Presidenza del Consiglio dei ministri - Circolare 13 luglio 2007
Legge finanziaria per il 2007 (Legge n. 296 del 2006), commi 725 e seguenti: Disposizioni in tema di compensi, numero e nomina degli amminis
tratori di società partecipate da enti locali
(G.U. n. 173 del 27 luglio 2007 )

I - Introduzione

La legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, ha introdotto, ai commi 725 e seguenti, alcune disposizioni in tema di compensi spettanti agli esponenti delle società al cui capitale partecipano (interamente o in parte) comuni e/o province.
Con distinta previsione inserita al successivo comma 729 del medesimo articolo la legge finanziaria ha dettato alcune norme in tema di numero massimo dei componenti dei consigli di amministrazione di tali società, quand'anche la partecipazione dell'ente locale sia indiretta.
Infine, il comma 734 ha introdotto una causa ostativa per la nomina alla carica di amministratore di un qualsiasi ente a totale o parziale capitale pubblico, in relazione ai risultati di analoghi incarichi svolti in precedenza. L'intervento legislativo - finalizzato al contenimento dei costi delle attività riconducibili alla sfera pubblica, nonché all'incentivazione di gestioni positive delle società pubbliche - delinea una disciplina di cornice della composizione e dei compensi degli amministratori delle società partecipate da enti locali, fornendo indicazioni quanto alla struttura e al funzionamento di queste società. Al fine di chiarire alcuni dubbi sollevati in merito all'interpretazione delle richiamate disposizioni si ritiene di poter offrire un utile contributo esplicativo.

II - Compensi agli amministratori

Per quanto attiene alla disciplina del compenso degli amministratori, la legge finanziaria opera una distinzione tra società a totale partecipazione di comuni o province (comma 725), società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali (comma 726) e società a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici e privati (comma 728).

1. Compensi degli amministratori di società a totale partecipazione di comuni o province.

Nella prima fattispecie viene in rilievo il caso delle società interamente possedute da un solo ente locale (comune o provincia) e la norma prevede che al presidente e ai componenti del consiglio d'amministrazione non può essere riconosciuto un compenso superiore, per il presidente, all'80 per cento e, per i componenti del consiglio di amministrazione, al 70 per cento delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco (in caso di partecipazione di un comune) e al presidente della provincia (in caso di partecipazione, appunto, di una provincia), ai sensi dell'art. 82 del decreto legislativo n. 267/2000. La norma fa salva la facoltà, per il socio pubblico, di prevedere indennità di risultato in favore dei propri amministratori nel solo caso di produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata.

2. Compensi degli amministratori di società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali.

Per il caso di società a totale partecipazione pubblica, ma detenuta da due o più enti locali, la base di calcolo per la percentuale di cui sopra è costituita dall'indennità spettante al rappresentante legale (sindaco o presidente della provincia) del socio pubblico con la maggiore quota di partecipazione ovvero, soltanto in caso di parità di quote, a quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici.
In altri termini, al presidente e ai componenti del consiglio d'amministrazione possono essere riconosciuti, rispettivamente, non più dell'80 e del 70 per cento dell'indennità spettante al rappresentante legale del socio pubblico con la maggiore quota di partecipazione ovvero, in caso di parità di quote, di quella di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici.

3. Compensi degli amministratori di società a partecipazione mista.

In presenza di una società mista (ossia, una società al cui capitale sociale partecipino, oltre agli enti locali, anche altri soci, pubblici o privati), il legislatore ha introdotto un'ulteriore distinzione tra:

i) società a capitale pubblico maggioritario;
ii) società a capitale pubblico minoritario.

Per le prime, fermi restando i criteri generali descritti ai punti 1 e 2, è possibile incrementare le percentuali previste dal comma 725 (80 e 70 per cento delle indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici) in ragione di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali.
Per le seconde il meccanismo premiale è raddoppiato (due punti percentuali di incremento ogni cinque punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali).

