AFFARI ISTITUZIONALI - 03
Corte di Cassazione, Sez. Un., 3 febbraio 1998, n. 1096
Pres. Amirante, est. Vittoria
Non determina danno ingiusto che possa risarcirsi ex art. 2043 c.c. il provvedimento amministrativo viziato e lesivo di un interesse legittimo del privato (art. 13 legge n. 142 del 1992)

(omissis)

1. - Il ricorso contiene tre motivi.

I primi due sono volti a contestare la legittimità della sentenza impugnata in quanto ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, e prospettano oltre che la violazione di norme sulla giurisdizione, la violazione di norme di diritto e un difetto di motivazione (art. 360 numeri 1, 3 e 5 c.p.c., in relazione all'art. 13 legge 19 febbraio 1992, n. 142).

Le ragioni di illegittimità della decisione indicate nei due motivi possono essere così riassunte.

La domanda proposta al tribunale era stata una domanda di condanna al risarcimento del danno e tale domanda può essere proposta, in linea di principio, solo al giudice ordinario.

La corte d'appello ha ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario non potesse trovare fondamento neppure nell'art. 13 legge 19 febbraio 1992, n. 142, sopravvenuta in pendenza del giudizio, che ha espressamente dichiarato proponibile davanti al giudice ordinario la domanda di risarcimento del danno subito a causa di violazione di norme in materia di appalti di forniture. Ma la considerazione svolta dalla corte d'appello, che la fornitura, per il suo valore, non sarebbe rientrata tra quelle cui la norma ha riguardo, non potrebbe essere condivisa, perché fa dipendere l'applicazione di una norma sulla giurisdizione da un elemento che attiene non alla natura del rapporto, bensì al valore dei beni controversi.

Né la giurisdizione avrebbe potuto essere negata in base alla considerazione che non spetta risarcimento del danno per violazione di interessi legittimi. I giudici di merito non hanno considerato che l'esatta applicazione delle clausole del bando avrebbe condotto a dover aggiudicare la fornitura al ricorrente e, quindi, che la posizione di cui era titolare non era di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo.

Il terzo motivo pone a fondamento della prospettata illegittimità della decisione una questione attinente alla legittimità costituzionale dell'art. 13 legge 19 febbraio 1992, n. 142.

Riprendendo l'argomento già svolto si sostiene che o la norma attributiva della giurisdizione è interpretata nel senso che essa prescinde dalla concreta esistenza del diritto e quindi anche dall'ammontare del valore della fornitura o la stessa dovrebbe essere considerata contrastare con gli articoli 3 e 24 Cost.: donde la necessità che la Corte sollevi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge n. 142 del 1992.

2. - Il ricorso, per le ragioni che si vanno esponendo, deve essere rigettato, ma la motivazione della decisione va corretta ed integrata appunto in base a tali ragioni.

3. - La Corte osserva che, pur formulata come sentenza che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice oridnario, la decisione contenuta nella sentenza impugnata ha l'effettiva portata di una pronuncia di rigetto della domanda nel merito.

Questo è infatti il valore della pronuncia che il giudice ordinario adotta quando dichiara di non avere giurisdizione in confronto della pubblica amministrazione perché, nella situazione tipica cui si riconduce il caso sottopostogli, la legge non attribuisce alla parte il diritto che egli ha inteso far valere con la domanda di risarcimento.

Le questioni prospettate nel ricorso sotto il profilo che la corte d'appello non avrebbe dovuto negare la propria giurisdizione perdono dunque di rilevanza..

Ciò non significa che esse non fossero fondate.

Invero, già in termini generali deve condividersi l'assunto del ricorrente, che la domanda di risarcimento del danno, proposta contro la pubblica amministrazione (fuori dei casi in cui accordare tale forma di tutela rientri nei poteri di un giudice speciale avente giurisdizione esclusiva), può essere rivolta solo al giudice ordinario (Cass., sez. un., 23 ottobre 1997, n. 10453), cui compete stabilire, con giudizio attinente al merito della causa, se la tutela chiesta spetta o no.

A ciò deve aggiungersi, con specifico riferimento alla materia degli appalti di opere pubbliche e forniture, che, entrato in vigore l'art. 13 comma 2 legge 19 febbraio 1992, n. 142, il quale ha detto potersi proporre in questo campo al giudice ordinario domanda di condanna al risarcimento, lo stesso giudice, nei giudizi già pendenti davanti a sé, non può dichiarare la domanda improponibile (Cass., sez. un., 10 novembre 1993, n. 11077), ma solo rigettarla se nel caso concreto manchino le condizioni il ricorso delle quali è chiesto dal primo comma dello stesso art. 13 perché la situazione soggettiva del privato, lesa dal provvedimento dell'amministrazione, goda di tutela risarcitoria.

Resta allora da stabilire se la sentenza si sottragga a cassazione in quanto la domanda è stata rigettata nel merito e la risposta deve essere affermativa.

La domanda di risarcimento del danno è stata proposta il 14 giugno 1988.

Il pregiudizio patrimoniale da risarcire - come risulta dall'esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata e riprodotta nel ricorso - è stato ricollegato dall'attore alla lesione di una situazione giuridica soggettiva, di interesse all'aggiudicazione di un appalto di fornitura.

Il procedimento di gara era iniziato e s'era concluso nel 1984 (iniziato con la lettera n. 9541 del comune di Nicosia che aveva invitato a presentare le offerte; concluso con il provvedimento della giunta municipale 13 agosto 1984, n. 345 che aveva aggiudicato la fornitura ad altro offerente).

