EDILIZIA - 043
T.A.R. Lombardia, sezione Brescia, 4 settembre 2001, n. 767 (identica: n. 768)
E' illegittima per contrasto con l’art. 2 del D.M. 2.4.1968, n. 1444 la previsione del P.R.G. secondo la quale il mutamento tra le singole sottocategorie di destinazioni funzionali implica mutamento di destinazione d’uso e rilevi dal punto di vista urbanistico-contributivo.
E' illegittima per contrasto con il principio della corretta pianificazione la previsione del P.R.G. di una immotivata combinazione di parametri urbanistico-edilizi, notevolmente sovradimensionata rispetto ai minimi di legge, secondo la quale la possibilità edificatoria sia soltanto "virtuale" in quanto limitata da altri parametri.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione staccata di Brescia
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n.1197/99 proposto da X s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli Avv.ti G.F., I.F. e F.F. ed elettivamente domiciliate presso gli stessi in Brescia, ...; 

contro

Comune di Castegnato, in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M.U.B. ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Brescia, ...;

e nei confronti di

Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, non costituitasi in giudizio;

per l'annullamento

della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Castegnato n. 23 del 29.4.1999 con la quale è stata adottata la variante generale al Piano Regolatore di Castegnato.

Visto il ricorso  con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese e domande;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito il ref. Elena Quadri, designato relatore per l’udienza del 29.6.2001;
Uditi i difensori del ricorrente e del resistente;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato l’ 8.10.1999 e depositato il 21.10.1999, le ricorrenti, rispettivamente proprietaria ed utilizzatrice di aree comprese nel territorio del Comune di Castegnato, impugnano la variante urbanistica adottata con la deliberazione indicata in epigrafe, deducendo:

Violazione dell’art. 2 del D.M. 2.4.1968, n. 1444 e degli artt. 8 e 25, ultimo comma della legge 28.2.1985, n. 47;

L’art. 26 delle N.T.A. distinguerebbe arbitrariamente le destinazioni funzionali produttive, direzionali e commerciali in una serie irrazionale di sottocategorie, prevedendo che il passaggio da una all’altra delle stesse sia qualificabile come mutamento di destinazione d’uso, pur se non implicante il passaggio fra le distinte categorie funzionali indicate dall’art. 2 del D.M. 1444/68; inoltre, l’art. 6, comma 1 delle N.T.A. vieterebbe le destinazioni d’uso non espressamente previste dal P.R.G. con le sigle e le espressioni descrittive di cui al comma 2. Il tutto illegittimamente, in quanto le disposizioni suddette attribuirebbero rilevanza a variazioni d’uso degli immobili non rilevanti sotto il profilo della pianificazione territoriale e non comportanti incrementi del carico urbanistico, in violazione dell’art. 2 del citato D.M.

Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza e contrasto con i criteri generali di corretta pianificazione del territorio. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, dell’art. 7 della legge 17.8.1942, n. 1150 e degli artt. 19 e 22 della legge reg. 15.4.1975, n. 51;

L’impugnata variante prevederebbe una combinata applicazione di parametri urbanistico-edilizi relativi al limite di superficie lorda di pavimento di 0,75 mq/mq, al rapporto di copertura pari ad 1/2, al limite di altezza dei fabbricati pari a m. 10 o uguale all’altezza di edifici esistenti sull’area di proprietà interessata dall’intervento, che nel caso di specie è di m. 6, alla percentuale del 30% del lotto da riservare a verde al netto delle superfici pavimentate e di quelle riservate a passaggi veicolari o a parcheggi o interessate da costruzioni interrate dell’altezza superiore a m. 3,50, alla dotazione minima di parcheggi nella percentuale del 100% della S.l.p.. Ciò ridurrebbe irragionevolmente ed in modo immotivato la concreta edificabilità delle aree di cui sono proprietarie ed utilizzatrici le società ricorrenti, menomando le potenzialità economiche delle attività sulle stesse esercitate. Il tutto determinando una contraddizione con l’indice di utilizzazione fondiaria delle aree produttive stimato dal comune ed il conseguente sovradimensionamento della dotazione di aree a standard poste al servizio delle attività produttive, commerciali e direzionali, commisurata alla potenzialità edificatoria virtuale delle zone D, assai maggiore di quella effettiva.

Violazione dell’art. 41-sexies della legge 1150/42, come modificato dall’art. 18 della legge 765/1967 e dall’art. 2 della legge 122/1989; dell’art. 12 della legge reg. 60/1977 e dell’art. 22 della legge reg. 51/75; eccesso di potere per difetto di motivazione e manifesta irragionevolezza;

L’art. 28 delle N.T.A. imporrebbe di reperire all’interno del lotto una superficie di spazi di parcheggio pari al 100% della S.l.p. adibita a destinazione commerciale, direzionale od alberghiera, superficie molto maggiore rispetto ai minimi di legge e senza motivare in alcun modo sul punto; inoltre, l’art. 26 delle N.T.A. imporrebbe la destinazione a verde del 30% della superficie del lotto, il tutto con effetti troppo onerosi per i proprietari ed utilizzatori delle aree.

Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei   presupposti.

Le N.T.A. censurate, in particolare l’art. 28, disporrebbero in maniera restrittiva delle potenzialità edificatorie sulle aree ove operano le ricorrenti, senza tener conto delle peculiari esigenze delle attività di vendita di materiali edili, che necessitano senza dubbio di ampi locali, di altezza almeno pari ai m. 4 in considerazione del ricovero dei mezzi cabinati (anche quelli interrati), ma non altrettanto di parcheggi.

Violazione dell’art. 2 della legge reg. 24.11.1997, n. 41; eccesso di potere per difetto di istruttoria; inosservanza delle direttive regionali di cui alla deliberazione della G.R. 6.8.1998, n. 6/37918;

La variante generale al P.R.G. sarebbe stata adottata senza che il Comune si fosse previamente dotato dell’obbligatorio studio geologico, che solo permette la possibilità di valutazione di congruità fra le risultanze del suddetto studio e le previsioni urbanistiche contenute nel progetto di P.R.G..

Si è costituito il resistente Comune, che ha opposto l’inammissibilità ed irricevibilità del gravame e, comunque, richiesto la sua reiezione per infondatezza nel merito.

In data 18.6.2001 l’Amministrazione resistente ha presentato memoria finale, ribadendo le istanze formulate.

Alla pubblica udienza del 29.6.2001 il gravame è stato, quindi, trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso all’esame le società ricorrenti impugnano la deliberazione descritta in epigrafe afferente l’approvazione del nuovo P.R.G. del Comune di Castegnato.

Deve in via preliminare analizzarsi l’eccezione di inammissibilità del gravame, con riferimento ai primi quattro motivi, formulata dal Comune, in quanto le ricorrenti avrebbero impugnato N.T.A. a carattere non immediatamente precettivo e, di conseguenza, censurabili solo a seguito dell’emanazione dell’atto applicativo, difettando, dunque, dell’interesse a ricorrere.

Deve, al contrario, osservarsi che le norme tecniche di attuazione impugnate con i primi quattro motivi di ricorso (artt. 26 e 28 N.T.A.) sono da ritenersi immediatamente lesive della posizione delle ricorrenti, che esercitano un’attività di commercio di materiali edili, in quanto prescrivono rilevanti restrizioni delle potenzialità edificatorie delle aree sulle quali si svolge la loro attività.

E’ da rinvenirsi, quindi, l’interesse all’impugnazione con riferimento a tutti i motivi di ricorso.

Passando all’esame del merito della presente controversia, le ricorrenti censurano la deliberazione comunale con la quale è stata adottata la variante generale del P.R.G. di Castegnato con vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere, lamentando, sostanzialmente, l’illegittima ed immotivata limitazione delle potenzialità edificatorie delle aree di loro proprietà ed utilizzazione.

Il ricorso è fondato in relazione alle prime quattro censure, alla luce delle seguenti considerazioni.

Con riferimento alla prima, inerente alla illegittima previsione di sottocategorie funzionali operata dall’art. 26 N.T.A., deve osservarsi che, nonostante sia stato affermato che le principali categorie di destinazioni d’uso individuate ai fini della determinazione degli standard ottimali dal D.M. 1444/1968 possono contenere all’interno singole destinazioni d’uso differenziate e, di conseguenza, infungibili tra loro, in quanto le destinazioni d’uso possono implicare restrizioni anche nell’ambito della stessa categoria funzionale (T.A.R. Veneto, 17.11.97, n. 1569), l’indirizzo largamente prevalente della giurisprudenza amministrativa è di contrario avviso, e ciò sul rilievo che “Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell'ambito della medesima categoria” (Cons. di Stato, Sez. V, 14.10.92, n. 1005; nello stesso senso, Sez. V, 2.2.95, n. 180; T.A.R. Lombardia - Milano, 14.5.96, n. 664).

Il Collegio ritiene di dover aderire a quest’ultima impostazione. Di conseguenza, nel caso di specie l’amministrazione comunale, prevedendo che il mutamento tra le singole sottocategorie di destinazioni funzionali coniate dall’art. 26 N.T.A. implichi mutamento di destinazione d’uso, quindi rilevi dal punto di vista urbanistico-contributivo, ha senza dubbio operato in contrasto con il dettato normativo dell’art. 2 del D.M. 2.4.1968, n. 1444.

La seconda, terza e quarta censura risultano strettamente correlate tra di loro. Con le stesse si lamenta, infatti la previsione da parte della variante di combinati parametri urbanistico-edilizi non motivata, notevolmente sovradimensionata rispetto ai minimi di legge (con riferimento ai parcheggi) e che non tiene conto in alcun modo delle particolari esigenze dettate dal tipo di attività svolta dalle ricorrenti, limitando restrittivamente le effettive potenzialità edificatorie delle loro aree.