4. Ambito di applicazione dei commi 725, 726 e 728.

L'ambito di applicazione delle disposizioni in esame deve estendersi anche alle società partecipate "indirettamente" dall'ente locale: una siffatta interpretazione è imposta dalla ratio delle disposizioni, tendente alla riduzione dei costi dell'attività di soggetti riferibili ai pubblici poteri locali e in contrario non appare potersi utilmente argomentare con la diretta formulazione del comma 729, che espressamente fa menzione delle partecipazioni indirette, in considerazione dell'impossibilità di ricorrere a fini interpretativi a diverse norme del medesimo art. 1 della legge finanziaria, atteso il carattere estremamente vario e non omogeneo delle disposizioni che ne fanno parte. Può ritenersi che la partecipazione rilevante ai fini che qui interessano sia quella che consente all'ente locale di esercitare un'influenza dominante sulla società partecipata, per cui appare praticabile utilizzare, quale parametro di riferimento, il concetto di controllo descritto dall'art. 2359, commi 1 e 2, del codice civile.

Quanto alla portata soggettiva delle disposizioni va evidenziato che, con la riforma del diritto societario operata con il decreto legislativo n. 37 del 2004, le società per azioni possono scegliere fra diversi assetti di governance: infatti, oltre al sistema c.d. "tradizionale", caratterizzato da un amministratore unico ovvero da un consiglio d'amministrazione ed eventuale comitato esecutivo (o amministratori delegati), e dal collegio sindacale, si prevede la possibilità di fare ricorso al sistema cd. "dualistico", basato su un consiglio di gestione, cui compete la gestione dell'impresa, e un consiglio di sorveglianza, cui spetta il controllo sulla gestione, esteso alla nomina degli amministratori e all'approvazione del bilancio, ovvero al sistema cd. "monistico", nel quale il controllo sulla gestione è affidato ad un comitato nominato di regola dal consiglio di amministrazione e di cui fanno parte amministratori privi di deleghe operative.
Ciò premesso, seguendo un'interpretazione sistematica, si ritiene, pur nel silenzio della legge finanziaria, che le norme in discussione si applichino anche ai componenti il consiglio di gestione, in considerazione della sostanziale identità della natura delle funzioni svolte rispetto ai componenti il consiglio di amministrazione delle società per azioni "tradizionali". In tal senso, soccorre, oltre che il criterio di interpretazione logico e quello desunto dalla voluntas legis, anche la possibilità di fare ricorso all'interpretazione analogica.
Non può, peraltro, riconoscersi alle norme in esame carattere eccezionale, atteso che le stesse non sono dettate in funzione della regolamentazione di determinate situazioni contingenti, ne' derogano a principi cardine dell'ordinamento giuridico, ma costituiscono norme speciali destinate a regolare il funzionamento delle società pubbliche partecipate da enti locali. A nulla appare invero rilevare la circostanza che le norme facciano riferimento ai componenti del consiglio di amministrazione e non già - come, invece, ai successivi commi 734 e 735 - agli amministratori, giacché i termini, secondo una loro accezione sostanziale e non meramente letterale, devono considerarsi sinonimi. D'altra parte lo stesso comma 735 utilizza chiaramente il termine amministratori per indicare i componenti del consiglio di amministrazione delle società di cui ai commi da 725 a 734.

Resta, peraltro, evidente che il ricorso al sistema cd. "dualistico" presenta carattere eccezionale, essendo previsto per agevolare il governo societario in presenza di compagini sociali diffuse e laddove in maggior misura si realizza la dissociazione tra proprietà dei soci e potere degli organi sociali. Le norme della legge finanziaria sono, inoltre, coerenti con le previsioni del codice civile in tema di individuazione dei soggetti titolari del potere di determinazione della retribuzione degli amministratori della società, in quanto si limitano, in piena coerenza con i comuni e condivisi intenti di contenere la spesa pubblica, a fissare un tetto massimo oltre il quale l'importo non può essere individuato, mantenendo intatte le prerogative degli organi sociali sull'entità del compenso.
Infine, il tetto ai compensi non può essere superato per effetto del riconoscimento di remunerazioni attribuite ad alcuni amministratori in relazione all'investitura di particolari cariche previste statutariamente, avuto riguardo alla perentorietà del comma 725, che ammette il superamento solo per effetto di indennità di risultato e solo per il caso di produzione di utili, purché sia determinato in misura ragionevole e proporzionata, tenuto conto della onnicomprensività del compenso preso in considerazione dalla citata disposizione.

