EDILIZIA E URBANISTICA - 097
Consiglio di Stato, sezione V, 23 gennaio 2004, n. 200 (conferma T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 11 giugno 2002, n. 459)
In tema di contributi di concessione l’impugnativa della delibera comunale che disciplina tali contributi deve avvenire nei termini brevi di decadenza, a nulla rilevando che la materia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva e la posizione di debito-credito sia di diritto soggettivo. Il regime processuale del giudizio si diversifica in relazione alla natura delle situazioni  dedotte, restando azionabili nei termini di decadenza gli interessi legittimi (vulnerati dagli atti generali di imposizione del contributo) ed in termini di prescrizione i diritti soggettivi (l'an e il quantum dovuto per la singola concessione)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta Anno 2002

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 10870 del 2002, proposto dal Comune di Salerno, rappresentato e difeso dall’avv. A.B., elettivamente domiciliato presso ...

contro

la Società E.D., rappresentata e difesa dall’avv. L.L. ed elettivamente domiciliata presso l’avv. G.G. in ...

per l'annullamento della sentenza del T.A.R. la Campania, Salerno, Sez. II, 11 giugno 2002 n. 459, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della s.a.s. E.D.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 4 novembre 2003 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avvocati B. e L.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato accolto, in parte, il ricorso proposto dalla Società E.D. avverso il provvedimento del Comune di Salerno di determinazione dei contributi per oneri di urbanizzazione, in relazione alla concessione edilizia per la ristrutturazione ed ampliamento di un complesso immobiliare sito in perimetro di Consorzio A.S.I. (area di sviluppo industriale).
La Società aveva anche impugnato le deliberazioni della G.M. n. 4753 del 1990, n. 415 del 1994 e n. 195 del 1990 relative al computo dei contributi di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977.
Il T.A.R., respinta l’eccezione comunale di tardività dell’impugnazione da ultimo ricordata, ha ritenuto che il contributo per opere di urbanizzazione primaria non fosse dovuto in quanto l’onere delle opere di urbanizzazione dell’area consortile faceva ormai capo al Consorzio ai sensi della legge regionale n. 16 del 1998.
Il Comune di Salerno ha proposto appello avverso la decisione, assumendone l’erroneità e chiedendone la riforma.
La Società appellata si è costituita per resistere al gravame ed ha proposto altresì appello incidentale per contestare il capo di sentenza che ha ritenuto dovuto il contributo per opere di urbanizzazione secondarie.

Alla pubblica udienza del 4 novembre2003 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il primo motivo di appello concerne il mancato accoglimento della eccezione di inammissibilità del ricorso che l’Amministrazione ha sollevato in prime cure osservando che deliberazioni della G.M. n. 4753 del 1990, n. 415 del 1994 e n. 195 del 1990 relative al computo dei contributi di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977, non erano state impugnate tempestivamente.
Il Comune sostiene che l’impugnato provvedimento di determinazione del contributo per oneri di urbanizzazione costituisce mera applicazione delle dette determinazioni di natura regolamentare, alle quali andrebbe ricondotto l’effetto lesivo lamentato dalla ricorrente. Si assume, pertanto, che le stesse dovevano essere impugnate direttamente entro il termine di decadenza, decorrente dal momento in cui gli interessati hanno dimostrato di conoscerle, citandole nella nota di autodeterminazione del contributo dovuto.

Il T.A.R. ha rigettato l’eccezione osservando che nella materia degli oneri connessi alla concessione di costruzione, oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 della legge n. 10 del 1977, il contenzioso attiene a giudizi su un rapporto di natura obbligatori concernente diritti, e pertanto il ricorso è proponibile nel termine di prescrizione e non di decadenza.
Ritiene il Collegio che la motivazione del primo giudice non possa essere condivisa, anche se la censura in esame deve essere, per altra regione, disattesa.
La giurisprudenza afferma costantemente, infatti, che, se è vero che nei casi di giurisdizione esclusiva un intero corpo normativo è devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo, è vero altresì che il regime processuale dell’atto introduttivo del giudizio si diversifica in relazione alla natura delle situazioni soggettive dedotte, restando azionabili nei termini di decadenza gli interessi legittimi ed in termini di prescrizione i diritti soggettivi (Cons. St., Sez. V, 26 gennaio 1985, n. 44; negli stessi termini, ora Ad. Plen., 26 marzo 2003, n. 4).

