AFFARI ISTITUZIONALI - 006
Corte di cassazione, Sez. VI penale, 20 febbraio-11 maggio 1998
Rifiuto di atti d'ufficio - Non è rifiuto la mera innosservanza di obblighi non preceduta da una sollecitazione soggettiva dell’obbligato né resa evidente da una situazione di oggettiva urgenza di intervenire, emergente da fatti concreti posti all’attenzione dello stesso.

(omissis)

Va anzitutto precisato, a confutazione del quinto motivo di ricorso (e a rettifica di quanto affermato dell’impugnata sentenza), che l’incaricato di medicina generale per convenzione intercorsa con la unità sanitaria locale è pubblico ufficiale, in quanto svolge sicuramente funzioni pubbliche, concorrendo a formare e manifestare, con esercizio di poteri autoritativi e certificativi, la volontà della pubblica amministrazione in materia di pubblica assistenza sanitaria, secondo la disciplina della l. 23 dicembre 1978, n. 833, e in attuazione della tutela costituzionale del diritto alla salute del cittadino (Cass., sez. un., 27 marzo 1992, Delogu; Cass. 7 aprile 1994, n. 4972, m. 197083; Cass. 28 luglio 1992, n. 8423, m. 191497).

Per chiarire poi correttamente i termini della vicenda oggetto del giudizio, alla luce della disciplina del d.P.R. 8 giugno 1987, n. 289, che pacificamente regola il rapporto che intercorreva fra il Buzzanca e l’unità sanitaria locale competente per l’isola di Panarea, si rileva che, alla stregua dell’art. 9 d.P.R. n. 289, cit. per il medico che si trovi nell’impossibilità di prestare la propria opera non è formalmente previsto l’obbligo di giustificare documentalmente l’assenza (sussistendo al riguardo solo un onere per evitare le possibili conseguenze previste dal comma 8), mentre grava su di lui (comma 1) l’obbligo di "farsi sostituire fin dall’inizio" e di comuicare il nominativo del sostituto all’unità sanitaria locale se la sostituzione si protragga per più di tre giorni (il superamento dei quali, dunque, non riguarda, come si pretende nel quarto motivo di ricorso, la nomina del sostituto, che deve essere assicurata "fin dall’inizio", bensì solo la comunicazione del suo nominativo all’unità sanitaria locale) ovvero l’obbligo, nel caso non riesca ad assicurare la propria sostituzione, di darne tempestiva informazione all’unità sanitaria locale (comma 5).

Alla stregua di tanto, non hanno importanza, per la valutazione del comportamento dell'imputato, le questioni (oggetto del terzo, quarto e sesto motivo di ricorso) relative alla esistenza di una causa di giustificazione dell'assenza (in definitiva tendenzialmente ammessa dalla stessa sentenza impugnata), alla rilevanza e responsabilità della mancata presentazione della relativa documentazione giustificativa, alla maggiore o minore difficoltà di reperire un sostituto, posto che ciò che è pacifico, e che rileva ai fini della formale violazione dell'art. 9, cit. e dell'omesso espletamento dell'assistenza, è l'assenza dal servizio non accompagnata dalla immediata nomina del sostituto né dalla tempestiva informazione all'unità sanitaria locale dell'eventuale impossibilità di assicurare tale sostituzione: ed è in definitiva su tali elementi che insiste nella sostanza la sentenza impugnata, correttamente considerando nella sua unitaria rilevanza la condotta del prevenuto.

Ciò chiarito, il principale problema che si pone è che la condotta descritta configuri o non la fattispecie delittuosa del "rifiuto" di cui al comma 1 dell'art. 328 c.p., che, nell'assenza di qualunque indicazione, sia nel capo di imputazione che nella motivazione dei giudici di merito, relativamente agli specifici elementi di procedimentalizzazione caratterizzanti la fattispecie di cui al comma 2 dell'articolo citato, è sicuramente quella che è stata contestata e ritenuta nella specie: con il duplice corollario della inconferenza del primo motivo di ricorso e della corretta collocazione nell'ambito del quesito sostanziale enunciato della questione, impropriamente posta, col secondo motivo di ricorso, in termini di rispetto della contestazione.

Si tratta in particolare di stabilire se, per la sussistenza della figura delittuosa in discorso, sia o non necessaria un previa richiesta di compimento dell'atto, se, cioè, il concetto di rifiuto la presupponga necessariamente, ponendosi in sostanza come "risposta" negativa ad essa (secondo quanto ritiene, ad esempio, Cass. 9 dicembre 1996, p.m. in proc. Villani), o se, invece, lo stesso possa ricevere la sua specificazione anche in termini puramente oggettivi in relazione alla esigenza, sottolineata nell'ultima parte del comma 1 dell'art. 328 c.p., che un atto, nell'ambito di determinate materie, debba, secondo l'ordinamento, essere compiuto "senza ritardo", così penalmente rilevando, in rapporto ad esso, anche la semplice omissione (come sembra implicito in Cass. 2 maggio 1995, Filippone, e parrebbero indicare i lavori preparatori della legge n. 86 del 1990).

