EDILIZIA - 001

ABITABILITA'
Abitabilità e agibilità: il diniego al rilascio non può essere motivato con la tutela di interessi diversi

Anche in materia di abitabilità (e con questo termine intendiamo anche l’agibilità) opera il passaggio della competenza al rilascio dal Sindaco al responsabile del servizio. Non pare sia di ostacolo ad una simile affermazione il fatto che l’autorizzazione all’abitabilità fosse rilasciata dal Sindaco quale ufficiale di governo invece che di capo dell’amministrazione comunale, visto che il trasferimento di competenze non incontra di questi limiti nell’articolo 51, comma 3, lettere f) e g) della legge n. 142 del 1990. Tuttavia il d.P.R. n. 425 del 1994 (quindi successivo alla legge n. 142 del 1990), nel disciplinare ex novo l’istituto dell’abitabilità, ribadisce con precisione la competenza al Sindaco, e non genericamente al comune o, come avviene per le concessioni edilizie, all’autorità competente all’emanazione del provvedimento. Se fosse accolta questa tesi restrittiva il trasferimento potrebbe comunque essere fatto mediante attribuzione di delega sindacale, in base al regolamento, ai sensi della lettera h) della stessa norma.

Sul nuovo procedimento introdotto con il citato d.P.R. per il rilascio dell’abitabilità (chiamata autorizzazione sia nel titolo che all’articolo 1, e poi chiamata certificato nella rubrica e nel testo dell’articolo 4, commi 1 e 2, quindi attestazione al comma 4 dello stesso articolo, a testimonianza della scarsa sensibilità dell’estensore delle norme) sono già stati spesi fiumi di parole che qui non staremo a ripetere. Vale la pena però di esporre alcune considerazioni su aspetti che qualche volta sono sottovalutati e che il responsabile dell’ufficio tecnico dovrebbe invece avere sempre presenti.

La disciplina dell’abitabilità è materia attribuita alla competenza legislativa regionale, sia che venga considerata attinente l’urbanistica (ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione) o attinente la materia sanitaria in forza dell’articolo 27, lettera c) (salvaguardia della salubrità, dell’igiene e della sicurezza in ambiente di vita e di lavoro) e lettera d) (igiene degli insediamenti umani e della collettività), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Da questo discende che il regolamento governativo (perché di questo si tratta, emanato in base alla delega conferita dall’articolo 2, comma 7, della legge n. 537 del 1993, per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi) si applica solo dove la materia non sia disciplinata dalla legge regionale, e non può avere effetti abrogativi su quest’ultima. La giurisprudenza costituzionale pare ferma su questo punto: nelle materie riservate alla competenza regionale i regolamenti statali sussistono con efficacia dispositiva o suppletiva solo in mancanza di leggi regionali disciplinanti gli stessi oggetti. Con maggior precisione: "L’oggetto della potestà regolamentare conferita al governo (con l’articolo 2 della legge n. 537 del 1993 - n.d.r.) dev’essere costituito dalla sola semplificazione delle procedure e non può ricomprendere aspetti di carattere sostanziale, quali quelli relativi alla disciplina di singoli istituti previsti dalla legge … (le cui modifiche - n.d.r.) non possono essere operate per mezzo di una norma regolamentare" (Corte dei conti, Sez. Contr. Stato, 23 luglio 1994, n. 48 e n. 49). Non si tratta di ragionamenti teorici: si deve rilevare che l’uso dell’edificio in assenza di abitabilità è ancora sanzionato penalmente dall’articolo 221, secondo comma, T.U. leggi sanitarie, per cui potrebbero aversi presunzioni di sottrazione alla norma penale, in caso di abitabilità rilasciata con silenzio assenso, dove invece la norma regionale prevede un provvedimento espresso senza altre alternative, con buona pace della certezza del diritto, essenziale almeno in materia penale.

