EDILIZIA - 070
Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, 1 agosto 2002, n. 11489
Se l'edificio del vicino non rispetta la distanza dal confine il proprietario
confinante
può chiedere la comunione del muro.
Il principio civilistico della prevenzione non è incompatibile con la norma
urbanistica sulle distanze tra edifici.
L'esercizio della
facoltà del vicino di chiedere la comunione forzosa del muro situato a distanza
dal confine inferiore a quella legale, allo scopo di costruire in aderenza, non è
impedito dalla presenza di vedute sul predetto muro.
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I coniugi C. ed E. A., con atto di citazione notificato l’11 maggio 1985, convennero innanzi al Tribunale di Palmi i coniugi S. T. e M. S., chiedendo che ad essi attori fosse attribuita la comunione del muro del fabbricato dei convenuti, previo pagamento del valore della metà dello stesso e del suolo da occupare con la nuova fabbrica, con condanna dei convenuti a risarcire loro i danni subiti a causa del ritardo nella costruzione del nuovo edificio, determinato dal loro rifiuto ingiustificato a rendere comune il muro del proprio immobile ed a consentire di costruire in aderenza ad esso, come loro richiesto, ai sensi dell’art. 875 cod. civ., on apposito atto stragiudiziale.
Gli attori, premesso che, in virtù si sentenza dello stesso tribunale, passata in giudicato era stato determinato il confine tra i rispettivi fondi, stabilendosi che l’immobile dei coniugi T.- S. era posto a distanza di metri 1,50 dal confine accertato, addussero che tale distanza era inferiore a quella prevista dalla legge 25 novembre 1962 ovvero dall’art. 9 D.M. 2 aprile 1968.
I convenuti, costituendosi in giudizio, resistettero alla domanda, opponendo che la distanza di metri 1,50 dal confine, alla quale risultava edificato il loro immobile, era rispettosa della norma posta, dall’art. 873 cod. civ., l’unica da osservarsi al tempo dell’edificazione, poiché all’epoca né il regolamento edilizio, né lo strumento urbanistico del Comune di Cittanova, dove i fondi erano ubicati, contenevano prescrizioni in tema di distanza dal confine.
Invece, a loro avviso, gli attori erano tenuti a rispettare la distanza di dieci metri dal loro fabbricato, la cui parete, che si intendeva rendere comune, era finestrata.
Il giudice adito rigettò la domanda e la sua decisione, impugnata, con appello principale, dai coniugi C.- A. e, con appello incidentale, dai coniugi T.- S., è stata confermata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza resa in data 18 giugno 1997.
Ha osservato il giudice di appello che, poiché al tempo del rinnovo della licenza di costruzione a favore dei coniugi T.- S. (30 giugno 1976) il Comune di Cittanova era sprovvisto di strumento urbanistico, in quanto i diversi ordinamenti edilizi adottati non avevano ottenuto la prescritta approvazione, trovava applicazione la disciplina sulle distanze prevista dall’art. 41-quinqies legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall’art. 17 legge 6 agosto 1967, n. 765, che, sebbene prescriva distanze tra fabbricati, va interpretato nel senso che imponga distacchi dai confini, in caso contrario dandosi luogo a disparità di trattamento tra il primo costruttore ed il secondo, poiché si consentirebbe al primo di sfruttare al massimo l’edificazione del proprio terreno, con ingiustificato sacrificio per il confinante, il quale, dovendo osservare una distanza maggiore della metà di quella prescritta, potrebbe vedere limitata o addirittura compromessa la sua successiva attività di costruzione.
Conseguentemente, l’edificio dei coniugi T.- S., essendo posto alla distanza di metri 1,50 dal confine col fondo dei coniugi C.- A., non rispettava la prescritta distanza.
