Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
Circolare 7 dicembre 2005, n. 2699
Articolo 32 del decreto-legge n. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 relativo a «Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali». Circolare esplicativa
(G.U. n. 52 del 3 marzo 2006)

1. Premessa.

La presente circolare disciplina la materia di cui all'art. 32 della legge 24 novembre 2003, n. 326 nei limiti delle competenze dello Stato, fatte salve quelle regionali. L'art. 32 della legge di conversione 24 novembre 2003, n. 326, al fine di consentire la regolarizzazione e la riqualificazione urbanistica ed edilizia del territorio, ha previsto la possibilità di ottenere il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per le opere realizzate in modo non conforme alla disciplina vigente. Lo scopo delle nuove disposizioni è quello di avviare un riassetto complessivo delle zone degradate a causa del proliferare dell'abusivismo edilizio. Quanto innanzi, tenuto conto, da un lato del particolare pregio storico, architettonico, paesistico ed ambientale di determinati ambiti territoriali e, dall'altro, dell'esigenza di prevedere appositi strumenti sanzionatori e sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali nella adozione degli strumenti urbanistici generali (art. 32, commi 7 e 8).
In base al comma 2 dell'art. 32, la normativa sul condono è disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico sull'edilizia di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, conformemente a quanto previsto dal nuovo Titolo V della Costituzione, con il quale è stata introdotta una nuova configurazione dei rapporti tra fonti normative statali e regionali. Al riguardo, appare opportuno evidenziare quanto affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze numeri 196, 198 e 199 del 28 giugno 2004.

La Consulta ha chiarito che:

1) il legislatore statale può sempre incidere sulla sanzionabilità penale e dispone di assoluta discrezionalità in materia di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità;
2) nei settori dell'urbanistica e dell'edilizia, come già affermato nelle sentenze della Consulta numeri 303 e 362 del 2003, i poteri legislativi regionali sono ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di governo del territorio;
3) l'effetto estintivo penale, al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, si produce a prescindere dalla concessione della sanatoria amministrativa;
4) la particolare struttura del condono edilizio presuppone una accentuata integrazione fra il legislatore statale ed i legislatori regionali: ne consegue che l'adozione della legislazione da parte delle regioni appare non solo opportuna, ma doverosa, e da esercitare entro il termine determinato dal legislatore nazionale, decorso il quale non potrà che trovare applicazione la normativa statale;
5) non è ammessa, da parte delle regioni, l'unilaterale inapplicabilità nei territori regionali di un testo legislativo statale esplicitamente riferito all'intero territorio nazionale.

Le disposizioni normative statali vigenti si applicano fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali, fatte salve le materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale e ferma restando l'applicazione delle disposizioni statali vigenti nel caso in cui le regioni non abbiano emanato proprie leggi.
Con decreto-legge n. 168 del 12 luglio 2004, di recepimento delle suddette sentenze, sono stati modificati i termini già previsti nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e successivamente, con decreto-legge n. 282 del 29 novembre 2004 sono stati ulteriormente prorogati i termini in materia di definizione degli illeciti edilizi. In tale ambito, pertanto, le regioni entro quattro mesi possono emanare la legge di cui al comma 26 con cui determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'allegato 1 della legge n. 326/2003.
Nel quadro delle finalità perseguite dalla suddetta legge n. 326/2003, è stata mantenuta in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la competenza a fornire il supporto alle amministrazioni comunali, d'intesa con le regioni interessate, ai fini dell'applicazione della nuova normativa sul condono edilizio e per il coordinamento della stessa con le legge n. 47 del 1985 e con l'art. 39 della legge n. 724 del 1994 (art. 32, comma 5).

Tra le attività di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si segnala inoltre la costituzione dell'Osservatorio nazionale dell'abusivismo edilizio. Suo principale strumento operativo è la creazione, in collaborazione con le regioni, di un sistema informativo nazionale necessario anche per il referto al Parlamento, previsto dal comma 3 dell'art. 9 del decreto-legge 23 aprile 1985 convertito, con modificazioni dalla legge 21 giugno 1985, n. 298, relativa allo stato di attuazione e all'efficacia delle norme relative alla vigilanza urbanistica ed edilizia.

L'Osservatorio può costituire, inoltre, un punto di raccolta, di analisi e di interpretazione dei dati di cui si avvalgono le Istituzioni competenti al fine di individuare gli elementi sociali, economici e territoriali che favoriscono il fenomeno dell'abusivismo edilizio e di consentirne una migliore conoscenza per le necessarie azioni di contrasto. A tal fine, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministro dell'interno, in corso di definizione, saranno aggiornate le modalità di redazione, trasmissione, archiviazione e restituzione delle informazioni contenute nei rapporti di cui all'art. 31, comma 7, del decreto d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Occorre evidenziare che, per quanto non previsto dalle nuove disposizioni sul condono edilizio, si applicano, se compatibili, le norme della legge n. 47/1985 e l'art. 39 della legge n. 724/1994 (art. 32, comma 28, della legge n. 326/2003).

