AFFARI ISTITUZIONALI - 070
Corte dei conti, sezione controllo - Lombardia - deliberazione n, 953 del 14 ottobre 2010
Non è ammesso il ricorso al lease back per beni patrimoniali indisponibili; non è comunque ammesso allo scopo di rientrare nel patto di stabilità interno

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI IN SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA

composta dai magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Antonio Caruso Consigliere

dott. Angelo Ferraro Consigliere (relatore)

dott. Giancarlo Astegiano Primo referendario

dott. Gianluca Braghò Referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott.sa Laura de Rentiis Referendario

Nell’adunanza del 13 ottobre 2010

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni;

Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato dalle Sezioni riunite con deliberazione n. 14 del 16 giugno 2000 e modificato con successive deliberazioni n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004, nonché con la deliberazione n. 229 in data 19 giugno 2008 del Consiglio di Presidenza;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 67 recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la legge 4 marzo 2009, n. 15;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004, con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’art 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003;

Vista la richiesta di parere avanzata dal Sindaco del Comune di V. con nota n. 17274 del 20 settembre 2010.

Vista l’ordinanza n. 403 del 6 ottobre 2010, con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per deliberare, tra l’altro, sulla richiesta proveniente dal Comune di V.;

Udito il relatore, Cons. Angelo Ferraro,

Premesso in fatto

Il Sindaco del Comune di V. (MI), con la nota in epigrafe, sottopone all’esame di questa Sezione richiesta di parere in ordine alla compatibilità con l’attuale quadro normativo di operazioni di “sale and lease back” e di leasing immobiliare in costruendo, aventi ad oggetto beni demaniali o beni del patrimonio indisponibile comunale, serventi ad una funzione od un servizio pubblici (come ad esempio l’ampliamento del cimitero, la sede del municipio, la caserma dei carabinieri ecc.), e in generale alla possibilità di utilizzare tali strumenti contrattuali con lo scopo di rispettare gli obiettivi imposti dal Patto di stabilità.

Al riguardo, viene rappresentato che:

a. il quesito concerne, in particolare, la legittimità di un’operazione di alienazione di un immobile del patrimonio indisponibile dell’Ente (ad es. la sede del municipio) ad un terzo che, oltre a corrispondere il corrispettivo della cessione, si obbliga alla realizzazione, su progetto predisposto dall’Ente, di opere di ampliamento dell’immobile medesimo, che dovrebbe essere successivamente concesso in uso all’Amministrazione dietro pagamento di un canone, con la previsione di una clausola di riscatto dell’intera opera realizzata ad una determinata scadenza;

b. con l’operazione complessiva ipotizzata si intende perseguire un duplice interesse pubblico: l’ampliamento della sede municipale evitando il pagamento in unica soluzione e la realizzazione di un’entrata (da alienazione) che consenta di osservare i vincoli derivanti dal Patto;

c. la questione rivestirebbe estremo interesse per tutti gli enti territoriali locali che si trovano nella necessità, al pari del Comune di V., di individuare “soluzioni fattibili” per assicurare il rispetto degli obiettivi del Patto e, nel contempo, erogare i servizi essenziali e realizzare le opere pubbliche necessarie.

Nel caso specifico dell’Amministrazione istante, non sarebbe altrimenti possibile raggiungere l’obiettivo fissato per il 2011 di un saldo positivo di oltre 2.800.000 euro, nonostante la disponibilità di cospicue risorse accantonate ma non spendibili.

Condizioni di ammissibilità

Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di parere il primo punto da esaminare è l’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma ottavo, della legge 5 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la norma in esame, il cui contenuto risulta ancora poco approfondito sia dalla giurisprudenza contabile che dalla dottrina, consente alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali di rivolgere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti due diverse tipologie di richieste (delibera n. 9, in data 12 marzo 2007).

Da un lato, possono domandare l’intervento della magistratura contabile al fine di ottenere forme di “collaborazione”, non specificate dalla legge, dirette ad assicurare la regolare gestione finanziaria dell’ente ovvero l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa.

