrricevibile.

Ciò in quanto con una convenzione intervenuta, in data 13.3.98, tra P.A., P.G. e P.E e F.V., quest’ultimo autorizzava gli odierni appellanti a ristrutturare il manufatto oggetto del presente giudizio, impegnandosi, in più, a realizzare lo scavo per la parte interrata dello stesso. Da qui si deduce l’acquiescenza al provvedimento concessorio che avrebbe dovuto, in seguito, autorizzare questi lavori.

Tale motivo, risulta, parimenti, infondato.

Infatti, Infatti al di là della considerazione che non si ritiene configurabile un’acquiescenza preventiva ad un provvedimento amministrativo, posto che, alla data della convenzione, non era stata neanche inoltrata la domanda di concessione edilizia, l’efficacia dell’accordo è smentita da altre due circostanze. 
Da un lato, dal fatto che la convenzione suddetta è stata sottoscritta da F.V. non in proprio ma in qualità di legale rappresentante della S. s.n.c., allora proprietaria dell’immobile confinante con quello dei P.A., P.G. e P.E, e dalla quale poi il F.V. lo avrebbe acquistato, per cui l’attuale resistente è soggetto diverso ed estraneo all’accordo, che non può produrre effetti nei confronti dei terzi in assenza, come in questo caso, di trascrizione.
Per altro verso, dal rilievo che la disciplina delle distanze legali è sancita da norme poste a tutela delle superiori esigenze di ordine pubblico ad una ordinata e razionale edificazione, e perciò non soggette ad essere derogate da accordi pattizi privati (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, n. 3929 del 12.07.2002).

I primi due motivi di ricorso vanno, quindi, disattesi.

3. Risulta fondato, invece, il terzo motivo di ricorso proposto dall’appellante.

Merita adesione, infatti, la censura con la quale sia il Comune di S. Bonifacio che P.A., P.G. e P.E deducono il difetto di motivazione e la violazione e/o falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. da parte della sentenza impugnata.

Come accennato in fatto, il T.A.R. Veneto ha accolto il ricorso ritenendo di applicare la normativa specifica, e quindi prevalente su quella urbanistica generale, dettata in materia di edilizia condonata, che impone, in caso di abbattimento e ricostruzione, il rispetto della normativa di zona. 
Di qui, anche se sul punto non vi è espressa pronuncia, conseguirebbe il mancato rispetto, imposto, appunto, dalla normativa di zona, delle norme generali sulle distanze.

Tale iter argomentativo non è condivisibile.

In ordine all’edilizia condonata, la normativa speciale delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Bonifacio prevede, “in caso di abbattimento e ricostruzione, il rispetto delle normative e destinazioni di zona”. E le normative di zona prescrivono (pag. 35 N.T.A.), con riguardo a quella di riferimento del manufatto in questione, realizzato in zona B di P.R.G., che la ristrutturazione richiesta avvenga mediante “la ricostruzione sull’area di sedime preesistente o all’esterno di essa, nel rispetto delle norme generali sulle distanze”.

Si ritiene, anzitutto, contrariamente a quanto affermato dal Comune appellante, che le ipotesi di abbattimento e ricostruzione possano ricomprendere, come nel caso di cui si tratta, anche quelle conseguenti a semplici ristrutturazioni, quindi con demolizione e successiva ricostruzione perfettamente fedele alla superficie coperta, al volume e alla sagoma dell’edificio preesistente, per cui il giudice di primo grado ha letto correttamente l’esistenza dei presupposti di fatto per l’applicazione della normativa di zona.
Le conseguenze di tale assunto, però, basate evidentemente, in assenza di motivazione espressa in proposito, sull’interpretazione di suddetta normativa, non sono corrette.

In particolare, vale osservare che le prescrizioni di zona prevedono, per le ristrutturazioni, la necessità della ricostruzione sull’area di sedime preesistente, come avvenuto nel caso in esame, “o”, se all’esterno di essa, e cioè all’esterno dell’area di sedime preesistente, il rispetto delle norme generali sulle distanze.
In altri termini è da intendere che la disgiuntiva o separi due ipotesi nettamente distinte, in ordine alla imposizione del rispetto delle norme generali sulle distanze, a seconda che la ricostruzione dell’immobile avvenga o meno nel fedele rispetto dell’edificio già esistente. 
Altrimenti, se il rispetto delle norme sulle distanze fosse imposto in entrambe le ipotesi, non si spiegherebbe il motivo della distinzione. 
Sarebbe stato sufficiente, infatti, consentire “la ricostruzione degli edifici nel rispetto delle norme generali sulle distanze”, oppure, in alternativa, inserire la congiuntiva e al posto della disgiuntiva o.

Va inoltre considerato che se la disposizione fosse da intendersi nel senso del necessario rispetto delle norme generali sulle distanze in caso di semplice ristrutturazione, essa si porrebbe in contrasto sia con il concetto di ristrutturazione fatto proprio dal legislatore con la legge 443 del 2001, dove all’art. 1, comma 6, lett. b), si prevede espressamente che le ristrutturazioni edilizie sono “comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma”, sia con la stessa nozione accolta dalle N.T.A. del Comune di S. Bonifacio, laddove (pag. 9 N.T.A.) si stabilisce che “la ristrutturazione definisce anche la possibilità di demolizione e ricostruzione dell’esistente, purché ciò avvenga sull’area di sedime e all’interno delle sagome volumetriche originarie”.

E, a conferma di siffatte considerazioni, non è di scarso rilievo la ulteriore previsione delle N.T.A. (da pag. 10), secondo cui “… non può essere impedita solo da ragioni di distanza la ricostruzione all’interno dell’area di sedime di edifici preesistenti legittimamente demoliti dopo l’approvazione del P.R.G. ed inequivocabilmente documentati….”, fattispecie nella quale rientra il fabbricato di cui si controverte, oggetto dei lavori di ristrutturazione nel 2001, dopo l’approvazione del P.R.G., avvenuta nel 1998, come ampiamente documentato.

Il motivo è, quindi, fondato.

4. Per quanto considerato e assorbito quant'altro i ricorsi in appello vanno accolti.

5. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie gli appelli in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 15 aprile 2003, con l'intervento dei signori

Alfonso Quaranta, Presidente,
Giuseppe Farina, Consigliere,
Corrado Allegretta, Consigliere,
Francesco D’Ottavi, Consigliere,
Michele Corradino, Consigliere estensore.