EDILIZIA - 017
Consiglio di Stato, Sezione IV, 19 aprile 2000, n. 2336
Piano di recupero - Natura e limiti - Potere di valutazione da parte del Comune - Il Piano di recupero , finalizzato appunto al recupero di cui all’articolo 31 della legge n. 457 del 1978, può prevedere interventi "rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale": tuttavia, ai sensi dell’articolo 27 della stessa legge n. 457 del 1978 esso, anche se relativo ad "isolati ed aree", ha precipuamente la finalità di "recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente" perseguita "mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso"; ne deriva che l’Amministrazione è tenuta a valutare la possibilità di perseguire il nuovo disegno urbano mediante il recupero del patrimonio edilizio esistente – da intendersi anche con riferimento ai singoli edifici esistenti, se del caso degradati – e quando siffatta scelta si palesi non perseguibile, ricorrere alla sostituzione del tessuto urbano esistente. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4513 del 1998, proposto dal Comune di Pordenone, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati L.M. e I.C., con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Via ...

contro

- i signori L.B. e L.B., rappresentati e difesi dagli avvocati A.S., E.D.B. e F.V.L., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo, in Roma Via ...

e nei confronti

- del Ministero dei lavori pubblici, in persona del Ministro pro-tempore;
- del Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro-tempore;
entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui sono ex~lege domiciliati in Roma, Via ...;

per l’annullamento

della sentenza 15 gennaio 1998, n. 88, resa inter partes dal T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, relativa a provvedimenti attinenti al piano di recupero n. 25 di via Fontana, adottato dal Comune appellante.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori B. e B., nonché delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 19 ottobre 1999, data per letta la relazione del Consigliere Dedi Rulli, uditi l'Avv. L.M. per il Comune di Pordenone, l'Avv. A.V.L. - su delega dell'Avv. F.V.L.-  per L.B. e L.B., e l'Avv. dello Stato G. per i Ministeri appellati;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue

FATTO

1. Con ricorso n. 449/93, i signori L.B. e L.B., proprietari di un compendio immobiliare ad uso di abitazione e di laboratorio di falegnameria, situato in Pordenone, via ..., impugnavano innanzi al T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia i seguenti provvedimenti:
- decreto 27 dicembre 1991, n. 8290 del Provveditore regionale alle opere pubbliche di Trieste, che aveva approvato il progetto generale e quello di 1° stralcio per la realizzazione di un edificio da adibire a servizi generali e di accasermamento della Polizia di Stato di Pordenone;
- decreto 19 dicembre 1992, n. 51802/21741/2° del Prefetto di Pordenone, che aveva disposto l’occupazione d'urgenza del fondo dei ricorrenti per l'esecuzione dell'opera in argomento.

Esponevano in punto di fatto che l'immobile, collocato nel pieno centro cittadino, ricadeva sino al 1986 in zona classificata "B intensiva". Venne successivamente incluso in una più ampia area destinata ad ospitare gli edifici della Prefettura, della Questura e del Genio Civile, nonché un centro polivalente culturale da ricavare in una ristrutturanda fabbrica di birra. Il vincolo preordinato all'esproprio, imposto nel 1986, fu reiterato nel 1990.

I ricorrenti deducevano i seguenti motivi:
A) Avverso l'approvazione del progetto:
a).Violazione dell'art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Agli istanti non è stata data alcuna comunicazione circa l'avvio della procedura di esproprio prima della notifica del decreto del Prefetto e del provvedimento del Provveditore alle opere pubbliche.
b) Violazione dell'art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359.
Nell'approvazione del progetto (che equivale a pubblica utilità non è contenuto il termine finale dei lavori.
c) Violazione dell'art. 11 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
Nell'approvazione del progetto non è stata indicata la misura dell'indennità di esproprio.
d) Incongruenza e palese insufficienza della voce di spesa.
B) Avverso il decreto del Prefetto: illegittimità derivata.

1. Si costituiva in giudizio l'Amministrazione comunale, eccependo il sopravvenuto difetto di interesse sul rilievo che gli atti impugnati erano la reiterazione di precedenti atti.