Dall’altro possono richiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

La funzione consultiva, che nei primi anni di applicazione della legge è stata la principale forma di collaborazione attivata dalle amministrazioni locali, non esaurisce quindi la possibilità di intervento delle Sezioni regionali della Corte dei conti, in seguito a specifiche richieste degli enti territoriali.

Anzi, in base alla formulazione della norma non sembrerebbe neppure essere la principale forma di collaborazione, poiché nella prima parte del comma ottavo dell’art. 7 è chiaramente specificato che gli enti territoriali possono domandare alle Sezioni regionali della magistratura contabile “ulteriori forme di collaborazione”, con l’unico limite della finalizzazione alla regolare gestione finanziaria dell’ente e dello svolgimento dell’azione amministrativa secondo i parametri dell’efficienza e dell’efficacia.

I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo sulle tematiche sulle quali la collaborazione viene esercitata scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che pertengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno.

Alla luce delle esposte considerazioni va delimitato l’ambito di legittimazione soggettiva ed oggettiva degli enti ad attivare le forme di collaborazione.

Quanto all’individuazione dell’organo autorizzato ad inoltrare le richieste di parere dei Comuni, occorre premettere che questa legittimazione, per orientamento consolidato, spetta agli organi rappresentativi degli enti (nel caso del comune, il Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale). Inoltre, si è ritenuto che la mancata costituzione del Consiglio delle Autonomie Locali della Lombardia (disciplinato con legge regionale n. 22 del 23 ottobre 2009 ma non ancora costituito) non rappresenti elemento ostativo all’ammissibilità della richiesta, poiché l’art. 7, comma ottavo, della legge n. 131/2003 usa la locuzione “di norma”, non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte degli enti.

In tal senso, questa Sezione, con deliberazione n. 1 in data 4 novembre 2004, ha già precisato che “non essendo ancora costituito in Lombardia il Consiglio delle autonomie, previsto dall’art. 7 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che modifica l’art. 123 della Costituzione, i Comuni possono, nel frattempo, chiedere direttamente i pareri alla Sezione regionale”.

Limiti alla legittimazione oggettiva vanno invece stabiliti solo in negativo. In proposito va, infatti, posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica” deve essere intesa nella ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti ed investe così tutte le ipotesi di spendita di denaro pubblico oltre che la disciplina dei bilanci pubblici, di procedimenti di entrate e di spesa, di contrattualistica che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella nozione. D’altro canto la norma in discussione non fissa alcun limite alle richieste di altre forme di collaborazione.

In negativo, senza peraltro voler esaurire la casistica, va posta in luce la inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni intestate alla Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale; richieste che si risolvono in scelte gestionali, come si è detto di esclusiva competenza degli amministratori degli enti; richieste che attengono a giudizi in corso; richieste che riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere utilizzati per asseverare o contestare provvedimenti già adottati.

Pertanto, la richiesta di parere in esame appare ammissibile sia sotto il profilo soggettivo, provenendo dal Sindaco del Comune, e sia sotto il profilo oggettivo.

Considerato in diritto

1. Inquadramento del problema

Il quesito sottoposto all’esame della Sezione concerne, in particolare, la legittimità di una complessa operazione negoziale che intende utilizzare il contratto di “sale and lease back” e lo strumento del leasing immobiliare in costruendo al fine dichiarato di realizzare l’ampliamento di un immobile del patrimonio indisponibile dell’ente locale e di conseguire un’entrata straordinaria dalla vendita dell’immobile, da condurre poi in locazione, dietro pagamento di un canone fino al riscatto finale, riuscendo così a conciliare fini pubblici meritevoli di tutela con l’esigenza di rispettare gli obiettivi del Patto di stabilità interno.

In primo luogo va ricordato come la pubblica amministrazione, nell’esercizio della sua azione, può avvalersi non solo degli strumenti giuridici propri del diritto pubblico, ma anche dei mezzi e delle forme comuni del diritto privato.