Tuttavia le modifiche apportate dal citato art. 32 alle stesse leggi, non si applicano alle domande già presentate ai sensi delle predette normative (art. 43-bis della legge n. 326/2003).

Sono fatte salve anche le domande già presentate ai sensi dell'art. 40, comma 6 della legge n. 47/1985 relativo alla eccezionale ipotesi di sanatoria per immobili oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, nonché le ipotesi previste dal comma 59 dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 6 dell'art. 40 della legge n. 47/1985, e le altre norme sopra richiamate, pertanto, devono essere lette alla luce della nuova normativa sul condono, reputandosi possibile la domanda di sanatoria purché la presentazione della stessa avvenga entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile e le ragioni del credito siano sorte anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 269/2003 (1° ottobre 2003). L'eccezione prevista da tale norma è giustificata dalla esigenza di consentire agli acquirenti sulla base di una procedura esecutiva di regolarizzare l'acquisto di immobili dei quali, al momento della insorgenza delle ragioni di credito, non era conosciuta la natura abusiva. Del pari deve ritenersi applicabile la norma di cui al comma 1 dell'art. 39 della legge n. 724/1994, secondo la quale i limiti di cubatura entro i quali è consentita la sanatoria non trovano applicazione in caso di annullamento del permesso di costruire. Come specificato nella circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 2241/UL del 17 giugno 1995, tale norma più favorevole trae la sua giustificazione nel fatto che, trattandosi di titolo abilitativo prima rilasciato e poi revocato, appare prioritaria l'esigenza di garantire l'affidamento ingenerato in capo al soggetto interessato al momento del rilascio del permesso di costruire. Per quanto infine concerne l'applicazione delle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994 si fa espresso rinvio alle circolari applicative del Ministero dei lavori pubblici rispetti-vamente 30 luglio 1985, n. 3357/25 e 17 giugno 1995, n. 2241/UL, nonché alle altre circolari e interpretazioni fornite dal Ministero dei lavori pubblici su specifici argomenti.

2. Termini per la presentazione della domanda di sanatoria, oblazione ed oneri concessori.

Le sentenze della Corte costituzionale numeri 196, 198 e 199 fanno salva la possibilità delle regioni di disciplinare, con proprie leggi, le modalità di presentazione delle domande di condono, disciplinando diversamente anche gli effetti del prolungato silenzio del comune sulle domande stesse. Compete, inoltre, alle regioni la facoltà di disciplinare diversamente dalla normativa statale la misura dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento. In esecuzione della citata sentenza è stato emanato l'art. 5 del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito dalla legge 20 luglio 2004, n. 191. In mancanza di disciplina regionale, da emanarsi entro quattro mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 168/2004, trovano applicazione le regole stabilite nella normativa nazionale, come modificata dalla suddetta legge 30 luglio 2004, n. 191, di conversione del citato decreto-legge n. 168, recante interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica.

La domanda di condono deve essere accompagnata dall'attestazione del pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, secondo le misure e le modalità indicate nell'allegato 1 della legge. La presentazione della istanza per la definizione dell'illecito edilizio al comune competente, con l'attestazione suddetta, deve avvenire, a pena di decadenza, tra l'11 novembre 2004 ed il 10 dicembre 2004. Alla domanda va allegata la documentazione di cui al comma 35 dell'art. 32. In base all'art. 5, comma 2-bis, della legge n. 191/2004, al fine di salvaguardare il principio dell'affidamento, le domande relative alla definizione degli illeciti edilizi presentate fino alla data della pubblicazione nella G.U. della citata sentenza della Corte costituzionale n. 196 del 2004 restano salve a tutti gli effetti, salva diversa statuizione delle leggi regionali di cui al comma 26 dell'art. 32 del decreto-legge n. 326/2003, convertito dalla legge n. 326/2903.

In ogni caso restano salvi gli effetti penali.

Per quanto concerne le domande di sanatoria presentate tra la data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 168/2004 e la data di entrata in vigore della legge di conversione n. 191/2004, restano salvi i soli effetti penali, salva diversa statuizione più favorevole delle citate leggi regionali. Con decreto-legge n. 282 del 29 novembre 2004, convertito in legge n. 307 del 27 dicembre 2004 all'art. 10 sono stati prorogati i termini, già previsti nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di definizione di illeciti edilizi. Il comma 33 dello stesso art. 32 della legge n. 326/2003 prevede la possibilità per le regioni di emanare norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Pertanto, le regioni possono con proprie norme prevedere l'onere a carico degli interessati di presentazione di altri documenti oltre a quelli previsti dalla legge statale, purché ciò non comporti un inutile appesantimento del procedimento. Il comma 37 dell'art. 32 prevede la formazione del silenzio-assenso, con effetti equivalenti al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, sulla domanda trascorsi ventiquattro mesi dalla data del 30 giugno 2005 senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, a condizione che siano soddisfatti tutti gli adempimenti previsti nello stesso comma 37. Per la formazione del silenzio-assenso, nel caso di immobili soggetti a tutela, occorre il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla data di emanazione del parere favorevole da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. La misura dell'oblazione è determinata nella tabella C, allegata alla legge, in relazione alla destinazione residenziale o non residenziale dell'opera da sanare. Mentre per gli abusi classificabili nelle tipologie 4, 5, 6 della tabella C la misura dell'oblazione, stante la minore gravità degli stessi, è determinata in misura fissa, per le tipologie 1, 2 e 3 è necessario effettuare il calcolo della superficie del manufatto abusivo ed applicare l'oblazione in base alla categoria di destinazione d'uso dell'immobile.