Una volta accertato che la competenza è del responsabile del servizio tecnico, sarà questi a disporre l’ispezione prevista dall’articolo 4, comma 2, entro 30 giorni dalla domanda; nel caso siano trascorsi 45 giorni dalla domanda nel silenzio da parte dell’amministrazione comunale, l’abitabilità si intende attestata, ma sarà sempre il responsabile dell’ufficio a poter disporre, entro 180 giorni dall’ultimo termine, l’eventuale ispezione prevista dal comma 3. Il responsabile dell’ufficio potrà fare direttamente tali ispezioni (avendo, a differenza del sindaco, la competenza tecnica necessaria) o disporre che vengano fatte da altri addetti al servizio. Peraltro il termine di 180 giorni non pare possa precludere la possibilità di eventuali successivi accertamenti, visto che il ruolo del sindaco come autorità sanitaria non è messo in discussione e che la tutela della salute, nella quale si inserisce l’igiene edilizia, è garantita dalla legge fondamentale (articolo 32 della Costituzione).

Come noto, con l’abrogazione del primo comma dell’articolo 221 del T.U. leggi sanitarie, il parere già dell’ufficiale sanitario (ora del corrispondente servizio delle aziende sanitarie locali) è stato soppresso.

Per quanto riguarda l’annosa polemica sul significato della richiesta "conformità rispetto al progetto approvato", formula che ripropone esattamente l’equivoco sorto con la norma del 1934 e mai definitivamente risolto, si rammentano le due interpretazioni sulle quali la dottrina si è costantemente divisa :

- quella che ritiene tale conformità limitata all’aspetto igienico sanitario (in stretta relazione con il progetto approvato ai sensi dell’articolo 220 dello stesso T.U.) negando ogni rilevanza alla conformità urbanistica, ritenendo l’abitabilità finalizzata alla sola tutela di interessi igienico-sanitari (tesi prevalente nella giurisprudenza amministrativa, la quale peraltro ultimamente ha corretto la rotta);

- quella che ritiene la conformità estesa all’aspetto urbanistico-edilizio, variamente motivata: con la lettera della norma, con l’estensione del concetto di igiene dell’abitato, con le norme sopravvenute che hanno modificato l’istituto dell’abitabilità (tesi prevalente nella giurisprudenza penale, per tutte Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 12 ottobre 1993 – 10 gennaio 1994, n. 72).

Allo stato attuale non si può che condividere il secondo aspetto, ma non è questa la sede per cercare di dimostrarne la fondatezza; chiamandoci fuori dalla polemica, risolveremo l’equivoco con una considerazione pratica: se il tecnico dell’amministrazione esegue la visita di sopralluogo, anche se finalizzata alla sola abitabilità, qualora riscontri difformità dal progetto (in senso urbanistico-edilizio), non potrà esimersi dall’assumere i provvedimenti necessari alla repressione della violazione; si rammenta che la vigilanza edilizia si svolge avvalendosi di ogni mezzo (articolo 4 della legge n. 47 del 1985) e la visita del tecnico ai fini dell’abitabilità pare proprio un mezzo idoneo.

Si tenga poi presente che l’aver affidato al direttore dei lavori una specifica dichiarazione in ordine alla conformità delle opere rispetto al progetto approvato, pone a quest’ultimo la necessità di verificare sotto ogni aspetto, anche urbanistico, la predetta conformità, al fine di evitare una dichiarazione mendace, censurata pesantemente, a seconda dell’uso che ne viene fatto, dagli articoli 481 e 483 del codice penale. Tuttavia, fermo il controllo anche sotto il profilo urbanistico edilizio, il d.P.R. n. 425 del 1994 nulla innova rispetto alla disciplina precedente per quanto riguarda le cause di mancato rilascio dell’abitabilità, per cui, in assenza di norme legislative regionali che dispongano diversamente (ad esempio l’articolo 10 della legge regionale n. 33 del 1990 dell’Emilia-Romagna) in presenza di difformità di carattere solamente urbanistico nemmeno oggi pare possa essere negato il certificato di abitabilità.

