LAVORI PUBBLICI - 009
CORTE DEI CONTI (Sez. Giur. Liguria) - 30 marzo 1999, n. 361/99/EL (Pres. Pellegrino - est. Salamone - P.m. Greco)
Giudizio di responsabilità - Danno per opera pubblica non realizzata - Detrazione del valore della parte realizzata - Elemento psicologico: Sindaco e Segretario comunale - Stipula del contratto in pendenza delle indagini geologiche - Consegna fittizia seguita da sospensione: responsabilità del direttore lavori.

Per determinare il danno subito dal comune per la parziale costruzione di un’opera mai completamente realizzata, deve tenersi conto dell’intera spesa sostenuta per l’esecuzione dei lavori, di tutte le spese accessorie per interessi, rivalutazione monetaria ed indennizzi corrisposti all’impresa, nonché della quota interessi, gravante sulle rate di mutuo contratto per adempiere alla condanna subita in sede arbitrale.
Non costituisce danno la parte di edificio realizzata, la quale, pur non presentando alcun’utilità concreta ed attuale per la p.a., rappresenta tuttavia un vantaggio per l’Ente, non potendosi negare che tale costruzione ha oggettivamente incrementato il valore del suo patrimonio.
Costituisce colpa grave il comportamento del Sindaco che stipula un contratto d’appalto con l’impresa aggiudicataria, pur essendo consapevole che l’originario progetto sarebbe stato rivisto sotto il profilo tecnico ed economico, sulla base di ulteriori indagini geologiche; costituisce colpa grave il comportamento del Segretario comunale, che roga un contratto d’appalto, pur essendo a conoscenza della mancanza della concessione edilizia e di autorizzazioni di altri soggetti.
Il direttore lavori, che procede alla consegna degli stessi, facendola seguire il giorno successivo da un ordine di sospensione per ulteriori indagini geognostiche, è responsabile dei danni cagionati al Comune, avendo violato gli articoli 11 e 13, comma 1, del R.D. 25 maggio 1895, n. 350.

FATTO
(omissis)

DIRITTO

In via pregiudiziale va rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione di questa Corte, sollevata dal M. con riferimento alla mancanza di rapporto di servizio tra segretario comunale e Comune, per danni derivanti da fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 14 gennaio 1994, n. 20.
Al riguardo, rileva la Sezione che l’assoggettamento del segretario comunale alla giurisdizione della Corte dei conti costituisce jus receptum, dal momento che lo stesso, pur essendo legato allo Stato da rapporto d’impiego amministrato dal Ministero dell’interno, si trova in rapporto di servizio con l’Ente locale, dal cui Capo dipende gerarchicamente, ai sensi dell’articolo 173 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (Corte dei conti, Sezione prima, 14 giugno 1993, n 93).
Inconferente risulta, d’altra parte, il richiamo fatto alla recente sentenza della Sezione prima centrale del 4 giugno 1998, n. 172, la quale ha escluso la sussistenza del rapporto di servizio tra messo notificatore comunale ed amministrazione finanziaria, fattispecie del tutto diversa, rispetto a quella in esame.

Preliminarmente occorre pure esaminare l’eccezione di prescrizione, sollevata da tutti i convenuti.
Osserva la Sezione che, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, "il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso".
Alla luce di tale disposizione, la quale ha recepito un indirizzo giurisprudenziale formatosi già sotto la vigenza dell’articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142, il fatto dannoso dal cui verificarsi decorre la prescrizione, non è costituito dal solo comportamento illecito del soggetto agente ma anche dall’evento pregiudizievole che a quello è conseguito e che qualifica come dannoso il fatto illecito (Corte conti, Sezione prima, 12 maggio 1998, n. 130).
Tale soluzione appare, peraltro, in armonia con il criterio generale posto dall’articolo 2935 del codice civile, in base al quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Attesa, infatti, la natura risarcitoria e non sanzionatoria della responsabilità amministrativo-contabile, il diritto dell’Ente non può essere fatto valere sino a quando non si sia verificato il danno patrimoniale.
In tal senso è anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui, in mancanza della percezione del danno, non è possibile giuridicamente, e non soltanto in via di mero fatto, esercitare l’azione risarcitoria (Cass. Sezione prima, n. 3160 del 4 aprile 1996).
D’altra parte, far decorrere la prescrizione dal solo comportamento contrario ai doveri d’ufficio del soggetto agente, significherebbe precludere, di fatto, l’esercizio dell’azione di responsabilità nei casi in cui il danno, pur essendo causalmente legato al comportamento antidoveroso tenuto dall’agente, si verifichi a notevole distanza di tempo da questo.
Tale soluzione, peraltro, vanificando il diritto dell’Amministrazione a promuovere l’azione risarcitoria, verrebbe a configgere palesemente con principi posti dagli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione.