Il riconoscimento generale dell’autonomia negoziale della P.A. trova fondamento normativo nel testo del nuovo articolo 1, comma 1-bis della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005, a tenore del quale “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.

Secondo la prevalente dottrina, la normativa codifica il principio pretorio dell’accesso dei soggetti pubblici agli strumenti privatistici come alternativa generale all’esercizio del potere, riconoscendo loro la facoltà di curare l’interesse pubblico instaurando rapporti di carattere privatistico con soggetti terzi in alternativa all’utilizzo degli strumenti procedimentali e degli atti autoritativi tipici del diritto amministrativo.

Il riconoscimento dell’autonomia privata ai sensi dell’art. 1321 c.c., quale capacità di costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici di tipo patrimoniale, nonché della capacità di porre in essere atti negoziali anche atipici (art. 1322 c.c.) incontra, peraltro, limiti di carattere generale consistenti nella meritevolezza degli interessi e nella liceità della causa nonché nel rispetto dei principi costituzionali di legalità e imparzialità e di doverosa finalizzazione dell’attività o del negozio al perseguimento dei fini istituzionali predeterminati dalla legge.

Altre norme peculiari che limitano e regolano tale capacità giuridica di diritto privato si rinvengono, nella fattispecie all’esame, nel sistema di contabilità pubblica (R.D. n. 2440/1923 e R.D. n. 827/1924), nella disciplina dell’indebitamento degli enti locali (art. 204 T.U.E.L.), nei principi dell’evidenza pubblica nella formazione dei contratti e nella disciplina comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici (D. lgs. N. 163/2006).

E’, infine, da verificare, per gli enti locali soggetti al Patto di stabilità interno, la compatibilità dell’uso di strumenti e modalità contrattuali atipici con i vincoli di tipo giuscontabile imposti per il raggiungimento degli obiettivi del Patto.

Nel caso prospettato dal Comune di V. sembra potersi configurare l’intenzione dell’Ente di ricorrere all’utilizzazione non già di un contratto misto, connotato cioè dalla combinazione in un unico schema negoziale di elementi riconducibili a diverse fattispecie contrattuali tipiche, quanto piuttosto di un’operazione di collegamento negoziale, caratterizzata dalla permanenza di distinti contratti atipici tra loro collegati funzionalmente ed in rapporto di dipendenza reciproca.

2. Il “sale and lease back” e il “leasing” immobiliare pubblico

Come noto, il contratto di “sale and lease back” (o locazione finanziaria di ritorno) si articola nella vendita di un bene (di regola immobile) dal proprietario ad una società di leasing e nella successiva concessione del bene in leasing allo stesso soggetto venditore, verso il pagamento di un canone periodico.

Per molto tempo in dottrina sono stati avanzati dubbi sulla liceità del lease back tanto che solo con la sentenza della Corte di Cassazione n. 4612 del 7 maggio 1998 questa forma contrattuale ha ricevuto piena cittadinanza in ambito civilistico.

Nella fisiologia della figura negoziale in questione la vendita non è sottoposta a condizione ma il venditore-utilizzatore, esercitando il diritto di opzione e pagando il prezzo concordato, può ottenere la retrocessione del bene.

Simile è la formula della vendita con patto di riaffitto (“rent and lease back”), divenuta strumento giuridico regolato dalla legge (art. 29 D.L. n. 269/2003, convertito in legge n. 326/2003), preordinato alla cessione di immobili adibiti ad uso governativo, che solo apparentemente cessano da tale uso per effetto della alienazione poiché la loro destinazione viene contestualmente ripristinata, tramutando il titolo della detenzione da appartenenza dominicale a locazione di lunga durata.

Fin dagli esordi, il contratto di “sale and lease back” si è dovuto confrontare con il divieto del patto commissorio e segnatamente con la tendenza ormai invalsa presso la giurisprudenza di diritto civile ad estendere l’ambito di applicazione dell’art. 2744 cod. civ. e ad evidenziare la marcata possibilità di un uso fraudolento della particolare modalità negoziale.

