LAVORI PUBBLICI - 027
T.A.R. Puglia – Bari, sez. I, 23 gennaio 2001, n. 189
C.G. e altri contro Ministero della Difesa e L.V.N. e altri
E' illegittimo il provvedimento di esclusione dalla gara
d'appalto dell'impresa che ha omesso di presentare l'attestazione di avvenuto sopralluogo, ove
tale attestazione sia rilasciata dalla
stessa stazione appaltante e già in possesso di questa - L'effetto ripristinatorio derivante dall'annullamento giurisdizionale
dell'atto che aveva annullato d'ufficio il provvedimento di aggiudicazione di
un contratto con la P.A. comporta la reviviscenza del
suddetto provvedimento originario e realizza la reintegrazione in forma specifica,
che è di regola incompatibile con la pretesa di un ulteriore risarcimento per
equivalente, salvo che il ricorrente dimostri l'esistenza
di danni ulteriori.
REPUBBLICA ITALIANA
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
DELLA PUGLIA - Sezione Prima
(omissis)
DIRITTO
I ricorrenti chiedono l'annullamento dell'atto con cui l'amministrazione appaltante ha escluso la A.T.I. degli stessi, già aggiudicataria dell'appalto, e ha provveduto alla riapertura della gara, sulla base della mancata produzione della attestazione di avvenuto sopralluogo; chiedono inoltre il risarcimento dei danni.
1. - Violazione dei principi generali sui procedimenti ad evidenza pubblica. Violazione degli articoli 18 legge n. 584/1977 e 18 legge n. 241/1990.
Il ricorso deve ritenersi fondato e va di conseguenza accolto.
Risulta infatti che le imprese ricorrenti hanno effettuato il sopralluogo; hanno
dichiarato inoltre nella domanda di essersi rese conto delle caratteristiche
geotecniche dei luoghi interessati.
Alla luce di tali circostanze, pertanto, la omessa allegazione, tra i documenti
a corredo dell'offerta, della copia del modello che attesta l'avvenuta
effettuazione del sopralluogo, modello redatto da un ufficiale e conservato
dalla stessa amministrazione, costituisce mera irregolarità sanabile, in quanto
sussiste il requisito dell'avvenuto sopralluogo prima della gara.
Il principio generale invocato dai ricorrenti è che l'amministrazione deve
d'ufficio accertare fatti, stati e qualità che la stessa amministrazione
procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare (articolo
18
legge n. 241/1990).
Nella materia specifica, l'art.18 legge n. 584/1977 (poi articolo 21 del decreto legislativo n. 406 del 1991, ora abrogato, - n.d.r.), prevede che i soggetti appaltanti hanno facoltà di invitare le imprese a completare o chiarire certificati, documenti e dichiarazioni presentate a norma di legge, e ciò costituisce un correttivo all'eccessivo rigore delle forme, applicabile anche nei casi in cui il bando le prescriva a pena di esclusione.
A proposito del bando, che formalmente prevede a pena di esclusione, rectius, di
nullità della domanda, la produzione anche della dichiarazione di avvenuto
sopralluogo, la relativa clausola, impugnata peraltro sul punto, sarebbe
illegittima, e andrebbe conseguentemente disapplicata, ove interpretata nel
senso di precludere ogni sanatoria o regolarizzazione nella produzione di un
documento attestante un fatto avvenuto (il sopralluogo), quando il fatto è
attestato dalla stessa amministrazione appaltante, che è anche in possesso del
relativo documento.
I principi generali (art.12 preleggi), esistenti anche nella azione
amministrativa, della semplificazione, della conservazione (articolo
1367 codice civile) degli
atti sanabili e regolarizzabili, il principio del minor rigore formale espresso
dall'art.18 della legge generale sul procedimento, portano a concludere che
debbano ritenersi incompatibili tutte le disposizioni, anche della lex
specialis,
improntate a criteri diversi e più rigidi, ai sensi dei quali l'unico modo per
produrre un documento attestante un determinato fatto (il sopralluogo), sarebbe
costituito dalla produzione dello stesso unitamente alla domanda.
Ciò vale certamente, e a fortiori, quando l'amministrazione appaltante sia la
stessa amministrazione che ha attestato il fatto da comprovare, ed essa stessa
sia già in possesso del relativo documento.
