EDILIZIA - 001 - ABUSI EDILIZI
Abusi solo presunti – Manifesta assenza della fattispecie penale – Obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria – Non sussiste

QUESITO

L’ufficio di polizia locale di questo comune provvede molto spesso, a mio avviso con eccesso di zelo, a denunciare all’autorità giudiziaria in presenza di fatti qualificati superficialmente come abusi edilizi ma che, anche ad una prima analisi sommaria, non rivestono alcuna rilevanza penale. Spesso si tratta di opere di manutenzione straordinaria (sostituzione di coppi, scrostamento e rifacimento degli intonaci di facciata) o di altri interventi minori (recinzioni e loro modifiche o sostituzioni, elettrificazione di cancelli, pavimentazione dei vialetti nel giardino o cose simili) che non necessitano di permesso di costruire e, di conseguenza, non rientrano nella sfera penale. Malgrado la polizia locale mi chieda informazioni dopo i propri rilievi, e spieghi quanto ho appena detto, il comandante procede con il suo rapporto, non solo segnalando il fatto al dirigente (cosa che condivido, se devono essere attivate delle misure di sanzione amministrativa) ma anche alla procura della repubblica.

Si sono poi verificati anche fatti quasi inverosimili, come la denuncia per lavori proseguiti in presenza di un ordine di sospensione laddove il proprietario stava solo ripristinando i luoghi, come imposto dal dirigente con proprio ordine in seguito al rilievo di lavori in parziale difformità del permesso di costruire. Oppure la denuncia per l’apposizione di una targa da portineria in metallo da 30 cm su un portone, o l’apertura di un cancello pedonale in una recinzione esistente.

Gli agenti sostengono di avere in tutti questi casi l’obbligo ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale e che solo il magistrato ha il potere di stabilire cosa è reato e cosa non lo è. A me pare francamente un atteggiamento non corretto anche se non riesco a convincere gli agenti della polizia locale.

RISPOSTA

Si condivide pienamente la definizione di eccesso di zelo attribuita al descritto atteggiamento della polizia locale, anzi forse è addirittura benevola. Il comportamento criticato è conosciuto come "sindrome della bicicletta": l’agente potrebbe sedersi in piazza e denunciare tutti coloro che vede passare in bicicletta, senza preoccuparsi d’altro; stabilirà poi il giudice se i denunciati siano colpevoli di aver avere rubato o ricettato la bicicletta o se, al contrario, essi possano provare di averla acquistata regolarmente. Ironia a parte, un simile atteggiamento non solo è incompatibile con uno stato di diritto, ma rasenta il sadismo. Eppure esso in nulla è dissimile da quello di denunciare qualsiasi spostamento di mattoni o sacchetti di cemento appoggiati in qualche cortile.

E’ vero che l’articolo 347 del codice di procedura penale impone all’agente di polizia giudiziaria (quindi anche le guardie dei comuni quando sono in servizio, ex articolo 57, comma 2dellos tesso codice) di trasmettere senza indugio la notizia di reato al pubblico ministero (con l’indicazione degli elementi raccolti, delle fonti di prova e delle attività compiute), ma solo appunto in presenza di notizie di reato. L’apertura di un cancello pedonale in una recinzione esistente (così come il transito di un ciclista sconosciuto in una pubblica piazza) non è una notizia di reato; l’affissione di una targa da portineria non è nemmeno una notizia tout court.

Senza contare che tra gli elementi raccolti, le fonti di prova e le attività compiute, andrebbero incluse le informazioni assunte presso gli organi tecnici, alle cui valutazioni tecniche e giuridiche non si può essere insensibili. Tanto più alla luce del testo unico dell'edilizia che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3, comma 1, lettera d), 10, comma 1, lettera c) (a contrariis) e 22, comma 7, non colpisce più con la sanzione penale di cui all'articolo 44 le ristrutturazioni edilizie (anche mediante ricostruzione integrale) che non comportino aumento delle unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici.

Di fronte all’incertezza, cioè in presenza del cosiddetto fumus, la comunicazione di reato è senz’altro doverosa, ma laddove l’attività è chiaramente e senza equivoci qualificabile come sottratta all’obbligo di permesso di costruire e automaticamente anche alla censura penale (quindi tutte le attività edilizie soggette a semplice denuncia di inizio attività, in assenza di vincoli tutelati da altre e diverse norme penali), non si comprende l’utilità di un meccanismo destinato a concludersi con certezza con l’archiviazione ai sensi degli articolo 408 e 411 del codice di procedura penale.

Per quanto riguarda gli episodi definiti come "fatti inverosimili" nel quesito, essi si commentano da soli.

Diversa la questione della segnalazione al dirigente (o altro soggetto competente dell'Ente locale), necessaria per l’assunzione dei provvedimenti repressivi o l’irrogazione delle sanzioni amministrative (se applicabili alla fattispecie), che nulla ha a che vedere con l’iniziativa penale o anche solo opportuna per una verifica della reale consistenza dei fatti.

In ogni caso il tecnico, nell’ambito delle proprie competenze e delle cognizioni tecniche che gli appartengono, deve tenere un comportamento legittimo, collaborando con gli agenti della polizia locale, ma solo fino a quando e fino a dove ritenga questa collaborazione dovuta, mentre non è tenuto ad assecondare o condividere attività che non ritiene legittime, ricordando che anche lui, seppur limitatamente all’attività di vigilanza sugli abusi edilizi, è un agente di polizia giudiziaria (ai sensi del combinato disposto degli articoli 55, comma 1 e 57 comma 3, del codice di rito).