Proprio per la sua spiccata vocazione di (auto) finanziamento si è lungamente ritenuto, nel quadro di una valutazione unitaria della fattispecie, che il prezzo corrisposto dal lessor (acquirente del bene da concedere in locazione) altro non sia che la dazione di una somma mutuata da restituire mediante versamenti rateali (i canoni) e che la proprietà formale in capo al primo fosse in realtà una garanzia reale atipica destinata a svuotare l’effetto traslativo, che si sarebbe consolidato nel caso di mancato esercizio dell’opzione di riacquisto e/o di inadempimento del lessee (l’utilizzatore già proprietario).

Così, è stato ritenuto (Sent. n. 13580 Corte di Cassazione Sez. III Civ., del 21 luglio 2004) l’intento elusivo del divieto di patto commissorio in presenza di determinate circostanze fattuali (difficoltà economica del soggetto alienante e sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato).

Ancora, è stata recentemente individuata una causa illecita nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando non sia previsto il trasferimento effettivo del bene, qualora “il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria, capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita” risulta “caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio…” (cfr. sent. Corte di Cass., II Sez. civ. n. 19288 del 7 settembre 2009, che richiama numerosi precedenti analoghi).

A sua volta, il leasing finanziario immobiliare (pubblico), vale a dire il contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto la realizzazione di un’opera pubblica e la sua successiva concessione in uso alla pubblica amministrazione con facoltà di riscatto finale, costituisce un’altra delle possibili varianti del contratto di leasing, introdotto nell’ordinamento attraverso la pratica commerciale che ha importato il modello dall’esperienza anglosassone.

In particolare, con il contratto di leasing in costruendo, applicabile in forza dell’art. 1322, co. 2, c.c., una parte si obbliga a costruire, finanziandone il costo, un bene immobile rispondente ad esigenze funzionali di altro soggetto (ente pubblico), il quale si obbliga a pagare canoni periodici ed ha diritto di riscatto finalizzato ad acquisire la piena proprietà dell’opera alla scadenza del periodo contrattuale.

Poiché il particolare oggetto del leasing immobiliare prevede sia aspetti di finanziamento che di realizzazione di un bene, la produzione legislativa e giurisprudenziale ha delineato in modo stabile le caratteristiche del contratto come operazione trilaterale, nella quale intervengono, di norma, l’ente pubblico committente, la società di leasing che finanzia l’opera pubblica utilizzata dallo stesso ente ed un terzo costruttore.

Già introdotto con la legge finanziaria per l’anno 2007 (legge n. 296/2006, articolo 1, commi 907, 908, 912, 913 e 914), il leasing finanziario immobiliare ha ricevuto piena legittimazione e disciplina nel settore pubblico con l’art. 160-bis del D.lgs. n. 163/2006, modificato ed integrato ad opera del terzo decreto correttivo al Codice dei contratti (D.lgs. 11 settembre 2008, n. 152) che ha sostanzialmente reso operativo lo strumento, ampliandone l’oggetto che può riguardare la realizzazione, l’acquisizione ovvero il completamento, conformemente alle indicazioni del committente, di opere pubbliche o di pubblica utilità.

3. Ammissibilità e limiti del ricorso a contratti atipici di leasing da parte delle pubbliche amministrazioni

Si premette che questa Sezione ha avuto modo, in diverse occasioni, di esprimere il proprio motivato convincimento in tema di utilizzazione, in ambito del settore pubblico, dello strumento contrattuale del “sale and lease back” (parere n. 15 del 12 ottobre 2006) e del leasing finanziario immobiliare (pareri n. 87 del 13 novembre 2008 e n. 52 del 5 marzo 2009), individuandone caratteristiche, possibili riflessi sul bilancio degli enti locali, vantaggi e, in particolare, limiti di compatibilità con le regole di finanza pubblica e con i vincoli derivanti dal Patto di stabilità interno.