Ad avviso del Collegio, è esatto il secondo degli orientamenti indicati, anche se con una precisazione che valorizza in parte l'esigenza sottesa al primo orientamento. Se, invero, da un lato, non c'è dubbio che la nozione di rifiuto, di cui al comma 1 dell'art. 328, come novellato dalla legge n. 86 del 1990, implica, per sé, un atteggiamento di diniego (esplicito o implicito) a fronte di una qualche sollecitazione "esterna", dall'altro il pregnante rilievo dato dalla norma alla oggettiva impellenza di determinati interventi induce a ritenere che la sollecitazione stessa, ove non sia espressamente prevista la necessità di una richiesta o di un ordine, possa anche essere costituita dalla evidente sopravvenienza in sé dei presupposti oggettivi che richiedono l'intervento. A fronte di una urgenza sostanziale impositiva dell'atto, resa evidente dai fatti oggettivi posti all'attenzione del soggetto obbligato ad interventire, non c'è dubbio che l'inerzia omissiva del medesimo assuma intrinsecamente valenza di rifiuto e integri quindi la condotta punita dalla norma scaturente dalla novella. Ciò che sicuramente non rientra più, invece, nella previsione della norma de qua è la inosservanza in sé di obblighi, pur se astrattamente previsti come urgenti, da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblica sicurezza, ove non ricorra una sollecitazione soggettiva ovvero un'emergenza di natura oggettiva, rappresentativa di un'urgenza sostanziale nel senso indicato (di fronte alla quale l'ingiustificata inosservanza assurga univocamente a diniego dell'atto dovuto).

Applicando tali principi alla fattispecie di causa, deve rilevarsi che gli obblighi gravanti, a norma dell'art. 9 commi 1 e 5 d.P.R. n. 289 del 1987, sul medico di base impossibilitato a prestare la sua opera (immediata nomina di un sostituto ovvero immediata comunicazione all'unità sanitaria locale dell'impossibilità di provvedere a tale sostituzione), e a cui il prevenuto è venuto meno, hanno evidentemente lo scopo di evitare indebite interruzioni nell'espletamento del relativo servizio di assistenza sanitaria. La ragione "sostanziale" di igiene e sanità che conferisce a tali obblighi una possibile rilevanza penale agli effetti del comma 1 dell'art. 328 c.p. è, tuttavia, chiaramente data dall'esigenza di scongiurare i pregiudizi individuali e collettivi che possono rivenire alla popolazione dalle interruzioni suddette. Non ogni violazione degli obblighi stessi può dunque integrare il delitto omissivo de quo, ma solo quella che avvenga in dispregio della esigenza suddetta, che, in mancanza di una specifica sollecitazione da parte dell'autorità competente o di diretti interessati, può anche essere resa evidente da fatti obiettivi (ad esempio notizie di concreti problemi sanitari per gli assistiti) venuti alla cognizione del sanitario.

Nel caso di specie non risulta che il Buzzanca abbia tenuto la sua condotta omissiva in funzione di risposta negativa a sollecitazioni soggettive od oggettive nel senso illustrato. Ne consegue, alla stregua dei principi suesposti, che la stessa non può configurare la fattispecie delittuosa contestata.

La condotta stessa non è peraltro priva di rilevanza penale.

Tenendo presenti gli obblighi a cui il Buzzanca ha omesso di adempiere e come gli stessi avessero lo specifico scopo di evitare indebite interruzioni nell'espletamento del servizio di assistenza sanitaria della medicina di base, non c'è dubbio che egli, unico incaricato, all'epoca, di tale servizio nell'isola di Panarea, ne ha sicuramente e consapevolmente prodotto, con la sua condotta omissiva, l'interruzione. Con tale condotta, quindi, pienamente ricompresa nel capo d'imputazione, è stato chiaramente integrato il delitto di cui al comma 1 dell'art. 340 c.p.

Tale figura criminosa, invero, per il suo carattere residuale, di reato comune e di fattispecie casualmente orientata, si presta ad abbracciare oggi le condotte omissive, produttive dell'evento interrutivo ivi contemplato, che trovavano in precedenza collocazione nella più ampia previsione del vecchio art. 328 c.p. e che non sono più inquadrabili nella nuova formulazione di tale norma.

I fatti di cui al capo di imputazione vanno dunque qualificati come reato previsto e punito dall'art. 340 c.p.

(omissis)


La sentenza in rassegna offre un importante contributo sul tema della definizione dei precisi contorni della condotta integrante gli estremi del rifiuto, necessaria per la consumazione del reato previsto dal comma 1 dell’art. 328 c.p., con riferimento alla fattispecie dell’incaricato di medicina generale per convenzione intercorsa con l’unità sanitaria locale, in casi di sua assenza dal servizio non accompagnata dalla immediata nomina del sostituto né dalla tempestiva informazione alla stessa unità sanitaria locale dell’eventuale impossibilità di assicurare la sostituzione, secondo la sequenza di obblighi del medico prevista dalla norma dell’art. 9 d.P.R. 8 giugno 1987, n. 289.

La decisione afferma, in primo luogo, che non rientra nell’attuale formulazione della norma, sotto la specie del rifiuto, la mera inosservanza di obblighi, in quanto la previsione di tale atteggiamento di diniego implica necessariamente una sollecitazione soggettiva che tende all’adempimento dell’obbligo, oppure (e in ciò sta la vera significatività della decisione) un’emergenza di natura oggettiva, rappresentativa di un’urgenza sostanziale, posta all’evidenza del soggetto obbligato a intervenire, tale che l’inerzia omissiva del medesimo assuma intrinsecamente valenza di rifiuto, quale, ad esempio, nel settore dell’igiene e sanità, espressamente considerato dall’art. 328 c.p., la notizia di concreti problemi sanitari per gli assistiti.

Poiché la situazione descritta non ricorreva nella specie, la Corte ha ritenuto che, comunque, il comportamento del medico – in considerazione della mancata osservanza degli obblighi su di lui incombenti, aventi lo scopo di evitare indebite interruzioni nell’espletamento del servizio di assistenza sanitaria – concretasse gli estremi del reato di cui all’art. 340 c.p., fattispecie astratta nella quale oggi possono essere convogliate tutte le condotte omissive produttive degli eventi interruttivi ivi contemplati, non più inquadrabili nella nuova formulazione della norma dell’art. 328 c.p..