Il comportamento dell'amministrazione è tanto più censurabile, in quanto la
stessa avrebbe dovuto consentire e favorire quantomeno la regolarizzazione della
formalità mancante, chiedendo alle imprese ricorrenti di produrre l'attestato
mancante, comunque tra gli atti in possesso dell'amministrazione stessa, non
ostando a ciò il rispetto della par condicio, della correttezza e della
trasparenza nei confronti degli altri concorrenti, e dovendosi invece ritenere
scorretto il comportamento invece tenuto.
Devono ritenersi assorbiti gli altri motivi di censura di legittimità.
2. - Richiesta di risarcimento dei danni.
In ordine alla richiesta di risarcimento del danno, tra l'altro formulata in
maniera del tutto generica, il Collegio ritiene che la tutela reintegratoria sia
avvenuta nella forma più specifica ed esaustiva possibile (articoli 2058 e 2933
del codice civile), attraverso il rimedio dell'annullamento degli atti
illegittimi.
Il rimedio di tutela del risarcimento in forma specifica è ammesso se esso è,
in tutto o in parte, possibile, e non risulti eccessivamente oneroso per il
debitore.
Il risarcimento o reintegrazione in forma specifica è la situazione materiale,
e anche giuridica, corrispondente a quella che sarebbe sussistita se non fosse
intervenuto il fatto, l'atto illegittimo annullato, che determina il sorgere
della obbligazione risarcitoria. Tale principio va specificato nel senso che non
la situazione materiale antecedente all'illecito va ripristinata, ma quella che
si sarebbe avuta senza tale illecito.
In seguito all'annullamento giurisdizionale degli atti illegittimi, compreso
quello di autotutela di annullamento della già intervenuta aggiudicazione a
favore dei ricorrenti, deve ritenersi che la validità di tale atto risorga, e
che esso riemerga e sia efficace nella sua riacquistata validità, in quanto
l'annullamento degli atti di autotutela determina un effetto ripristinatorio
rispetto alle situazioni determinate dall'atto annullato.
E' principio pacifico che al soggetto leso debba essere garantita piena
soddisfazione alle legittime pretese, e che pertanto, in caso di fatto illecito,
egli debba essere ripristinato nello status quo ante, rectius, nello stato di
fatto e di diritto che si sarebbe verificato in assenza dell'illecito.
Certamente un primo effetto ripristinatorio è garantito dall'annullamento
giurisdizionale degli atti illegittimi.
Il risarcimento o reintegrazione in forma specifica, attraverso l'annullamento
degli atti illegittimi, rappresenta una componente, ulteriore ed eventuale,
oltre che anche alternativa, del risarcimento del danno ingiusto. Deve ritenersi
che, essendo stata proposta generica domanda di risarcimento del danno, essa
possa essere intesa quale capo di domanda, o domanda autonoma, anche comprensiva
del risarcimento del danno in forma specifica, che già deve ritenersi attuato
con l'annullamento dell'atto illegittimo.
La reintegrazione in forma specifica è uno dei modi, anzi è il principale,
attraverso i quali il danno può essere risarcito, e non una forma eccezionale
di risarcimento, né sussidiaria.
Tra i due rimedi, reintegrazione in forma specifica e risarcimento per
equivalente, esiste però un rapporto di alternatività, quanto meno parziale.
Qualora il soggetto leso abbia ottenuto la riparazione in forma specifica
(attraverso l'annullamento dell'atto in autotutela che ha annullato
l'aggiudicazione a suo favore, che pertanto è da considerarsi legittima ed
efficace), non vi è materia, di solito e in linea di principio, per ulteriore
risarcimento monetario per equivalente.
L'effetto ripristinatorio derivante dall'annullamento giurisdizionale dell'atto
di autotutela di annullamento di aggiudicazione a favore dei ricorrenti, facendo
risorgere l'atto di aggiudicazione prima invalidato, costituisce già una
riparazione nella maniera più specifica, e pertanto satisfattiva, in tutto o in
parte, a seconda delle circostanze, sia dal punto di vista materiale che
giuridico, rispetto alla situazione di illiceità caratterizzata dalla
illegittimità dell'atto imputabile alla pubblica amministrazione.
Nella fattispecie, l'annullamento giurisdizionale dell'atto di annullamento
dell'aggiudicazione a favore dei ricorrenti, costituisce ripristinazione della
situazione favorevole ed eliminazione dei pregiudizi subiti.