A tale conclusione, ad avviso della Corte d’Appello, doveva pervenirsi anche con riferimento al programma di fabbricazione adottato il 20 luglio 1979 ed approvato l’11 marzo 1982, poiché tale strumento urbanistico non conteneva alcuna prescrizione relativa alle distanze tra fabbricati o rispetto al confine per la zona residenziale (B1) in cui i due fondi sono ubicati, sicché ugualmente doveva essere applicato l’art. 17 legge n. 765 del 1967 e, quindi, l’art. 9 D.M. 2 aprile 1968, che prescrive la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, da intendersi con riferimento al confine.
Quest’ultimo rilievo, secondo la corte territoriale, ancor più risulta corretto con riferimento al caso in esame, se si consideri che il programma, di fabbricazione non prevede la facoltà di costruire in aderenza.
E proprio tale circostanza, unitamente al rilievo del valore assoluto ed inderogabile della norma posta dall’art. 9 citato D.M., non consentiva l’accoglimento della domanda dei coniugi C.- A., volta a costruire il proprio fabbricato in aderenza al fabbricato dei coniugi T.- S..
Né, ha soggiunto la corte distrettuale, rilevava la circostanza che l’edificio dei coniugi T.- S. fosse stato costruito in violazione della concessione edilizia, poiché, come anche ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza 18 aprile 1996, n. 120, il secondo frontista è, comunque, tenuto a rispettare la distanza legale tra edifici.
Pur ribadendo che detta costruzione trovasi a distanza dal confine inferiore a quella legale, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni derivanti da tale violazione, sul rilievo che la domanda risarcitoria originariamente, proposta non comprendeva tali danni.
Ha dichiarato, inoltre, inammissibile, perché proposta per la prima volata in appello, la domanda di risarcimento dei danni correlati all’incidenza dell’illecito commesso dai coniugi T.- S. sulla edificabilità del terreno confinante.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso A. e C. C., figlie ed eredi dei coniugi C.-A., affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso S.T., in proprio e quale erede di M. S., il quale, a sua volta, propone ricorso incidentale fondato su due motivi.
I ricorsi, assegnati alla 2° Sezione Civile, previa riunione sono stati rimessi a queste Sezioni unite a seguito di ordinanza che evidenzia un contrasto giurisprudenziale sulla questione della compatibilità del principio di prevenzione con la disciplina detta dall’art. 17 legge n. 765 del 1967 nonché sulla questione del diritto del frontista prevenuto di chiedere l’arretramento dell’edificio del preveniente sino alla distanza di legge dal confine, nel caso che il prevenuto non intenda avvalersi della facoltà di avanzare la propria costruzione fino a quella posta nel fondo confinante a distanza illegale.
Vi è memoria difensiva per il ricorrente incidentale, depositata tardivamente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’ordine logico consiglia di premettere l’esame del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, che pongono, sotto diverso profilo il tema del diritto dei ricorrenti, in quanto prevenuti, ad acquisire, ex art. 875 cod. civ., la comunione del muro dei coniugi T.- S., che costruirono per primi, al fine di costruire in aderenza ad esso, sicché il loro eventuale accoglimento assorbirebbe il primo motivo dello stesso ricorso principale, implicando la soluzione in senso positivo del problema della compatibilità del criterio della prevenzione con la disciplina dettata dall’art. 17, comma 1°, lett. c), legge n. 765 del 1967, nonché i motivi quarto e quinto, che attengono, rispettivamente, alla domanda risarcitoria ed al regolamento delle spese di lite.
Col secondo motivo le ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 875, 877, 901, 902, 904, 2909 cod. civ., in relazione all’art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 ed all’art. 41-quinqies legge n. 1150 del 1942, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su di un piano decisivo della controversia, adducendo che erroneamente la Corte d’Appello, pur riconoscendo che l’art. 20 del vigente programma di Fabbricazione non pone alcuna prescrizione in tema di distanza tra fabbricati o rispetto al confine ne prevede la facoltà di costruire in aderenza, perviene alla conclusione che, il pervenuto non abbia alternativa all’obbligo di osservare il distacco di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti prescritto dall’art. 9 D.M. citato.
