AFFARI ISTITUZIONALI - 016
Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, 23 aprile
2001, n. 172 (Pres. Vela, P.M. Lo Cascio - annulla parzialmente Corte d'Appello
di Firenze)
Art. 5-bis,
terzo comma, della legge n. 359 del 1992: criteri di stima dell’indennità
espropriativa per le «aree edificabili»: se per le aree agricole è confermata
la disciplina ex legge n. 865 del 1971, al fine della
«valutazione della edificabilità» rilevante ai fini dell'indennità «si
devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti
al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio» - Ciò
significa che un’area è «edificabile» quando risulti classificata nel P.R.G
secondo un criterio di
prevalenza od autosufficienza della edificabilità stessa - La edificabilità
«di fatto» rileva solo in via suppletiva – in carenza di pianificazione
(assenza di P.R.G. o vincoli decaduti) o in
via complementare, agli effetti della determinazione del valore di mercato che
influisce sull'indennizzo - L’edificabilità non si esaurisce in quella
tradizionalmente intesa ma comprende
tutte quelle forme di trasformazione del suolo che siano, come tali,
soggette al regime ex art. 1 legge n. 10 del 1977, con riferimento alla fattispecie
concreta, in relaziona al diverso grado di commerciabilità e al diverso livello
della sua
apprezzabilità in ragione della specifica destinazione - Nel caso di specie si
trattava di zona destinata a parcheggi e infrastrutture diverse.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE CIVILI
(omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 17 febbraio 1986, B.M., B.R., M.G., convenivano in giudizio l’Ospedale S. Verdiana di Firenze opponendosi alla stima, amministrativa dell’indennità relativa a terreni espropriati con decreto del Presidente della Giunta regionale Toscana del 6.4.1974, per lavori di ampliamento e ristrutturazione del complesso Ospedaliero di S. Verdiana.
Si costituiva in giudizio l’U.S.L. n. 10 in luogo dell’Ospedale, che tuttavia eccepiva la propria carenza di legittimità passiva. Gli attori provvedevano dunque alla chiamata in causa del Comune di Castelfiorentino, il quale si costituiva ed eccepiva a sua volta carenza di legittimazione passiva e contestava nel merito la pretesa degli opponenti.
La Corte d’Appello, con sentenza depositata il 21.12.1987, dichiarava il difetto di legittimazione passiva della U.S.L. e disponeva la prosecuzione della causa nei confronti del Comune di Castelfiorentino. La sentenza era impugnata per cassazione dal Comune, e la Suprema Corte, con sentenza 2.12.1992, n. 12841, rigettava il gravame.
Il giudizio proseguiva davanti alla Corte d’Appello, che con sentenza 2.8.1997 determinava l’indennità di esproprio in Lire 856.251.818 ("in moneta attuale" e "con gli interessi legali dalla sentenza al saldo"), avendo previamente riconosciuto ai terreni in questione vocazione edificatoria, sia legale (sulla base del P.R.G. adottato nel 1971, antecedente all’apposizione del vincolo espropriativo, e prevedente, per detta area, una "utilizzazione in senso lato edificatoria non come sedime di fabbricati ma come parcheggi, servizi, ecc."), sia di fatto (in relazione alla già intervenuta edificazione di terreni adiacenti).