Come espressamente previsto dal comma 39 dell'art. 32, è esclusa qualsiasi riduzione dell'oblazione, dovendosi, in tali casi, escludere l'applicazione dei commi 13, 14, 15 e 16 dell'art. 39 della legge n. 724 del 1994. La natura eccezionale delle nuove norme sul condono edilizio e la volontà di non estendere i benefici nei casi nei quali può apparire dubbia la situazione di estremo disagio abitativo, ha indotto il legislatore ad escludere ogni tipo di decurtazione in sede di determinazione dell'oblazione. In particolare, pur se il comma 16 dell'art. 39 della legge n. 724/1994 faceva salve espressamente le riduzioni di cui ai commi terzo, quarto e settimo dell'art. 34 della legge n. 47/1985, l'esclusione dell'applicazione del citato comma 16, prevista dal comma 39 dell'art. 32 della legge n. 326/2003, comporta anche la non applicabilità delle riduzioni stabilite dall'art. 34 della legge n. 47/1985. Per quanto concerne gli oneri concessori, gli stessi sono determinati nella misura dei costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria necessarie, nonché per gli interventi di riqualificazione igienico-sanitaria e ambientale attuati dagli Enti locali; in alternativa, gli oneri possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento con legge regionale.

E' facoltà dei comuni perimetrare i nuclei abusivi ed esigere somme pari al costo sostenuto per la realizzazione delle opere pubbliche. E' possibile lo scomputo del costo per la realizzazione delle opere pubbliche che può essere effettuato direttamente dai consorzi dei proprietari solo per opere di importo inferiore a 5 milioni di euro. Va doverosamente fatto presente che la norma alla quale si fa riferimento (art. 2, comma 5, legge n. 109/1994) è attualmente soggetta a procedura di infrazione da parte della Commissione europea secondo la quale le opere realizzate nell'ambito di una lottizzazione non convenzionata devono essere considerate pubbliche e, pertanto, le stesse possono essere realizzate esclusivamente con ricorso alla normativa sui lavori pubblici, attraverso appalti a terzi. Per la definizione delle domande di sanatoria si applicano gli stessi diritti ed oneri stabiliti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi relativi alle medesime fattispecie, con facoltà da parte del comune di incrementare i suddetti diritti ed oneri fino ad un massimo del 10 per cento. Sulle modalità di presentazione della domanda e di pagamento dell'oblazione e degli oneri concessori si rinvia alla circolare n. 1 del 16 gennaio 2004 nonché al decreto 14 gennaio 2004 (pubblicato nella G.U. n. 14 del 19 gennaio 2004) del Ministero dell'economia e finanze, fermo restando quanto disciplinato, in particolare in merito al versamento degli oneri concessori, dalle regioni. In ogni caso, è possibile effettuare il versamento dell'oblazione tramite modulo postale suddiviso in tre sezioni, indicando:

- il numero di conto corrente postale 255000, intestato a Poste italiane;
- l'importo dovuto e liquidato;
- gli estremi identificativi e l'indirizzo del richiedente;

nonché, nello spazio riservato alla causale:
- il comune dove è ubicato l'immobile;
- il numero progressivo indicato nella domanda relativa al versamento, con riferimento alla natura del versamento in acconto o a saldo di rate dovute;
- il codice fiscale del richiedente.

Con decreto interdipartimentale di questo Ministero e del Ministero dell'economia e delle finanze del 18 febbraio 2005 sono stabilite le modalità di versamento del 50 per cento della somma dovuta a conguaglio dell'oblazione per la sanatoria degli abusi edilizi direttamente al comune interessato.