Tale conclusione, ad avviso dei ricorrenti, è viziata da illogicità e contraddittorietà, perché, mentre esclude l’applicabilità del regolamento edilizio e dell’annesso Programma di Fabbricazione, in quanto non vigenti alla data del rilascio della licenza edilizia relativa al fabbricato T.- S., si riferisce ad esso quando assume la mancata previsione in esso della facoltà di costruire in aderenza come premessa per affermare l’obbligatorietà del distacco della costruzione dal confine.
Inoltre, la sentenza impugnata omette l’esame e la valutazione dei seguenti punti decisivi della controversia, prospettati da essi ricorrenti e risultanti dalle prove documentali prodotte in giudizio: i coniugi T.- S. avevano esercitato il diritto di prevenzione presentando un progetto che prevedeva la costruzione sul confine, con l’effetto che i prevenuti avevano la facoltà di costruire in aderenza; la licenza di costruzione prevedeva proprio la costruzione sul confine.
Sostengono, inoltre, le ricorrenti, che contrariamente a
quanto ritenuto dal giudice d’appello, l’art. 9
D.M. n. 1444 del 1968 è
norma integrativa dell’art. 873 cod. civ. e non impedisce di costruire in
aderenza ai sensi del combinato disposto degli articoli.
873 e 875 cod. civ.
L’esercizio di tale facoltà, peraltro, non è impedito
dall’esistenza di luci nel fabbricato confinante (posizionato in violazione
delle norme sulle distanze legali), ai sensi dell’art. 904 cod civ.
Rimarcarono, all’uopo, le ricorrenti che, com’era stato
eccepito in fase di merito, con la sentenza n. 410 del 1994 del Tribunale di
Palmi, passata in giudicato, era stata accertata la natura di luci delle
aperture praticate nel muro della costruzione T.- S. che essi vogliono rendere
comune, ma la corte di merito ha omesso di prendere in esame il giudicato e
qualificare dette aperture.
Col terzo motivo le ricorrenti principali censurano la
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 875 cod. civ.,
osservando che erroneamente il giudice d’appello ritiene che, una volta che il
primo fabbricato sia stato realizzato in violazione della concessione edilizia,
il frontista che costruisca successivamente è tenuto a rispettare la prescritta
distanza tra gli edifici, arretrando il proprio edificio sino all’intera
distanza prevista dalla legge.
Al riguardo, le ricorrenti, pur condividendo la tesi che il
secondo costruttore non può ignorare il fatto che il primo edificio, ancorché
abusivamente costruito, esiste, sostengono che, tuttavia, egli ha diritto di
chiedere ed ottenere o attraverso l’estensione di essa fino al confine o
attraverso l’esercizio del diritto di acquistare il suolo per costruire in
aderenza.
Le censure che possono essere esaminate congiuntamente, perché intimamente collegate, sono fondate per le ragioni che seguono.
Va premesso che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, non v’è contraddizione tra l’affermata inapplicabilità dell’attualmente vigente strumento urbanistico, in considerazione della sua approvazione in data successiva al rilascio della licenza edilizia, e la ritenuta esclusione del diritto di costruire in aderenza, a motivo della mancata previsione, in detto strumento urbanistico, della relativa facoltà, essendo evidente che la prima affermazione si riferisce, invece, alla pretesa dei coniugi C.-A. di esercitare la facoltà prevista dall’art. 875 cod. civ. e, quindi, di costruire in aderenza al fabbricato realizzato dai prevenienti T.- S.
E, poiché la fondatezza di tale pretesa deve essere necessariamente vagliata in relazione allo strumento urbanistico vigente al tempo della realizzazione della costruzione, senza cadere in contraddizione la Corte di merito ha rilevato che nel Programma di Fabbricazione attualmente vigente non è prevista la facoltà di costruire in aderenza.