L’analisi delle connesse problematiche è stata, poi, ulteriormente sviluppata nelle deliberazioni Lombardia/ 1109/2009/PRSE e 1139/2009/PRSE, rispettivamente, del 17 e 21 dicembre 2009, in occasione dell’esame delle relazioni rese, ai sensi dell’art. 1, commi 166 e segg. della legge n. 266/2005, dagli organi di revisione di taluni enti locali.

Nel contesto dei vari pareri e deliberazioni, la Sezione ha riconosciuto in generale l’ammissibilità del leasing nell’ambito della capacità negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione, evidenziandone: l’assoggettamento alle regole dell’evidenza pubblica secondo le tipologie dei beni e l’importo del contratto; la necessità di una congrua motivazione circa gli aspetti relativi alla convenienza economica dell’operazione, anche sul versante dell’efficiente ed efficace perseguimento del pubblico interesse; l’esigenza di un’ analisi costi-benefici estesa alle altre possibili forme di finanziamento (dal mutuo all’autofinanziamento, all’apertura di credito ecc.) per verificare anche l’impatto in termini di sostenibilità per il bilancio dell’ente delle diverse opzioni; la causa di finanziamento e di indebitamento del contratto che lo ricomprende nell’alveo dell’art. 119 Costituzione e lo rende ammissibile solo per procedere a nuovi investimenti.

Venendo alla complessa fattispecie negoziale ipotizzata dal Comune di V., la Sezione afferma l’illegittimità di un’operazione di cessione di immobili demaniali, perché inalienabili, o di beni che fanno parte del patrimonio indisponibile dell’ente (come la casa comunale), che non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi (artt. 823 e 828 cod. civ.).

Questo rilievo appare di per sé preclusivo a qualsiasi altra valutazione.

Ma, anche se si trattasse di un bene facente parte del o retrocesso al patrimonio disponibile, dovrebbero comunque adottarsi particolari cautele nel verificare l’ammissibilità del ricorso al “lease back”.

Invero, l’alienazione del bene costringe l’ente locale a sopportare un depauperamento patrimoniale, anche se parzialmente compensato da un’entrata straordinaria e dal mantenimento del possesso del bene, peraltro dietro pagamento di un prezzo periodico.

Inoltre, i canoni da corrispondere per la locazione finanziaria del bene alienato contribuiscono in linea generale ad incrementare la spesa corrente, ulteriormente dilatata in prospettiva dai canoni del leasing immobiliare, con innegabili riflessi sui vincoli ed i saldi fissati annualmente dalle leggi finanziarie ai fini del rispetto del Patto di stabilità interno.

Qualora fosse ritenuta ammissibile in concreto, per avere superato il vaglio rigoroso di legittimità, l’operazione di “sale and lease back” dovrà subire un’ulteriore analisi relativamente alle diverse variabili che incidono sulla convenienza economica e finanziaria dello strumento, tra cui: la corretta determinazione del prezzo di vendita del bene e la valutazione comparativa tra il valore del bene dismesso e gli investimenti che si intendono effettuare; la durata e l’ammontare dei canoni periodici; le modalità di esercizio dell’operazione; la determinazione del prezzo di riscatto o di retrocessione; gli oneri accessori.

La complessità e criticità della valutazione di ammissibilità e di convenienza lievitano più che proporzionalmente nel caso in cui, come ipotizzato nel quesito, sull’operazione estremamente delicata di “lease back” si dovesse innescare lo strumento del leasing finanziario in costruendo per la parte coincidente con l’ampliamento dell’opera pubblica a cura del nuovo proprietario società di leasing.

Nella fattispecie, difatti, il pagamento del canone di leasing non rappresenterà solo il corrispettivo per la locazione del bene, già in godimento, quanto piuttosto una modalità di restituzione del finanziamento per una somma corrispondente al valore complessivo dell’operazione economica programmata. Tale importo sarà determinato dalla sommatoria del costo delle opere di ampliamento realizzate, dell’ammortamento del capitale e dell’interesse sulle risorse investite, delle spese di gestione e dell’utile dell’impresa concedente il leasing (cfr., sul punto, delibera n. 87/pareri/2008).

