EDILIZIA E URBANISTICA - 051
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 8 febbraio 2002, n. 5115
Il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per assenza di autorizzazione che per contrasto con le prescrizioni di legge o del P.R.G. 
Nell’articolo 18 della legge n. 47 del 1985 la condotta prevista come illecita non è soltanto quella effettuata in assenza di autorizzazione ma è, anzitutto e principalmente, quella contrastante con  le prescrizioni degli strumenti urbanistici e delle leggi statali e regionali.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE

SENTENZA 8 febbraio 2002 n. 5115

(udienza 28 novembre 2001 - Pres. Vessia – Ric. S. S.p.A. e altri)

(omissis)

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il tribunale di Bari – con ordinanza 15 gennaio 2001 – rigettava le istanze di riesame proposte dalla S S.p.A., legalmente rappresentata da S.C., nonché da S.C., C.G., G.E., F.P. e S.L.D.F. avverso il decreto 21 dicembre 2000 con cui il g.i.p. di quello stesso tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di alcune aree e di manufatti (una struttura a più piani destinata ad ipermercato ed altra struttura a più piano destinata a parcheggio) in corso di edificazione sulle aree medesime, siti in località “Santa Maria delle Grazie”, nel territorio del comune di Modugno, in relazione a reati di lottizzazione abusiva (articoli 18, 1° comma, e 20, lettera c), della legge 47/1985) configurati per avere realizzato un centro commerciale polifunzionale (cosiddetto ipermercato), strutturalmente e dichiaratamente a vocazione sovracomunale:

- con autorizzazione a lottizzare in contrasto con le prescrizioni degli articoli 5 e 11 delle norme tecniche di attuazione (Nta) del piano regolatore generale del comune di Modugno, in zona di attrezzature di uso collettivo al servizio della zona produttiva lungo la S.S. 98 per Bitonto ed in zona di completamento B4, nella quale sono consentite soltanto autorizzazioni per manutenzione ordinaria e straordinaria e concessioni edilizie per la costruzione di lotti residui o interclusi con la medesima tipologia in atto, procedendo prima al completo abbattimento dei manufatti già esistenti al fine di potere destinare poi l’area di parcheggio del costruendo ipermercato, secondo la condizione apposta al nulla osta commerciale regionale rilasciato in data 14 novembre 1996;
- con superamento della volumetria massima consentita, dovendo computarsi anche quella del manufatto destinato a parcheggio, pur se aperta da tutti i lati, e con violazione delle distanze minime prescritte in zona B4.

Il tribunale effettuava anzitutto un’ampia ed analitica ricognizione dello sviluppo temporale della pianificazione generale del comune di Modugno; della «travagliata» procedura di rilascio del nulla-osta commerciale relativo alle grandi strutture di vendita, come disciplinato dalla legge statale 426/71 e dalla legge della regione Puglia 32/1995; nonché delle istanze (proposte in tempi successivi e con modificazioni) correlate alla lottizzazione delle aree interessate dall’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia in oggetto, evidenziando i seguenti momenti essenziali:

- la giunta della regione Puglia, con deliberazione 3785/81, aveva approvato una variante del programma di fabbricazione del comune di Modugno (all’epoca vigente), al fine di individuare due zone produttive, una delle quali (quella che riguarda la vicenda in esame) lungo la Ss 98, al confine con il territorio di Bitonto
Unica «ratio» espressa di tale variante era quella di assicurare agli insediamenti produttivi esistenti e futuri, nelle zone produttive interessate, il fabbisogno di servizi ed attrezzature collettive, mentre il rilascio delle concessioni edilizie veniva subordinato alla sottoscrizione di apposita convenzione, specificamente disciplinante il regime delle aree;
- il piano regolatore generale del comune di Modugno era stato adottato nel 1986 ed approvato dalla regione con delibera del 21 novembre 1995.
Tale piano (tuttora vigente) richiamava integralmente l’anzidetta «variante» del 1981 ed in esso la zona di Santa Maria delle Grazie, su cui insistono le aree ed i manufatti sequestrati, veniva destinata:

a) in parte a «zona per attrezzature collettive», ove l’articolo 11 delle norme tecniche di attuazione ricomprende «aree desinate ad attrezzature di uso collettivo, quali centri di servizi (uffici bancari, postali, agenzie di viaggio e di trasporti ecc.), attività commerciali (mense, ristoranti, bar, tavole calde ecc.), attrezzature ricettive, al servizio della zona produttiva lungo la S.S. 98 per Bitonto»;
b) in parte a «zona di completamento B4», la quale comprende «le aree già edificate con edilizia sparsa unifamiliare, in cui sono consentite autorizzazioni per manutenzione ordinaria e straordinaria e concessioni edilizie per la costruzione dei lotto residui o interclusi, con la medesima tipologia esistente»;

- il piano di lottizzazione proposto dalla S. S.p.A. in data 5 febbraio 1997 (con progetto diverso rispetto ad una precedente richiesta del 12 novembre 1992) era stato adottato, dal consiglio comunale, con delibera del 31 luglio 1998 e successivamente approvato con delibera del 22 marzo 1999.