3. Ambito soggettivo di applicazione.

Circa i soggetti legittimati alla presentazione della domanda di sanatoria, l'art. 32 della legge. n. 326/2003 nulla innova la disciplina contenuta nell'art. 31 della legge n. 47/1985. Nel richiamare pertanto le indicazioni contenute nelle circolari applicative del Ministero dei lavori pubblici rispettivamente 30 luglio 1985, n. 3357/25 e 17 giugno 1995, n. 2241/UL, si ritiene opportuno indicare brevemente le principali categorie dei soggetti che hanno titolo a richiedere la sanatoria. Sono legittimati, innanzitutto, i proprietari delle opere abusive. Va precisato che in situazioni di condominio l'istanza potrà essere presentata dall'amministratore previa delibera dell'assemblea condominiale, o, in caso inerzia dell'assemblea, dallo stesso amministratore nonché da ogni singolo condomino. Nell'ipotesi di titolarità del diritto sull'immobile da parte di una persona giuridica, la sanatoria dovrà essere richiesta dalla persona fisica che ne ha la rappresentanza legale. In secondo luogo, possono richiedere la sanatoria i soggetti individuati dall'art. 11 del testo unico dell'edilizia e, quindi i titolari di un diritto reale sul bene quale usufrutto, uso, abitazione, diritto di superficie, ecc. nonché, in base al comma 3 dell'art. 31 della legge n. 47/1985, qualsiasi soggetto interessato al conseguimento della sanatoria stessa. Tale ultima categoria può essere identificata in tutti i soggetti che dalla sanatoria dell'abuso possono trarre un vantaggio giuridico ed economico. L'onere della sanatoria deve essere sopportato dal responsabile dell'abuso, posto che l'art. 31, comma 3, precisa che gli «altri soggetti interessati» hanno diritto di rivalsa nei confronti del proprietario per quanto concerne le spese sostenute per il pagamento sia dell'oblazione sia del contributo di concessione. Il diritto di rivalsa tuttavia non compete quando il soggetto interessato alla sanatoria sia esso stesso responsabile dell'abuso. Si sottolinea in particolare la legittimazione del locatario a presentare la domanda di sanatoria del bene abusivo, a fronte dell'inerzia del proprietario, nonché dei congiunti o dei rappresentati legali o volontari, dei creditori nei confronti del proprietario dell'immobile abusivo, ecc. Il condono edilizio potrà altresì essere richiesto dall'autore dell'illecito non più proprietario dell'immobile per l'interesse agli effetti estintivi dell'illecito di natura sia penale che amministrativa. Infine si evidenzia la particolare legittimazione alla presentazione di autonoma domanda di sanatoria, ai sensi dell'art. 38, comma 5 della legge n. 47/1985, da parte dei soggetti diversi dal proprietario che siano interessati a beneficiare degli effetti estintivi penali corrispondendo un'oblazione nella misura del 30% rispetto a quella dovuta dal proprietario. Trattasi dei soggetti indicati dall'art. 29 del testo unico dell'edilizia, ossia il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori, ove diversi dal proprietario, fermo restando che gli effetti di estinzione del reato, nei confronti dei predetti soggetti, opera anche nel caso di mancata presen-tazione della domanda di sanatoria ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, nonché in caso di diniego del rilascio del medesimo. Il comma 31 chiarisce che il titolo abilitativo edilizio in sanatoria non comporta limitazioni ai diritti dei terzi, in quanto il provvedimento di sanatoria è finalizzato unicamente a regolamentare il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione ed è quindi inidoneo a comprimere i diritti soggettivi dei terzi.

4. Ambito oggettivo di applicazione.

Anche per quanto concerne l'ambito oggettivo di applicazione, la Corte costituzionale ha fatto salva, in ogni caso, la possibilità per le leggi regionali di determinare limiti volumetrici da ammettere a sanatoria in misura inferiore a quelli previsti dal legislatore statale. In mancanza di disciplina regionale trova applicazione quanto stabilito dalle norme nazionali. Ai sensi del comma 25 dell'art. 32 della legge n. 326 del 2003, i capi IV e V della legge n. 47/1985, e successive modificazioni ed integrazioni, come successivamente modificate dall'art. 39 della legge n. 724/1994, e successive modifiche ed integrazioni, nonché dall'art. 32 della legge n. 326/2003, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003. Il legislatore fa riferimento a due fattispecie:

- ampliamenti: sono condonabili, indipendentemente dalla destinazione d'uso (residenziale o non residenziale), le opere abusive ove non superino, alternativamente, i 750 mc. ovvero il 30 per cento della volumetria della costruzione originaria;
- nuove costruzioni. Per le nuove costruzioni residenziali, il comma 25 prevede che le suddette disposizioni si applichino alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 non superiori a 750 mc. per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria, a condizione, tuttavia, che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 mc. In caso di superamento di quest'ultimo limite, pertanto, è preclusa ogni forma di sanatoria, salva la doverosa riconduzione al limite dei 3000 mc. con demolizione delle opere scorporabili eccedenti. In questo caso, alla domanda di sanatoria deve essere allegato un atto d'obbligo da parte dell'interessato a demolire le parti eccedenti i 3.000 mc.

Il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è condizionato dall'effettiva esecuzione delle demolizioni, che deve avvenire con le modalità indicate dalle norme relative al completamento delle opere abusive (art. 35, comma 14, della legge n. 47/1985). Qualora, invece, non risulti oggettivamente possibile la demolizione delle opere eccedenti il suddetto limite, la sanatoria sarà preclusa. Per le nuove costruzioni con destinazione d'uso non residenziali, invece, come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali. Si precisa che per costruzioni non residenziali si intendono tutti gli immobili finalizzati alla produzione di beni e/o servizi, o con destinazioni d'uso terziarie e direzionali, come identificate dagli strumenti di pianificazione comunale. Relativamente al concetto di ultimazione, si rinvia a quanto previsto dal comma 2 dell'art. 31 della legge n. 47/1985, nonché dalle circolari del Ministero dei lavori pubblici n. 3357/25 del 30 luglio 1985 e n. 2241/UL del 17 giugno 1995. In base alla norma sopracitata, debbono intendersi ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Al riguardo, la giurisprudenza ha precisato che la disposizione contenuta nell'art. 31, comma 2, della citata legge n. 47/1985 deve essere intesa nel senso che l'esecuzione del rustico implica la tamponatura dell'edificio stesso, con conseguente non sanabilità di quelle opere ove manchino in tutto o in parte i muri di tamponamento che determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria (cfr. Cass. pen., Sez. III, 12 aprile 1999, n. 6548; Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2000, n. 5638). Le opere interne agli edifici già esistenti e quelle non destinate alla residenza, si devono intendere ammissibili al condono quando siano state completate funzionalmente e cioè siano tali da identificare la possibilità di uso in relazione alla funzione cui sono destinate. Per le nuove costruzioni, l'intervento deve reputarsi ultimato nel momento in cui è definita la volumetria relativa, non essendo comunque ammissibili aggiunte successive all'immobile oggetto di sanatoria, nell'ambito delle opere di completamento.