2. Con successivo ricorso (n. 894/96) i signori B. e B. impugnavano il piano di recupero n. 25 di via Fontana, adottato dal Comune di Pordenone con deliberazione consiliare 19 dicembre 1989, n. 735 e approvato con deliberazione consiliare 24 settembre 1990, n. 773.
Queste le censure dedotte:
a) Violazione degli articoli 27 e 28 della legge 5 agosto 1978, n. 457 e degli articoli 4, 5, 6 e 7 della legge regionale 28 aprile 1986, n. 18.
Il Comune non ha proceduto alla previa delimitazione dell'area interessata al fine di includerla fra le zone di degrado, come previsto dalla legge regionale. Tanto risulta dal certificato di destinazione urbanistica.
b) Violazione dell'art. 28 della legge 5 agosto 1978, n. 457 e dell'art. 7 della legge regionale 28 aprile 1986, n. 18. Travisamento.
Il piano, anziché recuperare, sostituisce integralmente il tessuto sia urbanistico che edilizio dell'area, in contrasto addirittura con la relazione tecnica.
c) Sviamento.
Il recupero per il Comune è rilevante solo quanto alla piazza. Tutti gli altri edifici di cui consta il piano sono rimessi alle disponibilità finanziarie degli enti pubblici.
Il Comune si costituiva in giudizio, eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto gli estremi del piano erano chiaramente indicati negli atti espropriativi, notificati ai ricorrenti nell'anno 1992.
Con apposito motivo aggiunto gli stessi hanno ribadito la doglianza di mancata perimetrazione della zona di degrado, impugnando la delibera della Giunta Municipale di Pordenone 20 settembre 1988, n. 2533 ratificata dal consiglio comunale con delibera 12 giugno 1989 n. 564.

3. Con un terzo ricorso (n. 494/97) i medesimi B. e B. impugnavano:
- il decreto 18. aprile 1997, n. 3066 del Provveditore regionale alle opere pubbliche, mediante il quale era stato riapprovato il progetto esecutivo dell'opera sopra indicata;
- il decreto 20 giugno 1997, n. 4950 del Provveditore regionale alle opere pubbliche, contenente la dichiarazione di urgenza e di indifferibilità dei lavori e i termini per l'inizio e la fine delle relative espropriazioni;
- il decreto 11 luglio 1997, n. 51802/20478 del Prefetto di Pordenone, che autorizzava la S.p.A. A.F. Costruzioni ad occupare in via di urgenza il terreno di proprietà dei ricorrenti.

