La d.i.a e la cosiddetta super
d.i.a. nel regime legislativo della Regione Lombardia
(legge regionale
19 novembre 1999, n. 22)
(Battista Bosetti)
La legislazione regionale.
Prendendo le mosse dalle ormai note pronunce della Terza Sezione (penale) della Corte di Cassazione, n. 204 del 23 gennaio 2001 e n. 263 del 25 gennaio 2001, si rende necessaria una riflessione sull'uso della denuncia di inizio attività (d.i.a.) che, nella Regione Lombardia, è stato generalizzato e ammesso per tutti gli interventi.
L'articolo 4 (principi e ambito di applicazione) della legge regionale 19 novembre 1999, n. 22 ha introdotto la seguente disciplina:
- al comma 1 ha stabilito che la d.i.a. è disciplinata sulla
base dei principi di cui all'articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
- al comma 2 ha stabilito che in coerenza con gli stessi principi sono
subordinati a d.i.a.:
a - gli interventi di cui all'articolo 4 della legge 4 dicembre 1993, n. 493 come sostituito dall'articolo 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
b - gli interventi già sottoposti ad autorizzazione edilizia in base alla legislazione vigente;
- al comma 3 ha stabilito che la d.i.a. si applica a tutti gli interventi edilizi definiti nell'allegato A della deliberazione di Giunta regionale n. 6/38573 del 25 settembre 1998.
Orbene, il comma 1 potrebbe aversi come non scritto: se è vero che l'articolo 19 della legge generale sul procedimento costituisce principio di riforma economico-sociale dello Stato, esso è e resta parametro di riferimento della legislazione regionale senza necessità di richiami particolari; tuttavia la circostanza che lo stesso legislatore regionale abbia voluto esplicitamente ribadire che la d.i.a. si incardina nella cornice della disposizione statale sta a dimostrare la consapevolezza del medesimo legislatore circa i limiti e la portata delle disposizioni che si appresta ad introdurre.
Il comma 2, nella prima parte, nulla innova, esso può dirsi inutiliter
data o quantomeno ridondante dal momento che si tratta di una assoluta
ovvietà. Lo stesso comma, nella seconda parte, costituisce invece
l'applicazione corretta dell'articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. E' noto che questa norma, nella
versione novellata nel 1993, ha introdotto la denuncia di inizio attività
generalizzata in sostituzione di tutte le autorizzazioni,
licenze, abilitazioni, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque
denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni di
cui al decreto legislativo n. 490 del 1999. In teoria, pertanto, sin dal 1993 la
autorizzazione edilizia (introdotta dall'articolo
48 della legge n. 457 del 1978, poi ampliata dall'articolo
7 del decreto-legge n. 9 del 1982, convertito dalla legge n. 94 del 1982)
doveva intendersi soppressa e sostituita dalla d.i.a. senza necessità di altra
intermediazione normativa.
Come spesso succede nel nostro strano paese, tuttavia, l'autorizzazione edilizia
non solo continuava a vivere, bensì veniva in qualche modo rivitalizzata da
provvedimenti legislativi successivi (si vedano i commi 15 e 20 dello stesso articolo
4 della legge 4 dicembre 1993, n. 493 come
sostituito dall'articolo 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
La legge regionale dunque, introducendo (o confermando, secondo chi scrive) la
d.i.a. in sostituzione dell'autorizzazione edilizia non fa che attuare (rendere
esplicita, secondo chi scrive) la disposizione statale del 1993 e, sul punto,
non possono esservi obiezioni di sorta, senza nemmeno scomodare la competenza
esclusiva in materia urbanistica ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.
La
novità dirompente è costituita invece dal comma 3. Stabilire che la d.i.a. si
applica a tutti gli interventi definiti nell'allegato A della deliberazione
della Giunta regionale, significa estendere tale procedura a tutti gli
interventi, comprese le ristrutturazioni, le nuove costruzioni e le
ricostruzioni, dal momento che l'atto amministrativo richiamato definisce tutti
gli interventi di trasformazione edilizia. Se è così, e letteralmente è
senz'altro così, il comma 2 perde qualunque significato: tutte le fattispecie
previste da questo comma sono assorbite da quelle del comma 3 che, come appena
detto, elenca tutti gli interventi edilizi possibili.
Allo stesso modo se a tale rinvio si desse il significato riduttivo attribuito
dalla Corte di Cassazione (che vedremo in seguito), sarebbe il comma 3 ad essere
inutiliter data, dal momento che lo spazio di autonomia legislativa
regionale riconosciuto corretto dal giudice sarebbe già consumato al comma 2.