Ma errate sono le conclusioni che da tale rilievo la sentenza impugnata fa derivare, ritenendo, in primo luogo, che i coniugi C.-A., nel realizzare la loro costruzione, debbano osservare la prescrizione dettata dall’art. 9, punto 2, D.M. n. 1444 del 1968, secondo cui tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti deve essere osservata in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10.
Poiché, come è pacifico tra le parti e la sentenza impugnata riconosce, l’art. 20 del Programma di Fabbricazione allegato al P.R.G. del Comune di Cittanova, approvato l’11 marzo 1982, oltre a non disciplinare in alcun modo la facoltà di costruire in aderenza, non contiene alcuna prescrizione in tema di distanze tra fabbricati e dei fabbricati dai confini, per la zona residenziale edificata di tipo B/1, in cui sono ubicati i fondi delle parti, come ritenuto da queste Sezioni Unite con sentenza n. 9871 del 22 novembre 1984, nel caso in esame deve trovare applicazione, non la norma di cui all’art. 17, comma 1°, lett. c), della legge 6 agosto 1967, n. 765 (cd. legge ponte), che, modificando la legge 17 agosto 1942, n. 1150 con l’aggiunta dell’art. 41-quinques, stabilisce che nei comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, la edificazione è soggetta alle seguenti limitazioni: l’altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui prospetta e la distanza degli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.
Per vero, la citata sentenza afferma che in tema di distanze legali, al fine di escludere l’applicabilità delle limitazioni, previste dall’art. 17 della c.d. legge ponte del 6 agosto 1967, n. 765, è necessario che il regolamento edilizio provveda direttamente sulle distanze, in quanto solo in tal caso viene meno l’esigenza dell’indicata norma suppletiva, la cui finalità è di impedire che, in mancanza di norme urbanistiche, l’attività costruttiva si svolga senza rispetto del decoro edilizio, dell’igiene e della salubrità indispensabile per l’ordinato sviluppo del territorio.
Pertanto, qualora il regolamento edilizio sia privo di disposizioni sulle distanze legali, devono applicarsi quelle previste dall’art. 17 legge citata, non già la disciplina dell’art. 873 cod. civ..
Tale condiviso insegnamento vale ad escludere, altresì, l’applicabilità della norma di cui all’art. 9 D.M. n. 1444 del 1968, che, peraltro, non è immediatamente precettiva nei rapporti tra privati, poiché nell’imporre determinati limiti edilizi nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici, si rivolge solo ai comuni (cfr. Cass., SS.UU. 1 luglio 1997, n. 5889), sicché, nell’ipotesi che lo strumento urbanistico, pur approvato, non provveda in tema di distanze, ipotesi sostanzialmente equipollente a quella della mancanza dello strumento urbanistico, resterà operante il precetto dettato dalla norma suppletiva di cui all’art. 17 della legge ponte.
È, dunque, con riferimento alla norma dettata dall’art. 17 legge n. 765 del 1967 non già con riferimento alla norma posta dall’art. 9 D.M. n. 1444 del 1968 che va risolta il problema, posto dai motivi in esame, dell’applicabilità della disciplina codicistica dettata dall’art. 875 cod. civ. in tema di comunione forzosa del muro che non è sul confine e, quindi, di possibilità, per il vicino, di costruire contro il muro stesso, problema, la cui soluzione è strettamente connessa alla soluzione del problema dell’applicabilità del principio, anch’esso desumibile dalla disciplina codicistica in tema di distanze tra fabbricati, del c.d. diritto di prevenzione, cioè del diritto di colui che tra i confinanti costruisce per primo, di costruire sul confine o a distanza inferiore alla metà della distanza di legge tra costruzioni finitime ovvero a distanza pari alla metà, si da costringere il vicino, che nella prima e nella seconda delle suddette ipotesi non intenda esercitare le facoltà concessegli dagli artt. 875 e 877 cod. civ., a costruire a distanza tale dalla costruzione del preveniente da assicurare comunque il rispetto della distanza di tre metri prescritta dall’art. 873 cod. civ. o dell’altra, maggiore, prescritta dallo strumento urbanistico locale.