La fornitura, pur dopo l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione (pronunciato con d. Presidente della giunta regionale 14 gennaio 1988, n. 25 a seguito di ricorso straordinario), non era stata aggiudicata all'attuale ricorrente, perché il rapporto sorto dalla precedente aggiudicazione era stato già eseguito.

Il ricorrente ha sostenuto che, nelle circostanze concrete, avuto cioè riguardo alle offerte presentate, il comune, se avesse rispettato la legge ed il bando di gara, non avrebbe potuto fare altro che aggiudicare a lui l'appalto e che, non potendo il comune esercitare al riguardo alcun potere discrezionale, l'interesse all'aggiudicazione, di cui egli era titolare, era da considerare tutelabile come diritto soggettivo.

Questa impostazione non è condivisibile, perché, secondo una giurisprudenza costante, la situazione di chi partecipa a un procedimento di gara indetto da un ente pubblico per l'aggiudicazione di un appalto ha consistenza di interesse legittimo (Cass., sez. un., 29 luglio 1995, n. 8299) e tale consistenza mantiene pur dopo che la mancata aggiudicazione sia stata dichiarata illegittima.

Si tratta allora di stabilire se, nonostante ciò, l'ordinamento apprestasse alla indicata situazione di interesse una tutela risarcitoria.

La questione deve essere risolta avendo riguardo al tempo in cui la situazione medesima è risultata lesa.

L'obbligazione risarcitoria è effetto che una norma sostanziale ricollega ad un fatto che la stessa norma considera illecito e significherebbe applicare la norma sostanziale in modo retroattivo ricollegare ad un fatto un effetto non previsto dalla legge all'epoca in cui esso si è prodotto.

Orbene, la risarcibilità del pregiudizio lamentato dall'attore in questo giudizio non avrebbe potuto essere affermata, prima dell'entrata in vigore della legge 19 febbraio 1992, n. 142, sulla base della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici di forniture e lavori, perché solo con la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 89/655/Cee è stato per la prima volta preveduto che gli Stati membri avrebbero dovuto tra l'altro provvedere ad accordare un risarcimento del danno alle persone lese dalla violazione del diritto comunitario o delle norme nazionali di recepimento (art. 1 e 2.1 lett. c della direttiva).

Ma tale disciplina, che gli Stati non hanno avuto obbligo di mettere in vigore se non dal 21 dicembre 1989, era comunque destinata ad operare rispetto ad appalti pubblici di forniture aventi un valore di stima superiore a quello posto in gara nel caso in esame (nel 1984, ma anche nel 1988, la soglia comunitaria era di duecentomila unità di conto europee, secondo quanto stabilito dall'art. 5 della direttiva del consiglio 21 dicembre 1976, n. 77/62/Cee, non modificato per questa parte dalle direttive successive e riprodotto nelle leggi 30 marzo 1981, n. 113 e 23 marzo 1983, n. 83, oltre che nel d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 48; mentre il controvalore dell'unità di conto era stato nell'anno 1984 pari a L. 1344,68, e nel 1988 pari a L. 1482,32, secondo quanto risulta dai d. Ministro del tesoro 16 dicembre 1983 e 11 gennaio 1988).

Parimenti inapplicabile - prima di tutto per ragioni temporali - è poi l'art. 1 legge. 13 febbraio 1992, n. 142 mediante il quale la direttiva 21 dicembre 1989, n. 89/655/Cee ha ricevuto attuazione nel senso che "i soggetti che hanno subito una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori di forniture o delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all'amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno".

La conseguenza di quanto si è osservato è che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 legge 19 febbraio 1992, n. 142, priva di rilevanza, per quanto si è più avanti osservato, in rapporto alla disposizione del comma 2 relativa alla proponibilità della domanda, lo è anche, in questo caso, in rapporto alla disposizione del comma 1, in quanto dettata per i soli appalti di valore superiore alla soglia comunitaria.

La collocazione temporale del caso in esame, il fatto cioè che il pregiudizio lamentato abbia costituito il risultato della lesione di una situazione giuridica soggettiva che si atteggiava come interesse legittimo, esonera infine la Corte dal tornare ad affrontare il tema della valenza sistematica della disposizione dettata dall'art. 13 comma 1 legge n. 142 del 1992 e consente che ci si limiti al richiamo dell'orientamento della propria giurisprudenza, sin qui costante (tra le più recenti decisioni delle sezioni unite, Cass. 25 marzo 1988, n. 2579; Cass. 3 luglio 1989, n. 3183; Cass. 5 maggio 1993,n. 2667; Cass. 22 agosto 1993, n. 8181; Cass. 26 aprile 1994, n. 3963; Cass. 23 novembre 1995, n. 12106; Cass. 2 aprile 1996, n. 3030; Cass. 17 giugno 1996, n. 5520), orientamento secondo il quale, quando la situazione giuridica soggettiva di cui il privato è titolare si atteggia come interesse legittimo, il pregiudizio che egli risente per il fatto che il provvedimento illegittimo dell'amministrazione ne abbia impedito o ritardato la realizzazione, non si configura come danno ingiusto e non dà perciò diritto al risarcimento del danno a norma dell'art. 2043 c.c.

4. - Il ricorso è rigettato.

(omissis)

per un giudizio diverso e attuale vedi Cassazione S.U. n. 500 del 1999