La
Regione Lombardia, prima con la Circolare 6
dicembre 1999, n. 60 (B.U.R.L. 10 dicembre 1999, 3° suppl. straordinario al n.
49), poi con la circolare (sotto forma di risposta ai quesiti) 21
aprile 2000, n. 24 (B.U.R.L. 12 maggio 2000, 4° suppl. straordinario al n. 19)
forniva una lettura drastica: la facoltà di d.i.a. doveva intendersi
estesa a tutti gli interventi. Sulla stessa linea si ponevano, ovviamente, gli
organi tecnico-giuridici della regione (Edilizia e Territorio, n. 21 del 2000,
pag. 96) e l'assessorato competente in diversi convegni pubblici.
A parte alcune affermazioni contenute nelle predette circolari che definire
stravaganti è un eufemismo, non vi è dubbio sulla posizione della Regione
Lombardia: la d.i.a. è possibile per qualsiasi intervento.
Con ciò la d.i.a. "ordinaria" quale procedimento che corrispondeva al
alcuni tipi di intervento (con la correlata esenzione dai contributi, l'assenza
di sanzioni penali e di misure repressive di tipo demolitorio), assumeva la
caratteristica di procedimento puro, non legato a particolari tipologie di
intervento, nel senso che, quando sostitutivo della concessione edilizia, poteva
essere soggetto all'onerosità, alle misure demolitorie e, ovviamente, alla
censura penale (da qui la denominazione di super d.i.a.).
La decisione dei giudici di legittimità.
La decisione della Corte di Cassazione, corretta o meno che sia, è di una semplicità estrema:
- ragioni di ordine testuale, razionale
e sistematico non consentono di ritenere che il rinvio alla deliberazione
regionale, operato dall'articolo 4, comma 3, della legge regionale in commento,
possa essere inteso come rinvio a tutti gli interventi edilizi elencati nella
predetta deliberazione;
- la norma nemmeno disciplina ex novo la materia della d.i.a. ma la
mantiene nell'alveo dell'articolo
19 della legge n. 241 del 1990 (e, sembra aggiungere, non
poteva fare altrimenti), per cui il divieto di estendere la d.i.a. agli
interventi soggetti a concessione edilizia, previsto dalla norma statale
richiamata nella legge regionale, non può che essere riaffermato, costituendo
un principio al quale la stessa norma regionale si dichiara ancorata
nell’esercizio della potestà legislativa prevista dall’articolo 117 della
Costituzione;
- visto nel contesto, l'uso
dell'espressione "tutti gli interventi edilizi” non può
che essere inteso come limitato agli interventi di recupero di immobili e di
realizzazione di nuovi parcheggi che costituiscono l'oggetto specifico della
disposizione.
Questo nel merito, ma esorbitando ultra petitum, la Corte si espone con altre due argomentazioni, forse ancora più importanti:
- essendo possibile una lettura della norma in questione in
conformità al suo significato letterale ed alla sua ratio, non sorge
alcuna questione di legittimità costituzionale; vale a dire, se la norma
affermasse realmente che la d.i.a. è estesa a tutti gli interventi, la stessa
norma andrebbe rinviata al giudizio della Consulta ai sensi dell'articolo 134 della
Costituzione, ma così non è, la norma non si può leggere nel senso estensivo;
- l'edificazione assistita da super d.i.a. è talmente estranea all'ordinamento
che è impossibile, per l'interessato, avere dubbi circa la necessità
inderogabile di ottenere la concessione edilizia per gli interventi di nuova
costruzione, ne deriva che deve ritenersi sussistente l'elemento psicologico del
reato in chi procede alla costruzione in assenza di concessione ancorché in
presenza della super d.i.a.
L'ultima affermazione del giudice è di una pericolosità
estrema: costituisce jus recptum che in presenza di una norma formulata
in modo equivoco, supportata da circolari amministrative che ritengono corretto
il comportamento illecito, fa venir meno l'elemento psicologico del reato e
rende senza conseguenze penali l'azione illecita.
Non è qui la sede per esaminare la portata delle circolari, la loro
disapplicazione in caso di illegittimità e ogni altra considerazione già
ampiamente sviluppata dalla dottrina: è un fatto che il giudice penale ha
ritenuto che la norma non sia affatto equivoca e che pertanto la sua violazione,
avuto riguardo all'ordinaria diligenza, appare evidente ogni qual volta per un
intervento di nuova costruzione l'interessato non si premunisca di concessione
edilizia.