Avverso quest’ultima sentenza i B. ed il Comune hanno
proposto ricorso per cassazione. I primo per censurare la negata liquidazione
degli interessi legali, oltre al maggiore danno da svalutazione, per il periodo
in questione. Il Comune per criticare, rispettivamente con dieci motivi:
- il
non rilevato proprio sopravvenuto difetto di legittimazione passiva e la non
disposta chiamata in causa della AUSL 11 di Empoli, asserita nuova legittimata ex
d.lgs. 502/92;
- l’errata attribuzione di vocazione edificatoria ai suoli
espropriati,
- la mancata attribuzione, in subordine, dei minori indici di
edificabilità di cui all’art. 41
legge 1150/42 "ove debba prescindersi
dalla disciplina urbanistica";
- la (a torto) esclusa inedificabilità di
quei suoli in ragione della "oggettiva potenzialità di espansione"
dell’Ospedale S. Verdiana (sempre) a prescindere dallo strumento urbanistico;
- l’errato apprezzamento dello stato dei luoghi, relativamente alla
conformazione "collinare" di parte dell’area in contestazione;
-
l’inesatta affermazione che esso ente avrebbe convenuto sull’ammontare
dell’indennizzo spettante ai proprietari;
- la mancata decurtazione del 40%
ex art. 5-bis, commi 1° e 2°, legge
359/92, nel computo dell’indennità;
- l’erroneo riconoscimento del maggior danno;
- la mancata detrazione
dell’importo già depositato.
I B. hanno replicato con ulteriore ricorso incidentale in punto di prova del maggior danno.
La causa, con ordinanza n. 504 del 9 luglio 1999 della I Sezione civile (cui era stata assegnata) è stata rimessa al Primo Presidente e quindi a queste Sezioni Unite sulle questioni di contrasto concernenti:
a) il concetto di edificabilità di cui all’art.
5-bis legge 359 cit.;
b) la individuazione del "momento di riferimento"
per la valutazione della "edificabilità" dell’area;
c) l’ambito del carattere conformativo degli strumenti
urbanistici.
Entrambe le parti hanno anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I tre ricorsi (in quanto) proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
2. Pregiudizialmente deve dichiararsi l’inammissibilità del secondo ricorso (incidentale) B., stante la già intervenuta consumazione del potere impugnatori, di detti soggetti, con la proposizione del loro primo ricorso (principale).
3. Va esaminato con carattere di priorità il primo mezzo
della impugnazione del Comune, stante la pregiudizialità della questione, con
esso sollevata, di difetto di legittimazione passiva del Comune medesimo, per
asserito sopravvenuto trasferimento alle neo istituite ASL dei rapporti
giuridici inerenti a beni del patrimonio dell’ente territoriale con vincolo di
destinazione alle USL ai sensi degli artt. 5, comma 1°, d.lgs. 502/92 e 2 legge
reg. n. 14/96.
L’eccepito difetto di legittimazione passiva del ricorrente
è manifestamente, per altro, insussistente in ragione del giudicato interno già
formatosi (come in narrativa riferito) in senso affermativo, in ordine a tale
legittimazione; e considerato, comunque, che il prospettato successivo
trasferimento, a titolo particolare della situazione debitoria, in corso di
causa, non influirebbe sulla prosecuzione del processo tra le parti originarie (cfr.
Cass. nn. 12505/95, 5562/96, ex plurimis).
4. Cade a questo punto l’esame della prima questione di
contrasto coinvolta dalle contestazioni – in ordine alla "edificabilità"
dei suoli per cui è lite – formulate nei motivi secondo e quinto dello stesso
ricorso del Comune.
Il quesito involge, come detto, l’esegesi dell’art. 5-bis,
legge 359/92, per la parte in cui detta norma – nell’introdurre nuovi
criteri di stima dell’indennizzo espropriativo per le "aree
edificabili", ferma lasciando la disciplina liquidatoria della indennità
di esproprio delle "aree agricole" già sub lege 1971 n.
865 (artt. 16 ss.) prevede, al suo comma terzo, al fine appunto della
"valutazione della edificabilità delle aree" a tali effetti
rilevante, che "si devono considerare le possibilità legali ed effettive
di edificazione esistenti al momento della apposizione del vincolo preordinato
all’esproprio".
In ordine alla rispettiva incidenza e valenza qualificatoria
di tali possibilità di edificazione, "legali ed effettive", la
giurisprudenza di questa Corte ha effettivamente, infatti, espresso
(sostanzialmente) tre diversi orientamenti interpretativi.