Venivano formulate le censure di cui appresso:
a) Illegittimità per contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.
Dalla lettura dell'intesa stipulata in data 18 ottobre 1996 risulta che la costruzione dell'edificio della Questura e in contrasto con il Piano di recupero perché esso viene realizzato senza la contestuale approvazione del progetto unitario per le parti scoperte ad uso pubblico, come prescrive l'art.3 delle norme di attuazione.
Né, a superare l'ostacolo, risulterebbe sufficiente l’introduzione di un parcheggio a raso temporaneo, a servizio della Questura, perché si violerebbe comunque il predetto articolo 3.
b) Violazione dell'articolo 89 della legge regionale  n. 52 del 1991 e dell'articolo 81 del D.P.R. n. 616 del 1977.
In presenza del contrasto così evidenziato il progetto di fabbricato doveva seguire l'iter previsto dall'articolo 89 della legge regionale n. 52 del 1991, cioè, era necessario previa intesa tra Regione e gli enti interessati - seguire la procedura idonea a consentire le occorrenti variazioni urbanistiche, con deposito del progetto presso la segreteria comunale e le connesse forme di pubblicità.
L'atto d'intesa 18 ottobre 1996 tra il Comune ed il Provveditorato regionale alle opere pubbliche non è equivalente a quello previsto dalla legge regionale.
c) Illegittimità derivata dal piano di recupero e ulteriore contrasto con lo strumento urbanistico generale.
d) Violazione dell'art.13 della legge n. 2359 del 1865 perché il provvedimento del 18 aprile 1997 ha riapprovato l'esecuzione dell'opera pubblica nonostante la scadenza dei termini e il successivo provvedimento del 20 giugno 1997 ha fissato i termini per l'inizio e la fine delle espropriazioni. Tali termini devono essere fissati nell’atto di approvazione del progetto.
e) Violazione degli articoli 2, 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Il Prefetto ha comunicato ai ricorrenti ravvio della procedura espropriativa l'11 luglio 1997, ma a quella data il primo atto della procedura espropriativa era stato già effettuato, perché il decreto di autorizzazione all'occupazione porta anch'esso la data dell'11 luglio 1997.
In tal modo essi non hanno avuto la possibilità di partecipare alla procedura in itinere.
Le argomentazioni giurisprudenziali in senso contrario non terrebbero in dovuto conto le innovazioni di cui alla legge n.1 del 1978.
f) Illegittimità della occupazione d'urgenza derivata dalla surriferita illegittimità degli atti prodromici.
g) Violazione degli articoli 71 della legge n. 2359 del 1865, 1 della legge n. 1 del 1978 e 20 della legge n. 865 del 1971, eccesso di potere per erroneità del presupposto.
La convenzione di concessione prevede una durata quinquennale, anche se prorogabile, per completare la procedura espropriativa e realizzare i lavori, cosicché alla data dell'11 luglio 1997 la concessione stessa doveva ritenersi scaduta non essendo intervenuta alcuna proroga.
Resiste in giudizio il Comune, il quale rileva che l'atto di intesa tra Comune e Provveditore regionale risulta atto endoprocedimentale rispetto alla dichiarazione di conformità urbanistica, ottenuta dalla Regione in data 10 gennaio 1997.
Resiste anche la S.p.A. A.F. Costruzioni la quale nega che vi sia alcun contrasto tra il progetto dell'opera ed il piano di recupero. Osserva poi, che, il termine di scadenza della concessione era il 28 agosto 1997.
I ricorrenti, hanno prodotto un motivo aggiunto, al terzo gravame avverso due atti: uno della Regione del 10 gennaio 1997, che ha espresso un parere favorevole all'intesa tra Comune e Provveditorato regionale sulla compatibilità urbanistica, ed uno del Provveditore regionale del 21 marzo 1997 prot. 337, con cui lo stesso ha accertato la conformità urbanistica del progetto dei lavori.
In relazione ai provvedimenti impugnati con l'ultimo ricorso, gli interessati deducono l'illegittimità derivata dalla illegittimità dei due citati provvedimenti della Regione e del Provveditore regionale, i quali risulterebbero viziati per violazione e falsa applicazione dell'articolo 89 della legge regionale n. 52 del 1991 e dell'articolo 81 del d.P.R. n. 616 del 1977. Infatti; i due provvedimenti di conformità urbanistica sarebbero stati assunti in mancanza di tale conformità, mentre si sarebbe dovuta attivare la procedura di cui all'articolo 89 della legge regionale 52 del 1991.

4. Con la decisione in epigrafe, il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, riuniti i ricorsi:
- ha dichiarato improcedibile il primo in quanto i relativi provvedimenti erano stati riadottati dalle amministrazioni competenti e le nuove determinazioni erano state gravate con il terzo ricorso;
- ha accolto la seconda impugnativa, dopo aver disatteso l’eccezione di tardività sollevata dalle parti resistenti;
- ha accolto il terzo ricorso, previo rigetto della censura di mancata perimetrazione delle zone degradate.

5. Ha proposto appello avverso tale pronunzia il Comune di Pordenone, che ha ribadito la tardività della impugnazione del piano di recupero (ricorso n. 894/96) e ha chiesto nel merito l'accoglimento del gravame, al pari dei Ministeri dell'Interno e dei lavori pubblici, costituitosi in giudizio.
I ricorrenti hanno proposto controricorso e ricorso incidentale, deducendo nuovamente le censure dichiarate assorbite. In memoria il Comune ha eccepito la tardività dell'appello incidentale.