Sul punto in dottrina ed in giurisprudenza si registrano due orientamenti: un primo orientamento, che, in termini sostanzialmente unitari, dà risposta positiva, all’interrogativo della compatibilità tra disciplina codicistica e disciplina di cui alla norma speciale posta dall’art. 17, comma 1°, lett. c), legge n. 765/ 1967, ritenendo che la disciplina codicistica della prevenzione debba comunque trovare sempre espressione quando nella norma speciale, non sia dato rinvenire alcun indice, esplicito o implicito, di incompatibilità (cfr. Casss., n. 2657/1988; Cass., n. 5472/1991; Cass., n. 6101/1993; Cass., n. 3257/ 1995; Cass., n. 1201/ 1996; Cass., n. 784/1998); un secondo orientamento, che all’interrogativo dà risposta negativa, secondo cui l’indice di specialità che rende incompatibile il principio della prevenzione con l’art. 17, comma 1°, lett. c), della legge ponte è rinvenibile nel criterio con cui l’art. 17 fissa la distanza in assoluto tra gli edifici (la proporzione fra le altezze degli edifici), criterio che è del tutto estraneo all’art. 873 cod. civ. (che si fonda, invece, sul nudo criterio della distanza fra i fabbricati), oppure nell’implicita prescrizione di una tassativa distanza di confine, pari alla metà di quella complessiva da osservarsi fra i fabbricati (cfr. Cass., n. 1973/ 1988; Cass., n. 8440/1990; Cass., n. 9041/1992; Cass., 6360/1993; Cass., n. 8573/1994; Cass., n. 716/1998).
Queste Sezioni Unite ritengono che la disciplina positiva dettata dalla norma speciale di cui all’art, 17, comma 1°, lett. c), legge ponte e la necessità di raccordarla con la disciplina codicistica in tema di distanze tra fabbricati impongano di preferire il primo orientamento.
Poiché la tesi dell’incompatibilità tra le due discipline passa necessariamente per l’individuazione nella norma speciale di elementi che, a differenza dall’art. 873 cod. civ., inducano a ritenere che la distanza minima tra i fabbricati vicini sia assoluta ed inderogabile o che, comunque, tale distanza sia stata, sia pure implicitamente, fissata con riferimento anche al confine, in modo che ciascuno dei due frontisti sia tenuto ad osservare una distanza dal confine pari ad almeno la metà del distacco di legge tra i due edifici, è necessario esaminare il testo della norma speciale, che è composto da due precetti: il primo, riferentesi all’altezza degli edifici, il quale stabilisce l’altezza in relazione solo allo spazio pubblico o privato, sul quale gli edifici prospettano, prescrivendo che l’altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza di detto spazio; il secondo, relativo direttamente alla distanza tra edifici vicini, che tale distanza regola con riferimento all’altezza dell’edificio costruito successivamente, stabilendo che la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.
I due precetti, pur coordinati tra loro e considerati, ciascuno, come parte di un unico composito precetto, volto a fissare contemporaneamente limiti relativi all’altezza degli edifici ed alla distanza tra gli edifici vicini, quest’ultima stabilita in funzione dell’altezza, non fanno alcun riferimento, neppure implicito, al confine.
Per vero, così come il primo precetto, nel disciplinare l’altezza degli edifici, assume come termine di riferimento esclusivo la larghezza degli spazi, pubblici o privati, su cui gli edifici prospettano, in tal modo escludendo qualsiasi rilievo del confine, il secondo regola la distanza tra fabbricati vicini avendo riguardo esclusivamente all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.