Nella materia in esame, infatti, può darsi che la determinazione del contributo sia affetta da vizi propri, perché afferenti, ad esempio, ad un computo errato, ed in quanto tali determinano la lesione di un diritto. In tal caso va seguito l’indirizzo giurisprudenziale citato dal primo giudice (Sez. V, 9 febbraio 2001, n. 584), riguardante l’accertamento dell’entità di una obbligazione di carattere pecuniario.

Ma quando si intenda contestare l’applicazione del contributo per vizi derivanti da atti autoritativi generali, presupposti di quello impugnato, in relazione ai quali la posizione dell’interessato è qualificabile di interesse legittimo, perché il motivo dedotto è l’illegittimità dell’assoggettamento all’onere di urbanizzazione di una concessione edilizia che dovrebbe esserne esente, il ricorso deve essere proposto entro il termine di decadenza.
Con la precisazione, tuttavia, che, diversamente da quanto sostenuto dal Comune appellante, il termine da osservare è quello decorrente dalla conoscenza, legale o effettiva, dell’atto di determinazione del contributo, non dell’atto generale (Sez. V, n. 44 del 985, citata dallo stesso Comune).
E ciò perché, secondo l’insegnamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, l’atto generale pregiudizievole non deve essere impugnato immediatamente, ma unitamente all’atto applicativo, che rende attuale e concreta la lesione, così radicando l’interesse alla reazione in sede giurisdizionale. Il principio, di recente oggetto di un approfondito vaglio critico, è stato solennemente riconfermato (Ad. Plen. 29 gennaio 2003 n. 1), salve le circoscritte ipotesi di provvedimenti generali, come i bandi di concorso, le cui clausole, provocando la esclusione di alcuni soggetti dalla procedura, ne ledono il relativo interesse in via immediata e concreta.
Nella specie l’atto di determinazione del contributo è stato impugnato nei termini, e pertanto risulta ammissibile la contestazione svolta nei confronti del medesimo nonché degli atti presupposti, esplicitamente menzionati nel ricorso di primo grado.

Va precisato che l’atto introduttivo deve intendersi rivolto anche contro la deliberazione della G.M. 25 maggio 1979 n. 98, benché non espressamente menzionata nel ricorso, dovendo considerarsi, per un verso, che le censure svolte nel ricorso di primo grado si riferivano appunto alla statuizione relativa all’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione anche in zone a.s.i., contenuta in tale provvedimento (punto 4 del dispositivo); e, per altro verso, che la deliberazione n. 98 del 1979 viene costantemente riportata e, per così dire, incorporata nelle determinazioni esplicitamente oggetto di impugnazione.
A tale riguardo, il Comune con la memoria del 31 ottobre 2003, depositata tardivamente con il consenso della controparte, ha svolto un ulteriore motivo di appello, rappresentando che la deliberazione del 1979 n. 98 cit., e così pure la presupposta deliberazione del Consiglio Regionale della Campania 28 luglio 1977 n. 119/1, non erano state impugnate.

Tali motivi sono, tuttavia, sono inammissibili.

La giurisprudenza, infatti, insegna che in applicazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., il divieto dello jus novorum, anche nel processo amministrativo, non riguarda le nuove eccezioni rilevabili d’ufficio, sempre che tali eccezioni (relative al ricorso introduttivo) siano fatte valere con motivi di appello (Cons. St., Sez VI 6 giugno 2000, n. 3209). Ma nella specie, è agevole verificare che l’atto di appello non fa menzione della mancata impugnazione delle delibere comunale del 1979 e regionale del 1997, citate, e che la questione è stata proposta soltanto con la suddetta memoria.