Sulla base delle suesposte considerazioni, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, il termine prescrizionale non possa essere fatto decorrere da un momento anteriore al 30 settembre 1994, data in cui, con l’emissione del lodo, che ha sostanzialmente dichiarato l’avvenuta risoluzione del contratto d’appalto e condannato l‘Amministrazione al risarcimento dei danni, sono emersi con certezza l’impossibilità di proseguire nella realizzazione dell’opera ed il pregiudizio patrimoniale, che tuttavia solo con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 14 del 7 febbraio 1995, adottata per dare esecuzione al lodo, risulterà determinato nel suo preciso ammontare ed acquisterà anche il carattere dell’attualità.
Ne deriva che, non essendo trascorso il prescritto termine quinquennale dalla più remota data del 30 settembre 1994 al momento delle notifiche ai convenuti dell’atto di citazione, avvenute nell’aprile del 1998, l’eccezione risulta, del tutto, infondata e deve pertanto essere respinta.

Esaurite le questioni pregiudiziali e preliminari ed entrando nel merito della domanda, non vi è dubbio che dai fatti esposti in narrativa sia derivato per il Comune di L. un danno di notevole entità.
Tale pregiudizio è ravvisabile ictu oculi, ove si consideri che la palestra scolastica polivalente, progettata nel 1984 per essere realizzata in 120 giorni, a distanza di un quindicennio non risulta ultimata, né la parte di fabbricato edificata appare utilizzabile per gli usi previsti o per altre finalità di pubblico interesse. D’altra parte, non si ritiene che sussistano, allo stato, le condizioni perché la costruzione possa essere realisticamente completata.
E neppure la Sezione ritiene di poter pervenire a diversa conclusione in virtù della deliberazione, prodotta dalla difesa del M.G., con la quale è stato approvato dalla Giunta comunale, in data 26 agosto 1998 (successiva alla notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio), il progetto di completamento dell’opera, di cui, non può non essere rilevato, risulta essere autore, peraltro senza avere ricevuto formale incarico, lo stesso ing. P., qui convenuto come direttore dei lavori.
Ed, infatti, la mancanza nella suindicata delibera di qualsiasi riferimento alla sua copertura finanziaria ed il fatto che le opere di completamento approvate non risultano essere state regolarmente inserite nei documenti contabili e di programmazione del Comune - bilancio preventivo, bilancio pluriennale, relazione previsionale e programmatica e piano esecutivo di gestione - rappresentano tutte circostanze, che, allo stato, inducono il Collegio a ritenere il progetto privo d’ogni concreta possibilità di trovare realizzazione. Anche a tacere del fatto che l’autorizzazione a costruire in deroga alla distanza minima prescritta dall’articolo 49 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753, rilasciata dall’Ente Ferrovie dello Stato il 5 settembre 1988, ha dato luogo ad una convenzione onerosa di durata novennale, e, quindi, in oggi scaduta.

Ciò detto, ritiene la Sezione che, ai fini della determinazione del danno economico patito dall’Ente locale, debba tenersi conto dell’intera spesa sostenuta per l’esecuzione dei lavori, di tutte le spese accessorie per interessi, rivalutazione monetaria ed indennizzi corrisposti all’impresa, nonché della quota interessi, di Lit. 374.645.245, gravante sulle rate d’ammortamento del mutuo contratto dal Comune per adempiere alla condanna subita in sede arbitrale; il tutto per un importo complessivo, di Lit. 1.309.902.507.
Da tale importo va detratta ad avviso dei Collegio la somma di Lit. 527.972.171 corrispondente al valore - determinato sulla base del costo di costruzione - della parte d’edificio realizzata, la quale, pur non presentando per le ragioni anzidette alcun’utilità concreta ed attuale per l’Amministrazione e per la comunità, rappresenta tuttavia un vantaggio per l’Ente, non potendosi negare che tale costruzione ha oggettivamente incrementato il valore del suo patrimonio.
Inoltre, non può neppure escludersi che, sia pure in via meramente ipotetica, verificandosi le necessarie condizioni finanziarie e giuridiche, l’Amministrazione, previo impiego di ulteriori risorse, possa dare, in futuro, al manufatto esistente una destinazione coerente con il perseguimento di finalità pubbliche.

In ordine alla determinazione del danno reputa dunque la Sezione che debbano concorrere alla sua quantificazione, tutti gli oneri aggiuntivi, sopra specificati, che certamente non si sarebbero prodotti ove il procedimento amministrativo per la realizzazione dell’opera si fosse svolto nel rispetto della normativa vigente e dei principi di buona amministrazione che debbono informare l’attività dei pubblici amministratori; giudica, inoltre, che il criterio seguìto del costo di costruzione per la valutazione economica della porzione di edificio realizzata, da portare in diminuzione del danno complessivo, come vantaggio patrimoniale dell’Ente locale, ai sensi dell’articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 20 del 1994, come novellato dalla legge n. 639 del 1996, sia quello che meglio risponde all’esigenza di un’equa valutazione della struttura realizzata, che, giova ripeterlo, non presenta allo stato alcuna utilità, né si prevede concretamente che possa acquistarne in un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile.