In effetti, analizzando la delibera censurata, si constata che l’indice di utilizzazione fondiaria previsto dal P.R.G. per le zone a destinazione produttiva, commerciale e direzionale (0,75 mq/mq) è soltanto virtuale, perché lo stesso risulta sfruttabile solo in parte. Anche se si volesse utilizzare l’intero rapporto di copertura, pari alla metà del lotto, si dovrebbe poi reperire una dotazione di parcheggi pari al 100% della S.l.p. e riservare a verde il 30% della superficie del lotto, al netto delle superfici pavimentate, di quelle riservate a parcheggi e di quelle interessate da costruzioni interrate con altezza superiore ai m. 3,50. Risultano dunque inficiate le stesse previsioni generali di piano, in quanto la delimitazione e la quantificazione delle aree a destinazione produttiva, commerciale e direzionale (zone D) sono state operate in considerazione dell’indice di utilizzazione fondiaria di 0,75 mq/mq, che risulta conseguentemente regredito a mera previsione virtuale del P.R.G.. Né tale dettato risulta motivato in modo particolare, nonostante fossero coinvolti interessi specifici di notevole rilievo.

La pianificazione urbanistica è certo caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità, in quanto il Comune è chiamato a compiere le sue scelte in considerazione del migliore assetto da attribuire al proprio territorio. Questo non significa, però, che tali scelte non debbano pur sempre garantire una imparziale ponderazione degli interessi coinvolti, dovendo l’amministrazione valutare attentamente se l’astratto miglioramento della situazione urbanistica non contrasti invece con diversi rilevanti interessi, anche privati, il cui sacrificio, quale frutto della relativa graduazione operata, deve essere puntualmente apprezzato ed altrettanto adeguatamente motivato.

E’ infatti proprio la contestuale ponderazione degli interessi in gioco, derivante dalla considerazione totale del territorio in sede di previsioni urbanistiche, che garantisce l’imparzialità delle scelte pianificatorie.

Senza dubbio l’operato dell’amministrazione non si è uniformato nella specie ai principi della corretta pianificazione urbanistica, che traspaiono dalla normativa del settore e che sono stati ben posti in evidenza dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione: “In sede di adozione di strumenti urbanistici e di pianificazione del territorio, l’ampia discrezionalità concessa all’Amministrazione trova un limite nel dovere di non gravare gli insediamenti in atto e segnatamente quelli produttivi con vincoli tali da rendere difficoltosa, se non impossibile nel tempo, la relativa attività” (T.A.R. Lombardia - Brescia, 31.5.1986, n. 185).

E l’operato del Comune, con l’introduzione della suddetta combinazione di parametri edificatori, non ha minimamente tenuto in considerazione gli interessi delle società ricorrenti in sede di pianificazione, come dimostrato dalla inclusione dei locali parzialmente interrati di altezza superiore ai m. 3,50 nelle superfici da considerare ai fini della percentuale del 30% da riservare a verde. Una attenta ponderazione degli interessi coinvolti, anche di quelli delle ricorrenti, che utilizzano mezzi cabinati alti quattro metri per la loro attività, avrebbe certamente potuto far optare per l’inclusione dei locali interrati di altezza superiore ai m. 4, non rilevando certamente in alcun modo la differenza di 50 centimetri.

Si rileva, inoltre, l’assenza di adeguata motivazione di tali scelte, senza dubbio necessaria nel caso in cui, come nella specie, risultano coinvolti specifici interessi, anche privati. Sul punto la giurisprudenza appare sostanzialmente uniforme, anche nelle ipotesi di atti generali di pianificazione urbanistica.

Con riferimento al quinto ed ultimo motivo di ricorso, inerente alla mancata predisposizione preventiva dello studio geologico sulla base del quale operare la variante, lo stesso non risulta fondato.

Diversamente da quanto sostenuto dalle società ricorrenti, infatti, l’amministrazione comunale si è previamente dotata di studio geologico idoneo ai sensi dell’art. 2 della legge reg. n. 41/97, attribuendo alla dott.ssa M. l’incarico di effettuare detto studio e di redigere la relazione con i relativi elaborati, che risultano prodotti in atti. I risultati del suddetto studio sono stati recepiti in sede di redazione dello strumento urbanistico, come risulta dall’esame della pagina 9 della relazione tecnica illustrativa del Piano. A nulla rileva, dunque, che la delibera di adozione dello stesso non accenni alla preventiva redazione dello studio geologico, una volta constatatane l’esistenza e che risulti che la successiva formazione del Piano è stata elaborata sulla base delle risultanze dello stesso.

Per le suesposte considerazioni il ricorso va accolto per i primi quattro motivi e, per l’effetto, l’atto impugnato va annullato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei limiti di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Castegnato a corrispondere le spese di giudizio a favore della parte ricorrente, che liquida in complessive lire 5.000.000 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa. Compensa le spese tra le ricorrenti e la regione Lombardia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 29.6.2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco Mariuzzo - Presidente
Alessandra Farina - Giudice
Elena Quadri - Giudice