EDILIZIA E URBANISTICA - 121
Corte Costituzionale, 5 maggio 2006, n. 183
Restano salve e impregiudicate le sanzioni amministrative
(sia di natura edilizia che di natura paesaggistica) in presenza di abusi
sottratti alla sanzione penale dal nuovo
articolo 181, comma 1-ter, del
decreto legislativo n. 42 del 2004 e l'accertamento postumo di compatibilità
paesaggistica non comporta autorizzazione in sanatoria (inammissibile alla luce
dell'art. 146, comma 10, lettera
c)).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
(omissis)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 36, lettera c) (aggiuntivo dei commi 1-ter e 1-quater all'articolo 181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e comma 37, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), promosso con ricorso della Regione Toscana, notificato il 24 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 4 marzo 2005 ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 2005.
Visto l'atto di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Alfio
Finocchiaro;
uditi l'avvocato F.L. per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Maurizio
Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato il 24
febbraio 2005, e depositato il 4 marzo 2005, la Regione Toscana ha proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale dell'art.
1, commi 36, lettera c), e 37 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega
al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione
in materia ambientale e misure di diretta applicazione), per violazione degli
artt. 117 e 118 della
Costituzione.
La Regione ricorrente lamenta che il legislatore statale, delegando il Governo
ad emanare uno o più decreti legislativi per il riordino delle norme in materia
ambientale, avrebbe violato le competenze regionali, nel momento stesso in cui
ha dettato, tra i principi direttivi della delegazione, la necessità del
rispetto delle attribuzioni regionali.
La violazione delle prerogative regionali è denunciata sotto due aspetti.
Il primo aspetto riguarda l'art. 1,
comma 36, lettera c), che, modificando l'art.
181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio), avente ad oggetto le sanzioni penali per le opere
eseguite su beni paesaggistici in assenza di autorizzazione, o in difformità di
essa, inserisce il comma 1-ter, con cui, ferma restando l'applicazione delle
sanzioni amministrative, dichiara non applicabili le pene previste dal comma 1,
per particolari tipi di interventi, ove sia stata accertata la compatibilità
paesaggistica degli stessi.
L'irrilevanza penale condizionata all'accertamento, riguarda, in particolare:
a) i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.
L'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi compete all'autorità amministrativa, che – secondo quanto previsto dal comma 1-quater dell'art. 181 del Codice, pure inserito dall'art. 1, comma 36, lett. c), della legge n. 308 del 2004, oggetto d'impugnazione – deve esprimersi nel termine di centottanta giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi nel termine, anch'esso perentorio, di novanta giorni.
La ricorrente assume che le funzioni amministrative in materia di tutela del paesaggio sono state attribuite alle Regioni dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e confermate dall'art. 146 del Codice dei beni culturali.
La norma impugnata, apparentemente
attinente alla sola sfera penale, in realtà rileva sotto il profilo urbanistico
– e quindi incide sul “governo del territorio”, materia spettante alla potestà
legislativa concorrente –, giacché limita di fatto l'applicabilità delle
sanzioni ripristinatorie previste dalla normativa regionale. Nonostante la
conferma, contenuta nella norma, dell'applicazione delle sanzioni amministrative
pecuniarie o ripristinatorie, il rispetto delle attribuzioni regionali è solo
formale, perché, ove l'opera abusiva sia valutata come compatibile con il
paesaggio, essa non potrà essere oggetto di ripristino: l'eventuale ordine di
ripristino in via amministrativa apparirebbe viziato di eccesso di potere, a
fronte della constatata inapplicabilità della sanzione penale, anche nelle
ipotesi in cui la normativa regionale preveda la demolizione e la restituzione
in pristino degli abusi nelle aree vincolate.
L'intervento statale non potrebbe dirsi giustificato alla luce dell'art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.
La giurisprudenza costituzionale
considera l'ambiente, nel contesto del nuovo Titolo V della Costituzione, come
“valore” costituzionalmente protetto, più che come materia in senso tecnico,
giacché esso s'intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze, di
modo che la sua protezione non elimina la preesistente pluralità di titoli di
legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare, nell'ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle a carattere unitario
definite dallo Stato.
Il comma 1-quater dell'art. 181 del Codice contrasta anche con l'art. 118 Cost.
La previsione del parere vincolante della Soprintendenza, cui sottostanno la
Regione o l'ente eventualmente da questa delegato, sostanzialmente attribuisce
allo Stato l'accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso, senza che
tale allocazione sia giustificata da esigenze di carattere unitario. E neppure
sono previste adeguate procedure d'intesa con le Regioni, che s'impongono nel
caso di interferenza con materie di competenza regionale: non è dubbio che la
valutazione di compatibilità incide sull'assetto urbanistico e sulla
pianificazione territoriale, vanificando la disciplina regionale che prevede il
ripristino dello stato dei luoghi, giacché il parere vincolante positivo della
Soprintendenza, in possibile difformità dalla valutazione regionale o dell'ente
locale delegato, determina l'impossibilità di irrogare le sanzioni
amministrative ripristinatorie, previste dalla normativa regionale.
Il secondo aspetto della denunciata violazione delle competenze regionali
riguarda l'art. 1, comma 37, della legge n. 308 del 2004, che ammette
l'estinzione del reato di cui all'art.
181 del Codice dei beni culturali, e di ogni altro reato in materia
paesaggistica, per i lavori interessanti i beni paesaggistici, compiuti senza
autorizzazione o in difformità, entro e non oltre il 30 settembre 2004. La
condizione è che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati
rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione
paesaggistica, o siano comunque giudicati compatibili con il contesto
paesaggistico (è previsto a tal fine, dal
comma 39, il parere della
Soprintendenza, tuttavia non vincolante). Occorre inoltre che i trasgressori
abbiano previamente pagato le sanzioni pecuniarie, oltre ad una sanzione
pecuniaria aggiuntiva, determinata dall'autorità amministrativa.
I profili d'incostituzionalità sono analoghi a quelli rilevati per il comma 36:
ove l'abuso sia valutato compatibile con il paesaggio, non potrà essere oggetto
di ripristino, e ciò anche se la normativa regionale preveda la demolizione e la
restituzione in pristino delle opere abusive nelle aree vincolate. Le
attribuzioni regionali ne risultato violate, non potendosi invocare esigenze di
carattere unitario. La disposizione presenta inoltre aspetti di ambiguità idonei
a ledere le prerogative regionali in tema di governo del territorio: la norma,
infatti, non facendo salve – come invece il comma 36 – le sanzioni
amministrative ripristinatorie e pecuniarie, incide direttamente nell'ambito
materiale riservato alla competenza regionale.
2. Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
La difesa erariale assume
l'infondatezza del ricorso, attenendo la disposizione impugnata alla tutela dei
beni culturali, di cui il paesaggio è componente, e non al governo del
territorio, come si ricava inequivocabilmente dall'art.
146, comma 8, del Codice dei beni culturali, secondo cui l'autorizzazione
paesaggistica è atto distinto e presupposto della concessione edilizia e di ogni
altro titolo legittimante l'intervento edilizio. L'inserimento della norma
denunciata nella legge delega ambientale non è indice di un nuovo classamento
del “paesaggio”, che appartiene alla legislazione esclusiva, di cui all'art.
117, secondo comma, lettera s) della Costituzione (tutela dei beni culturali),
ma è dettato dall'esigenza di trovare, nell'emergere degli interessi locali
contrastanti, il bilanciamento degli interessi e delle competenze, in materia di
tutela del patrimonio culturale, raggiunto nel Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Quanto alle disposizioni impugnate dalla Regione Toscana, lo scopo, che è quello
di condonare i piccoli abusi siccome non confliggenti con le previsioni
urbanistiche (si tratta della semplice violazione della regola
dell'autorizzazione), giustifica l'inversione della rilevanza dell'interesse
pubblico tutelato, che imporrebbe il ripristino dell'ordine costituzionale dei
beni in conflitto nel caso di reiterazione della violazione o di significatività
della singola violazione.
La previsione di autorizzazione paesaggistica attiene alla “tutela” dei beni
culturali, e non alla loro “valorizzazione”: dunque la potestà amministrativa
regionale può esercitarsi solo nei limiti della legislazione statale di
principio. La norma ha unicamente la funzione di integrare quanto organicamente
previsto, nell'esercizio della funzione legislativa esclusiva dello Stato, dal
Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L'art. 36
(rectius: l'articolo 1, comma 36), lett. c), della legge n. 308 del
2004 opera astrattamente la valutazione di compatibilità dell'intervento
urbanistico con la tutela del paesaggio, ma fa salva la funzione dello Stato di
estremo difensore del vincolo. Promuove la collaborazione tra Stato e Regione,
ma nello stesso tempo tutela l'interesse unitario, ragione giustificatrice
dell'attribuzione costituzionale allo Stato del vincolo paesaggistico, che
condiziona l'assetto del territorio, secondo modalità di tutela che rientrano
nella discrezionalità di questo, secondo il limite della razionalità: limite che
nella specie appare rispettato.
Il riferimento alla giurisprudenza costituzionale in tema di tutela
dell'ambiente – operato dalla ricorrente – appare inconferente.
Quanto all'ipotesi, subordinatamente prospettata, di violazione dell'art. 118,
terzo comma, Cost., per la pretesa interferenza con materia di competenza
regionale senza la previsione di un'intesa, va osservato che si verte in materia
di beni culturali – ed il Codice, nella parte III, ne disciplina limiti e
coordinamento – e la competenza soprintendentizia sulla compatibilità
paesaggistica dell'abuso si alloca nella sua funzione di estrema difesa del
vincolo, di modo che la tutela del paesaggio non diventi recessiva rispetto ad
altri interessi.
L'art. 1, comma 37, della legge n. 308 del 2004 non incide sulla competenza regionale in materia paesaggistica: la Regione ha la competenza autorizzatoria in quanto cogarante della gestione del vincolo paesaggistico. La norma derogatoria introdotta, vanificando una ponderata valutazione degli interessi coinvolti negli interventi edilizi in area vincolata, non è oggettivamente in grado di abrogare le norme regionali demolitorie o ripristinatorie: la disciplina regionale troverà applicazione ove le tipologie realizzate e i materiali utilizzati non siano conformi alla pianificazione paesaggistica e siano comunque incompatibili con il contesto paesaggistico.
Con la norma derogatoria, non si sono certo lesi gli interessi locali, ma, se mai, quello dello Stato ad evitare che la tutela paesaggistica sia recessiva rispetto alla discrezionalità amministrativa dell'ente locale. Non si tratta di una sanatoria generalizzata, ma è consentito alla Regione il recupero delle competenze, per sanare la propria inerzia nell'esercizio del potere di tutela.
Considerato in diritto
1. Il giudizio di costituzionalità riguarda due norme della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., statuenti l'irrilevanza penale di determinati abusi in zona paesaggistica, per il futuro (art. 1, comma 36, lettera c), e l'estinzione dei reati paesaggistici, per il passato (art. 1, comma 37).
Per il futuro, l'art.
1, comma 36, lettera c), della legge n. 308 del 2004, introducendo i
commi 1-ter e 1-quater nell'art.
181 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio), dispone che, ferma restando l'applicazione delle
sanzioni ripristinatorie o pecuniarie previste dall'art.
167 del Codice stesso, qualora l'autorità amministrativa accerti la
compatibilità paesaggistica dell'opera abusiva, la disposizione di cui al comma
1 (che prevede una fattispecie di reato contravvenzionale, per interventi non
assistiti da autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa) non si
applica.
Le opere abusive passibili di tale inapplicabilità sono quelle, minori, indicate
alle lettere a)-b)-c) dello stesso comma 1-ter. La procedura, descritta dal
comma 1-quater, prevede che il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi
titolo dell'immobile o dell'area interessata dall'intervento, proponga istanza
all'autorità preposta alla gestione del vincolo (ovvero alla Regione o all'ente
da questa delegato) ai fini dell'accertamento di compatibilità ambientale delle
opere, la quale si pronuncia nel termine perentorio di centottanta giorni,
previo parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi nel termine
perentorio di novanta giorni.
La previsione di irrilevanza penale
di certi abusi – secondo la Regione Toscana – comporterebbe, di fatto,
l'inapplicabilità delle sanzioni ripristinatorie previste dalla normativa
regionale con riferimento agli abusi commessi nelle zone vincolate, con questo
incidendo sulla potestà regionale in materia di governo del territorio (art.
117, terzo comma, Cost.): l'irrilevanza del fatto ai fini penali, sulla base di
un accertamento di non sostanziale significatività dell'abuso, finisce per
svuotare il potere sanzionatorio regionale in materia edilizia.
Inoltre, al fine dell'inapplicabilità delle sanzioni penali, la compatibilità
paesaggistica degli interventi deve essere accertata dall'autorità competente
(la Regione, in virtù dei poteri conferitile dall'art.
146 del Codice, o l'ente da questa subdelegato) previo parere vincolante
della Soprintendenza: in tal modo lo Stato alloca sostanzialmente in capo a un
proprio organo la funzione amministrativa di valutare la compatibilità
dell'abuso in assenza di esigenze di carattere unitario, e inoltre senza la
previsione di adeguate procedure d'intesa (violazione dell'art. 118 Cost.).
Per il passato (cioè per i lavori compiuti entro e non oltre il 30 settembre 2004), l'art. 1, comma 37, della legge n. 308 del 2004 prevede esplicitamente l'estinzione del reato di cui all'art. 181, e di ogni altro reato in materia paesaggistica, previo accertamento della compatibilità paesaggistica, qualora le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell'eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, in mancanza, se siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico (lettera a), e purché i trasgressori abbiano previamente pagato la sanzione pecuniaria, maggiorata, di cui all'art. 167, e inoltre una sanzione pecuniaria aggiuntiva, determinata dall'autorità amministrativa (lettera b), n. 1 e n. 2).
La previsione di estinzione dei reati paesaggistici commessi fino al 30 settembre 2004 presenta, ad avviso della Regione ricorrente, gli stessi profili di incostituzionalità, richiamati nella denuncia di illegittimità del comma 36: la riscontrata compatibilità con il paesaggio sottrae l'opera abusiva alle misure ripristinatorie, e ciò anche se la normativa regionale preveda la demolizione e la restituzione in pristino degli abusi nelle aree vincolate. La norma, inoltre, non facendo salve – come invece fa il comma 36 – le sanzioni amministrative ripristinatorie e pecuniarie, incide direttamente nell'ambito materiale riservato alla competenza regionale in tema di governo del territorio.
2. Le questioni proposte non sono fondate.
Pur se la difesa articolata dall'Avvocatura dello Stato giustifica le norme impugnate quali espressione del potere legislativo statale in materia di “tutela dei beni culturali”, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., appare assorbente la constatazione che la disciplina contenuta nei commi 36 e 37 dell'art. 1 della legge n. 308 del 2004 attiene strettamente al trattamento penale degli abusi, il che induce a commisurare l'intervento legislativo statale, pur se relazionato alla materia dell'ambiente e dei beni culturali, al parametro dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (“ordinamento penale”).
Sul punto, occorre ricordare che il
potere di incidere sulla sanzionabilità penale spetta solo al legislatore
statale, cui va riconosciuta discrezionalità in materia di estinzione del reato
o della pena, o di non procedibilità (di recente, sentenza n. 70 del 2005, ma il
principio è dichiarato, anche in tema di interventi edilizi, nella sentenza n.
196 del 2004, e in altre precedenti: n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e n. 487
del 1989.
La considerazione del trattamento penale assume, d'altro canto, preminenza agli
effetti delle competenze legislative, pur nella generica riconducibilità ad
altra materia delle norme precettive la cui violazione è sanzionata (sentenza
384 del 2005).
L'irrilevanza penale dell'abuso non tocca gli aspetti urbanistici, per i quali
le Regioni non vedono scalfita la loro competenza nella previsione delle
sanzioni amministrative in materia edilizia. Per la sanatoria degli abusi
edilizi vige il principio, enunciato dalla sentenza n. 196 del 2004,
dell'autonomia delle sanzioni amministrative rispetto a quelle penali: a maggior
ragione il principio va ribadito ove l'intervento legislativo sulla rilevanza
penale degli abusi riguardi gli aspetti sanzionatori concernenti la materia,
distinta, della tutela paesaggistica. E' del resto pacifico nella giurisprudenza
penale e amministrativa che la valutazione espressa in sede di giudizio penale
per il reato paesaggistico non vincola le determinazioni amministrative in
materia edilizia.
L'art.
1, comma 36, lettera c), fa salva, d'altro canto, l'applicazione delle
sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all'art.
167, che sono quelle in materia paesaggistica. A maggior ragione, è da
ritenere salva l'applicabilità delle sanzioni amministrative che colpiscono gli
abusi edilizi, che la Regione può opportunamente disciplinare nell'ambito della
propria competenza di dettaglio in materia di governo del territorio.
Riguardo all'estinzione dei reati pregressi (art. 1, comma 37), anche a tacere
della genericità delle censure della Regione, che si limitano a richiamare le
argomentazioni già svolte a proposito del comma 36, vale la considerazione della
finalità esclusivamente penalistica della norma impugnata: questa non si occupa
delle sanzioni amministrative in materia edilizia. Né può trarsi argomento
pregiudicante le competenze regionali dalla rilevata assenza di riserva, a
differenza che nel comma 36, di applicabilità delle sanzioni amministrative
(paesaggistiche).
Non può sfuggire che, per gli abusi passati, la norma impugnata ammette l'estinzione del reato, sempre previo accertamento di compatibilità paesaggistica, ma anche a condizione che (art. 1, comma 37, lettera b, n. 1): «i trasgressori abbiano previamente pagato la sanzione pecuniaria di cui all'art. 167 maggiorata da un terzo alla metà».
Le sanzioni amministrative a tutela del paesaggio restano applicabili, pur se limitate alla tipologia pecuniaria, attesa la minima rilevanza degli abusi: a maggior ragione va ritenuta l'autonomia e l'eventuale applicabilità, ove ne ricorrano i presupposti, delle sanzioni a presidio di tutti gli altri valori che convergono sul territorio, in particolare di quelle in materia edilizia, di competenza regionale.
3. Con la previsione del parere
vincolante della Soprintendenza nella procedura di accertamento di conformità,
che si conclude con un atto di competenza della regione o dell'ente locale
delegato, si finisce per attribuire la decisione ad un organo statale. Ciò –
secondo la Regione ricorrente – sarebbe contrario all'art. 118 Cost., in
mancanza di esigenze unitarie, e senza che siano intervenute intese.
Riguardo alle due norme oggetto del presente giudizio di costituzionalità, delle
quali solo la prima conferisce al parere della Soprintendenza carattere
vincolante, va ribadito che gli effetti dell'accertamento di conformità appaiono
limitati alla punibilità degli abusi, che non investe le sanzioni
amministrative, né quelle edilizie, ma neppure quelle paesaggistiche.
Ai fini del riparto delle competenze, dunque, la potestà autorizzatoria
regionale non appare scalfita, posto che l'accertamento postumo di compatibilità
paesaggistica non comporta autorizzazione in sanatoria (inammissibile alla luce
dell'art. 146, comma 10, lettera
c), e che la modifica dell'art. 181 del Codice non tocca la disciplina
autorizzatoria in materia di tutela dei beni paesaggistici.
Il comma 1-quater dell'art. 181 del Codice, come aggiunto dall'art. 1, comma 36, lettera c), della legge n. 304 del 2004, non fa altro che rendere applicabile, su iniziativa dell'interessato, il modello di procedimento regolato dall'art. 143 per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, estrapolando dalla sequenza degli atti – il provvedimento finale è emesso dall'organo titolare della funzione autorizzatoria, la Regione, appunto, o il Comune delegato – il parere di un organo statale, la Soprintendenza, ai soli fini del riscontro delle condizioni oggettive di irrilevanza penale degli interventi in assenza o in difformità dell'autorizzazione: l'uniformità di metodi di valutazione sul territorio nazionale, che è inerente al trattamento penale degli abusi, è tale da giustificare la “chiamata in sussidiarietà” dello Stato nelle funzioni amministrative (sentenza 384 del 2005).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 36, lettera c), e comma 37, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2006.