5. Tipologie di abuso sanabili.

La Corte costituzionale ha fatto salva la facoltà del legislatore regionale di determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'allegato 1 della legge n. 326/2003. In mancanza di disciplina regionale si applicano le disposizioni nazionali. Il comma 26 dell'art. 32 della legge n. 326/2003, facendo rinvio all'allegato 1 della medesima legge, stabilisce quali siano le tipologie di abuso ammesse a sanatoria in base al nuovo condono edilizio. Le stesse sono state aggiornate e modificate, rispetto alla definizione originaria contenuta nella legge n. 47/1985 e riconfermata dalla legge n. 724/1994. Si è tenuto conto sia dell'entrata in vigore delle norme relative alla disciplina dell'attività edilizia, contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sia dell'esigenza di semplificare l'individuazione dell'abuso edilizio, in relazione alla categoria di intervento eseguito. Permane, comunque, la classificazione delle tipologie di abusi in relazione alla gravità dell'illecito commesso.

Tipologia 1: si tratta dei cosiddetti abusi sostanziali, vale a dire di opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Tipologia 2: si tratta dei cosiddetti abusi formali, vale a dire opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore delle nuove norme sul condono edilizio.

Tipologia 3: opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'art. 3, comma 1, lettera d) del  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativi edilizio.

Relativamente alla fattispecie della ristrutturazione edilizia, appare opportuno rinviare a quanto contenuto nella circolare interpretativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 4174 del 7 agosto 2003 (in G.U. n. 274 del 25 novembre 2003), relativa alla inclusione dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia. Ai sensi dell'art. 3, lettera d) del testo unico sull'edilizia, sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare alla creazione di organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Gli interventi comprendono il ripristino, la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. La definizione contenuta nell'art. 3, comma 1, lettera d) del  d.P.R. n. 380/2001 riproduce sostanzialmente quanto previsto dalla lettera d) dell'art. 31 della legge n. 457/1978. Tuttavia, il legislatore, al fine di chiarire l'esatto inquadramento di una fattispecie che in passato ha dato adito a discordanti orientamenti giurisprudenziali, ha aggiunto che nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Tale formulazione discende dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 301 del 2002, adottato in attuazione della legge n. 443/2001, in quanto la ristrutturazione edilizia come configurata nella originaria versione del testo unico imponeva anche la perfetta identità, tra nuova e vecchia costruzione, non solo di volume e sagoma, ma anche di area di sedime e caratteristiche dei materiali. La qualificazione come ristrutturazione edilizia degli interventi di demolizione e ricostruzione, nei limiti sopra indicati, consente agli interessati di conformarsi agli strumenti urbanistici, di regola meno restrittivi, del tempo in cui fu rilasciata l'originaria concessione per l'edificio demolito. Infatti, in tal caso, l'impatto urbanistico del manufatto è stato già valutato dall'amministrazione al momento del rilascio del titolo abilitativo originario. Qualora, invece, l'edificio ricostruito si differenzi anche per uno solo dei due elementi suddetti rispetto a quello originario, la fattispecie deve essere considerata come nuova costruzione, e ad essa saranno applicabili le norme dello strumento urbanistico attuale.

Per quanto concerne il titolo abilitativo necessario per procedere ad un intervento di ristrutturazione edilizia, l'art. 10, comma 1, lettera c), del testo unico sull'edilizia, come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 301/2002, considera trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, con conseguente assoggettamento a permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino alla creazione di un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti di destinazione d'uso. Il legislatore, pertanto, sotto questo profilo, ha individuato quegli interventi di ristrutturazione edilizia che, a causa dell'incidenza sul peso urbanistico dell'area, richiedono il previo rilascio del permesso di costruire, mentre le ristrutturazioni edilizie di portata minore, non comportando una sostanziale alterazione dello stato dei luoghi, possono essere realizzate in base ad una denuncia di inizio di attività.