Non sfugge al Collegio la differenza ontologica tra la riparazione o
reintegrazione specifica, operata dal debitore autore dell'illecito, di cui al
codice civile (art. 2058), e la ripristinazione effettuata attraverso
l'annullamento giurisdizionale dell'atto illegittimo, di cui è autore, per
l'appunto, il giudice adito. La reintegrazione in forma specifica a mezzo di
intervento giurisdizionale, è però istituto non sconosciuto all'apparato di
tutele del codice civile, che all'art. 2932 prevede il rimedio all'obbligo di
concludere il contratto rimasto inadempiuto, attraverso una sentenza costitutiva
(art. 2908), che tiene luogo del contratto non spontaneamente concluso.
Il fatto ingiusto costituito dalla emanazione, non ancora dalla sua esecuzione,
dell'atto illegittimo compressivo della situazione favorevole (trattasi di
interesse oppositivo), viene riparato, in parte se non del tutto, attraverso la
rimozione giurisdizionale operata dalla pronuncia di annullamento. Si tratta di
una riparazione operata non sotto il controllo giudiziale, ma direttamente dal
giudice.
Si distingue infatti tra l'effetto ripristinatorio della sentenza, collegato al
contenuto demolitorio della pronuncia, e che non richiede alcun ulteriore facere
al quale debba essere obbligata la p.a., e la attività di ripristinazione, che
spetta all'amministrazione svolgere, che è null'altro che la esecuzione della
sentenza, consistente nel ripristino della situazione di fatto e di diritto
esistente prima della emanazione dell'atto annullato.
Nella fattispecie, la pronuncia di tipo demolitorio (di annullamento) dell'atto
di autotutela dell'aggiudicazione, è sufficiente per ripristinare lo status quo
ante, facendo riemergere la situazione favorevole ai ricorrenti, non derivando
e non necessitando alcun ulteriore obbligo di facere (condanna a riparare i
danni) a carico della resistente amministrazione.
Nella struttura della giustizia amministrativa, il rimedio dell'annullamento
dell'atto illegittimo avviene attraverso una sentenza naturalmente costitutiva,
perché modifica la situazione sostanziale, e tale pronuncia produce un primo
effetto ripristinatorio. In tal caso, si è in presenza della autoesecutività,
e quindi della immediata satisfattività della sentenza di annullamento
dell'annullamento dell'aggiudicazione. Deve ritenersi estinta, quindi, per
conseguimento dello scopo (teoria del conseguimento dello scopo), se non proprio
per adempimento da parte del debitore autore dell'illecito, la pubblica
amministrazione,
l'obbligazione di riparare in forma specifica il fatto illecito determinato
dall'emanazione dell'atto amministrativo illegittimo. L'adempimento riparatore
del tipo di cui all'art. 2058 c.c. sussisterebbe soltanto in caso di una attività
di facere in via amministrativa quale effetto, e non già oggetto diretto, della
pronuncia del giudice, come è invece l'annullamento dell'atto illegittimo,
oppure a seguito di sentenza di condanna a carico della pubblica amministrazione.
Può residuare soltanto spazio per una richiesta di risarcimento dei danni
distinta, per pretese relative a danni ulteriori e derivanti dal ritardo con cui
il soggetto ha ottenuto il bene della vita che gli spettava, ove tali pretese
siano avanzate, siano dimostrate e sussista il pregiudizio per il ritardo,
requisiti che nella specie devono ritenersi mancanti.
Con riguardo all'onere della prova dei danni ulteriori derivanti dal ritardo con cui il soggetto ha ottenuto il bene della vita che gli spettava, domanda, si è detto, peraltro neanche specificamente proposta, deve accogliersi la soluzione della incombenza dell'onus probandi in capo al privato ricorrente attore, in quanto l'illecito segue le regole generali dell'art. 2043 c.c., secondo il quale è il danneggiato che deve provare il danno emergente e il lucro cessante (art. 1223 richiamato dall'art. 2056 c.c.), intesi come spostamento patrimoniale e conseguenze economiche di differenza, quali determinate dal fatto illecito (art. 2697 c.c.).
Le considerazioni che precedono impongono l'accoglimento del ricorso nei sensi
di cui in motivazione.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese
di giudizio.
(omissis)