LAVORI PUBBLICI - 001- PROGETTO APPROVAZIONE
Approvazione sostitutiva del permesso di costruire – Zona a vincolo paesaggistico – Omessa autorizzazione – Reato – Sussiste
Opera pubblica – Approvazione – Zona a vincolo paesaggistico – Inclusione nelle zone A o B – Data imposizione del vincolo – Condizioni – Conseguenze

QUESITO

Questa amministrazione ha approvato il progetto esecutivo di un lavoro pubblico (nuova costruzione di un edificio adibito a scuole elementari nel capoluogo), del quale esisteva un progetto preliminare, allegato al programma dei lavori già approvato. Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 tale deliberazione, per gli enti locali, è sostitutiva del permesso di costruire.

La zona di intervento è classificata con "F – Attrezzature pubbliche" dal piano regolatore generale vigente, si tratta di un’area di proprietà pubblica ricavata dalla demolizione di vecchi magazzini prefabbricati; è interna al centro abitato, totalmente urbanizzata e ricade nella fascia di 150 metri dal torrente … (classificato acqua pubblica e di interesse ambientale in quanto non incluso nell’elenco dei corsi d’acqua irrilevanti ai fini paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004).

Il comune non ha l’obbligo di dotarsi di piano pluriennale di attuazione, che infatti non esiste.

Per quanto detto in precedenza si deve presumere che l’area sia pertanto soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, tuttavia non è stata ottenuta la prescritta autorizzazione di cui all’articolo 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (peraltro di competenza del Comune, quale ente subdelegato).

Si vorrebbe conoscere se è quanto descritto costituisca un abuso e, se sì, quali possono essere le conseguenze.

RISPOSTA

Bisogna stabilire in via preliminare se effettivamente l’area interessata dall’intervento è assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, con obbligo di preventiva autorizzazione ai sensi dell’articolo 159 del decreto legislativo n. 42 del 2004. Infatti sussistono dubbi su questo punto, che sembrano avanzati sommessamente anche nel quesito che appare espresso in forma dubitativa.

La condizione primaria per affermare l’esistenza del vincolo è presente in quanto ci si trova all’interno della fascia di 150 dalla sponda del torrente tutelato. Il vincolo tuttavia non si applica alle zone omogenee A e B del piano regolatore generale, e, limitatamente alle parti comprese nei piani (rectius programmi) pluriennali di attuazione, nemmeno alle altre zone, tra le quali si può considerare la zona F che interessa; salvo che si tratti di ville, giardini e parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza, dove il vincolo esiste comunque (articolo 136, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004), ma pare di capire che non sia questo il caso.

Per accertare l’esistenza del vincolo si deve pertanto verificare che l’area non sia in zona A o B oppure, se si trova in altra zona, non sia compresa nei programmi pluriennali di attuazione. Dal quesito si ricava che essa è in zona F e che non esistono i predetti programmi, dal che sembra dedursi che il vincolo trovi piena applicazione.

L’analisi tuttavia non può essere limitata a questi dati di fatto.

Tralasciamo la questione dei programmi pluriennali di attuazione, sia per l’aleatorietà dell’istituto (non obbligatorio in molti comuni), sia perché l’intervento in oggetto, per la sua natura, non è subordinato al programma nemmeno se questo fosse presente, sia perché, infine, i programmi pluriennali di attuazione vigenti nel 1985 (data di apposizione del vincolo e, quindi, data limite da considerare ai fini dell’esenzione) sono già tutti esauriti o decaduti, comunque inefficaci alla data odierna.

Merita considerazione invece l’aspetto della zona omogenea. E’ vero che siamo in zona F, tuttavia questa è una zona funzionale definita in base alla destinazione (costituita dalla predetta qualificazione giuridica, come le zona D) e non, come le zone A e B, definite in base al grado e allo stato dell’edificazione (costituite dalla situazione fisica, come pure la zona C). La zona F può essere indifferentemente nel centro storico (una chiesa o un parcheggio) o in aperta campagna (un macello comunale o un impianto sportivo), le zone A e B sono invece necessariamente parte del tessuto urbano consolidato e sono zone sature dal punto di vista dell’edificazione. E’ facile vedere che queste considerazioni sono rilevanti.