Ciò detto, per mera esigenza di completezza, la Sezione ritiene di dover svolgere alcune considerazioni in odine alla perizia estimativa di parte, prodotta in giudizio al fine di fornire un elemento probatorio in ordine all’utilità conseguita dall’Amministrazione e dalla comunità locale in virtù dei lavori eseguiti.
A prescindere dalla condivisibilità o meno delle estimazioni contenute in detta perizia, basata unicamente sul criterio valutativo del prezzo di costruzione attuale, senza che alcuna incidenza abbia avuto il degrado delle strutture medio tempore verificatosi, l’utilizzazione delle sue risultanze, da cui questo Giudice ha ritenuto di poter prescindere per i motivi suesposti, richiederebbe la preventiva rivalutazione di tutti gli esborsi, in relazione alle diverse epoche in cui furono effettuati dall’Amministrazione, e la loro maggiorazione sulla base dell’interesse legale; solo dopo aver compiuto tale operazione sarebbe giuridicamente ed economicamente possibile dedurre il risparmio che l’Amministrazione conseguirebbe, portando a termine oggi, ove possibile, l’opera rimasta incompiuta. Diversamente, non tenendo conto dell’epoca in cui pagamenti furono effettuati, si finirebbe, mercé la valorizzazione della lievitazione dei costi verificatisi nel settore edilizio per effetto del decorso degli anni e del fenomeno inflattivo, col pervenire al risultato irrazionale ed inaccettabile sotto il profilo logico prima ancora che giuridico, di compensare nella quasi totalità quegli oneri di sicuro danno - interessi, spese giudiziarie, risarcimento danni - di cui gli amministratori sarebbero stati chiamati comunque a rispondere anche nel caso di ultimazione dell’opera.

Ancora, con riferimento alle deduzioni difensive dei M.G. e del M. in tema di quantificazione del danno, svolte in memoria e riprese nel corso dell’odierno dibattimento, si osserva che lo stesso non può non includere la spesa sostenuta in relazione al contenzioso arbitrale.
Al riguardo, pur concordando questo Giudice sul fatto che il ricorso al collegio arbitrale (nella specie, in una composizione ristretta, e, perciò meno costosa, rispetto a quella normativamente prevista) rappresenta uno strumento che legittimamente l’Amministrazione subentrante ha scelto per la definizione in tempi ragionevoli del contrasto venutosi a creare con l’impresa appaltatrice (conseguendo, peraltro, il rigetto di alcune delle richieste di rilevante contenuto economico avanzate dalla controparte), non può revocarsi in dubbio che il contenzioso in questione, e, soprattutto, la condanna dell’Amministrazione comunale, abbiano trovato causa nelle condotte gravemente colpevoli tenute dai convenuti nella gestione dell’opera e nella procedura seguita per il suo finanziamento, sì che anche rispetto alla maggiore spesa determinata dal contenzioso arbitrale dette condotte si pongono come conditio sine qua non della stessa.
Di conseguenza, per le ragioni suesposte, il Collegio quantifica in Lit. 781.930.336 (Lit. 1.309.902.507 - 527.972.171) il danno economico patito dal Comune.

Di tale danno deve ritenersi principale responsabile, per avere violato con condotta gravemente colposa i propri doveri, il Sindaco, il quale ha preso parte in tale veste a ciascuna delle fasi del procedimento finalizzato alla realizzazione dell’opera senza deleghe ad assessori, promuovendo tutte le decisioni di competenza collegiale - cui normalmente prendeva parte come relatore - sottoscrivendo la corrispondenza amministrativa e partecipando, perfino, al compimento di atti estranei alle proprie competenze, quali la consegna dei lavori.
Responsabili, sebbene in misura inferiore, sono anche l’ing. P. e il dott. M. per avere, rispettivamente, nella veste di direttore dei lavori e di segretario comunale, concorso con azioni ed omissioni, gravemente trasgressive dei propri obblighi di servizio, alla produzione dell’evento lesivo dedotto in giudizio.

Al Sindaco, in particolare, va addebitata l’avvenuta formale stipulazione, in data 29 aprile 1985, del contratto d’appalto con l’impresa aggiudicataria e la contemporanea consegna dei lavori.
Tali iniziative appaiono gravemente contrastanti con i comuni principi di buona amministrazione e con le più elementari regole di cautela e prudenza, dal momento che all’epoca in cui furono assunte era ormai noto che l’originario progetto sarebbe stato rivisto sotto il profilo tecnico ed economico, sulla base di ulteriori indagini geologiche (resesi necessarie a seguito di pericolosi smottamenti nella zona), i cui esiti parziali erano stati già acquisiti in virtù di due relazioni (datate 9 e 18 marzo 1985 e indirizzate al Sindaco e al Direttore dei lavori) dell’ing. B., il quale aveva anche ricevuto, con deliberazione di Giunta n. 100 del 25 marzo 1985, formale incarico - peraltro, inspiegabilmente, senza prefissione di alcun termine per l'adempimento - di predisporre completa relazione geologica da assumere a base delle varianti da apportare al progetto già approvato.
La difesa nega la censurabilità della decisione, presa dal Sindaco, di stipulare il contratto, in quanto questa rappresentava per lo stesso un adempimento che doveva essere compiuto in esecuzione della deliberazione d’approvazione del verbale di gara, e con sollecitudine per non perdere il finanziamento regionale.
Asserisce, inoltre, che nessuna colpa grave può essere imputata al Capo dell’Amministrazione, il quale per gli aspetti tecnici si è sempre rimesso alle valutazioni del proprio Ufficio tecnico e dei professionisti esterni incaricati dello studio geologico del sito, mentre le problematiche di ordine geologico emerse successivamente alla gara furono rappresentate al proprio assistito solo al momento della consegna.