L'art. 10, comma 1, lettera c), del testo unico sull'edilizia fa espresso riferimento alle modifiche dei volumi, con ciò dovendosi ritenere, conformemente alla prevalente giurisprudenza, le sole diminuzioni o le traslazioni di volumi preesistenti, configurandosi, invece, una fattispecie riconducibile a nuova costruzione l'intervento edilizio che determini un aumento di volumetria. Tale distinzione assume importanza anche alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 443/2001 e dal successivo decreto legislativo n. 301 del 2002, con i quali è stata prevista la possibilità di ricorrere alla denuncia di inizio di attività, in alternativa al permesso di costruire, anche per gli interventi di ristrutturazione di cui al citato art. 10, comma 1, lettera c), del testo unico sull'edilizia (art. 22, comma 3, lettera a) del testo unico sull'edilizia). Trattasi di una alternativa meramente procedurale che non incide sotto alcun aspetto sulla disciplina sostanziale dell'intervento edilizio di cui trattasi. Ciò si desume dall'art. 31, comma 9-bis, del testo unico sull'edilizia, in base al quale le disposizioni dello stesso art. 31 (riguardante gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'art. 22, comma 3, del testo unico, tra i quali rientrano anche gli interventi di ristrutturazione di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del testo unico sull'edilizia. Può definirsi, quindi, «leggera» la ristrutturazione che non comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. Essa è assoggettata a D.I.A. e la sua portata può desumersi «a contrario» dalla individuazione degli interventi di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del testo unico sull'edilizia. La fattispecie, ai fini del condono, può assimilarsi alla figura del restauro e risanamento conservativo di cui alla tipologia n. 5 della tabella C allegata alla legge. n. 326/2003. La ristrutturazione cosiddetta «pesante», invece, la quale comporta una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio ed è soggetta in alternativa a permesso di costruire o a D.I.A., è specificatamente individuabile nella descrizione degli interventi di cui all'art. 10, comma 1, lettere b) e c) del testo unico dell'edilizia. In tal caso, ai fini del condono, occorre richiamarsi alla tipologia n. 3 della suddetta tabella C. Ne consegue che rientrano nella tipologia 3 gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell'edificio preesistente, salvo diversa indicazione fornita da leggi regionali, nonché le opere di ristrutturazione edilizia aventi le caratteristiche di cui all'art. 10, comma 1, lettera c) del  d.P.R. n. 380/2001, mentre gli stessi possono essere assimilati alla tipologia 5 se l'intervento edilizio non possa essere ricondotto alla categoria della manutenzione straordinaria e presenti le seguenti caratteristiche:

- non comporti aumento delle unità immobiliari;
- non modifichi la sagoma, il volume, i prospetti o le superfici esistenti;
- non modifichi la destinazione d'uso in immobili compresi nelle zone A di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968.

Tipologia 4: Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c), del  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.

Tipologia 5: opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c), del  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio.

Tipologia 6: opere di manutenzione straordinaria, come definite dall'art. 3, comma 1, lettera b) del  d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità non valutabili in termini di superficie o di volume. Nel concetto di titolo abilitativo edilizio deve ricomprendersi, ovviamente, anche la denuncia di inizio di attività, in quanto atto formatosi implicitamente a seguito di comunicazione da parte dell'interessato.

Per quanto concerne i mutamenti di destinazione d'uso, la fattispecie, se realizzata senza opere, salvo diversa disciplina regionale, deve ricondursi ad interventi non assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativi. In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 10 marzo 1999, n. 231 e sez. V, 14 maggio 2003, n. 2586) e la Corte costituzionale (sentenza n. 73 dell'11 febbraio 1991). Ne deriva che, conformemente a quanto affermato nella più volte richiamata circolare n. 2241/UL del 17 giugno 1995, sulla problematica in questione (per quanto non in contrasto con le disposizioni soprav-venute) ed anche alla luce della legge n. 326/2003, non si reputa necessaria la sanatoria per il mutamento di destinazione d'uso meramente funzionale. La giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare, al riguardo, che la diversa utilizzazione di un edificio, attuata senza opere, costituisce esercizio di «jus utendi» che, diversamente dallo «jus aedificandi», non rientra, salvo diversa legislazione regionale, nella disciplina urbanistico-edilizia generale. Nel caso in cui avvenga un mutamento di destinazione d'uso senza opere, in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, si deve ritenere ammissibile la presentazione di una domanda di sanatoria. Ciò in quanto la definitiva introduzione della destinazione d'uso, utilizza la tipologia 3, trattandosi di una variazione che comporta un aumento degli standard urbanistici. Qualora, viceversa, il mutamento di destinazione d'uso sia conforme alle prescrizioni urbanistiche e agli strumenti di piano e sia disciplinata con legge regionale che preveda la presentazione di una denuncia di inizio attività, la tipologia di abuso da utilizzare è la n. 6.
Il mutamento di destinazione d'uso realizzato con opere non diverge da quanto previsto dalla legge n. 47/1985. Si rinvia pertanto alla disciplina dei precedenti condoni, avendo anche riguardo alle normative regionali. Tuttavia, per individuare correttamente la tipologia di abuso relativa al mutamento di destinazione d'uso realizzata attraverso opere edilizie, occorre effettuare la concreta verifica della natura delle opere stesse. Pertanto, l'abuso può rientrare, a seconda dei casi, nella tipologia 3, ovvero 4 o 5.