III - Numero degli amministratori

Con riferimento al numero massimo di amministratori delle società partecipate da enti locali, la legge finanziaria ha distinto tra società a totale partecipazione degli enti locali, anche "indiretta", e, cioè, per il tramite di altri enti interamente partecipati o detenuti, e società "miste", ossia al cui capitale partecipino anche altri soggetti, privati o pubblici, oltre agli enti locali. Nel primo caso, il numero totale di componenti del consiglio di amministrazione non potrà essere superiore a tre ovvero a cinque nell'ipotesi in cui il capitale sociale, interamente versato, sia superiore all'importo determinato con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Città.
Nel secondo caso, il numero massimo dei componenti designabili dai soci pubblici locali, ivi comprese anche le regioni, non può essere superiore a cinque. Va puntualizzato che l'ambito di applicazione delle disposizioni in materia di numero complessivo dei componenti del consiglio di amministrazione appare doversi circoscrivere, atteso il tenore letterale del comma 729, alle sole società partecipate da enti locali, per tali intendendosi gli enti territoriali, con esclusione di altri soggetti.

IV - Cause ostative alla nomina degli amministratori

Con riferimento alla disposizione inserita nel comma 734, va segnalato che l'ambito di applicazione della stessa appare doversi estendere - a differenza di quello del comma 729 - a qualsiasi soggetto pubblico, con esclusione unicamente degli enti territoriali, in ragione della funzione politica degli stessi, attesa l'ampia formulazione della norma. La norma sembra, dunque, riferirsi sia alle società a totale o parziale capitale pubblico, sia agli enti e alle aziende pubbliche. Conseguentemente, il concetto di perdita ivi contemplato si atteggerà diversamente in relazione al tipo di contabilità applicabile all'ente collettivo, in quanto nella contabilità privatistica, cui sono soggette le società di capitali, anche con partecipazione pubblica, la perdita d'esercizio è identificabile nel risultato negativo del conto economico derivante dalla prevalenza dei costi sui ricavi, mentre nella contabilità finanziaria, propria della maggior parte degli enti pubblici, la stessa deve riferirsi al disavanzo di competenza non coperto da un sufficiente avanzo di amministrazione.
Vi è da considerare, peraltro, che, assumendo rilevanza - come si dirà meglio oltre - anche gli esercizi precedenti l'entrata in vigore della norma, appare necessaria, in relazione a questi, un'interpretazione del concetto di perdita compatibile con il principio dell'affidamento, a tutela delle legittime aspettative di quegli amministratori che hanno assunto l'incarico quando il quadro giuridico di riferimento non prevedeva per la rinnovazione del mandato il requisito di professionalità ora in questione. Con riguardo a questi esercizi, anteriori all'entrata in vigore della norma, deve considerarsi rilevante non qualunque perdita oggettivamente tale, ma soltanto la perdita che esprime un risultato di gestione negativo rispetto al concreto e specifico contesto economico-finanziario nel quale si è manifestata.

Pertanto, coerentemente con la ratio della norma - diretta a disincentivare le "cattive" gestioni delle società pubbliche - ed in considerazione della necessità di tenere in debito conto la diversa tipologia di iniziative possibili, l'accertamento della perdita di esercizio non può prescindere in questi casi da una valutazione che tenga conto anche delle aspettative di ritorno degli investimenti programmati, per come precisate nei documenti di pianificazione delle relative attività di gestione.
Ne consegue che, nelle ipotesi in cui la perdita risulti conforme alla programmazione gestoria, deve escludersi la ricorrenza dei presupposti del divieto sancito dalla disposizione in questione. In caso contrario, infatti, si determinerebbe l'inaccettabile conseguenza per cui, a fronte del conseguimento degli obiettivi contabili indicati negli atti di pianificazione, gli amministratori riporterebbero un giudizio negativo sotto il profilo della professionalità, tale da poter loro precludere, se ripetuto per tre esercizi consecutivi, il conferimento di ulteriori incarichi di gestione.

Non può, peraltro, negarsi, in via generale, l'applicazione della disposizione nei casi in cui l'amministratore abbia ereditato una situazione di bilancio fortemente negativa e l'abbia migliorata, poiché non è sufficiente aver conseguito un disavanzo inferiore rispetto all'esercizio precedente, ma è necessario, invece, che il risultato di esercizio sia pari o migliore rispetto a quello atteso, così come emergente dagli atti di pianificazione dell'attività gestionale. Viceversa, qualora nel corso dell'esercizio sociale sopravvenga un onere imprevisto per fatto regolatorio - e, in quanto tale, indipendente dalle scelte gestorie perseguite dall'organo amministrativo - la relativa posta passiva non andrebbe computata, ai fini che qui rilevano, sull'esercizio di riferimento, ma andrebbe ripartita su più esercizi sociali.