E, com’è stato correttamente rimarcato in dottrina, quel che più rileva è che la distanza tra gli edifici non è prevista dalla norma come fissa, essendo, invece, mobile e variabile con riferimento all’altezza dell’edificio successivo; il che, da un canto, conferma che il confine tra i due fondi non assume alcun rilievo nella struttura della norma, dall’altro evidenzia, come dato imprescindibile, che la norma, così com’è strutturata, presuppone la preesistenza di un fabbricato, solo rispetto al quale, non già rispetto al confine (o anche rispetto al confine), viene prescritta la distanza minima, da determinarsi in relazione all’altezza del nuovo edificio.
Ciò, in sostanza, significa che la norma presuppone l’applicabilità del principio di prevenzione, dal momento che, come si diceva, che costruisce per primo non deve rispettare altro limite che non sia quello dell’altezza, commisurata alla larghezza dello spazio, pubblico o privato, eventualmente antistante al suo edificio, potendo, quindi, scegliere di costruire anche sul confine.
Se, dunque, la norma speciale non differisce dalla norma dettata dall’art. 873 cod. civ. se non nel dato, irrilevante rispetto al problema in esame, della misura del distacco, poiché, al pari della norma codicistica, fissa la misura minima del distacco solo con riferimento ai fabbricati che si fronteggiano, senza alcun riguardo, neppure implicito, al confine, ed, anzi, la sua strutturazione consente di ritenere che il primo fabbricato possa essere realizzato persino sul confine, non v’è alcuna ragione per non trarre da tale rilievo tutte le conseguenze che la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte trae in sede di applicazione dei regolamenti locali che non prescrivono distanze dei fabbricati dai confini, limitandosi a stabilire distacchi tra fabbricati.
Tale giurisprudenza, che si condivide, ritiene correttamente che solo in presenza di una norma regolamentare che prescriva una distanza tra fabbricati con riguardo al confine si ponga l’esigenza di una equa ripartizione tra proprietari confinanti dell’onere di salvaguardare una zona di distacco tra le costruzioni, con la conseguenza che, in assenza di una siffatta prescrizione, deve trovare applicazione il principio della prevenzione, con la conseguente possibilità, per il prevenuto, di costruire in aderenza alla fabbrica costruita per prima, se questa sia stata posta sul confine o a distanza inferiore alla metà del prescritto distacco tra fabbricati (cfr. ex multis, Cass. n. 5364/ 1997; Cass., n. 10600/ 1999; Cass., n. 13963/ 2000).
La soluzione che qui si accoglie trova conforto nel rilievo della insostenibilità della tesi, pure seguita da una parte della dottrina, che ritiene di rinvenire la ragione dell’incompatibilità del principio della prevenzione con la disciplina dettata dalla legge ponte ed, in genere, con la disciplina, extracodicistica delle distanze nella natura pubblicistica di tale disciplina, essendo evidente la componente pubblicistica, accanto a quella privatistica, di tutta la disciplina, anche codicistica, sulle distanze, volta, com’è noto, ad armonizzare la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato con l’interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico.
Tanto meno possono indurre ad accogliere la tesi opposta pretesi obiettivi di natura, più generalmente, estetico- urbanistica in senso lato, trattandosi di prospettiva priva di qualsiasi fondamento positivo nell’art. 17 della legge ponte.
Per esigenza di completezza è opportuno aggiungere che, contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte d’Appello, la tesi che risolve in senso positivo il problema qui esaminato non è contraddetto dalla sentenza n. 120/1996 della Corte Costituzionale, poiché, al contrario, tale pronuncia riconosce esplicitamente in motivazione la possibilità del positivo dispiegarsi del principio della prevenzione e, se per effetto di tale principio, afferma che il prevenuto è tenuto ad osservare per intero la prescritta distanza tra gli edifici, lo si deve al fatto che nel caso che aveva dato origine al giudizio di costituzionalità il prevenuto non si era avvalso della facoltà di costruire in aderenza al fabbricato del preveniente, avendo erroneamente ritenuto che l’abusività di tale costruzione lo legittimasse a non rispettare la distanza prescritta dall’art. 17, comma 1°, lett. c), della legge ponte.