Con altre due delibere, in pari data, erano stati altresì approvati – in variante al piano regolatore generale – due progetti riguardanti rispettivamente la «modifica della viabilità in località Santa Maria delle Grazie» e la «realizzazione di un edificio pubblico pluriuso e verde attrezzato»;

- veniva prevista, in sostanza, la localizzazione di tre edifici:

a) il primo, di 27.600 metri quadrati, destinato ad ipermercato, in «zona per attrezzature collettive»;
b) il secondo, di 700 metri quadrati, destinato a tutte quelle attività differenziate atte a soddisfare prioritariamente le esigenze di servizi di uso pubblico per la zona produttiva (approvato con separata delibera, in variante al piano regolatore, anche in considerazione del fatto che riguardava aree tipizzate come «agricole» dal piano medesimo);
c) il terzo, di 26.413 metri quadrati, destinato a parcheggio e composto da piano terra e primo piano, con struttura sopraelevata in cemento armato totalmente aperta sui lati, in «zona di completamento B4».

La sistemazione dell’area tipizzata nel piano regolatore quale «zona di completamento B4» non era compresa nel piano di lottizzazione.

Nella situazione di fatto dianzi compendiata rilevava il tribunale che:

- la «zona per attrezzature collettive», al servizio della zona produttiva sorta ai due lati della S.S. 98 di Modugno, secondo le previsioni pianificatorie, era stata delimitata allo scopo esclusivo di assicurare servizi locali ad un’area in cui si erano insediate spontaneamente unità operanti nel settore della produzione, del deposito e del commercio all’ingrosso;
- le aree ricomprese nella zona dovevano ritenersi «assimilate agli spazi pubblici di cui all’articolo 5 del decreto ministeriale 1444/68», da destinare a standard urbanistici;
- tali aree non avevano, in ogni caso, una «destinazione commerciale»; sicché nelle stesse – a norma dell’articolo 11 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del comune di Modugno – non si sarebbe potuto comunque insediare un ipermercato di dimensioni assai rilevanti, a specifica vocazione sovracomunale, qualificabile quale specifica struttura terziario-direzionale, finalizzata a servire una zona produttiva peculiare (ove già esistevano strutture a destinazione commerciale e mista per 67.000 metri quadrati di superficie coperta) ma un’area indistinta;
- si era reso necessario, pertanto, con ulteriori profili di illegittimità:

a) apportare una variante al vigente strumento urbanistico generale, si da poter autorizzare la localizzazione in una zona già agricola di un edificio polifunzionale, quale contenitore di quei servizi che si sarebbero dovuti legittimamente inserire, invece, nella zona per attrezzature collettive (occupata dal solito ipermercato);
b) reperire in un’adiacente zona di completamento di tipo B4 un’area (non inclusa nella lottizzazione) su cui realizzare un manufatto destinato a parcheggio al servizio dell’ipermercato, previa demolizione di otto edifici per abitazioni di tipo unifamiliare. Ciò aveva comportato l’ulteriore stravolgimento della zona B4 e la connessa violazione dell’articolo 5 delle norma tecniche di attuazione del piano regolare generale del comune di Modugno, in quanto, secondo le previsioni di piano, in quella zona erano consentiti soltanto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di manufatti preesistenti e costruzioni in lotti residui o interclusi aventi la medesima tipologia delle opere esistenti;

- l’area reperita nell’adiacente zona B4, anche se formalmente esclusa dal piano di lottizzazione, doveva considerarsi inscindibilmente connessa con esso, poiché assolutamente indispensabile per il raggiungimento delle quantità minime di parcheggio a servizio dell’ipermercato. La mancanza di tali parcheggi, inoltre, avrebbe comportato l’automatica caducazione del nulla-osta regionale all’esercizio del commercio, per mancato reperimento di uno standard indefettibile;
- la volumetria sviluppata dall’edificio destinato a parcheggio (valutata in 85.842 metri quadrati), per l’anzidetto nesso di inscindibilità, si sarebbe dovuta computare ai fini delle delimitazione della cubatura complessiva della lottizzazione ed avrebbe comportato una rilevante eccedenza rispetto a quella massima consentita.

Illegittimamente, in proposito, il consiglio comunale (con delibera 12/1999) aveva ritenuto che tale struttura non determinasse volume, trattandosi di entità edilizia totalmente aperta su tutti i lati, poiché nelle norme tecniche di attuazione del vigente piano regolatore viene previsto che «il volume di ogni piano è determinato moltiplicando la superficie di piano per l’altezza teorica di piano» ed in ogni caso l’entità volumetrica di un manufatto deve essere – da un punto di vista logico – riferita quantomeno agli elementi verticali che integrano la struttura, sia o meno la stessa chiusa perimetralmente.

Si configurava, pertanto, a giudizio del tribunale, il fumus dell’ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, essendo in corso una trasformazione urbanistica di terreni, a scopo edificatorio, «in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti», a prescindere dall’esistenza di un’autorizzazione a lottizzare rilasciata dalla pubblica amministrazione.