DIRITTO

I. Nell’appello del Comune di Pordenone, viene in primo luogo ribadita l'eccezione di tardività del ricorso n. 894/96, secondo di quelli proposti dai Signori L.B. e L.B. avverso il piano di recupero n. 25 di via Fontana, adottato con deliberazione consiliare 19 dicembre 1989, n. 735 ed approvato con deliberazione consiliare 24 settembre 1990, n. 773.
La tardività del ricorso viene eccepita dal Comune sulla base dei seguenti rilievi:
- la delibera di approvazione di detto piano risalente al 1990, è stata impugnata soltanto nel 1996, dopo il decorso del termine di decadenza decorrente dall'esaurimento della fase di pubblicazione del piano attuativo;
- la piena conoscenza (o conoscibilità) del piano di recupero era desumibile quanto meno dagli atti, impugnati con il primo ricorso (n. 449/93), recanti l'uno l’approvazione del progetto generale e del primo stralcio esecutivo di una parte dei lavori previsti dal piano stesso (decreto provveditoriale 27 dicembre 1991), l'altro, l'autorizzazione alla occupazione d'urgenza dell'area di proprietà degli originari ricorrenti (decreto prefettizio 19 dicembre 1992). Sarebbe erronea l'affermazione del primo giudice circa l'obbligo di notifica individuale del piano di recupero.

L'eccezione è infondata.

Come risulta dagli atti, soltanto sul decreto approvazione del progetto si afferma testualmente che l'area è "compresa nell'ambito del piano di recupero n. 25 approvato con delibera consiliare n. 25 del 7.11.1990" e alcun cenno viene fatto allo strumento de quo nel decreto di occupazione d'urgenza. Ciò non integra, anche ad avviso dell'adito collegio, la piena conoscenza del contenuto lesivo del piano urbanistico approvato così come correttamente ha rilevato il T.A.R., sulla scorta della costante giurisprudenza della Sezione.
Sussisteva, inoltre, l'obbligo di modifica agli interessati del piano di recupero, nonostante che tale adempimento non sia previsto dalla legge regionale 19 novembre 1991, n. 52 (disciplina della pianificazione territoriale e urbanistica).
Tale obbligo, invero, discende dal disposto nell'art.28, comma 4, della 1. 5 agosto 1978, n. 457, il quale recita:
"Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale".
Posto che la Regione Friuli-Venezia Giulia nulla ha statuito in ordine alla notifica del piano di recupero, trova applicazione, per esplicita volontà di legge, la disciplina statale per i piani particolareggiati, la quale prevede appunto la notifica individuale (v. art. 16, comma 10, legge 17 agosto 1942, n.1150, come modificato dall'art. 5, legge 6 agosto 1967, n. 765).
Della stessa opinione è stata, peraltro, la stessa Regione, la quale, all'indomani dell'entrata in vigore della citata legge n .457/1978, ebbe ad emanare la circolare n.1 del 2.1.1979, dove si legge: "...Si richiama l’attenzione sul fatto che lo stesso (P.d.R.) dovrà essere notificato ai singoli proprietari in analogia a quanto disposto per i piani particolareggiati".
Nella specie, il piano di recupero è stato notificato il 4 settembre 1996: appare quindi, tempestivo il ricorso di primo grado n. 894/96.