6. Immobili sottoposti a vincolo.

La possibilità di sanatoria per le opere realizzate in aree sottoposte a vincolo è regolata dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, nonché dal comma 27 dell'art. 32 della legge n. 326 del 2003.

L'art. 32 della legge n. 47 del 1985, come sostituito dall'art. 32, comma 43, della legge n. 326/2003, pone un principio di carattere generale in base al quale il rilascio della concessione in sanatoria per le opere realizzate su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. In particolare, il riformulato art. 32 della legge n. 47/1985 prevede per tutte le tipologie di vincolo che, decorso inutilmente il termine di centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, si formi il silenzio-rifiuto (a differenza della precedente disciplina che prevedeva in alcuni casi il formarsi del «silenzio-assenso»). Al fine di accelerare la procedura di valutazione delle istanze volte al rilascio del parere suddetto e consentire la contestuale valutazione degli interessi coinvolti nella fattispecie, è prevista la convocazione di una conferenza di servizi da parte dell'ufficio comunale competente, secondo quanto previsto dal comma 6 dell'art. 20 del  d.P.R. n. 380/2001. Il motivato dissenso in sede di conferenza di servizi espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale (compresa la soprintendenza), alla tutela del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

L'art. 33 della legge n. 47 del 1985, al quale fa rinvio l'art. 32, comma 27, della legge n. 326/2003, dispone che sono insuscettibili di sanatoria le opere realizzate abusivamente, quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, sempre che questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere suddette:

a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali ed idrogeologici;
b) vincoli imposti da leggi statali o regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela degli interessi della difesa militare e della sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti l'inedificabilità delle aree.

Il comma 2 del citato art. 33 prevede, inoltre, che siano escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati a tutela dalla legge n. 1089/1939 (ora decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e che non siano compatibili con la legge medesima. Ulteriori ipotesi di insanabilità delle opere abusive realizzate in zone vincolate sono previste dal comma 27 dell'art. 32 della legge n. 326/2003 e, in particolare, dai punti d) ed e). In particolare, per quanto concerne la fattispecie di cui al punto d), perché l'intervento posto in essere debba considerarsi non sanabile occorre la compresenza dei seguenti presupposti:

1) sussistenza di vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali;
2) anteriorità della imposizione del vincolo rispetto al compimento dell'abuso;
3) presenza di opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Tale quadro di riferimento sembrerebbe consentire esclusivamente la sanatoria degli abusi meramente formali, cioè degli interventi di cui al suddetto punto d) del comma 27 ma realizzati in conformità alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 269/2003 (1° ottobre 2003). Tuttavia, la disposizione contenuta nel punto d) del citato comma 27 appare mitigata in presenza dei presupposti previsti dal comma 1, ultima parte, del novellato art. 32 della legge n. 47 del 1985, e cioè con riferimento a violazioni relative ad altezza, distacchi, cubatura, o superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte. Del pari deve ritenersi ammessa la sanatoria delle opere interne pur in contrasto con gli strumenti urbanistici in zone sottoposte a vincolo paesaggistico per le quali già non sussiste l'obbligo del previo nullaosta ambientale (cfr. art. 152 del decreto legislativo n. 490/1999 e, dal 1° maggio 2004, art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio). Quanto al punto e) del comma 27, non sembra che possano sorgere dubbi interpretativi. La norma esclude la sanatoria per tutte le opere realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo n. 490/1999. Al di fuori dei casi suddetti, la sanatoria è ammissibile secondo il procedimento delineato dal riformulato art. 32 della legge n. 47 del 1985.

7. Esclusioni della sanatoria.

Oltre ai casi di cui ai punti d) ed e) del comma 27 dell'art. 32, sono espressamente escluse dal condono le opere:

- non suscettibili di adeguamento antisismico ai sensi dell'ordinanza del Presidente del C. di M. n. 3274/2003 pubblicata nel supplemento ordinario alla G.U. n. 105 dell'8 maggio 2003, che detta nuovi criteri di classificazione sismica del territorio nazionale, sulla base di quattro tipologie di zone;
- realizzate su aree pubbliche qualora non ne venga ordinata la messa in disponibilità a titolo oneroso;
- realizzate su aree boscate o su pascolo, i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco nell'ultimo decennio;
- realizzazione nei porti e nelle aree del demanio marittimo, lacuale e fluviale nonché in terreni gravati da diritto di uso civico.

E' altresì prevista un'ipotesi di esclusione soggettiva per le opere eseguite dal proprietario, o avente causa, condannato con sentenza definitiva per i delitti di cui agli articoli 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale o da terzi per suo conto.

8. Disposizioni per contrastare l'abusivismo edilizio.

Oltre alle disposizioni relative al rilascio del titolo abilitativi in sanatoria, l'art. 32 contiene una serie di norme dirette a contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio. Si citano le misure più importanti.

a) Demolizione opere abusive.