Non si poneva, in proposito, un problema di disapplicazione dell’atto autorizzatorio amministrativo, in quanto il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione (approvazione del piano di lottizzazione) sia per contrasto della lottizzazione stessa con le prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Né, allo stesso del procedimento, appariva configurabile uno stato di buona fede degli indagati, escludibile in relazione alle modalità di redazione e di progressivo «aggiustamento» del progetto di piano, nonché al complessivo sviluppo della procedura di approvazione, nel corso della quale più volte era stata evidenziata la incompatibilità urbanistica del progettato insediamento commerciale.

Avverso l’anzidetta ordinanza hanno proposto separati ricorsi S.C., C.G., G.E. e F.P., i quali hanno denunziato vizi e proposto eccezioni afferenti a problematiche comuni (pur se svolte con differenti argomentazioni e con visioni parzialmente difformi) che possono compendiarsi come segue:

a) violazione di legge, in quanto il g.i.p. ed il tribunale del riesame si sarebbero sostituiti all’autorità amministrativa nella pianificazione urbanistica del territorio, effettuando scelte riservate alla pubblica amministrazione e disapplicando scelte da questa legittimamente già prese.
Viene proposta così la questione della cosiddetta disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, prospettata sotto i profili: dell’esercizio di potestà sottratte al giudice penale (difetto di giurisdizione); della generale inammissibilità di detto istituto in sede penale, tranne l’ipotesi di provvedimento restrittivo di facoltà o poteri concessi ai cittadini; della violazione degli articoli 4 e 5 della legge 2248/1865, allegato e); della violazione dell’articolo 18 della legge 47/1985.
I giudici penali si sarebbero sostituiti alla pubblica amministrazione nella ponderazione degli interessi già effettuata nell’esercizio di potestà amministrativa discrezionale, in una situazione in cui, anche a volere ammettere la possibilità di sindacare atti amministrativi ampliativi o connessivi di potestà ai privati, non soltanto non sussisterebbero le pretese illegittimità ma neppure sussisterebbe la prova di illecita collusione tra i privati ed i pubblici amministratori (secondo la decisione delle sezioni unite penali di questa Corte Suprema, 31 gennaio 1997, numero 1, ricorrente Giordano, in tema di concessione edilizia illegittima).
Quanto anche, poi, si volesse accedere ad un differente indirizzo di questa corte (Cassazione, sezioni unite penali, 21 dicembre 1993, p.m. in proc. Borgia, sembra in materia di concessione edilizia illegittima) – secondo il quale non si versa in ipotesi di disapplicazione di un atto amministrativo, bensì di valutazione della legittimità di un elemento normativo della fattispecie alla luce dell’interesse urbanistico sostanziale alla tutela del territorio e non di quello formale della regolarità esterna delle procedure – la tesi accusatoria non si fonderebbe sull’esistenza di dati oggettivi, ma solo su valutazioni di mera opportunità tali da attenere al merito amministrativo, poiché – a fronte della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo – non risulterebbe evidenziata una macroscopica illegittimità della autorizzazione a lottizzare, emergente ictu oculi o comunque tale da poter essere avvertita dal comune cittadino dotato di normali cognizioni in materia oppure da non sfuggire ad un soggetto informato a livelli minimi di conoscenza normativa, essendo stati formulati, nella specie, pareri di giuristi ed urbanisti tra loro contrastanti ed essendosi essi indagati uniformati alle richieste della pubblica amministrazione diversamente articolate nel tempo.

b) Erronea interpretazione dell’articolo 18 della legge 47/1985 nel senso che tale norma prevederebbe l’illegittimità di una lottizzazione, pur se autorizzata, in quanto in contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali.
La predetta norma incriminatrice, al contrario, si impernierebbe sul concetto di abusività, differente da quello di illegittimità, ed in base a questo elemento fondante deve intendersi la disposizione normativa, sicché l’unica esegesi che consente di conservare la compatibilità tra le nozioni di abusività della lottizzazione e di contrarietà alle prescrizioni sarebbe quella che, in aderenza con la «ratio» del precetto e del sistema sanzionatorio in materia urbanistica, intende punire quelle condotte, singolarmente autorizzate, ma tali, se considerate nel loro complesso, da comportare «trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni in violazione della prescrizioni» (ipotesi di lottizzazione materiale commessa tramite il rilascio di una o plurime concessioni edilizie in zona non interamente urbanizzata).
Una differente esegesi della norma viene proposta dal ricorrente C., secondo cui essa farebbe riferimento alle prescrizioni dell’autorizzazione, alle quali atterrebbe la conformità agli strumenti urbanistici ed alle leggi statali e regionali. Ove un’interpretazione siffatta non fosse accolta, si profilerebbe questione di illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge 47/1985, per contrasto con il principio di determinatezza della fattispecie e di stretta legalità (articolo 25 della Costituzione), con quello delle competenze funzionali comunali (articolo 113 della Costituzione) e con la riserva dei poteri attribuita alla giurisdizione amministrativa (articoli 103 e 113 della Costituzione) ed all’amministrazione attiva (articolo 118 della Costituzione), giacché le funzioni amministrative del comune, in materia di approvazione del piano di lottizzazione, verrebbero ad essere incongruentemente svolte sotto il controllo giurisdizionale del giudice ordinario, e non di quello amministrativo, sottraendo a questo poteri ad esso riservati e facendo coincidere l’illegittimità di un atto con la sua illiceità.
Il ricorrente S., a sua volta, eccepisce l’abnormità della situazione concreta, giacché, nonostante la ritenuta illegittimità dell’autorizzazione, nessun soggetto della pubblica amministrazione risulta indagato, neppure a titolo di concorso con i privati.

c) Erronea interpretazione ed applicazione degli articoli 11, 5 e 4 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del comune di Modugno.