Seguendo la lettera della norma due aree nella stessa posizione centrale, completamente urbanizzate, non importa se edificate o meno, ma l’una classificata A o B, e l’altra incidentalmente classificata F, per il solo motivo che è di proprietà pubblica, ovvero che è destinata ad una futura funzione collettiva dovrebbero essere trattate diversamente ai fini paesaggistici: la prima esente da vincolo e la seconda gravata dallo stesso. E’ stato osservato, anche se in relazione alla necessità o meno dei programmi di attuazione, che un’area deve essere considerata "di completamento" (quindi di tipo B) quanto è tale per la sua natura oggettiva (quantità e qualità dell’edificazione) e per la presenza di una completa urbanizzazione, indipendentemente da qualsiasi qualificazione delle aree da parte del comune e dall’inclusione o meno delle stesse in un elenco di quelle considerate "di completamento", dovendo invece avere riguardo alla situazione effettiva dei luoghi (Consiglio di Stato, Sez. V, 3 ottobre 1992, n. 920). L’interpretazione è ardita ed è riferita, come detto, ad una diversa fattispecie (l’individuazione delle aree la cui edificazione è sottratta o meno ai programmi pluriennali attuativi). Tuttavia essa aderisce ancora meglio ai vincoli in parola, l’esenzione dai quali è stabilita in funzione del grado di saturazione edificatoria della zona (da qui il riferimento alle zone A e B).

Ne deriva che l’area in parola, pur essendo classificata formalmente in zona F (per motivi e per finalità totalmente estranei alla tutela del paesaggio), dovrebbe essere classificata in base alla definizione normativa (articolo 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444) derivante dalla situazione fisica della zona e non per effetto dello strumento urbanistico.

Dalle predette considerazioni la massima "…in base ai parametri della estensione della zona ed a quelli dell'avvenuta edificazione, un'area può essere legittimamente compresa nella zona territoriale "B" anche ai fini dell'operatività del vincolo paesaggistico ambientale previsto dalla legge n. 431 del 1985" (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 ottobre 1992, n. 1058); nella specie si trattava di un'area soggetta a vincolo "Verde Pubblico" decaduto per trascorso quinquennio, quindi bianca (questo non compromette ma rafforza l’ipotesi interpretativa prospettata), certamente non B sotto il profilo formale, bensì sotto quello sostanziale in seguito a istruttoria disposta in sede processuale amministrativa.

Nel quesito non è specificato, tra l’altro, se il comune è tenuto all’obbligo di dotarsi del programma pluriennale di attuazione di cui all’articolo 13 della legge n. 10 del 1977, anche se l’esenzione riferita all’inclusione nel programma di attuazione ha ormai perso ogni valenza, dovendo presumerne l’esaurimento di quelli vigenti al momento dell’entrata in vigore della legge n. 431 del 1985. Come noto i programmi approvati successivamente non sono idonei a rendere inoperante il vincolo paesaggistico, la deroga al vincolo ambientale per le aree che, al momento dell'entrata in vigore della legge, erano già stati inserite nella programmazione del comune non può essere estesa ai successivi programmi pluriennali, diversamente opinando si avrebbe la conseguenza di vanificare ogni prescrizione di tutela paesaggistica, attraverso il semplice inserimento dell'area in uno strumento programmazione finanziaria. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 dicembre 1996, n. 1679).

Tuttavia qualora il comune non fosse tenuto dotarsi di programma pluriennale di attuazione, la circostanza sarebbe un ulteriore elemento favorevole a sostegno della non operatività del vincolo. Nei comuni esentati dall’obbligo della predetta programmazione il vincolo paesaggistico non solo è estraneo alle zone A e B, ma potrebbe essere estraneo a tutte le zone del piano regolatore generale suscettibili di immediata utilizzazione edilizia.

Secondo un’interpretazione giurisprudenziale (senza contrasti specifici) sono escluse dal vincolo paesaggistico, nei comuni non tenuti alla redazione dei programma pluriennale di attuazione, le zone inserite negli strumenti urbanistici e delimitate ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444; cioè restano sottratte al vincolo non solo le zone A e B in quanto già edificate, ma anche tutte le altre zone che, attraverso l'unico strumento possibile di espansione edilizia, sono state inserite negli strumenti urbanistici, poiché esse hanno formato oggetto di un programmato assetto del territorio, rispetto al quale le motivazioni sottese all'introduzione del vincolo paesaggistico devono considerarsi soccombenti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1563). Negli stessi termini le conclusioni, conformi, del procuratore generale d’udienza in Corte di Cassazione, Sez. III penale, 23 aprile 1996 (nessun esame sul punto da parte della Corte in quanto estraneo ai motivi di impugnazione), secondo le quali in tutti i comuni non tenuti ad adottare il programma pluriennale di attuazione e nei quali è sufficiente il piano regolatore o un altro strumento urbanistico, vi sarebbe la concreta e immediata possibilità di edificare senza il rischio del congelamento derivante dal vincolo, che sarebbe inoperante.