Tale assunto difensivo non può essere condiviso e va pertanto respinto.
Nessun obbligo tassativo sussisteva in ordine alla stipulazione; è noto, infatti, che la Pubblica Amministrazione conserva in fase di stipulazione del contratto i più ampi poteri discrezionali, per cui in presenza di motivi di pubblico interesse, la stessa ha facoltà di determinarsi in senso negativo (T.A.R. Puglia, 25 novembre 1991, n. 469; T.A.R. Lazio, Sezione II, 25 luglio 1987, 1304).
E tale motivo di pubblico interesse sussisteva certamente di fronte alle gravi problematiche d’ordine geologico emerse, successivamente all’aggiudicazione, ma prima della stipulazione del contratto - di cui il M.G. era perfettamente a conoscenza per essere destinatario delle due relazioni preliminari dell’ing. B. - ed alla conseguente sopravvenuta inadeguatezza del progetto esecutivo approvato, di cui era parimenti consapevole, per avere promosso affidamento al predetto professionista dell’incarico di "verificare le condizioni di stabilità della zona e dei manufatti esistenti" dopo che si erano "riscontrati movimenti della scarpata e nel muro di sostegno di Via Castello" (delibera di Giunta n. 100 del 25 marzo 1985).
Tali circostanze, come correttamente evidenziato dall’accusa, avrebbero dovuto indurre il Sindaco a soprassedere alla stipulazione del contratto ed alla consegna dei lavori, fatta seguire il giorno dopo dalla sospensione (poi durata un anno e mezzo) per informare l’Organo deliberativo o, quanto meno, per attendere risultati conclusivi della perizia richiesta al fine di valutare concretamente i nuovi costi dell’opera e, quindi, la realizzabilità della stessa in relazione ai mezzi di cui il Comune poteva disporre.
Né può costituire causa di giustificazione del comportamento del M.G. l’interesse a non perdere il contributo regionale, dal momento che, a prescindere da ogni considerazione se la soluzione seguita fosse o meno l’unica strada praticabile per non perdere il predetto contributo o se non si dovesse piuttosto chiedere all’Amministrazione regionale la proroga, possibile ai sensi dell’articolo 6 della legge regionale n. 34 del 1984, è certo che, sia pure in vista del conseguimento di un vantaggio, il M.G. ha esposto con il proprio comportamento temerario l’Ente rappresentato al rischio - e forse alla certezza - di un grave danno, poi, di fatto, puntualmente verificatosi.
Il Collegio ritiene che dell’affidamento dei lavori, realizzato con la stipulazione del contratto d’appalto, debba anche rispondere il M. per avervi preso parte in qualità di ufficiale rogante.
Non può, infatti, condividersi il ruolo volutamente riduttivo di mero verbalizzante nelle riunioni degli organi collegiali e di esecutore delle loro deliberazioni, assegnato dalla difesa al segretario comunale.
Anche nella vigenza dell’ordinamento preesistente alla riforma delle autonomie locali, attuata con la legge n. 142 del 1990, il segretario aveva la responsabilità del buon andamento amministrativo dell’attività dell’ufficio comunale e rappresentava nell’organizzazione dell’ente, specie se - come nel caso in esame - di piccole dimensioni, il punto di riferimento per la corretta applicazione delle disposizioni normative (argomentando ex articolo 81 del R.D. 12 febbraio 1911, n. 297); il fatto, poi, che l’articolo 59 del R.D. n. 297 del 1911 gli attribuisse compiti di consulenza legale nei confronti delle decisioni della Giunta nella sua interezza, non può stare a significare che il segretario comunale non avesse analoghi compiti anche con riferimento all’attività individuale degli amministratori, ma anzi tale norma rappresentava l’estrinsecazione particolare (assiste alle sedute della Giunta, ha voto consultivo circa la legalità...) di una funzione più generale di cui lo stesso già all’epoca era investito.
Parimenti infondata risulta la tesi difensiva dell’assenza di colpevolezza per non avere informato il Sindaco della precarietà geologica del sito, trattandosi di circostanza di natura tecnica che sfuggiva del tutto alle competenze del suo ufficio; in realtà, ciò che s’imputa al M. è di non avere rappresentato al Sindaco i rischi di ordine patrimoniale, cui andava ad esporre il Comune stipulando il contratto e, quindi, affidando lavori sulla base di un progetto destinato ad essere consistentemente rivisto, attesa la situazione di precarietà geologica, già accertata ed a lui perfettamente nota per aver partecipato alla seduta della Giunta del 25 marzo 1985, nella quale era stato deliberato l’affidamento della surriferita consulenza tecnica al Prof B. dopo che si erano "riscontrati movimenti della scarpata e nel muro di sostegno".