Tutto ciò premesso, può passarsi all’esame del merito, che, come accennato, concerne il versamento di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria in relazione ad una concessione edilizia di ristrutturazione e ampliamento di immobile sito all’interno del perimetro di un consorzio a.s.i..
L’Impresa ricorrente, odierna appellata, nega di essere tenuta al pagamento sulla base delle disposizioni legislative concernenti i consorzi a.s.i., che hanno previsto e disposto l’impegno finanziario della Cassa per il Mezzogiorno e degli stessi consorziati, e anche alla stregua della legge della Regione Campania 13 agosto 1998 n. 16, che pone l’onere delle opere di urbanizzazione a carico dei consorzi, sgravandone il bilancio comunale, per cui l’esborso al favore del Comune produrrebbe un ingiustificato arricchimento.

Il Comune, opponendosi alla pretesa, ribadisce che il contributo è dovuto, sia perché di natura para tributaria, che lo svincola dalla effettiva esecuzione delle opere o dai benefici che il privato possa riceverne; sia, perché, in ogni caso, anche nell’area del Consorzio a.s.i. di Salerno molte infrastrutture di base sarebbero state eseguite proprio dal Comune con propri fondi.
A sostegno della propria tesi l’appellante invoca la consolidata giurisprudenza che ha messo in evidenza la diversa natura del contributo per oneri di urbanizzazione dovuto dal titolare della concessione edilizia rispetto al corrispettivo dovuto per la concessione di un diritto di superficie, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 865 del 1971. Mentre quest’ultimo deve corrispondere esattamente al costo di acquisizione delle aree e delle opere di urbanizzazione, il primo si determina in base a parametri fissati in via generale ed è dovuto anche se non corrisponde a costi effettivi o specifici benefici (Cons. St., Sez. V, 3 luglio 2003 n. 3983 e giurisprudenza ivi citata).
Ritiene il Collegio che il principio da ultimo richiamato non sia idoneo a risolvere il quesito in esame, che verte essenzialmente non sulla natura dell’onere di urbanizzazione, in ordine al quale meritano conferma le ricordate acquisizioni della giurisprudenza, quanto piuttosto sull’incidenza della normativa che specificamente regola le competenze dei consorzi a.s.i. in materia di opere di urbanizzazione, sul potere dell’ente comunale di pretendere gli oneri di urbanizzazione quanto alle concessioni relative all’attività edificatoria ricadente nel perimetro del consorzio.

A tale riguardo, va richiamato, in primo luogo, il principio evocato dai primi giudici che, secondo la disciplina dell’attività edilizia dettata dalla legge n. 10 del 1977, quando le opere di urbanizzazione sono realizzate dal privato concessionario lo stesso non è tenuto al pagamento del relativo onere. L’art. 11 comma 1 non lascia adito a dubbi circa la possibilità che lo scomputo della quota di contributo di cui all’art. 5 (oneri di urbanizzazione) possa essere anche totale, quando l’interessato si assuma il relativo obbligo. Né il principio risulta contraddetto dalla giurisprudenza citata più sopra, che si riferisce al caso che il richiedente della concessione, senza assumersi l’onere delle opere, pretenda di verificare in concreto se al contributo richiestogli in applicazione dei parametri prefissati, corrispondano esborsi effettivi del comune allo stesso scopo.
La facoltà configurata in favore del privato di esimersi dal pagamento del contributo di urbanizzazione, assumendo a proprio carico la realizzazione delle opere, non può non esprimere un principio di portata generale, in base al quale il Comune non ha titolo per pretendere il contributo per l’urbanizzazione se questa viene realizzata da un altro soggetto, che se ne assume l’onere.

Il principio sembra potersi correttamente applicare alla vicenda in esame in cui l’onere delle opere di urbanizzazione viene assunto da un soggetto diverso dal comune, che non è il privato concessionario, ma il Consorzio a.s.i., il quale a norma dell’art. 4, comma 3, della legge regionale n. 16 del 1998 (conformemente alla normativa precedente, come si dirà tra breve), progetta e realizza le opere di urbanizzazione e i servizi, attrezzando gli spazi pubblici o destinati alle attività collettive, a verde pubblico ed a parcheggi, sollevando il bilancio comunale dai relativi impegni finanziari.
La detta legge regionale ha anche minutamente disciplinato i piani regolatori delle aree di sviluppo industriale, configurandoli come gli strumenti competenti a disporre in via esclusiva l’assetto del territorio su cui è costituito il consorzio, considerato che è fatto obbligo ai comuni di adeguare i piani urbanistici alle previsioni del piano consortile (art. 11, comma 8). In tal modo il potere comunale di pianificazione urbanistica non può esercitarsi all’interno del perimetro dell’a.s.i., con intuibili riflessi di riduzione degli impegni finanziari per interventi infrastrutturali.