II. Nel merito l'appello principale è fondato, anche se nei limiti e per le ragioni che saranno ora precisati.

a) In primo luogo va ricordata la giurisprudenza della Sezione, (28 maggio 1988, n. 468), secondo la quale "i piani di recupero possono avere ad oggetto non solo un recupero edilizio, bensì pure un recupero urbanistico.
Nel solo caso in cui il piano riguardi il recupero edilizio può essere ritenuta legittima la limitazione dell'intervento a singoli compendi immobiliari. Diversa regola vale per i piani di recupero urbanistico, che hanno ad oggetto la ridefinizione del tessuto urbanistico di un'area o di un complesso di aree, anche in relazione agli spazi e alle opere pubbliche esistenti o da programmare per le esigenze della collettività. Il piano di recupero urbanistico ha effetti programmatori suoi propri: la revisione dell'assetto urbanistico delle zone soggette a recupero potrà, quindi, comportare una diversa sistemazione dei lotti o degli isolati, una differente sistematica delle vie di comunicazione, il reperimento di aree per servizi di interesse pubblico, la individuazione di edifici esistenti da destinare a servizi pubblici...
".
Il piano di recupero, quale strumento attuativo suscettibile di perseguire finalità di recupero urbanistico, e contemplato dall'art. 31 della legge n. 457 del 1978, in base al quale esso può prevedere interventi "rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale", nonché dalla normativa regionale. Invero l’art. 1 della legge regionale 29 aprile 1986, n.18 assegna al detto strumento la funzione di "recupero sia come conservazione e riuso, sia come completamento e/o sostituzione del tessuto edilizio e delle funzioni insediative esistenti".
Diversamente dal piano particolareggiato, che ha la precipua funzione di disporre il riassettamento della zona in ossequio alle esigenze di funzionalità previste nello strumento urbanistico generale, il piano di recupero deve adattare alle esigenze attuali il tessuto urbanistico esistente: sotto tale aspetto il piano di recupero e strumento più complesso rispetto al piano particolareggiato. Infatti, a differenza di quest'ultimo deve valutare compiutamente la compatibilità del tessuto preesistente con le nuove esigenze urbanistiche, dando atto delle scelte operate sia sotto il profilo della corrispondenza del preesistente con il futuro sviluppo della zona, che sotto il profilo della necessità degli interventi necessari a rendere compatibili con gli obiettivi fissati dall'amministrazione gli edifici esistenti e in atto degradati.

b) Contrariamente a quanto sostengono gli appellati, a siffatta impostazione sono pienamente coerenti, anche se in linea di massima, i provvedimenti adottati dal Comune in materia, quali la delibera consiliare n. 735 del 19.12.1989 (adozione del piano di recupero) e l’approvazione del piano attuativo di un programma di riqualificazione urbana, di cui alla delibera consiliare n. 83 del 27.5.1987, emanata ai sensi dell'art.13 della legge regionale n.18 del 1986 (delibera, peraltro, mai impugnata).
In tale ultima delibera l’ambito ove è compreso l’immobile degli appellati è qualificato - ex art. 12 della citata legge regionale n.18 come "area strategica", per la ritenuta sussistenza dei parametri sia strutturali che sociali di cui al medesimo art.12.
Detta norma definiva strategica "la porzione di tessuto urbano che, all'interno dei centri urbani o anche in posizione periferica, sia determinante, in relazione alle sue funzioni insediative e di esemplarità, anche potenziali, per la riqualificazione urbana circostante e complessa".
Tra i "parametri strutturali" da utilizzare per l'individuazione delle aree in parola l'indicato art. 12 comprende quelli rappresentati dalla particolare "posizione" dell'area rispetto "alle zone limitrofe ai fini dell'innesco di un processo diffuso di intervento privato di recupero" e dalla "attuazione dell'area all'insediamento di nuove funzioni o alla trasformazione di quelle esistenti". Tali parametri sono stati ritenuti sussistenti dal Comune con la cennata deliberazione n. 83 del 1987.
Ne deriva che il piano di recupero, che sia stato approvato - come nella specie - in attuazione di un programma di riqualificazione urbana, ai sensi della legge regionale n.18 del 1986, assolve necessariamente a funzioni e finalità precipuamente urbanistiche, risultando suscettibile, in quanto tale e per il perseguimento delle finalità complessivamente indicate dalle norme qui richiamate, di prevedere l’insediamento di nuove funzioni, ed in particolare anche la sostituzione del tessuto urbanistico ed edilizio esistente.