Un’altra circostanza che, anche isolatamente considerata, connota come gravemente colpevole la stipulazione del contratto d’affidamento dei lavori, è costituita dalla mancata acquisizione preventiva della concessione edilizia e dell’autorizzazione delle Ferrovie dello Stato a costruire a distanza inferiore a quella minima, prescritta dall’articolo 49 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 753 (il lungo iter istruttorio per il rilascio di quest’ultima autorizzazione sarà causa della seconda sospensione dei lavori dal 3 aprile 1987 al 5 settembre 1988 e determinerà in sede di decisione arbitrale la condanna dell’Ente al risarcimento dei danni, oltre ad interessi e rivalutazione, per l’illegittimità della sospensione).
A tale riguardo sia il Sindaco che il Segretario, oltre ad avere consapevolezza della mancanza dell’autorizzazione - per esserne stata fatta richiesta con nota del 28 gennaio 1985 - dovevano ben conoscere la disposizione contenuta nell’articolo 11 della legge regionale 27 giugno 1979, n. 22, che obbligava la stazione appaltante ad acquisire "preventivamente le autorizzazioni ed i nullaosta eventualmente necessari secondo le vigenti norme" sui progetti delle opere pubbliche di competenza degli enti locali.
E l’aver consentito l’inizio dei lavori in epoca precedente all’acquisizione del nullaosta delle Ferrovie, che ne condizionava la regolare prosecuzione, prima ancora che costituire grave violazione dell’indicata disposizione dal chiaro contenuto precettivo, risulta gravemente avventato, anche alla stregua del parametro rappresentato dal comportamento esigibile da una persona comune di minima diligenza, atteso che il carattere discrezionale del provvedimento autorizzativo e le lungaggini burocratiche rendevano alto il rischio di un danno alle Casse comunali, quanto meno sotto il profilo dei maggiori oneri connessi all’allungamento dei tempi d’esecuzione dell’opera: cosa che si è puntualmente verificata.
A quest’ultimo riguardo, va osservato che, concretandosi il censurato comportamento antidoveroso nella mancata acquisizione preventiva delle autorizzazioni necessarie, perdono significato le deduzioni difensive tese a dimostrare la mancanza di competenza ad acquisirle, la circostanza che altri se ne sia occupato, l’aver fatto tutto il possibile per la loro acquisizione. L’accertamento di tali circostanze non sarebbe, comunque, idoneo ad interrompere il rapporto di causalità esistente tra l’individuata condotta antidoverosa posta in essere, ed il nocumento patrimoniale patito dal Comune.
Per contro, non ritiene la Sezione che la sottovalutazione della mancanza del nullaosta possa trovare valida giustificazione, com’è stato sostenuto in udienza, nella distinzione tra opere di fondazione, per le quali non occorrevano autorizzazioni, e opere in elevazione, per le quali sole erano necessarie: i lavori furono affidati e consegnati tutti, indistintamente, con un tempo d’esecuzione brevissimo (120 giorni).
I medesimi addebiti d’imprudenza ed irrazionalità del comportamento tenuto colpiscono necessariamente anche il P., per aver proceduto alla consegna dei lavori contestualmente alla stipula del contratto d’appalto, in data 29 aprile 1985, facendola seguire il giorno immediatamente successivo dall’ordine di sospensione per "ulteriori indagini geognostiche, resesi necessarie dal mutamento del sito".
Lo stesso è, infatti, venuto meno ai propri doveri di servizio per non avere osservato le disposizioni dell’articolo 11 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, le quali, in presenza delle riscontrate difformità tra progetto e condizioni dei luoghi interessati dall’opera costruenda, imponevano di sospendere la consegna dei lavori, anziché darvi fittiziamente corso per poi sospenderli il giorno successivo. E neppure ha osservato la disposizione del primo comma del successivo articolo 13, che gli prescriveva di assumere ogni iniziativa necessaria all’esecuzione dei lavori a perfetta regola d’arte ed in conformità dei relativi progetti e contratti; il rispetto di tale disposizione lo avrebbe, infatti, dovuto indurre ad astenersi dalla consegna dei lavori, prima, e a non consentirne la ripresa, dopo, in data 13 novembre 1986 - a seguito dell’approvazione della prima perizia di variante - in assenza della concessione edilizia e del nullaosta delle Ferrovie dello Stato, a lui ben nota per avere preso parte all’opera anche in veste di progettista.
E nessun dubbio può sussistere in ordine alla gravità della colpa del professionista, stante la chiarezza delle disposizioni violate e la consapevolezza, che lo stesso non poteva non avere, delle possibili conseguenze gravemente pregiudizievoli per la stazione appaltante connesse all’avvenuta consegna dei lavori nella rappresentata situazione di massima incertezza sotto il profilo tecnico, giuridico ed economico.
D’altra parte, non può sostenersi, come pure fa la difesa del P., che la sospensione della consegna dei lavori "è fatto di competenza principale dell’ingegnere capo, e cioè del rappresentante dell’Amministrazione", competenza che, nella specie, investirebbe il Sindaco ed il Segretario comunale che parteciparono alla consegna. E neppure può fondatamente addursi, come legittimo motivo della consegna, la specifica richiesta in tal senso dell’Amministrazione al fine dì evitare alla stessa il rischio di perdere il finanziamento regionale.
E’ vero, invece, che ai sensi dell’articolo 338 della legge sulle opere pubbliche 20 marzo 1865, n. 2249, all. F. e degli articoli 10 e 11 del R.D. n. 350 del 1895, le operazioni di consegna rientrano nella competenza funzionale del direttore dei lavori designato, come pure, d’altra parte, le operazioni, di cui all’articolo 5 del d.P.R. (rectius: R.D. - n.d.r.) n. 350, che precedono la consegna stessa; e la mancanza dell’ingegnere capo, il quale sovrintende all’esecuzione dei lavori esercitando funzioni di natura prettamente tecnica, non può essere surrogata dai Sindaco o dal Segretario comunale, attesa la loro estraneità alle predette funzioni.