Non indifferente deve essere stata l'influenza del titolo della legge regionale: "Recupero di immobili e nuovi parcheggi: norme urbanistico-edilizie per agevolare l'utilizzazione degli incentivi fiscali in Lombardia"; se si voleva introdurre la super d.i.a. siffatto titolo è quantomeno ipocrita.
Malgrado il carattere particolare del processo (si trattava
infatti del ricorso contro un provvedimento del Tribunale del riesame e non
della trattazione della causa) e malgrado sia possibile, nel seguito,
un'inversione di tendenza anche della giurisprudenza nell'interpretazione della norma regionale, non si
può sottacere l'ambiguità della situazione, aggravata dal silenzio
dell'autorità regionale.
Si tenga conto, tuttavia, che una diversa interpretazione della norma
regionale avrebbe dovuto sfocare inevitabilmente in un conflitto davanti al Giudice delle
leggi; peraltro questa era la strada auspicabile.
Le conseguenze possibili.
E' facile sostenere che, in presenza della legge regionale in parola, senza che essa sia stata annullata o riformata con sentenza della Corte Costituzionale, esiste il preciso dovere, da parte dell'amministrazione, di applicare la legge medesima, ancorché sia ritenuta affetta dai sintomi di incostituzionalità. Questi ultimi, infatti, non sono opponibili dall'autorità amministrativa locale in un procedimento disciplinato dalla legge.
Se questo è vero, ne consegue che il comportamento di un ufficio tecnico comunale che negasse la possibilità di utilizzare la super d.i.a. (o meglio, diffidasse dall'iniziare i lavori denunciati con la super d.i.a., ovviamente conformi alla normativa urbanistica) per pretendere la concessione edilizia, sarebbe arbitrario e perseguibile. In altri termini, se la lettura della norma è quella estensiva fatta propria dalla regione, è del tutto irrilevante la legittimità o meno della legge regionale, dal momento che essa non può in nessun modo essere disapplicata dall'autorità amministrativa, almeno fino alla sua espulsione dall'ordinamento ad opera della Consulta (che sul punto, come abbiamo visto, nemmeno è stata investita della vicenda).
Un simile ragionamento, correttissimo sul piano formale, non appare però del tutto convincente nella pratica.
Non è in discussione la conformità della legge regionale all'ordinamento costituzionale, anzi, la Corte di Cassazione nega l'esistenza di un simile parametro conflittuale, è in discussione l'impossibilità di edificare una nuova costruzione mediante d.i.a. (o meglio, super d.i.a.) e la conseguente necessità di concessione edilizia, in forza non solo della norma statale ma anche, qui e adesso, della norma regionale vigente.
In altri termini il giudice di legittimità, nella sua decisione, non ha affatto omesso di considerare l'esistenza della norma regionale in parola, bensì ha affermato (semplificando al massimo) che essa non introduce alcuna super d.i.a. limitandosi ad allargare l'ambito della d.i.a. statale ad aspetti marginali (recupero abitativo e autorimesse pertinenziali) per i quali non si pongono problemi di competenza regionale né di compatibilità con i principi dell'ordinamento statale, come dianzi illustrato.
Ne deriva che il rilascio di una super d.i.a. non costituisce, sempre e solo se la Corte di Cassazione è nel giusto, legittimo esercizio del potere amministrativo in applicazione di una norma regionale (insindacabile per l'autorità amministrativa), bensì violazione dell'obbligo di munirsi di concessione edilizia, contro le prescrizioni della stessa norma regionale ... conforme alla norma statale.
E' invece criticabile, senza dubbio, che nella fattispecie considerata possa sussistere l'elemento psicologico del reato. Non si può negare che, anche ammesso che la Corte di Cassazione abbia ragione, la norma regionale sia quantomeno equivoca e le circostanze possano aver provocato incolpevolmente il comportamento ritenuto illecito (Corte di cassazione, sezione III penale, 23 aprile 1996). Se invece la Corte di Cassazione fosse nel giusto sul punto, e pertanto fosse l'obbligo di legge inosservato, allora, si perdoni la battuta, chi ha scritto le circolari regionali sarebbe imputabile del reato di ... istigazione ex articoli 414 e 415 codice penale.
Direttamente collegata è la questione della risarcibilità del danno eventualmente subito da colui che presenta la super d.i.a. e viene costretto a presentare la domanda di concessione edilizia (ed attenderne il rilascio); seppure non sia facile la dimostrazione della sussistenza del danno qualora le concessioni edilizie siano rilasciate in tempi umanamente tollerabili (per inciso: chi scrive ritiene umanamente tollerabili 20 o 30 giorni e non certo i 115 giorni previsti dalla normativa statale), la questione resta e va valutata da ciascuno al fine di una scelta ponderata del comportamento da tenere.