Con i quali il
rapporto tra i due corrispondenti requisiti della "edificabilità
legale" (correlata alle previsioni di legge e/o degli strumenti
urbanistici) e della "edificabilità di fatto" (ricavabile dalle
obiettive qualità e caratteristiche dell’area, desumibili dai noti indici
della sua ubicazione, accessibilità ecc.) è stato, di volta in volta, inteso e
valorizzato ora in termini di "alternatività" (cfr., ad esempio,
12220/92; 9247/97; 774, 1200/98); ora, invece, nel senso di una loro necessaria
"competenza" – "congiunzione" – "cumulatività"
(Cfr. nn. 5970/93, 11037/96; 5111/97; 259, 8826/98, ex plurimis); ora, infine, in
termini di "prevalenza" o "sufficienza" della edificabilità
legale (nn. 8702, 8570, 8434/98; 2272, 4300/99; 7874, 8035, 9683, 12408/2000,
per tutte).
4-1. Tali difformi indirizzi ermeneutici, per altro, più che
fronteggiarsi (come in taluni momenti pur è avvenuto) in termini di radicale
contrasto sul piano sincronico, hanno tendenzialmente, piuttosto, espresso, in
prospettiva diacronica, una evoluzione, per aggiustamenti successivi, di una
linea interpretativa, sostanzialmente unitaria nelle sue promesse di fondo,
secondo la dialettica di formazione del diritto vivente.
Si è così progressivamente superata la tesi della
"alternatività" dei due criteri individuativi della edificabilità,
ed il correlativo corollario di sufficienza di una vocazione edificatoria di
fatto, argomentando che la "norma, nel prevedere, quale requisito
essenziale per la classificazione di un’area come edificabile, la sua
possibilità legale di edificazione, esclude necessariamente, con un
ragionamento a contrariis, che possa essere considerata tale un’area
per la quale gli strumenti urbanistici non consentono l’edificabilità"
(così, testualmente, n. 2856/96, anche perché, "diversamente opinando
l’edificazione di un’area, benché illecita, finirebbe, con l’attribuire,
sia pure in via di mero fatto, natura edificatoria al suolo circostante non
ancora edificato" (nn. 11037/97; 4300/99).
E, sempre in coerenza alla così enucleata preponderanza
della classificazione urbanistica, agli effetti indennitari, nel quadro di una
disciplina della norma in esame, si è in prosieguo esclusa la necessità della
"competenza", a quei fini di una parallela "edificabilità di
fatto", pervenendosi così ad affermare che l’edificabilità di un’area
vada ritenuta per il solo fatto che essa risulti tale in base alle previsioni
urbanistiche, indipendentemente da ogni valutazione circa la cosiddetta
"edificabilità di fatto", mentre eventuali cause di riduzione o di
esclusione delle possibilità effettive di edificazione non trasformano il
terreno edificabile in un terreno agricolo, ma, incidendo sulla sua concreta
utilizzazione e, quindi, sul valore di mercato dell’immobile, assumono
influenza solo in parte di liquidazione della indennità di espropriazione, in
applicazione dei criteri, comunque, stabiliti per le aree edificabili (nn.
10575/96; 6949/98; 9207/99; 8647/98; 3839/99; 8035/2000).
Da ciò la conclusione – in via di consolidazione nella
giurisprudenza più recente – della "prevalenza" e
"sufficienza", del parametro della "edificabilità legale",
ai fini della corrispondente qualificazione delle aree espropriate agli effetti
indennitari, e del rilievo "suppletivo" della edificabilità "di
fatto", "utilizzabile, ad esempio, in assenza di pianificazione
urbanistica" (nn. 9242/97; 8702/97; 2272/99; 4300/99; 784, 12408/2000).
4-2. Chiamate, in questa sede, a comporre, per quanto nei limiti in cui episodicamente ancora si ripropone, la questione di contrasto in ordine alla disposizione di cui al comma 3° dell’art. 5-bis, legge 359/92, queste Sezioni Unite ritengono senz’altro esatto, e quindi ribadiscono, il riferito più recente indirizzo interpretativo, che perviene a ritenere il primato della edificabilità legale ai fini qualificatori delle aree espropriate come edificabili e della conseguente loro indennizzabilità in applicazione del criterio della semisomma (decurtabile) di cui al comma primo della stessa norma.