Rileva, per contro, il Collegio che la colpevolezza del P. risulta maggiormente aggravata dalla mancanza della figura dell’ingegnere capo e, soprattutto, dalla mancata partecipazione, secondo quanto emerge dagli atti, dell’Ufficio tecnico dei Comune al procedimento d’approvazione e affidamento dei lavori, circostanza, questa, che ha fatto del P. l’unico punto di riferimento tecnico nella gestione dell’opera; non appare privo di significato che lo stesso sia intervenuto personalmente alla riunione del Consiglio comunale del 5 dicembre 1984 - delibera n. 115 - per illustrare le caratteristiche tecniche e funzionali dell’opera e per fornire ai consiglieri le delucidazioni richieste.
Un ulteriore motivo che avrebbe dovuto indurre il P. ad astenersi dalla consegna dei lavori, prima, e a non consentirne la ripresa, dopo, in data 13 novembre 1986, a seguito dell’approvazione della prima perizia di variante, è costituito dalla mancanza della concessione edilizia e del nullaosta delle Ferrovie dello Stato.

Tutte circostanze, queste, di cui il P. era pienamente consapevole, per avere preso parte all’opera anche in veste di progettista, e per le quali valgono le osservazioni già svolte con riferimento alle tesi difensive sul punto del M.G. e del M.

Dalle suesposte considerazioni emerge l’assoluta irrilevanza nel presente giudizio della ricostruzione e valutazione dei fatti, contenute nella sentenza del GUP del Tribunale di Savona, richiamata dal P. nelle proprie difese, con la quale lo stesso è stato prosciolto dal reato d’abuso d’ufficio per insussistenza del fatto.
Ed invero, non essendo oggetto di contestazione tra le parti autonomia di valutazione del giudice contabile rispetto agli accertamenti del giudice penale - trattandosi di sentenza di non luogo a procedere per insussistenza del fatto, pronunciata ai sensi dell’articolo 425 c.p.p. e non essendovi identità dell’oggetto - nessun rilievo può essere dato in questa sede alla valutazione di liceità dell’attività svolta dal P. come direttore dei lavori ed al giudizio che lo stesso non potesse "sottrarsi alla firma del verbale di consegna dei lavori", trattandosi di valutazioni rese nell’ambito di un accertamento avente diversità di oggetto, nel quale, peraltro, la condotta del direttore dei lavori non risulta essere stata vagliata alla stregua della normativa che ne disciplina le funzioni.

L’altra circostanza che ha sicuramente influito in maniera parimenti determinante sull’impossibilità di portare a termine l’opera e, quindi, sull’inutilità dell’intera spesa sostenuta, è rappresentata dalla carenza dei mezzi di copertura, la quale, presente sin dall’originaria progettazione dell’opera, come evidenziato nella parte in fatto, si è manifestata in maniera irreversibile con la perdita del mutuo di Lit 337.000.000, precedentemente ottenuto dalla Cassa DD.PP. per finanziare il costo dell’opera eccedente il contributo regionale, di Lit. 350.000.000.
Tale perdita, che ha fatto venir meno la copertura della spesa, va ricondotta, contrariamente all’avviso del Procuratore regionale, non alle omissioni e trascuratezze nella gestione della pratica del mutuo, ma alle illegittime modalità di adozione della delibera consiliare n. 74 dell’11 aprile 1988, con la quale è stata approvata la seconda perizia di variante e suppletiva che ha portato il costo dell’opera, a Lit. 687.500.000, per Lit. 350.000.000 già coperto dal contributo regionale e per le rimanenti Lit. 337.500.000 finanziabile con mutuo da richiedersi alla Cassa DD.PP.
Va osservato che la delibera in questione, come esattamente evidenziato dal Pubblico Ministero, si presenta quale atto meramente programmatico in ordine al finanziamento della spesa e sostanzialmente privo di valenza negoziale, atteso che fa riferimento all’impegno dell’impresa "a sottoscrivere l’atto di sottomissione" per l’esecuzione dei maggiori lavori previsti nella perizia di variante e suppletiva, oggetto di contestuale approvazione.
Sennonché l’atto di sottomissione, che, ai sensi ai sensi dell’articolo 343 della Legge sui lavori pubblici n. 2248 del 1865, all. F, avrebbe dovuto seguire e non precedere l’approvazione della perizia suppletiva, è stato sottoscritto dal direttore dei lavori e dall’impresa in data certamente anteriore all’8 aprile 1988 - data in cui l’atto venne assunto a protocollo dal Comune - con l’inserimento della clausola che lo stesso era sin dal momento della sua sottoscrizione impegnativo per l’impresa, mentre lo sarebbe divenuto Amministrazione una volta intervenute le approvazioni di legge.