Nell’operazione di leasing immobiliare, successiva alla cessione del bene, un aspetto di particolare delicatezza concerne, poi, la ripartizione dei rischi tra l’ente pubblico ed i soggetti terzi (finanziatore, costruttore), nel senso che se dovesse in concreto verificarsi uno sbilanciamento dei rischi (di costruzione, di domanda e di disponibilità, individuati da Eurostat per attrarre l’intervento nel Partenariato pubblico privato) in danno dell’amministrazione, l’intera operazione sarebbe senza alcun dubbio qualificabile come indebitamento ai fini dei parametri di debito che l’ente pubblico è tenuto a rispettare.

Gli strumenti di leasing evocati non possono, in ogni caso, essere utilizzati per eludere le regole di finanza pubblica e gli obiettivi del Patto di stabilità.

Al riguardo, è sufficiente richiamare i vincoli di destinazione dei proventi derivanti dall’alienazione del patrimonio pubblico, il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, le norme sancite dagli artt. 202-204 T.U.E.L. sulla disciplina e i limiti dell’indebitamento, la necessità di tenere conto anche delle forme di garanzia eventualmente richieste all’ente pubblico per l’assolvimento delle obbligazioni contrattuali.

4. Conclusivamente, pur riaffermando i principi dell’autonomia negoziale e della capacità giuridica generale della pubblica amministrazione, la Sezione esprime avviso che la complessa operazione negoziale prospettata dal Comune di V. sia palesemente illegittima.

Infatti, gli aspetti di grave criticità rilevati possono incidere sulla causa e, quindi, sulla liceità dei contratti ed avere effetti perversi sulla sana gestione finanziaria, sugli obiettivi del Patto di stabilità e sulle norme che disciplinano l’indebitamento degli enti locali.

Nel richiamare le argomentazioni già espresse in precedenza, si ritengono particolarmente rilevanti nel caso in esame i seguenti aspetti preclusivi o problematici:

a. il divieto di procedere all’alienazione di un bene del patrimonio indisponibile (la sede municipale) (artt. 826, 3° co., e 828, 2° co., cod. civ.). Eventuali diritti in favore di terzi sul bene possono, infatti, essere costituiti esclusivamente nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che riguardano tale categoria di beni (artt. 828 e 830, 2° co, cod civ.) e il bene potrebbe essere ceduto solo dopo il trasferimento al patrimonio disponibile, con la conseguenza che, nel caso di specie, verrebbe a cessare la destinazione dell’immobile ad ufficio pubblico;

b. il fatto che la vendita del bene non corrisponde ad esigenze strumentali ma solo allo scopo, dichiarato, di procurare immediata liquidità all’Ente alienante attraverso uno strumento convenzionale che, per le modalità di restituzione tramite i canoni di leasing, può dissimulare un’operazione di indebitamento;

c. il rischio che l’operazione di locazione finanziaria di ritorno, non essendo noti i dettagli e le effettive condizioni contrattuali, sia impostata in modo da perseguire (anche) uno scopo di garanzia o contenere clausole non coerenti con la sostanza e la causa del contratto, creando i presupposti per aggirare il divieto di patto commissorio ed esponendosi ad una declaratoria di illiceità (in senso conforme, in una fattispecie analoga, delibera n. 87/2010/PAR della Sez. reg. contr. per il Veneto, in data 13 luglio 2010);

d. le criticità connesse con la causa di finanziamento sottesa alla vendita del cespite, prevalente sullo scopo di ampliare l’opera pubblica ed ammissibile solo per procedere a nuovi investimenti, obiettivo diverso da quello ultroneo e non legittimo di eludere i vincoli del Patto, rinviando gli oneri connessi all’operazione sui bilanci futuri e dando destinazione diversa a risorse vincolate;

PQM

nelle considerazioni espresse è il parere della Sezione.

        Il Relatore                   Il Presidente
(Cons Angelo Ferraro) (Dott. Nicola Mastropasqua)

depositata in Segreteria il 14 ottobre 2010