Ma, è evidente che se, come nel caso in esame, il prevenuto intenda esercitare la facoltà concessagli dall’art. 875 cod. civ., dalla ritenuta applicabilità del principio della prevenzione deriva correntemente la legittimità della pretesa del prevenuto.
In definitiva, deve ritenersi che nessuna ragione osti all’applicabilità del principio codicistico della prevenzione nei casi in cui, come quello in esame, i rapporti tra vicini siano disciplinati dall’art. 17, comma 1°, lett. c), legge n. 675/1967 e che, conseguentemente, il prevenuto abbia, ai sensi dell’art. 875 cod. civ., la facoltà di chiedere la comunione forzosa del muro del preveniente che si trovi a distanza dal confine inferiore alla metà della distanza tra fabbricati prescritta dalla citata norma speciale.
Va precisato, peraltro, che all’esercizio di tale facoltà non osta la circostanza che sulla parete del fabbricato che fronteggia la costruzione dei prevenuti siano state eventualmente aperte, iure proprietatis, delle vedute, poiché, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. sent. n. 4384/1982; sent. n. 5269/ 1985; sent. n. 3859/ 1988), l’obbligo di osservare la distanza dalle vedute prescritta dall’art. 907 cod. civ. presuppone che colui che ha costruito per primo abbia acquistato, ad es. per usucapione o per convenzione, il diritto ad avere vedute verso il fondo vicino.
Conclusivamente, i motivi secondo e terzo del ricorso principale vanno accolti, restando assorbiti, come si è premesso, i motivi primo, quarto e quinto.
Il ricorso incidentale va, invece, dichiarato inammissibile, sia perché proposto dalla parte risultata totalmente vittoriosa in grado d’appello, sia perché nel giudizio di cassazione non è applicabile la norma posta per il giudizio d’appello dall’art. 346 cod. proc. civ., con la conseguenza che il controricorrente conserva la facoltà di riproporre in sede di rinvio le questioni che non siano assorbite o superate dalla sentenza di cassazione.
Giova osservare che il collegio non deve occuparsi anche della questione relativa alla possibilità, per il prevenuto, di chiedere l’arretramento della costruzione del preveniente sino alla distanza di legge dal confine, questione sulla quale, al pari di quella esaminata, la sezione di provenienza ha rilevato un contrasto di giurisprudenza, dal momento che le ricorrenti principali non chiedono il riconoscimento di tale diritto.
In conseguenza dell’accoglimento dei motivi secondo, e
terzo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa va
rinviata, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità,
alla Corte d’Appello di Messina, all’uopo designata, che giudicherà,
attenendosi ai seguenti principi di diritto:
- perché possa escludersi l’applicabilità
della disciplina dettata in tema di distanze tra edifici dall’art. 17, comma
1°, lett. c), legge n. 765/1967, è necessario che lo strumento edilizio locale
provveda direttamente sulle distanze;
- il principio codicistico della prevenzione
in tema di distanze tra edifici non è incompatibile con la disciplina sulle
distanze tra fabbricati vicini dettata dall’art. 17, comma 1°, lett. c) legge
n. 765/1967, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 875 cod. civ.,
il prevenuto, che non voglia arretrare la propria costruzione sino alla
prescritta distanza dal fabbricato del preveniente posto a distanza dal confine
inferiore alla metà di detta distanza, ha la facoltà di chiedere la comunione
forzosa del muro del preveniente al fine di costruirvi contro;
- all’esercizio
di tale facoltà non osta la circostanza che sul muro che si vuole rendere
comune risultino aperte vedute iure proprietatis.
- all’esercizio di tale facoltà non osta la circostanza che sul muro che si vuole rendere comune risultino aperte vedute iure proprietatis.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, accoglie i motivi secondo e terzo
del ricorso principale, dichiarando assorbiti gli altri motivi dello stesso
ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
cassa, in relazione ai
motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia la causa, alla Corte d’Appello
di Messina.
Depositata in Cancelleria il 1 agosto 2002.