Il comma 49-ter dell'art. 32 della legge n. 326/2003 aveva sostituito interamente l'art. 41 del testo unico di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, configurando un nuovo ruolo del prefetto nell'ambito del procedimento di repressione dell'abusi-vismo edilizio. Il comma succitato, tuttavia, è stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 196 del 2004. Pertanto, rivive il testo dell'art. 41 del d.P.R. n. 380 del 2001 nel contenuto vigente prima della sostituzione operata dal comma 49-ter dell'art. 32 della legge n. 326/2003. Al fine di sostenere l'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, presso la Cassa depositi e prestiti è istituito un fondo di rotazione denominato «fondo per le demolizioni delle opere abusive» dotato del l'importo massimo di 50 milioni di euro per la concessione ai comuni e ai soggetti titolari dei poteri di cui all'art. 27, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, di anticipazioni, senza interessi, sui costi relativi agli interventi di demolizione delle opere abusive anche disposti dall'autorità giudiziaria e per le spese giudiziarie, tecniche e amministrative connesse. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 23 luglio 2004 sono stabilite le modalità e condizioni per la restituzione al fondo stesso delle suddette anticipazioni.

b) Obblighi a carico delle aziende erogatrici di servizi pubblici.

Oltre al divieto posto a carico delle aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare, sotto pena di nullità del contratto, le forniture ad immobili privi del titolo abilitativo già previsto dall'art. 45 della legge n. 47/1985 e recepito nell'art. 48 del testo unico dell'edilizia, il comma 49-quater dell'art. 32 pone a carico delle aziende erogatrici dei servizi pubblici e dei funzionari che stipulano i contratti di somministrazione, l'obbligo, puntualmente sanzionato, di comunicare al sindaco del comune ove è ubicato l'immobile le richieste di allaccio ai pubblici servizi con la contestuale indicazione del titolo abilitativo edilizio eventualmente anche in sanatoria. Al riguardo si chiarisce che il suddetto obbligo di comunicazione grava solo sul soggetto con il quale il richiedente stipula il contratto di somministrazione, indipendentemente da chi effettua materialmente l'allaccio. In considerazione delle diverse dimensioni e delle esigenze di carattere operativo ed amministrativo che caratterizzano l'attività dei vari enti locali, la frequenza e le modalità con cui effettuare la trasmissione al sindaco del comune in cui è ubicato l'immobile interessato dei dati indicati dall'art. 48 del d.P.R. n. 380/2001, può essere concordata direttamente dall'azienda erogatrice con l'ente locale. Deve essere comunque garantita al sindaco del comune interessato l'esatta conoscenza di tutti gli elementi indicati dalla suddetta disposizione. Con riferimento all'ambito di applicazione del termine «titoli abilitativi», contenuto nell'art. 32, comma 49-quater della legge n. 326/2003, è da ritenere che lo stesso si riferisca anche alle dichiarazioni di inizio di attività così come disciplinate dal capo III del d.P.R. n. 380/2001.

c) Incremento sanzioni pecuniarie per reati edilizi.

Il comma 47 dell'art. 32 prevede per le sanzioni pecuniarie di cui all'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, un incremento del cento per cento.

d) Scioglimento del consiglio comunale.

Allo scopo di rafforzare l'obbligo dei comuni con più di mille abitanti di dotarsi degli strumenti di pianifi-cazione, il comma 7 dell'art. 32, modificando l'art. 141 del testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000) introduce una nuova causa di scioglimento dei consigli comunali prevedendo anche il relativo procedimento.

e) Interventi repressivi contro le opere abusive.

L'art. 32, modificando una serie di norme del testo unico sull'edilizia, oltre al sopradetto incremento delle sanzioni pecuniarie, dispone l'incremento dei poteri repressivi delle autorità competenti. L'immediata demolizione delle opere edilizie abusive può ora essere disposta quando il dirigente comunale accerti non più soltanto l'inizio ma altresì l'esecuzione di opere abusive in tutti i casi di difformità delle stesse dalla normativa urbanistica o dalle prescrizioni degli strumenti di pianificazione. Per le opere abusive realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale o soggetti a vincolo storico-artistico o su beni di interesse archeologico ovvero su immobili soggetti a vincolo paesistico con vincolo di inedificabilità assoluto, il potere di procedere alla demolizione è attribuito al soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di centottanta giorni dall'accertamento dell'illecito, attraverso la nomina di un commissario ad acta o avvalendosi delle strutture tecnico-operative del Ministero della difesa. Con riguardo alla demolizione delle opere abusive realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, com'è noto l'art. 31, comma 9, del testo unico sull'edilizia prevede che di tali opere il giudice penale, con sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 44 dello stesso testo unico, ne ordina la demolizione se ancora non sia stata altrimenti eseguita. Si osserva, in merito, che la Corte di cassazione, III sez. penale, con recente sentenza n. 26105/2004 ha ritenuto legittimo un ordine di demolizione disposto dal giudice penale, pur in pendenza di un giudizio amministrativo promosso dall'interessato avverso il diniego di sanatoria emesso dal comune, e ciò in quanto non è stata ritenuta ottenibile nel giro di brevissimo tempo la decisione del giudice amministrativo.

Roma, 7 dicembre 2005

Il vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Martinat