L'articolo 142, comma 2,  del decreto legislativo n. 42 del 2004 risolve la questione esentando dal vincolo paesaggistico generico (sempre che il bene non sia colpito da vincolo con decreto specifico o non sia tra quelli elencati all'articolo 136, comma 1) le aree che alla data del 6 settembre 1985 (entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431 di conversione del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, cosiddetto "decreto Galasso"):

a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A e B;
b) limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione, erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 come zone diverse da quelle indicate alla lettera a) e, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell’articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.

Affermato che l’area oggetto del quesito potrebbe anche non essere vincolata (sul punto non c’è modo, in questa sede, di pervenire a conclusioni definitive non conoscendo la situazione specifica dell’insediamento), passiamo al secondo aspetto, dando per scontato, per sola comodità di esposizione e in ragione della completezza della risposta, che l’area sia effettivamente soggetta a vincolo paesaggistico.

Come correttamente osservato nella domanda, per le opere pubbliche dei comuni (si noti, dei soli comuni e non di tutti gli enti locali) la deliberazione che approva il progetto o autorizza l’opera ha i medesimi effetti della concessione edilizia, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, sempre che il progetto sia assistito dalla validazione del progetto, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 554 del 1999. La norma conferna una sorta di abolitio criminis, è cioè abolito il reato di costruzione senza titolo, limitatamente alle opere comunali; tale abolizione è retroattiva per il principio del favor rei di cui all’articolo 2, terzo comma, codice penale. Peraltro costituisce ostacolo al verificarsi di questi inconvenienti l’obbligatorio parere di regolarità tecnica da apporsi in via preventiva sulla proposta di deliberazione, da parte del responsabile del servizio, ai sensi dell’articolo 49, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (resta la curiosità di sapere cosa è successo in merito a questo aspetto, visto che il quesito non ne fa accenno).

La norma tuttavia non esonera l’ente locale dall'obbligo di munirsi di autorizzazione paesaggistica, il cui omesso rilascio configura il reato di cui all'articolo 181  del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Corte di cassazione, Sez. III penale, 16 gennaio 1996; in relazione all’articolo 8, comma 13, decreto-legge 27 marzo 1995, n. 88, norma identica a quella in commento). Non a caso la norma procedurale invocata rinvia alla validazione di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 554 del 1999 il quale prescrive che sia verificata «l’acquisizione di tutte le approvazioni ed autorizzazioni di legge, necessarie ad assicurare l’immediata cantierabilità del progetto» (quindi anche l’autorizzazione paesaggistica). L’assenza della predetta verifica rende illegittima la deliberazione di approvazione ai fini urbanistici sostitutiva del permesso di costruire; quindi mancando l’autorizzazione paesaggistica l’inizio dei lavori integra il reato ex articolo 181  del decreto legislativo n. 42 del 2004.

Qualora l’approvazione del progetto non sia stata preceduta dall’autorizzazione ai fini paesaggistici, essa risulta illegittima, anche se l’autorizzazione potrà essere acquisita successivamente, in via di sanatoria (purché prima dell’inizio dei lavori, in quanto diversamente la sanatoria non è pacifica anzi, di norma, è preclusa); fino ad allora (o col diniego dell’autorizzazione) il progetto non sarà realizzabile e l’inizio dei lavori sarà sanzionato per effetto dell’articolo 181  del decreto legislativo n. 42 del 2004 ma non sotto il profilo strettamente urbanistico, per i motivi espressi in precedenza.

Si deve però segnalare che è stato pure affermato che l’approvazione del progetto, con la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell'opera ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 1 del 1978 (ora abrogata), comporta un mutamento di qualità del bene sul quale l'opera deve sorgere; per cui dev’essere necessariamente preceduta, laddove occorre, dall'autorizzazione ai fini paesaggistici, senza la quale il progetto non è realizzabile, né tale illegittimità è suscettibile di essere sanata dal successivo rilascio di quest'ultima autorizzazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 aprile 1996, n. 462).

Si ritiene tuttavia possibile l’acquisizione tardiva dell’autorizzazione paesaggistica che, se non sana il vizio della deliberazione illegittima, consente una nuova deliberazione di approvazione del progetto, ai fini della fattibilità, in quanto è escluso che l’aver omesso un nulla osta, acquisito in ritardo (purché effettivamente, non solo potenzialmente), possa impedire per sempre la realizzazione dell’opera pubblica compatibile con il vincolo.