4-2-1. Il criterio cd della edificabilità di fatto –
elaborato dalla giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore della precitata
legge 359/92, al fine precipuo di porre rimedio agli empirici strumenti di
individuazione, della qualità (agricola o non) dei suoli, unilateralmente
adottati dalle amministrazioni esproprianti, nella perdurante inerzia
legislativa al riguardo, e di evitare, conseguentemente possibili ingiustificate
disparità di trattamento tra espropriati, cui fosse attribuito soltanto il
valore agricolo (ex legge 865/71), e proprietari non espropriati, liberi invece di
costruire e vendere a prezzo di mercato terreni in non pochi casi addirittura
contigui e confinanti – ha innegabilmente contribuito ad orientare, in una
prospettiva di continuità, la prima esegesi dello ius superveniens nel senso
della alternativa desumibilità della qualità edificatoria delle aree dalle
possibilità legali "od" effettive di edificazione.
Ma una siffatta esegesi risulta, appunto, ad un più mediato
esame, incompatibile con la ratio e con il meccanismo complessivo di disciplina
della stima dell’indennizzo espropriativo introdotto dal legislatore del
’92, ed è comunque respinta da una corretta lettura – condotta alla stregua
dei canoni ermeneutica letterali, logico e sistematico – della specifica
disposizione, sub comma 3° art. cit., enunciativa del criterio di
individuazione della edificabilità delle aree espropriate ai predetti fini
indennitari.
4-2-2. L’art. 5-bis della più volte menzionata
legge
n. 359 del 1992 – stabilendo (ai suoi commi 1° e 2°) che la stima della
indennità di espropriazione debba operarsi, per le (sole) "aree
edificabili", sulla base del (sia mediato ed ulteriormente riducibile) loro
valore di mercato, e lasciando (sub comma 4°); viceversa, tuttora in
vigore il precedente diverso criterio di stima, ancorato al valore gabellare
delle colture, per le "aree agricole" e per "quelle non
classificabili come edificabili" – ha introdotto, infatti, un sistema
semplificato di liquidazione dell’indennizzo ablatorio basato sulla rigida
dicotomia tra suoli "edificabili" e suoli "agricoli".
Sistema che la Corte costituzionale ha già avuto occasione, per altro, di
definire espressivo di una "scelta legislativa che non presenta caratteri
di irragionevolezza e di arbitrarietà", anche per il profilo della
(implicitamente) così esclusa configurabilità di un "tertium genus"
(che tenga conto dell’eventuale plus valore di aree agricole suscettibili di
utilizzazioni non meramente agricole: sent. n. 261/97).
Ora appunto, coessenziale alla linearità di n tal sistema è
proprio un meccanismo di verifica oggettiva, e non legata a valutazioni
opinabili, della natura delle aree, rispetto alla presupposta loro bipartizione:
verifica che, a questi fini, può esser fornita solo dalla classificazione
urbanistica data al suolo considerato.
Da ciò l’attribuzione della reale discretività del
sistema al parametro della edificabilità legale (cfr. n. 2272/99), al quale non
potrebbero affiancarsi in via di necessaria congiunzione, o sovrapportsi, in
termini di alternatività (bilaterale) criteri fattuali di accertamento della
edificabilità, che – con la conseguente introduzione di molteplici possibili
varianti (edificabilità legale ed effettiva; solo effettiva; legale ma non
effettiva …) – finirebbero col togliere al meccanismo estimatorio proprio
quei caratteri di (anche rigida) semplificazione che hanno costituito il
proprium della scelta legislativa.
4-2-3. Alla stessa conclusione conduce – come detto –
l’esegesi mirata sulla specifica disposizione sub comma 3° art. 5-bis.