Può dirsi che con la legge regionale campana sia giunto a compimento il processo di conformazione dell’ente responsabile, in sede locale, dell’intervento pubblico per l’industrializzazione del mezzogiorno, che era cominciato molti anni prima, secondo linee di orientamento sostanzialmente coincidenti.
Senza risalire troppo analiticamente indietro nel tempo, è sufficiente, a tale proposito, ricordare l’art. 50 del d.P.R. 6 marzo 1978 n. 218 (t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno) recante l’istituzione dei consorzi per realizzare le “opere di attrezzatura della zona” industriale, e il successivo art. 51 che demandava ai consorzi l’approvazione dei piani regolatori delle aree, che al comma 8, venivano qualificati come piani territoriali di coordinamento di cui agli artt. 5 e 6 alla legge n. 1150 del 1942.
Seguì la legge 5 ottobre 1991 n. 317, art. 35, che attribuì ai consorzi la natura di enti pubblici economici (comma 4) e che ne ampliò la competenza a predisporre, non più solo allacciamenti stradali e ferroviari, energia e gas, come nell’art. 50 del d.P.R. n. 218 del 1978, ma anche tutte “le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo delle attività produttive”, tra cui servizi di orientamento professionale “e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione industriale”.
Con linguaggio più maturo la legge della Regione Campania n. 16 del 1998 assegna ai consorzi la realizzazione delle opere di urbanizzazione, di attrezzatura degli spazi pubblici, dei servizi collettivi, dei parcheggi e dei depuratori.

L’art. 6 chiarisce che i compiti del consorzio sono svolti mediante l’impiego di mezzi finanziari che non prevedono il concorso del comune, salvo che per il conferimento all’atto della costituzione consorzio.

Sorge dunque il problema della compatibilità con il riferito quadro normativo dei precetti di cui alla legge n. 10 del 1977 che impongono la corresponsione a favore del comune degli oneri di urbanizzazione, senza enunciare esenzioni per le attività edilizie all’interno di un comprensorio nel quale i relativi oneri fanno capo al Consorzio e non al Comune.
L’appellante non manca di segnalare che la giurisprudenza si è già espressa sul punto in senso contrario all’esenzione dall’onere ( Cons. St., Sez. V, 6 ottobre 1986 n. 504), ma il precedente non appare decisivo, posto che la fattispecie decisa riguardava contributi per opere urbanizzazione secondaria, i soli che il comune pretendeva di percepire. La motivazione poneva in evidenza che lo sviluppo all’interno di un comune di un’area di sviluppo industriale determina esigenze di adeguamento delle strutture esterne al perimetro del consorzio a.s.i., che si definiscono sinteticamente come aumento del carico urbanistico in settori estranei alla competenza pianificatoria, attuativa e conservativa propria del consorzio medesimo.
Con riferimento agli oneri dell’urbanizzazione secondaria, il Collegio non ritiene di doversi discostare da tale orientamento.
Milita nel senso della compatibilità dell’onere per l’urbanizzazione secondaria con la partecipazione al consorzio industriale il raffronto tra due dati normativi. Il primo è rappresentato dall’elenco delle opere definite di urbanizzazione secondaria (legge 29 settembre 1964, n. 847, art. 4, oggi art. 16, comma 8, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), che testimonia della sostanziale estraneità delle stesse alle esigenze tipiche della produzione industriale, dovendosi ammettere che ben difficilmente il piano regolatore consortile programmerà la realizzazione di scuole, mercati di quartiere, delegazioni comunali o chiese, tutte strutture tipiche delle aree residenziali. Appare plausibile al contrario che un fiorente insediamento industriale determinerà incrementi di popolazione, generando nuova domanda di servizi sociali.
L’altro dato è offerto dall’art. 4 della legge regionale n. 16 del 1998 che nell’elencare i possibili contenuti dei piani regolatori dell’area, si sofferma sulle strutture funzionali all’attività industriale e commerciale, che, pur contemplando aspetti connessi all’assetto del territorio, come i parcheggi e il verde, non intendono coprire l’intero arco dei bisogni dell’attuale vita collettiva, cui tende invece l’urbanizzazione secondaria.

