EDILIZIA - 035 
T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 17 maggio 2001, n. 358
L’articolo 4, comma 3, della legge regionale 19 novembre 1999, n. 22 amplia incondizionatamente il novero degli interventi edilizi soggetti a D.I.A. anche alle nuove costruzioni: l'originario ambito applicativo della D.I.A. previsto dal legislatore statale che consente solo interventi edilizi minori, è stato quindi largamente ampliato dal legislatore regionale.
Anche la superDIA (D.I.A. introdotta dalla predetta norma regionale) è soggetta all'applicazione delle misure di salvaguardia intervenute dopo la presentazione e prima che la stessa divenga efficace per il trascorrere dei 20 giorni previsti per l'inizio dei lavori.
(conforme: T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 2 aprile 2004, n. 380)
(contra:
Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza n. 3234 del 29 luglio 2003)

E' legittimo il provvedimento del segretario comunale nelle materie edilizia e urbanistica regolarmente delegato dal Sindaco nella settore specifico.
La salvaguardia, rispetto allo strumento urbanistico adottato, scatta dalla data della deliberazione consiliare di adozione prima che questa divenga esecutiva per effetto della pubblicazione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso n. 1109 del 2000 proposto da O.Z. e C.Z. entrambi rappresentati e difesi dall’avv. G.D. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Brescia, via ...

contro

il Comune di Vezza d’Oglio,in persona del sindaco pro-tempore costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. G.B. ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Brescia via ...;

PER L'ANNULLAMENTO

I) della diffida 5.07.2000, n. 2678 emessa dal segretario comunale e notificata il 7.07.2000;
II) della deliberazione del 30.06.2000, n.34 del Consiglio comunale di adozione della variante al P.R.G. in parte qua.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 9.02.2001 la relazione del dr.Oreste Mario Caputo;
Uditi, l'avv. G.D. per i ricorrenti e l’avv. G.B. per il Comune resistente.
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

I ricorrenti, comproprietari di aree edificabili nel Comune di Vezza d’Oglio, premesso di avere presentato il 17.06.2000 “denuncia di inizio dell’attività” per la realizzazione di 12 alloggi, hanno impugnato la diffida del segretario comunale a non dare inizio ai lavori, nonché la variante al P.R.G., adottata dal Consiglio comunale il 30.06.2000, che ha destinato parte dei terreni dei ricorrenti a verde pubblico, ed alla cui stregua si è imposta la diffida.

L’impugnazione è sorretta dai seguenti motivi:

I) violazione degli artt. 7, 8 e 10 della legge 7.8.1990, n. 241 per violazione del principio di partecipazione;
II) incompetenza dell’autorità emanante in relazione art. 51 della legge 8.6.1990, n. 142;
III) violazione e falsa applicazione della legge 3.11.1952, n. 1902 in relazione all’art.  4 della legge regionale 19.11.1999, n. 22;
IV) violazione dell’art. 19 della legge 3.8.1999, n. 265;
V) violazione dell’art. 3 della legge regionale  5.1. 2000, n. 1;
VI) violazione dei principi regolamentari di cui alla D.G.R. 14.6.1999, n. VI/43617 della Giunta regionale;
VII) eccesso di potere per incongrua motivazione;
VIII) violazione del combinato disposto di cui agli artt. 3 del d.m. 2.4.1968 e 22 della legge regionale 15.4.1971, n. 51.

L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

Rinunciata la domanda cautelare di sospensione degli atti impugnati, la causa su richiesta delle parti è stata trattenuta in decisione all’udienza del 9 febbraio 2001.