La possibilità di una rilevanza autonoma, in via
alternativa, delle "possibilità effettive di edificazione", ai fini
della qualificazione edificatoria delle aree, è già espunta, infatti, sul
piano letterale, dal mancato utilizzo della disgiuntiva "o" (nel
collegamento tra "possibilità legali ed effettive" instaurato dalla
predetta disposizione); è contraddetta, altresì, dalla ratio della norma
(anche per il profilo, già sottolineato, della sua vocazione a
"interrompere il circolo vizioso per cui l’abusiva edificazione di
un’area malgrado l’illiceità di fatto, può essere idonea a trasformare in
zona fabbricabile il suolo circostante non edificato"); e trova, infine
ulteriore insuperabile ostacolo, in chiave sistematica, nella connessa
disposizione di cui al successivo comma quarto che equipara le "aree non
classificabili come edificabili ai sensi del comma 3" alle "aree
agricole".
Come è stato per tal profilo, infatti, già osservato,
"se la semplice presenza, nei suoli legalmente non edificabili, della
vocazione edificatoria, fosse idonea ad annullare l’effetto negativo del
vincolo, di nessuna utilità apparirebbe la previsione di un’ipotesi
specificata di suoli non edificabili da associare alla disciplina dei suoli
agricoli, ma rispetto ad essi ontologicamente autonoma" (cfr. n. 2272/99
cit.).
4-2-4. Ed allora esclusa – sempre in ragione del rilievo
essenziale attribuito allo strumento urbanistico – anche la possibilità
(speculare) di superarne positive previsione di edificabilità in ragione di
ridotte o carenti possibilità effettive di edificazione (con la conseguenza, già
acquisita all’elaborazione giurisprudenziale, che un tale deficit delle
condizioni fattuali di edificabilità inciderà al più limitato fine della
determinazione in concreto dell’indennizzo), la duplicità di situazioni
descritte nella norma in esame ("possibilità legali ed effettive di
edificazione"), non legate, per come dimostrato, né da un nesso di
alternatività né da un nesso di congiunzione, non può, conclusivamente,
diversamente leggersi che come prospettazione di due distinte situazioni
(identificative della edificabilità dell’area ai fini indennitari).
Una prima situazione – principale – in cui
l’edificabilità deriva dall’esistenza di una regolamentazione legale
dell’assetto urbanistico; ed una seconda situazione – subordinata – per
cui il ricorso ai noti indici della "edificabilità di fatto" è
giustificato e reso necessario dall’inesistenza, invece, dello strumento
urbanistico.
E’ quest’ultimo, il caso delle aree comprese in Comuni,
sprovvisti di piano e situate fuori del perimetro del centro abitato, per le
quali l’edificabilità può essere valutata, appunto, solo in fatto, secondo
gli indici elaborati dalla giurisprudenza ed entro i limiti, ovviamente posti,
al riguardo, dalla legge 1997 n. 10. Ed è il caso, altresì, dell’eventuale
intervenuta decadenza di vincoli provvisori di inedificabilità (per inutile
decorso del termine sub art. 2 legge 1968 n. 1187) che comporta la riduzione delle
aree, su cui essi gravano, a superfici prive di disciplina urbanistica.
4-2-5. La disposizione esaminata va, conclusivamente, quindi interpretata nel senso che – nel nuovo sistema di disciplina della stima dell’indennizzo espropriativo introdotto dall’art. 5-bis, legge 359/92, caratterizzato dalla rigida dicotomia (che non consente la configurabilità di un tertium genus) tra "aree edificabili" (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) ad "aree agricole" o "non classificabili come edificabili" (tuttora invece indennizzabili in base a valori agricoli tabellari ex legge 1971 n. 865, richiamata dal comma 4° del citato art. 5-bis) – un’area va ritenuta "edificabile" quanto, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata (al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo) dagli strumenti urbanistici (nell’«ambito della zonizzazione» del territorio), secondo un criterio quindi, di prevalenza od autosufficienza ed edificabilità legale. Mentre la cd. edificabilità "di fatto" rileva in via suppletiva – in carenza di una regolamentazione legale dell’assetto urbanistico, per mancata adozione, ad esempio, di P.R.G. o per decadenza di vincoli di inedificabilità – ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo.