Altro aspetto interessante è che l’abitabilità deve riguardare la salubrità degli ambienti, e quindi il solo manufatto edilizio, non già l’attività contingente che vi si svolge, soprattutto dopo l’entrata in vigore del d.P.R. n. 425 del 1994; in questo senso il Consiglio di Stato, Sez. V, 3 giugno 1996, n. 613 (che annulla T.A.R. Puglia, Bari, Sezione I, 4 novembre 1992, n. 922, ed in parte T.A.R. Puglia, Bari, Sezione II, 15 giugno 1995, n. 467). Così il collegio: "Altre leggi …si sono occupate dei vari aspetti della salubrità ambientale, sotto la spinta di impellenti esigenze dell’odierno modo di vivere, regolando gli scarichi delle acque, l’emissione di fumi, il trattamento dei rifiuti, e via dicendo. Peraltro tutte queste altre normative non debbono interferire con la semplice procedura relativa alla licenza di abitabilità dell’edificio; ed anzi, a maggior ragione per il fatto di essere regolati minutamente da apposite leggi, i vari aspetti della salubrità ambientale non debbono interferire con la salubrità dei manufatti edilizi, né esser arbitrariamente e disordinatamente subordinati l’uno all’altro, con dispendio e mancata concentrazione delle energie amministrative e frustrazione delle legittime aspettative del cittadino. Il procedimento di autorizzazione all’abitabilità è ora regolato dal d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, che ha sancito l’obbligo dell’Amministrazione di rilasciarlo e il diritto dell’interessato ad ottenerlo entro un breve termine, sulla semplice presentazione di dichiarazioni attestanti la richiesta di iscrizione al catasto, l’avvenuto asciugamento dei muri e la salubrità degli ambienti; con ciò confermando in modo ancor più inequivocabile, rispetto alla legge del 1934, che l’autorizzazione deve riguardare solo il manufatto edilizio … l’Amministrazione comunale ha reiteratamente negato l’abitabilità sulla base di considerazioni estranee alla salubrità dei manufatti edilizi in sé considerati, e riguardanti …ora tracce di pregressi scarichi illegali, ora l’incompletezza della pratica di autorizzazione agli scarichi delle acque piovane confluenti nel piazzale, ora l’alberatura dei viali, ora la collocazione della recinzione non totalmente nella zona industriale … Orbene, tutti codesti controlli … attengono all’attività della società che attualmente occupa gli immobili stessi, la cui salubrità, ai sensi del citato articolo 221, non dipende dall’attività contingente che vi si svolge". Senza dilungarci oltre sulla pronuncia, interessante anche alla luce delle opposte articolate argomentazioni del giudice di primo grado, il principio che se ne può desumere è che risulta illegittimo il diniego dell’autorizzazione all’abitabilità fondato sulla violazione di norme diverse da quelle che presiedono al procedimento tipico. Regolamenti locali che dispongono diversamente, nel senso opposto alla semplificazione e alla speditezza del procedimento, non possono che essere di dubbia legittimità. Quindi l’autorizzazione all’abitabilità dovrà essere rilasciata (ovvero si formerà in caso di silenzio dell’amministrazione) ogni volta che:

- sia prodotta la dichiarazione del direttore lavori attestante la conformità al progetto approvato, l’avvenuto prosciugamento dei muri e la salubrità degli ambienti, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del d.P.R. n. 425 del 1994;

- sia prodotto il certificato di collaudo ai sensi dell’articolo 2 (articolo 8, legge 11 novembre 1971, n. 1086);

- sia prodotta la dichiarazione presentata per l’iscrizione al catasto ai sensi dell’articolo 3 (articolo 52, legge n. 47 del 1985); articolo 3, comma 6, decreto-legge 13 settembre 1991, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1991, n. 363);

- siano prodotti, se dovuti, i documenti specificatamente prescritti dalle leggi speciali per il rilascio del certificato di abitabilità, quali: la dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo degli impianti (articolo 11, legge 5 marzo 1990, n. 46), la verifica di conformità al progetto in materia di barriere architettoniche ed eventuale dichiarazione in forma di perizia giurata (articolo 11, D.M. 14 giugno 1989, n. 236, per gli edifici privati e articolo 24, commi 4 e 6, legge 5 febbraio 1992, n. 104, per edifici pubblici o privati aperti al pubblico).