Di conseguenza, la suddetta delibera, approvata in data 11 aprile 1988, anziché svolgere la funzione sua propria - quale emergeva dal suo contenuto apparente - di atto di autorizzazione dei lavori, che avrebbero dovuto essere affidati solo a seguito dell’acquisizione del mutuo programmato con la medesima deliberazione a copertura della spesa, ha comportato, una volta divenuta esecutiva, l’affidamento dei lavori.
Detto affidamento ed il loro conseguente inizio in data 29 gennaio 1989, prima, cioè, della concessione definitiva del mutuo, determinerà successivamente la revoca dello stesso, dopo essere stato in un primo tempo approvato dalla Cassa DD. PP.
La revoca venne disposta, infatti, per violazione dell’articolo 2, comma 2, del decreto del Ministero del Tesoro del 1° febbraio 1985, recante norme per la concessione, garanzia ed erogazione dei mutui della Cassa depositi e prestiti, per essere stati i lavori appaltati prima dell’adesione di massima (nota dell’8.10.1991 non in atti, ma richiamata a pagina 42 del lodo arbitrale) e, comunque, perché gli stessi risultavano iniziati sin dal gennaio 1989 (nota della Cassa del 17.12.1989, in atti).

Ad avviso di questo Giudice, responsabile dell’adozione della delibera, che ha poi dato causa alla perdita irreversibile del finanziamento, è il Sindaco, il quale, unico dominus della gestione dell’opera, proponente della stessa, assunse nell’espletamento di tale funzione un comportamento improntato alla massima negligenza oltre che a temerarietà, dando atto che "l’impresa si era impegnata a sottoscrivere l’atto di sottomissione", mentre in realtà questo era stato già sottoscritto e sarebbe divenuto operativo, come, di fatto, si è verificato, allorché fosse divenuta esecutiva la deliberazione, oggetto di approvazione.
Lo stesso, proponendo tale delibera e inducendo Consiglio ad approvarla, oltre a determinare la revoca del mutuo per motivi suesposti, ha posto in essere la particolare fattispecie di responsabilità amministrativa di cui all’articolo 253 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, per avere ordinato l’esecuzione di lavori finanziati con mutuo, ancor prima che gli organi competenti ne deliberassero la concessione.
Nelle condotte antidoverose sopra descritte ed imputate a titolo di colpa grave agli odierni convenuti, ad avviso dei Collegio, debbono essere individuati i fatti genetici del dedotto evento lesivo.
Anche nei giudizi di responsabilità amministrativo contabile, infatti, trova applicazione il principio dell’equivalenza delle cause desumibile dagli articoli 40 e 41 c.p. (Sezioni Riunite, 13 febbraio 1986, n. 458
Ne consegue che, qualora l’evento lesivo si ricolleghi ad una pluralità di condotte succedutesi nel tempo, e riferibili a più soggetti, deve essere riconosciuta a ciascuna di esse efficacia causale rispetto al danno se, nella successione degli avvenimenti, i singoli fatti - e le relative condotte - abbiano determinato una situazione tale che, senza alcuno di essi, non si sarebbe verificato l’evento dannoso (Sezione II, 3 dicembre 1991, n. 363 e n. 47 del 1991).
D’altronde, va pure precisato che nesso di causalità tra condotta e danno non può costituirsi attraverso giudizi ipotetici ma deve fondarsi su dati certi (Sezioni Riunite 19 settembre 1990, n. 682/A); per cui, ove l’evento si ricolleghi a più azioni od omissioni, è comunque necessario che ciascuna causa concorrente, sia essa diretta ed immediata (o anche soltanto mediata), abbia contribuito in concreto alla produzione del danno.
Orbene, applicando i principi suesposti al caso di specie, non può certamente dubitarsi che la stipulazione del contratto e la successiva consegna dei lavori in assenza delle prescritte autorizzazioni e nella piena consapevolezza dell’inadeguatezza del progetto, come pure l’affidamento dei lavori prima della concessione del mutuo da parte della Cassa Depositi e prestiti, rappresentino comportamenti che hanno tutti contribuito alla causazione del danno sofferto dal Comune, sì che senza alcuno di essi il danno non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in misura diversa.
Altrettanto non può dirsi per l’omessa richiesta del mutuo con cui era stato originariamente finanziato in parte il progetto, in quanto tale omissione, sulla base di un criterio di causalità reale, e non meramente ipotetica, non risulta avere in concreto contribuito né alla verificazione ell’evento di danno e neppure alla sua dimensione.