5. In applicazione dell’art. 5-bis, comma 3°, legge
359/92 cit., come sopra interpretato, si rivelano, quindi, infondate le
doglianze formulate con il secondo complesso mezzo del ricorso del Comune,
risultando l’edificabilità dell’area espropriata correttamente (per quanto
detto) ancorata, dalla Corte territoriale, alle previsioni conformative dello
strumento urbanistico (il P.R.G. del 1971) e risultando tali previsioni, in
parte qua, del pari correttamente interpretate, da quel giudice, nel senso che
la destinazione (di zona) a parcheggi e infrastrutture non esclude
(contrariamente a quanto ex adverso sostenuto) la vocazione edificatoria.
Atteso infatti, per tal secondo profilo, che l’edificabilità
non si identifica né si esaurisce – come già precisato – in quella
residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del
suolo – in via di principio non precluse (come nella specie) all’iniziativa
tecnica di edificazione (cfr. nn. 9669, 8028/2000; 4473/99; 3708/77) e che
siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 legge 1977 n. 10;
ferma restando la rilevanza, ai fini della determinazione dell’immobile nella
fattispecie concreta, del diverso grado di commerciabilità e del diverso
livello di apprezzabilità dello stesso in ragione della sua specifica
destinazione (n. 8028/00 cit.).
6. Risultano conseguentemente, assorbito il terzo ed infondato il quinto motivo dello stesso ricorso in quanto, rispettivamente, formulati (il terzo) in via ipotetica (subordinatamente ad una, non verificatasi, condizione di insussistenza o di prescindibilità dallo strumento urbanistico) e (il quinto) sulla erronea premessa di una qualificabilità dei suoli (ai fini indennitari) anche in difformità dalla classificazione di piano.
7. Il quarto mezzo del predetto ricorso (che attiene all’apprezzamento delle risultanze istruttorie relativamente allo stato dei luoghi) ed i residui suoi sesto a decimo mezzo (con cui si censurano profili ulteriori e diversi della statuizione impugnata afferenti alla stima e alla concreta quantificazione dell’indennizzo espopriativo e voci accessori), unitamente all’unico motivo del ricorso (principale) B. (in tema di commutabilità degli interessi legali) – in quanto tutti del pari coinvolti dalla risolta questione di contrasto – vanno, ai sensi dell’art. 142 disp. att. c.p.c., rimessi all’esame della Sezione semplice, che adotterà anche i provvedimenti consequenziali all’esito complessivo delle impugnazioni.
8. Non vanno, in questa sede, prese, invece, in esame la
seconda e terza questione di contrasto pure prospettata nella riferita ordinanza
della Sezione I.
Non risulta, infatti, rilevante al fine del decidere la
(seconda) questione relativa al "momento di riferimento della edificabilità
dell’area", perché l’identificazione di tale momento, da parte del
giudice a quo, in quello di approvazione del progetto (e correlativa
dichiarazione implicita di p.u.), non ha formato oggetto di censura del Comune
(che ha anzi condiviso tale identificazione) o da parte degli espropriati. E
similmente non rileva la residua (3a) questione sull’ambito conformativo degli
strumenti urbanistici, che, come emerge dalla narrativa, non viene posto in
discussione né è altrimenti coinvolto, da alcuno dei mezzi impugnatori
articolati dalle parti ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, riunisce i (tre) ricorsi; dichiara inammissibile il secondo ricorso (incidentale) B.; rigetta il primo, secondo e quinto messo – assorbito il terzo – del ricorso del Comune; rimette la causa alla Sezione I per l’esame dei residui motivi (4°, 6° e 10°) della stessa impugnazione nonché del primo ricorso B., e per l’adozione dei provvedimenti consequenziali all’esito complessivo dei predetti due ricorsi.
In Roma, il 19 gennaio 2001.
Il Presidente
Il Relatore
Depositata il 23 aprile 2001.