Occorre quindi respingere il ricorso incidentale, con il quale l’appellata Società concessionaria ha sostenuto che la legge regionale, non distinguendo tra urbanizzazione primaria e secondaria, avrebbe posto a carico del Consorzio anche le opere relative alla seconda. Come si è detto l’art. 4 della l.r. n. 16 del 1998, solo in apparenza non distingue tra le due categorie di interventi, perché l’esame del testo completo consente di interpretare la competenza consortile nel senso più sopra accolto.
Per le opere di urbanizzazione primaria, invece, la tesi comunale non può essere condivisa, perché, come si è illustrato più sopra, l’ordinamento poneva e pone il relativo onere a carico di un soggetto diverso dal Comune, che interviene con finanziamenti diversi da quelli comunali, e che, in base alla convenzione stipulata con la singola impresa, può chiamarla a contribuire alla realizzazione dell’opera.
Ne consegue che la corresponsione al Comune degli oneri dell’urbanizzazione primaria rappresenterebbe una duplicazione a carico dell’impresa, e darebbe vita ad una forma di arricchimento senza causa da parte del Comune.

L’appellante, in senso contrario, fa rilevare che deve ritenersi erronea l’affermazione, contenuta nella perizia di parte depositata dalla ricorrente in primo grado, secondo cui tutte le infrastrutture realizzate all’interno dell’area industriale in questione sono state realizzate a carico della Cassa per il Mezzogiorno o dal Consorzio, potendosi dimostrare, con la documentazione allegata agli atti, che il Comune ha eseguito a carico del proprio bilancio in area a.s.i. interventi di manutenzione stradale e di installazione dell’illuminazione.

L’obiezione non muta efficacemente i profili della questione.

In linea di fatto, l’Amministrazione non ha contestato il cospicuo e puntuale elenco di opere afferenti alla costruzione, a carico della Cassa per il Mezzogiorno, di strade, di impianti di illuminazione e di canalizzazioni contenuto nella perizia di parte, onde si può considerare accertato che le strutture essenziali dell’area hanno fatto carico a finanziamenti diversi da quelli comunali. Rispetto alla mole di tali lavori, le attestazioni prodotte dal Comune, che concernono per lo più interventi di manutenzione di strade preesistenti, si rivelano inidonee a modificare la sostanza dei fatti.
In linea di diritto, va ribadito che il C.A.S.I. di Salerno è stato costituito ai sensi della legislazione sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno e ad esso si applicava quindi la normativa in materia richiamata in precedenza. In particolare, assume rilievo l’art. 49 del d. P.R. 6 marzo 1978, n. 718, che esplicitamente pone a “totale” carico della Cassa “le strutture di carattere collettivo necessarie” alla attrezzatura delle aree di sviluppo industriale, e la perizia, non contesta sul punto, ha dimostrato che il relativo l’impegno finanziario ha avuto, effettivamente, corso.
Ne consegue che gli interventi posti in essere dal Comune nella stessa area non possono legittimare la imposizione al concessionario di un concorso alle spese per il solo fatto che sono stati eseguiti, ostandovi il diverso regime cui, nelle aree a.s.i., sono soggette le opere di urbanizzazione primaria quanto ad imputazione dell’onere finanziario.

In conclusione l’appello non può essere accolto.

Occorre notare, in fine, che esulano dalla materia del contendere le proposizioni della decisione impugnata relative allo scomputo del maggior valore riconoscibile alle opere di urbanizzazione prima, rispetto al contributo per le opere di urbanizzazione secondaria. Il principio menzionato dai primi giudici concerne la situazione, che non ricorre nella fattispecie, di opere di urbanizzazione assunte dal privato concessionario, e non è applicabile al caso ora in esame in cui l’onere è stato posto per legge a carico di fondi pubblici.

Sussistono ragioni per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 novembre 2003 con l'intervento dei magistrati:

Agostino Elefante, Presidente
Giusepe Farina, Consigliere
Aldo Fera, Consigliere
Marco Lipari, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere est.