In particolare:

- L’articolo 11 delle stesse norme tecniche di attuazione deve essere esaminato alla stregua delle caratteristiche generali del piano urbanistico generale cui tali norme accedono, che non è assertivo delle sole attività espressamente previste, ma esclusivamente di quelle compatibili con la destinazione di zona, giacché la gestione dello stesso impone il dovere di valutazione dei nuovi e particolari interessi che devono essere allocati.
La norma in oggetto, in contrasto con quanto ritiene il tribunale del riesame, non si riferisce alle aree a standard, disciplinate dall’articolo 15 delle medesime norme tecniche di attuazione, ma ad attività collettive sottoposte a regime privatistico e non pubblicistico (come acclarato da una pronuncia del T.A.R. Puglia, sezione Bari, 309/98, relativa alla norma in esame ed ormai passata in giudicato), sicché non esiste alcun vincolo preordinato all’espropriazione, peraltro di validità quinquennale, ma solo una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia.
Nella destinazione commerciale, contemplata dal medesimo articolo 11 (nel contesto di una descrizione meramente esemplificativa degli interventi previsti), ben può includersi un ipermercato, che, fra l’altro, fa parte di un centro commerciale nel quale sono inserite tutte quelle attività a supporto degli insediamenti produttivi della zona, in quanto le dimensioni sono fissate dai parametri urbanistici ed edilizi e nessun vincolo diverso discende dalla normativa urbanistica in ordine alla tipologia di esercizio commerciale realizzabile, bensì dal piano commerciale comunale, che, all’articolo 13, prevede nell’area in esame la costruzione di un centro commerciale integrato di interesse intercomunale.
I ricorrenti concludono, pertanto, nel senso che – ove il piano regolatore del comune di Modugno prevede la «zona per attrezzature collettive», al servizio della zona produttiva sorta ai due lati della S.S. 98 di Modugno – non fissa un rapporto esclusivo né un collegamento necessario e funzionale con la zona produttiva circostante e non costituisce un limite alle capacità attrattive degli interventi consentiti, in modo da escluderne uno sovracomunale, limitandosi ad indicare un obiettivo prioritario e di massima relativo al coordinamento tra due zone.

- L’articolo 5 delle norme tecniche di attuazione sarebbe stato incongruamente richiamato nell’ordinanza impugnata, in quanto gli interventi autorizzati nella zona B4 non sono contemplati nel piano di lottizzazione in oggetto, ma sono regolati da differente provvedimento. Erroneamente, inoltre, sarebbe stato affermato che le aree in zona B4 sono «inserite di fatto» nelle opere da realizzare, considerato anche che, in relazione all’intervento assentito con concessione edilizia 53/2000 (avente dimensioni più contenute rispetto alle previsioni del piano di lottizzazione), «lo standard a parcheggio è stato determinato senza tenere conto delle aree B4».
Il medesimo articolo 5 delle norme tecniche di attuazione, in ogni caso, sarebbe stato erroneamente interpretato: sia perché non impedirebbe la demolizione di fabbricati esistenti ma regolerebbe l’incremento dei volumi; sia perché la pretesa illegittimità di quanto autorizzato non potrebbe essere valutata con riferimento ad una legge regionale (la legge 32/1995 della regione Puglia) che non attiene a profili urbanistici ma riguarda l’esercizio dell’attività commerciale.

- L’articolo 4 delle stesse norme tecniche di attuazione, al punto 10, esclude dalle superfici di piano quelle non chiuse perimetralmente, quale è il manufatto destinato a parcheggio: costituirebbe, pertanto, un’arbitraria estensione di tale norma l’avere ritenuto volumetricamente computabili le superfici delimitate da pilastri verticali non chiuse in tutto il loro perimetro esterno.

d) Omessa trattazione, da parte del tribunale del riesame, delle censure (rivolte avverso il provvedimento di sequestro) relative alla pretesa illegittimità della lottizzazione per mancato rispetto delle distanze dalla zona B4. Detta constatazione, in ogni caso, sarebbe infondata sia perché dette distanze sono state rispettate, sia perché le stesse «riguardano le costruzioni, i lotti e le strade e non le zone territoriali omogenee».

e) Illogicità manifesta della motivazione e travisamento dei fatti in ordine: all’effettivo dimensionamento del supermercato (incongruamente qualificato ipermercato) ed alla ritenuta natura sovracomunale di esso; alla ritenuta allocazione delle opere poste al servizio della zona produttiva, collocate all’interno del centro commerciale e non relegate nell’edificio pluriuso; alla differente lettura di perizie e pareri.

f) Violazione dell’articolo 321 C.p.p. per insussistenza del «fumus commissi delicti», essendo inconfigurabile il reato di lottizzazione abusiva, anche per la carenza di quello «sfruttamento edilizio di zona non urbanizzata» su cui si fonda la «ratio» dell’incriminazione; non sussistendo, comunque, «ictu oculi» ed in modo macroscopico ed evidente, il dolo richiesto per detta contravvenzione (vedi Cassazione, sezioni unite, 3 febbraio 1990, Cancellieri) ed essendo stati, in ogni caso, gli indagati convinti di agire in conformità ad un proprio diritto legittimamente acquisito.