Quale soluzione in attesa della definizione della questione.
Si pone il problema di adottare una linea di condotta in attesa di un chiarimento della questione. Non si ha la pretesa di offrire una soluzione universalmente condivisibile né scevra da profili di critica; ognuno si può comunque regolare come crede, continuando ad accettare le super d.i.a. o pretendendo le concessioni edilizie.
Si può partire da un elemento pretermesso dal giudice di cassazione (peraltro non sollevato nel ricorso né dal P.M. né dalla difesa): la libertà delle forme in materia di concessione edilizia.
E' noto e non controverso che la concessione edilizia non necessita di forme canoniche o particolari, essendo sufficiente che essa individui tre elementi: il destinatario, l'oggetto (inteso come configurazione, dimensione, destinazione e localizzazione dell'intervento), l'autorità di provenienza. Del tutto superflui gli altri elementi quali la determinazione del contributo, gli eventuali pareri obbligatori, i termini di inizio e fine lavori (in quanto integrabili, suscettibili di atti separati o rilevabili dalla legge).
E' altrettanto noto che la d.i.a. contiene i primi due elementi (o li deve
contenere) in modo sufficientemente preciso e inequivocabile; si tratta dunque
di completarla con il terzo elemento trasformando la semplice accettazione
dell'ufficio in atto di assenso esplicito o in comportamento concludente
debitamente assistito da prova scritta.
Questo può avvenire mutando l'esame delle d.i.a., necessariamente effettuato
entro il termine di 20 giorni dalla presentazione, in esame sostanziale e di
merito in relazione alla conformità alla disciplina urbanistica. Non pare che
la cosa presenti difficoltà.
A meno che l'ufficio tecnico abbia instaurato la prassi deprecabile e censurabile (ma di uffici che si comportano così ce ne sono) di emettere sempre e comunque la diffida ad iniziare i lavori il diciannovesimo giorno, con motivi pretestuosi (in genere l'incompletezza della pratica, in realtà per la pretesa impossibilità materiale di esaminare in tempo la denuncia), l'esame della d.i.a. entro i 20 giorni è quasi sempre possibile e, se è così, non si capisce perché lo stesso esame non possa essere attuato anche se la d.i.a. assuma la condizione di "concessione edilizia". A meno che gli stessi uffici di prima abbiano instaurato anche la prassi di sospendere i termini (quasi sempre arbitrariamente) anche per le domande di concessione edilizia, in questo caso il cinquantanovesimo giorno dalla presentazione.
Allora nulla impedisce, nella pratica, di concludere l'esame della d.i.a. (o
meglio, della super d.i.a.) con un "visto si approva" e la firma del
responsabile del servizio, entro i 20 giorni dalla presentazione.
Si può osservare ... e il parere della commissione edilizia, e il nulla-osta
sanitario?
Sul primo punto, a parte la soluzione drastica di sopprimere la commissione
edilizia (ipotesi non peregrina) o di ridurne le competenze agli interventi più
significativi (ipotesi maggiormente indolore), ci si deve attrezzare ad ottenere
il parere entro i venti giorni dalla presentazione o, al limite, ci si deve
rassegnare a rilasciare il provvedimento anche
senza il predetto parere. Sarà sempre meglio una concessione edilizia illegittima che
... nessuna concessione (semplificando, si sarà capito che per la Corte di
Cassazione, nel caso esaminato, la super d.i.a. equivale a nessuna concessione).
Sul secondo punto il nulla-osta sanitario potrà essere ottenuto postumo,
nell'impossibilità di acquisirlo preventivamente nei 20 giorni canonici; è
noto che la concessione edilizia in assenza di parere sanitario (ove dovuto) è
illegittima, ma si può aderire a quella dottrina e giurisprudenza che ritiene
tale parere qualificabile come vero e proprio atto di assenso e quindi
acquisibile in sanatoria; ove sia ottenuto postumo (ovviamente favorevole) la
concessione edilizia risulterà sanata e legittima.
Ferma restando la possibilità di continuare ad accettare le cosiddette super
d.i.a., il comportamento sopra suggerito a chi pretenda a tutti i costi la
concessione edilizia, potrebbe essere un modo per non far pesare inutilmente sul
cittadino le interpretazioni contraddittorie.
Pur nella consapevolezza di non aver offerto una via d'uscita
soddisfacente, si sottopone all'analisi critica degli operatori la possibilità
di presentare una super d.i.a. che viene di fatto qualificata giuridicamente dal
responsabile del servizio come concessione edilizia. Sarà quantomeno
sufficiente, almeno questo, ad evitare il timore di sanzioni penali.