Parimenti nessun’efficacia causale può essere attribuita a tutte le condotte commissive ed omissive - successive alla deliberazione n. 74 dell’11 aprile 1988, con la quale furono appaltati i lavori, dal momento che, essendo la perdita del finanziamento riconducibile unicamente alle modalità con cui la stessa fu approvata, qualunque diverso comportamento successivo alla stessa non avrebbe potuto determinare un risultato diverso.
Dalla descritta ricostruzione dei fatti non emergono elementi per ulteriori attribuzioni di responsabilità in relazione a comportamenti gravemente colposi a carico dei funzionari dell’Ufficio tecnico e dei componenti il Consiglio comunale e la Giunta, come richiesto dai convenuti.
Mentre, infatti, da una parte, l’opera è stata gestita personalmente dal sindaco M.G. con la collaborazione diretta del Direttore dei lavori, dall’altra, costituisce principio pacifico che la valutazione della condotta, ai fini dell’imputazione di responsabilità amministrativa contabile a carico di coloro che hanno approvato atti collegiali, deve avvenire con riguardo alle prospettazioni di fatto e di diritto emergenti al momento della partecipazione alle deliberazioni ed ai fatti che essi con la diligenza minima esigibile da pubblici amministratori, avrebbero potuto conoscere, e non con riferimento ai fatti ignoti e non conoscibili dagli stessi.
Orbene, nella fattispecie in esame, il danno viene imputato ai convenuti per non aver tenuto conto in sede di stipulazione del contratto e consegna dei lavori di circostanze e fatti successivi alle deliberazioni del Consiglio e della Giunta e per aver indotto il Consiglio ad autorizzare l’affidamento dei maggiori lavori, di cui alla seconda perizia di variante (delibera n. 74 del 1988), con modalità tali che, comportando l’automatico affidamento degli stessi, senza la necessità di ulteriori atti, hanno dato luogo alla revoca del mutuo già concesso.
Con particolare riferimento all’approvazione della richiamata deliberazione n. 74, da cui è derivata la perdita del mutuo, va osservato che la condotta di coloro che hanno espresso il proprio voto favorevole, pur non rispondendo a criteri di oculatezza e diligenza nella gestione della cosa pubblica, non risulta tuttavia connotata da negligenza di intensità tale da integrare l’elemento soggettivo della colpa grave richiesto dall’ordinamento per l’imputabilità del danno.
D’altra parte, la difesa, pur lamentando la mancata individuazione da parte della Procura di responsabilità dei membri del Consiglio e Giunta, si è limitata ad una generica chiamata di corresponsabilità nei confronti dei predetti Organi deliberanti dei Comune, adducendo a supporto di tale chiamata il solo fatto oggettivo di essere gli stessi intervenuti nell’approvazione di atti relativi al procedimento di progettazione e di affidamento dei lavori, ma ha omesso di indicare sotto quali profili emergerebbe la colpevolezza del loro comportamento.

Quanto sopra rappresentato e ritenuta la sussistenza in capo ai convenuti di tutti gli elementi per l’affermazione in capo agli stessi della responsabilità oggetto della domanda attorea, reputa il Collegio che, ai fini dell’individuazione del danno risarcibile, il danno economico patito dal Comune e sopra quantificato in Lit. 781.930.336, debba essere ridotto della quota ascrivibile ai Consiglieri che hanno espresso voto favorevole in sede di adozione della delibera n. 74 del 1998, tenendo nella circostanza un comportamento antidoveroso, cui pure appare collegabile causalmente il danno prodotto, anche se privo del requisito della colpa grave richiesto dall’ordinamento per la sua giuridica imputabilità.

Pertanto, tenuto conto della parte di danno ascrivibile ai predetti soggetti non imputabili e quantificato, di conseguenza, il danno da risarcirsi da parte degli odierni convenuti nella somma di Lit. 625.000.000 (seicentoventicinquemilioni), comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, condanna in relazione al diverso apporto causale dato da ciascuno di essi alla verificazione del fatto dannoso, M.G. a risarcire la somma di Lit. 450.000.000 (quattrocentocinquantamilioni), P. a risarcire la somma di Lit. 150.000.000 (centocinquantamilioni) e M. a risarcire la somma di Lit. 25.000.000 (venticinquemilioni).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno ripartite in proporzione alle condanne.

Così deciso .....

IL PRESIDENTE - F.to Pellegrino

L’ESTENSORE - F.to Salamone

Depositato in segreteria il ...