I difensori degli indagati, con istanza depositata il 9 maggio 2001, hanno evidenziato un contrasto giurisprudenziale relativo alla tematiche della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva in presenza di un’autorizzazione a lottizzare rilasciata in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o comunque stabilite da leggi statali o regionali e la terza sezione penale di questa Corte Suprema, assegnataria del ricorso, ravvisando l’esistenza di un contrasto siffatto, ha disposto, con ordinanza depositata l’8 giugno 2001, la rimessione alle sezioni unite ai sensi dell’articolo 618 C.p.p.

Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle sezioni unite penali, fissando per la trattazione l’odierna camera di consiglio.

1. La questione controversa sottoposta all’esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se il reato di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, disciplinato dagli articoli 18, 1° comma e 20, lettera c), della legge 47/1985, sia o meno configurabile in presenza di una autorizzazione a lottizzare che si assume rilasciata in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite da leggi statali o regionali.

2. L’articolo 20, 1° comma, lettera c), della legge 47/1985 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) prevede la pena dello «arresto fino a due anni e l’ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal 1° comma dell’articolo 18».

L’articolo 18, 1° comma, della stessa legge 47/1985 fornisce una duplice definizione della «lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio», ricollegando la stessa:

a) ad un’attività materiale: «quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione»;
b) ad un’attività giuridica: «quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denunciando in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio».

Trattasi di attività illecite che, ad evidenza, possono essere espletate anche congiuntamente (cosiddetta lottizzazione abusiva mista) in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione urbanistica e/o edilizia dei terreni.

3. La fattispecie che ci occupa integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva cosiddetta materiale ed in relazione ad essa viene prospettata l’esistenza di un contrasto, formatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, che si articola in due orientamenti.

3.1. Il primo viene ricollegato alla massima ufficiale della sentenza della sezione terza, 6094/91, Ligresti ed altri, formulata nel senso che «il reato di lottizzazione abusiva di terreni si realizza solo se la attività lottizzatoria sia abusiva e l’abusività è esclusa ogni qual volta la lottizzazione sia autorizzata dalla autorità competente, senza che sia consentito al giudice penale disapplicare l’atto autorizzativo, a meno che esso non sia inesistente o invalido».
Analogo principio era già stato affermato da Cassazione, sezione terza, 18 ottobre 1988, Brunotti, ove – con riferimento ad una convenzione di lottizzazione stipulata in data 19 novembre 1984, cioè in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge 47/1985 – si evidenziava che: «presupposto imprescindibile per la configurabilità del reato è proprio l’abusività dell’attività lottizzatoria; abusività derivante dal fatto che l’attività medesima non sia stata previamente autorizzata».
«Né la configurazione giuridica del reato e del suo indefettibile presupposto (mancanza di previo provvedimento autorizzativo dell’autorità comunale) possono ritenersi modificati dalla nuova legge 47/1985, in quanto la definizione di condotta lottizzatrice enunciata nell’articolo 18, comma 1, rivela chiaramente l’intento del legislatore di fare propri i risultati della lunga elaborazione svolta al riguardo della giurisprudenza, confermando che la lottizzazione abusiva è reato che lede la riserva pubblica di programmazione territoriale e che, pertanto, esso sussiste laddove sia dia vita d un nuovo insediamento urbanistico al di fuori del preventivo controllo dell’autorità comunale (cfr. Cassazione 28 marzo 1980, Peta)».
«Né al riguardo vale dedurre – come ad una prima lettura della norma potrebbe sembrare – che alla lottizzazione illecita per mancanza di autorizzazione il legislatore avrebbe aggiunto una lottizzazione illecita per contrarietà agli strumenti urbanistici, atteso che, in contrario, non può non osservarsi che il regolare ed ordinato assetto del territorio è regolato da una serie di interventi amministrativi che, partendo dal piano più generale, si restringono man mano nel disciplinare i particolari, fino all’ultimo indispensabile provvedimento autorizzativo diretto a regolare il singolo caso».
«Né deriva, pertanto, che costituendo la «abusività» presupposto assolutamente indispensabile per l’ipotizzabilità del reato di lottizzazione abusiva, il detto reato potrà dirsi sussistente unicamente qualora manchi il detto provvedimento autorizzativo finale e non pure qualora – in presenza di tale autorizzazione – si accerti la violazione di altre norme urbanistiche (violazioni che eventualmente potranno concretizzare altre ipotesi di reato previste dalla citata legge 47/1985)».
«Sostenere una soluzione diversa significa annullare completamente l’area di operatività dell’articolo 20, lettera a), in favore di un’ingiustificata ed arbitraria estensione della sfera incriminatoria dell’articolo 20, lettera c), della legge».

3.2. Secondo l’opposto orientamento (recentemente ribadito da Cassazione, sezione terza, 20 gennaio 2001, Matarrese ed altri):

- il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto della stessa con le prescrizioni degli strumento urbanistici; sicché non può obiettarsi la non prospettabilità del reato laddove esista un piano di lottizzazione approvato ma possa per contro affermarsi la contrarietà dello stesso agli strumenti urbanistici sovraordinati (Cassazione, sezione terza, 16 novembre 1995, ricorrente Pellicani);
- i soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, i titolari di concessione edilizia, i committenti ed i costruttori, hanno l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e/o delle singole opere alla normativa urbanistica ed alle previsioni di pianificazione, perché l’interesse protetto dalla legge 47/1985 non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della pubblica amministrazione ma è altresì quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato asseto urbanistico (vedi Cassazione, sezione terza, 13 marzo 1987, ricorrente Ginevoli ed altri).

4. Tra i due orientamenti giurisprudenziali dianzi illustrati ritengono queste sezioni unite di aderire al secondo di essi, per il quale il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa.

Tale conclusione si basa, anzitutto, sulla formulazione inequivocabile del dettato normativo, ove la previsione della mancanza di autorizzazione si aggiunge a quella del contrasto con le prescrizioni delle leggi o degli strumenti urbanistici, anche se soltanto adottati, e deve ritenersi, anzi, del tutto residuale, poiché può verificarsi soltanto nel caso di una lottizzazione che, pur essendo conforme alle prescrizioni di legge e di piano, sia eseguita in assenza di autorizzazione.
L’uso del disgiuntivo «o» da parte del legislatore, non consente dubbi ed una diversa interpretazione del testo normativo – che escluda in ogni caso la fattispecie contravvenzionale allorché sia stata rilasciata la cosiddetta autorizzazione a lottizzare – deve necessariamente comportare l’elisione di detto disgiuntivio, operandosi in tal modo non una interpretazione del dettato legislativo bensì una non consentita modificazione di esso.

A sostegno della tesi contraria è stato fatto rilevare che l’articolo 18, 7° comma, della legge 47/1985, nel disciplinare il procedimento sanzionatorio amministrativo, si riferisce alla sola lottizzazione in assenza di autorizzazione, in quanto dispone che l’amministrazione emette ordinanza di sospensione dell’attività illiceità soltanto «nel caso di cui accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione».
L’obiezione, però, è tutt’altro che concludente, poiché non tiene conto che – ove gli organi competenti dell’amministrazione accertino l’illegittimità di un’autorizzazione rilasciata ai sensi dell’articolo 28 della legge 1150/42 – devono prima annullare il provvedimento illegittimo e poi dare inizio alla procedura sanzionatoria, realizzandosi così il presupposto dell’assenza di un’autorizzazione ormai non più esistente.
Né può condividersi la prospettazione secondo la quale la tesi della consumazione alternativa comporterebbe la disapplicazione dell’autorizzazione, che sia stata rilasciata ai sensi dell’articolo 28 della legge 1150/42 ma che si riveli illegittima.
La questione è stata posta in tema di concessione edilizia illegittimamente rilasciata, al fine di equiparare, sotto il profilo sanzionatorio, i lavori eseguiti con provvedimento illegittimo a quelli realizzati in assenza di concessione, ed in proposito deve farsi opportuno riferimento alla decisione 21 dicembre 1993 di queste sezioni unite, ricorrente Borgia, da cui chiaramente si evince il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria.
Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l’autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica dell’atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale, «in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela», nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.

È la descrizione normativa del reato di lottizzazione abusiva che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa e nell’articolo 18 – come si è detto – la condotta prevista come illecita non è soltanto quella effettuata in assenza di autorizzazione ma è, anzitutto e principalmente, quella contrastante con  le prescrizioni degli strumenti urbanistici e delle leggi statali e regionali.

La nozione di lottizzazione abusiva è duplice, cioè sostanziale e formale, e la prima fattispecie ben può configurarsi indipendentemente dalla circostanza che la lottizzazione sia o meno autorizzata. Quando il giudice, dunque, ravvisa l’esistenza (ovvero il «fumus», come nel caso in esame) di un’ipotesi di lottizzazione abusiva – pur in presenza di un’autorizzazione rilasciata ex articolo 28 della legge 1150/42, che però risulti in contrasto con previsioni di legge o di pano – non opera alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo, ma si limita ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché, una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione considerata e la normativa urbanistica, giunge all’accertamento dell’abusività della lottizzazione prescindendo da qualunque giudizio sull’autorizzazione.

Ciò ben si spiega con la «ratio» dello stesso reato di lottizzazione abusiva, poiché il legislatore – in situazioni implicanti la trasformazione urbanistico-edilizia di aree territoriali non ancora o parzialmente urbanizzate – ha inteso tutelare non soltanto la potestà pubblica di programmazione territoriale considerata sotto l’aspetto del suo esercizio ma, ed essenzialmente, la risultante di questa, ossia la concreta conformazione del territorio derivata dalle scelte di programmazione effettuate.