c) Nel caso in esame, l'opportunità delle scelte operate dall'Amministrazione comunale nell'ambito di quelle consentite dalla legislazione regionale e menzionate nello strumento urbanistico non appaiono, però, in alcun modo motivate, come sarebbe stato necessario, ove si consideri che il piano di recupero di argomento comportava, tra l'altro, la demolizione dell'edificio degli originari ricorrenti e la cessazione dell'attività produttiva (falegnameria) svolta nel medesimo, cioè, un grave sacrificio del diritto di proprietà e dell'esercizio del diritto di iniziativa economicamente privata.
E invero, nella deliberazione 19 dicembre 1989, n. 735, di adozione del piano, si dà atto che viene programmata nel triennio una serie di interventi dello Stato, fra cui l’edificazione della Prefettura, della Questura e dell'Ufficio del Genio civile, oltre alla sistemazione delle strette pertinenze degli edifici. Vengono, altresì, indicati gli interventi di arredo urbano perimetrali all'area e il parcheggio.
Sono, poi, proposti la realizzazione nei cinque anni della piazza ed il recupero della "ex Birreria", da destinare a finalità ricreative e musicali.
Un'espressa motivazione sulla necessità di demolire l'edificio ove hanno sede l’abitazione e il laboratorio dei signori B. e B. non si rinviene neppure nell’accertamento di compatibilità urbanistica del progetto attuativo con il piano stesso in data 22 giugno 1993, a firma del dirigente tecnico del Comune di Pordenone, e nella nota 27 dicembre 1994 della Regione Friuli-Venezia Giulia, ove si esprimeva parere non favorevole sul progetto proposto dall'impresa A.F. Costruzioni. Anche nell'atto di intesa 18 ottobre 1996 fra Provveditorato regionale alle opere pubbliche di Trieste ed il Comune di Pordenone non vi è cenno della necessità di acquisizione del predetto fabbricato per la realizzazione dei fini del piano e della incompatibilità del medesimo con il nuovo assetto edilizio, non potendo essere interpretato in tale senso l’art. 4 dell’intesa stessa. Si fa cenno in detta sede al solo impiego del Comune di autorizzare la demolizione dell'edificio catastalmente individuato al foglio 20, mappale 975 e ritenuto corrispondente ad un ammasso in stato di degrado.
A parte il fatto che l’edificio de quo risulta individuato col diverso mappale n .973 del foglio 20 nella stessa via Fontana, ancora una volta il Comune è venuto meno al dovere di motivare la determinazione di acquisire e, poi, di demolire l'edificio stesso.

d) E' nel vero l'appellante Comune di Pordenone quando sostiene che sia compatibile con il piano di recupero la sostituzione del tessuto urbano esistente: dal che il fondamento della censura avverso la decisione impugnata laddove annulla il piano nella sua impostazione generale. E', però, del pari ineccepibile il richiamo operato dagli appellati all'art. 27 della legge n. 457 del 1978, secondo cui il piano di recupero, anche se relativo ad "isolati ed aeree", ha la finalità di "recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente", finalità perseguita "mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso".
Il mezzo per il recupero può essere rappresentato anche dalla ricostruzione di edifici ed infrastrutture, purché nella sostanza il patrimonio edilizio venga riacquisito ad un'utile funzione: ciò significa che la sostituzione può essere ottenuta altresì mediante la ricostruzione di ciò che è stato demolito, nel rispetto se non altro delle linee ispiratrici e qualificanti del vecchio tessuto urbano, che deve appunto essere recuperato.
Da ciò consegue la conferma del disposto annullamento del piano e (in via derivata) dei conseguenti provvedimenti di approvazione del progetto di opera pubblica e di occupazione di urgenza, per la sola ragione che contravvengono all'obbligo di motivazione, secondo quanto fin qui precisato, circa l’impossibilità di conservare la struttura ove ha sede l'abitazione e l’attività economica degli interessati perché incompatibile col piano stesso.
Per questo limitato profilo rappello deve essere accolto, mentre per il resto va confermata l'impugnata decisione.

III. Va dichiarato, conseguentemente, improcedibile l’appello incidentale dei signori B. e B. in quanto l'annullamento degli atti impugnati in primo grado resta fermo, anche se per ragioni diverse da quelle enunciate dal T.A.R.
L'improcedibilità di detto appello esime il Collegio dall'esaminare l’eccezione, pur pregiudiziale, circa la sua tempestività ai sensi dell'art. 19 decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito nella legge 23 maggio 1997, n. 135.

IV. Sussistono ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, dispone come segue:
- accoglie, nei limiti di cui in motivazione, l’appello principale del Comune di Pordenone e, per l'effetto, riforma in parte la pronunzia impugnata;
- dichiara improcedibile l'appello incidentale dei signori L.B. e L.B.;
- compensa tra le patti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa