EDILIZIA E URBANISTICA - 115
T.A.R. Lombardia, Sezione di Brescia, 23 maggio 2005, n.
541
Del rapporto tra volumetrie edificate, frazionamento del
lotto e strumento urbanistico sopravvenuto recante nuova disciplina.
Del divieto di rilasciare titoli abilitativi in violazione di diritti di terzi
ma dei limiti al dovere del Comune di indagini circa la situazione dei diritti
dominicali e della composizione degli interessi privati.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1073 del 1999 proposto da N.C. rappresentato e difeso dagli Avv.ti B.S., S.G. e F.C., elettivamente domiciliati in ...
contro
COMUNE DI CAROBBIO DEGLI ANGELI, non costituito
e nei confronti
di L.D. e V.M. rappresentati e difesi dagli Avv.ti F.D. e E.C., elettivamente domiciliati in ...
per l’ANNULLAMENTO della concessione edilizia n. 80 del 25.2.1999 rilasciata ai controinteressati e la concessione edilizia n. 33 del 30.4.1999 in variante.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione dei controinteressati con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato quale relatore, alla pubblica udienza del 6.5.2005 il dott.
Stefano Mielli;
Uditi i difensori delle parti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente impugna la concessione edilizia rilasciata dal Comune al
controinteressato per l’ampliamento di un laboratorio artigianale su un
lotto derivante da frazionamento di un’area originariamente considerata in
modo unitario.
In particolare deduce di aver realizzato su un lotto ricompreso nell’ambito
di un piano di lottizzazione industriale del 1979, un edificio che ha
interessato una superficie coperta di mq. 552,75 e un volume di mc.
5.178,89.
Poiché per la disciplina urbanistica al tempo vigente sul lotto si sarebbe
potuta realizzare una superficie coperta di mq. 582,57, per un volume
complessivo di mc. 6.116,98, residuava una potenzialità edificatoria per una
superficie di 28,82 mq.
Il ricorrente nel 1993, a seguito di frazionamento, ha quindi venduto agli
odierni controinteressati, i Sigg. M. e M., una porzione
dell’immobile unitamente all’area pertinenziale nonché una parte della
cubatura residua realizzabile per 20 mq. di superficie.
Il Comune ha rilasciato ai Sigg. M. e M. una concessione edilizia prot. n. 3859/98 del 25.2.1999 ed una successiva concessione in variante prot. n. 1327/99 del 30.4.1999 per l’ampliamento dell’edificio, adibito a laboratorio artigianale, per una superficie di mq. 109,83.
Il Sig. C. impugna la concessione edilizia, dopo averne ottenuta copia dal Comune, con ricorso notificato il 17.9.1999 e depositato il successivo 21.9.1999, con unico ed articolato motivo, per le seguenti censure:
I) violazione e falsa applicazione della normativa locale con riferimento alle prescrizioni dell’originario piano di lottizzazione nonché violazione dello strumento urbanistico generale per il superamento fraudolento dei parametri edificatori dell’originario piano attuativo nonché eccesso di potere per ingiustizia ed illogicità manifeste, pretestuosità, travisamento dei fatti, contraddittorietà, sviamento, erronea rappresentazione delle situazioni di fatto e di diritto, carenza di istruttoria;
II) violazione dell’articolo 907 c.c. in quanto l’ampliamento verrebbe realizzato ad una distanza inferiore a tre metri dalla veduta del ricorrente;
III) violazione dell’art. 873 del c.c. in quanto il controinteressato avrebbe realizzato un fabbricato interrato addossato alla proprietà del ricorrente, in violazione della normativa sulle distanze tra gli edifici.
Con ordinanza della Camera di consiglio dell’8.10.1999, alla quale non si erano costituiti in giudizio né il Comune né i controinteressati, è stata accolta l’istanza cautelare.
I controinteressati hanno proposto appello al Consiglio di Stato il quale,
con ordinanza n. 40 dell’11.1.2000, ha respinto l’istanza di sospensione del
provvedimento impugnato proposta in primo grado.
Le parti hanno presentato memorie a sostegno delle proprie difese e, nella
pubblica udienza del 6 maggio 2005, la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
2. Oggetto della prima censura è la capacità edificatoria dell’area,
ottenuta per frazionamento dell’originale mappale, sulla quale il Comune ha
autorizzato con l’impugnata concessione un ampliamento di mq. 109,83 anziché
nella minore misura che residuava sulla base dell’originario piano di
lottizzazione del 1979.
Sul punto è necessario osservare che è vero che la realizzazione di un
edificio su un fondo originariamente unico è idonea a determinare una
situazione di asservimento, quanto a volumetria ulteriormente edificabile
dall'altra parte del fondo, con la conseguenza che, sulla situazione così
determinata, non influisce il successivo frazionamento del fondo in più
lotti, dovendosi tener conto, ai fini del calcolo della volumetria
edificabile residua, della situazione determinata dalla parziale
utilizzazione, da parte dell'originario ed unico proprietario, della
volumetria globalmente disponibile.
Tuttavia, come affermato dalla giurisprudenza anche di questa Sezione, tale principio trova applicazione solo qualora il frazionamento dell’area avvenga in un momento successivo all’adozione dello strumento urbanistico e non anche quando questo sia avvenuto ed abbia dato luogo ad una situazione ormai consolidatasi alla data di adozione di un nuovo strumento urbanistico (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, 22 marzo 2004, n. 236).
Nel caso di specie il frazionamento è avvenuto nel 1993 e nel costituirsi in giudizio i controinteressati hanno dimostrato che il Comune si è dotato di un nuovo piano regolatore generale, adottato con deliberazione del Consiglio comunale n. 3 del 25.1.1994 e definitivamente approvato con deliberazione della Giunta regionale n. VI/17510 del 1.8.1996, il quale ha ricompreso le aree su cui insistono gli immobili in zona territoriale omogenea D1 (zone produttive esistenti e di completamento) disciplinate dall’art. 28 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore generale.
Per effetto della disciplina urbanistica sopravvenuta è stato attribuito un indice di edificabilità che contempla un rapporto massimo di copertura del 50 per cento della superficie territoriale: l’impugnata concessione edilizia ha pertanto riconosciuto l’aumento volumetrico conseguente al mutatamento della disciplina urbanistica che ha attribuito nuovi indici di edificabilità applicabili anche ai lotti ottenuti a seguito del frazionamento di quelli originari.
Tenendo conto della potenzialità edificatoria residua ottenuta previa
detrazione del volume esistente (mq. 89,83) ed aggiungendo a questa la
cubatura trasferita con l’atto di acquisto del 1993 (pari a mq. 20), si
ottiene l’edificabilità per una superficie di mq. 109,83, che è quella
assentita con la concessione impugnata.
Peraltro la circostanza che il nuovo piano regolatore abbia considerato i
nuovi lotti risultanti da frazionamenti medio tempore intervenuti, si ricava
indirettamente anche dalla disposizione del menzionato art. 28 delle norme
tecniche di attuazione che riconosce un ampliamento una tantum di mq. 20
relativamente anche ai lotti che abbiano ormai esaurito la propria capacità
edificatoria.
Ebbene, come risulta dalle allegazioni prodotte dai controinteressati, lo
stesso ricorrente ha ottenuto, in forza di tale previsione, la concessione
edilizia n. 65/98 prot. n. 2132/98 del 28.1.1999 per l’ampliamento del
proprio laboratorio artigianale.
In tale contesto risulta pertanto parimenti priva di fondamento la pretesa
avanzata dal ricorrente, con memoria depositata il 22 aprile 2005, di
utilizzare in modo proporzionale sulla propria proprietà la nuova volumetria
assentibile sul lotto dei controinteressati.
Infatti il ricorrente ha esaurito quasi interamente la capacità edificatoria
del proprio lotto per effetto della cessione di cubatura ai
controinteressati ed ha usufruito, su tale presupposto, dell’aumento
volumetrico riconosciuto una tantum dal nuovo piano regolatore.
La sua pretesa comporterebbe un’inammissibile duplicazione dei benefici
riconosciuti dalla disciplina urbanistica sopravvenuta, azzerando gli
effetti della cessione di cubatura e disconoscendo gli effetti del
frazionamento dei lotti intervenuto antecedentemente al nuovo piano
regolatore.
Pertanto le doglianze volte a censurare i provvedimenti impugnati per
eccesso di potere e per la violazione e falsa applicazione dei parametri
edificatori dell’originario piano attuativo, sono infondate.
3. Con ulteriori censure il ricorrente lamenta che la concessione edilizia
rilasciata ai controinteressati violerebbe l’articolo 907
del c.c. in quanto la nuova edificazione risulterebbe ad una distanza
inferiore a tre metri dalla preesistente veduta del ricorrente sul fondo
contiguo e l’art. 873 del c.c., in quanto il controinteressato avrebbe realizzato un fabbricato
interrato addossato alla proprietà del ricorrente in violazione della
normativa sulle distanze tra gli edifici.
Entrambe le doglianze sono infondate.
Quanto alla prima i controinteressati contestano che nel caso di specie,
trattandosi di un terrazzo, non si tratterebbe di una veduta e che in ogni
caso, essendo rispettata la distanza di un metro e mezzo dal confine,
risulterebbe rispettata la prescrizione di cui all’art. 905 c.c.
In disparte ogni considerazione circa la non pertinenza di tali
controdeduzioni (infatti il terrazzo costituisce una veduta ai sensi
dell’art. 900 c.c.: cfr. Cass., 10 dicembre 1991, n. 13270; l’art. 905
del c.c. riguarda la distanze per l’apertura di finestre o balconi, mentre, nel
caso di specie, trattandosi di distanze delle costruzioni dalle vedute
preesistenti, viene in rilievo l’art. 907 c.c.) nel merito della prima delle
menzionate censure si deve osservare che né dal ricorso, né dalle
planimetrie depositate (cfr. documenti 7 e 8 allegati al ricorso) emergono
elementi utili a ricomporre una sia pur sommaria ricostruzione dello stato
dei luoghi, con la conseguenza che non è possibile individuare l’ubicazione
della veduta rispetto all’ampliamento realizzato dai controinteressati né,
di conseguenza, la distanza tra gli stessi.
Comunque, anche prescindendo dalla indeterminatezza della censura, deve in ogni caso osservarsi che i Comuni, pur non potendo rilasciare titoli edificatori quando vi sia lesione dei diritti reali dei terzi, non sono tuttavia tenuti a indagare d’ufficio la situazione dominicale alla ricerca di una bilanciata composizione degli interessi dei privati. Questi ultimi, infatti, conservano il potere di tutelarsi davanti al giudice ordinario nei confronti dei vicini che attraverso atti amministrativi abbiano ottenuto una posizione di vantaggio in contrasto con i diritti reali esistenti (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, 27 ottobre 2004. n. 1430).
La pretesa illegittimità della concessione edilizia deve pertanto essere posta in correlazione da un lato con le vicende che hanno riguardato l’immobile e la sua conformazione: il frazionamento ha creato la suddivisione di un edificio unitario e l’ampliamento realizzato dai controinteressati non fronteggia la proprietà del ricorrrente ma concerne la sagoma dell’immobile contiguo; dall’altro con la considerazione che la norma dell'art. 907 c.c., relativa alla distanza delle costruzioni dalle vedute, è a protezione di interessi privati in quanto ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quelli dell'art. 873 c.c., il quale disciplina invece la distanza tra le costruzioni al fine di evitare la formazione di intercapedini nocive e, pertanto, la distanza di tre metri può essere convenzionalmente diminuita attraverso l’accordo delle parti.
Nel caso di specie la concessione edilizia non può quindi essere censurata per il mancato svolgimento, da parte del Comune di approfondite indagini, alle quali non era tenuto, circa l’eventuale insussistenza del consenso da parte del ricorrente, il quale, peraltro, aveva effettuato il trasferimento di cubatura in favore dei controinteressati proprio per la realizzazione dell’ampliamento oggetto di contestazione.
Relativamente alla denunciata violazione delle norme sulle distanze tra edifici di cui all’art. 873 c.c. per la realizzazione di un fabbricato interrato addossato alla proprietà del ricorrente, è sufficiente osservare che, in mancanza di espresse prescrizioni contrarie degli strumenti urbanistici comunali, nulla vieta la costruzione in appoggio o in aderenza all’edificio confinante come si ricava dall’espressa dizione della norma citata. Pertanto, anche sotto tale profilo, l’impugnata concessione edilizia risulta esente dai denunciati vizi di illegittimità.
In definitiva il ricorso è infondato.
Le spese seguono la soccombenza, e vengono liquidate in € 2.800 oltre ad oneri di legge, a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente a corrispondere ai controinteressati la somma liquidata in motivazione, oltre ad oneri di legge. Nulla per il Comune che non si è costituito in giudizio.
Così deciso, in Brescia, il 6 maggio 2005, dal Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Mauro Pedron, Giudice
Stefano Mielli, Giudice est.