Diversamente, in relazione agli esercizi apertisi contemporaneamente o successivamente all'entrata in vigore della norma, non ricorrendo un'esigenza di tutela dell'affidamento, il concetto di perdita va definito nei termini più assoluti già sopra accennati, vale a dire, nella contabilità privatistica, come risultato negativo del conto economico derivante dalla prevalenza dei costi sui ricavi e, nella contabilità finanziaria degli enti pubblici, come disavanzo di competenza non coperto da un sufficiente avanzo di amministrazione.
Ovviamente, siffatta definizione è destinata a perdere di valore nel momento in cui una legge successiva dovesse interpretare diversamente il concetto di perdita di cui al comma 734, nel senso di attribuire rilevanza solo a quei risultati economico-finanziari che evidenzino un saldo negativo rispetto alle previsioni indicate nei documenti di pianificazione delle attività gestionali.

V - Entrata in vigore della nuova disciplina

L'operatività della nuova disciplina in tema di numero degli amministratori è subordinata, oltre all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di individuazione dell'importo del capitale sociale in funzione del quale varia il numero massimo degli amministratori delle società a totale partecipazione degli enti locali, all'adeguamento da parte degli statuti societari e degli eventuali patti parasociali alla nuova normativa nel termine di tre mesi dall'emanazione del menzionato decreto. Inoltre, ai sensi del comma 730, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano adegueranno la disciplina dei compensi e del numero degli amministratori delle società da esse partecipate ai principi contenuti nei commi da 725 a 735.

La legge finanziaria non prevede alcun altra disposizione in ordine ai propri effetti sulla situazione vigente. Ciò premesso, deve ritenersi che, per quanto attiene al tetto ai compensi, il carattere imperativo delle norme impone, in assenza di disposizioni di segno contrario, la loro immediata applicabilità a far data dal 1° gennaio 2007 e, conseguentemente, l'automatica limitazione dei compensi degli amministratori in carica che eccedessero l'importo massimo consentito.
Da ciò consegue che la liquidazione dei compensi eccedenti il perimetro individuato dalle indicate disposizioni comporta violazione di legge, con ogni possibile, connessa conseguenza sul piano delle responsabilità. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi con riferimento al numero massimo degli amministratori delle società partecipate dagli enti locali, con l'unica specificazione che l'attualità degli obblighi imposti dalla legge finanziaria decorrerà, quanto alle società a totale partecipazione di enti locali, una volta decorsi tre mesi dall'adozione del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Infatti, se il potere di nomina degli amministratori si consuma nel momento dell'adozione della relativa determinazione da parte dell'organo assembleare e rimane soggetto, quanto alle modalità con cui viene esercitato, al principio del tempus regit actum, diversamente gli effetti della nomina, dando luogo ad un rapporto di durata, si prestano ad essere incisi dalla normativa sopravvenuta. Conseguentemente, alla scadenza del termine di tre mesi dall'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il numero degli amministratori non potrà essere superiore a quello normativamente stabilito, a nulla rilevando l'eventuale data di scadenza successiva del relativo mandato.
Infine, in ordine alla efficacia della norma prevista dal comma 734 e al conseguente problema della rilevanza dei risultati degli esercizi chiusi precedentemente all'entrata in vigore della legge finanziaria, può osservarsi che la disposizione si limita a introdurre un requisito di professionalità che deve essere posseduto al momento del conferimento del mandato. Conseguentemente, a seguito dell'entrata in vigore della norma non potrà essere nominato amministratore colui che abbia chiuso in perdita - nei sensi precedentemente specificati - tre esercizi consecutivi nei cinque anni precedenti, dovendosi ritenere assente il requisito di professionalità richiesto.

Tale interpretazione appare coerente con le richiamate finalità della norma e i suoi effetti retroattivi vanno giustificati con la considerazione che la norma, lungi dal prevedere una misura sanzionatoria, è, in realtà, diretta a introdurre un più stringente criterio di valutazione del curriculum del candidato, da compiersi al momento del conferimento dell'incarico.

Roma, 13 luglio 2007

Il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali: Lanzillotta
Il Ministro dell'economia e delle finanze: Padoa Schioppa
Il Ministro dell'interno: Amato