5. Né possono condividersi le contrarie argomentazioni svolte in Cassazione, sezione terza, 18 ottobre, Brunotti (dianzi trascritte).

a) È certamente vera l’affermazione che «il regolare ed ordinato asseto del territorio è regolato da una serie di interventi amministrativi che, partendo dal piano più generale, si restringono man mano nel disciplinare i particolari, fino all’ultimo indispensabile provvedimento autorizzativo diretto a regolare il singolo caso».
Non è corretto affermare, però, che il reato di lottizzazione abusiva «possa dirsi sussistente unicamente qualora manchi il provvedimento autorizzativo finale e non pure qualora – in presenza di tale autorizzazione – si accerti la violazione di altre norme urbanistiche (violazione che eventualmente potranno concretizzare altre ipotesi di reato previste dalla citata legge 47/1985)».
L’articolo 28 della legge 1150/42 (in seguito alle modifiche introdotte dall’articolo 8 della legge 765/67) prevede la necessaria redazione del piano di lottizzazione, che deve essere conforme alla normativa edilizia ed agli standards urbanistici vigenti. Tale piano, quale piano di attuazione, deve di regola conformarsi alle norme, prescrizioni e previsioni dello strumento urbanistico generale, di cui costituisce applicazione.
Ove se ne discosti, esso può essere approvato «in variante» al piano generale (con le eventuali procedure esemplificate previste dall’articolo 25, 1° comma, della legge 47/1985). Una procedura di variante, però, nel caso di difformità, deve essere necessariamente posta in essere, poiché gli atti di pianificazione urbanistica esecutiva assolvono la funzione di consentire una più razionale utilizzazione del territorio nell’ambito delle scelte operate dallo strumento urbanistico sovraordinato. A tali scelte non può mancare di conformarsi il rilascio di quella «autorizzazione a lottizzare», da cui scaturisce la facoltà dei proprietari di chiedere le concessioni edilizie necessarie per dare esecuzione al progetto.
b) Non è corretto, altresì, argomentare circa un preteso «completo annullamento dell’area di operatività dell’articolo 20, lettera a), della legge 47/1985, in favore di un’ingiustificata ed arbitraria estensione della sfera incriminatoria dell’articolo 20, lettera c) della stessa legge», poiché l’articolo 20, lettera a) è norma penale in bianco, che ha portata residuale rispetto alle altre fattispecie pure contemplate dal medesimo articolo, concernendo gli abusi commessi al di fuori delle altre ipotesi specificatamente sanzionate.

6. Disancorata dal dato normativo appare, ad evidenza, l’esegesi dell’articolo 18 della legge 47/1985, proposta dal ricorrente C., secondo cui essa farebbe riferimento alle prescrizioni dell’autorizzazione, alle quali soltanto atterrebbe la richiesta «conformità agli strumenti urbanistici ed alle leggi statali e regionali».
Tale ricostruzione riconosce anzitutto la qualificazione di «strumento urbanistico» all’atto amministrativo di autorizzazione alla lottizzazione ed evidenzia, poi, che l’articolo 18, nel prescrivere il rispetto degli strumento urbanistici, non esclude certo la sanzionabilità solo di quello specifico strumento urbanistico costituito dalla delibera di approvazione del piano di lottizzazione.

Fin qui il ragionamento appare ineccepibile.

Quel ricorrente, però, evocando una «interpretazione sistematica» della legge 47/1985, soggiunge che il legislatore, in materia di lottizzazione, avrebbe inteso statuire allo stesso modo che in materia di concessione edilizia, sanzionando cioè l’assenza della concessione o la totale difformità da essa come l’assenza dell’autorizzazione alla lottizzazione o la difformità da tale provvedimento autorizzativo.
La lottizzazione, allora, sarebbe abusiva allorché manchi l’autorizzazione ovvero «allorché violi le prescrizioni contenute nell’approvazione del piano di lottizzazione (provvedimento autorizzativo), prescrizioni che derivano la loro esistenza e legittimità dagli strumenti urbanistici sovraordinati costituti dai piani regolatori, dalle leggi regionali e statuali».
Queste ulteriori argomentazioni non possono essere condivise: sia perché riducono il campo di illegittimità alle sole violazioni del piano di lottizzazione, anche qualora esso si ponga in contrasto con le prescrizioni sovraordinate, con ciò restringendo arbitrariamente la formulazione testuale della norma; sia perché introducono un insussistente parallelismo sanzionatorio.
Il rilascio delle autorizzazioni, per zone dove nessuna lottizzazione è consentita o per le quali sono ammessi insediamenti con destinazione e con caratteristiche diverse e più restrittive rispetto a quelle autorizzate, differisce ovviamente, nei suoi termini fattuali, dalle ipotesi di lottizzazione illecita per violazione delle prescrizioni autorizzatorie. Tali ultime violazioni però:

- qualora siano idonee a compromettere l’assetto pianificatorio, costituiscono anch’esse «difformità da uno strumento urbanistico»;
- qualora implichino difformità tipologiche, volumetriche, strutturali e di destinazione, tanto rilevanti e diffuse su tutta l’area, rispetto al progetto approvato dall’autorità amministrativa, comportano che l’opera non è più riferibile a quella pianificata e deve considerarsi pertanto «senza autorizzazione».

Sempre nel ricorso del C. si prospetta che, ove l’interpretazione ivi illustrata non fosse accolta, si profilerebbero dubbi di costituzionalità dell’articolo 18 della legge 47/1985, per contrasto con il principio di determinatezza della fattispecie e di stretta legalità (articolo 25 della Costituzione), con quello delle competenze funzionali comunali (articolo 113 della Costituzione) e con la riserva dei poteri attribuita alla giurisdizione amministrativa (articolo 103 e 113 della Costituzione) ed all’amministrazione attiva (articolo 118 della Costituzione), giacché le funzioni amministrative del comune, in materia di approvazione del piano di lottizzazione, verrebbero ad essere incongruamente svolte sotto il controllo giurisdizionale del giudice ordinario, e non di quello amministrativo, sottraendo a questo poteri ad esso riservati e facendo coincidere l’illegittimità di un atto con la sua illiceità.

Trattasi di profili di incostituzionalità assolutamente insussistenti, poiché:

- le censure di indeterminatezza della fattispecie contravvenzionale e di violazione del principio di stretta legalità si risolvono in una questione di mera interpretazione, riducendosi alla prospettazione di un’alternativa superabile in sede ermeneutica. Il riferimento della norma alla «violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati» è chiaramente individuato e tutt'altro che indeterminato, mentre la prospettata delimitazione di tale espressione al solo piano di lottizzazione introduce soltanto un dubbio interpretativo, il cui scioglimento è compito specifico del giudice ordinario;
- la Corte costituzionale ha ripetutamente dichiarato la manifesta infondatezza (con riferimento agli articoli 24, 2° comma, 25, 2° comma e 112 della Costituzione) dell’articolo 28, 1° comma, della legge 1150/42, come modificato dall’articolo 8 della legge 765/67, nella parte in cui, incriminando l’abusiva lottizzazione di aree fabbricabili, non avrebbe determinato in modo tassativo la fattispecie penale, rilevando che già l’utilizzazione del solo termine «lottizzazione» non è suscettibile di interpretazioni divergenti, in quanto nozione di comune esperienza che non impone al giudice alcun onere esorbitante dal normale compito di interpretazione (vedi Corte costituzionale; sentenza 49/1980 ed ordinanze 156/83, 169/83, 194/83, 5/1984, 72/1984, 197/84, 75/1985, 282/85, 159/86);
- al giudice ordinario, a prescindere dall’atto autorizzatorio amministrativo e senza lo svolgimento di alcun controllo su tale atto, viene demandata la verifica diretta della trasformazione territoriale realizzata alla stregua delle prescrizioni di legge e di qualsiasi strumento urbanistico di carattere generale, anche soltanto adottato, ed una verifica siffatta, lungi dall’interferire in qualsiasi modo sull’attività della pubblica amministrazione, costituisce riscontro di elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa.

6. Per tutte le considerazioni dianzi svolte va affermato, in conclusione, il principio di diritto che «il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici».

7. Nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro:

- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità degli indagati in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cassazione, sezioni unite, 7 novembre 1992, ricorrente Midolini);
- l’accertamento della sussistenza del «fumus commissi delicti» va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punti di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. Il tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro» (Cassazione, sezioni unite, 23/1997, ricorrente P.m. in proc. Bassi ed altri).

Alla stregua dei principi anzidetti va valutata la legittimità dell’ordinanza impugnata e deve rilevarsi che il tribunale di Bari – pur avendo, con criteri che allo stato suscitano perplessità, equiparato le aree lottizzate ad aree standard e pur non avendo espressamente affrontato il dubbio della contestazione attinente al «mancato rispetto delle distanze della zona B4» - ha logicamente ed esaurientemente argomentato circa:

- l’individuazione delle previsioni della «zona per attrezzature collettive» al servizio della zona produttiva sorta si due lati della S.S. 98 di Modugno;
- l’intima connessione al piano di lottizzazione (e l’artificiosa separazione da esso) dell’edifico polifunzionale e del manufatto destinato a parcheggio, rispettivamente autorizzati in zona giù agricola (questa volta con procedimenti di variante di piano) ed in zona di completamento di tipo B4 (senza il rispetto della medesima tipologia esistente);
- la computabilità volumetrica, quanto all’edificio destinato a parcheggio, delle superfici delimitate da pilastri verticali ma non chiuse in tutto il loro perimetro esterno.

L’ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai giudici del merito (i quali dovranno altresì occuparsi dell’elemento soggettivo del reato, non escludibile «ictu oculi» in questo momento) ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie argomentazioni svolte dai ricorrenti non valgono certo ad escludere la legittimità della misura adottata.

8. I ricorsi, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, devono essere rigettati, con la condanna dei ricorrenti, in solito, al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte Suprema di cassazione, a sezioni unite, visti gli articoli 607, 611, 616 e 618 C.p.p., rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.