DIRITTO

Preliminarmente va dato atto che l’eccezione pregiudiziale di difetto di interesse dei ricorrenti a coltivare il ricorso è stata espressamente rinunciata dall’amministrazione fondandosi su un presupposto di fatto risultato errato (asserita, pregressa cessione dell’area di loro proprietà).
I ricorrenti, nella loro qualità di comproprietari di aree edificabili, hanno impugnato la diffida del 5 luglio 2000, intimata dal segretario comunale di Vezza d’Oglio, a non eseguire lavori di costruzione di un immobile composto di dodici alloggi, di cui alla “denuncia di inizio di attività costruttiva” del 17 giugno 2000.
Inoltre con lo stesso atto introduttivo si è censurata la variante al P.R.G., adottata con deliberazione del 30.06.2000 dal Consiglio comunale, che ha destinato parte delle aree dei ricorrenti a verde pubblico, riducendo la volumetria già consentita.
La questione principale devoluta all’esame del Collegio attiene all’efficacia della misura di salvaguardia di cui all’art.1 della legge 3 novembre 1952, n. 1902 sul procedimento di denuncia di attività per l’esecuzione di opere, originariamente limitata ai sensi dell’art. 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 agli interventi edilizi minori, e successivamente esteso con legge regionale 19 novembre 1999, n. 22 a quelli aventi ad oggetto la realizzazione di immobili.
Nella prospettazione dei ricorrenti la D.I.A., in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, costituirebbe atto unilaterale del privato idoneo a produrre immediatamente, ed indipendentemente dalle verifiche successive demandate all’amministrazione, gli effetti del consenso dell’autorità amministrativa competente ordinariamente richiesto per la realizzazione di interventi sul territorio.

Il binomio richiesta-concessione sarebbe dunque soppiantato dall’unilaterale atto del privato di denuncia dell’attività con l’accollo d responsabilità conseguente alla verifica da parte degli organi competenti della sussistenza dei presupposti di fatto e dei requisiti di diritto cui è subordinata l’attività intrapresa.
Detta conclusione sarebbe avvalorata, a parere dei deducenti dal fatto che, coerentemente alla finalità di effettiva semplificazione dei procedimenti cui è ispirato l’istituto, si sarebbe voluto eliminare in radice ogni preventiva determinazione amministrativa, per cui la misura di salvaguardia intesa a “sospendere ogni determinazione sulla domanda di concessione” non avrebbe alcuna possibilità di essere richiamata, ove la variante introdotta sia stata adottata successivamente alla presentazione della D.I.A.
Seguendo la falsariga delle argomentazioni contenute nei motivi di impugnazione, la D.I.A presupporrebbe, poi, che l’accertamento di conformità dell’intervento alla disciplina vigente sarebbe compiuto direttamente dal progettista nella relativa relazione allegata al progetto di costruzione: per conseguenza i requisiti di ammissibilità della D.I.A. andrebbero verificati con esclusivo riferimento alla disciplina vigente al momento dell’accertamento di conformità in applicazione del principio tempus regit actum.
Infine, il termine di venti giorni prima dell’inizio dell’attività, entro il quale l’amministrazione dispone dei poteri di verifica, costituirebbe mera condizione di efficacia di un titolo abilitante già perfetto.
In conclusione, quindi, posto che la variante al P.R.G., che ha destinato parte del lotto dei ricorrenti a verde pubblico con riduzione dello ius aedificandi a soli otto appartamenti in luogo dei dodici previsti, è stata adottata con delibera consiliare il 30.06.2000, la diffida a non intraprendere l’attività edilizia sarebbe illegittima, essendo ininfluente la disciplina urbanistica sopravvenuta sulla D.I.A. presentata il 17.6.2000.

Le richiamate argomentazioni non sono condivisibili.

Giova, in proposito, premettere che l’art. 4, comma 3, della legge regionale 19 novembre 1999, n. 22 amplia incondizionatamente il novero degli interventi edilizi soggetti a D.I.A. : in esso si fa richiamo all’Allegato A della deliberazione regionale 6/38573 del 25 settembre 1998, laddove individua le tipologie degli interventi relativi sia al patrimonio edilizio esistente sia di nuova costruzione; soltanto limitatamente agli immobili vincolati l’art. 5 legge regionale n. 22 del 1999 l’utilizzo della D.I.A. è prevista dopo che sia stata acquisita la necessaria autorizzazione paesaggistica.
L’originario ambito applicativo della D.I.A. previsto dal legislatore statale all’art. 4 della legge  4 dicembre 1993, n. 493, come sostituito dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che consente solo interventi edilizi minori, è stato quindi largamente ampliato dal legislatore regionale.
In detto mutato quadro legislativo può dunque affermarsi che, il procedimento in cui si articola la D.I.A. è rimasto sostanzialmente inalterato rispetto alla originaria previsione statale, esso ha, tuttavia, ad oggetto nella Regione Lombardia la realizzazione di innominati interventi edilizi, se del caso anche su immobili vincolati, ivi compresi quelli relativi alla costruzione di nuovi manufatti composti da più unità abitative. Va peraltro chiarito che, come è stato da più parti sottolineato, la legittimazione all’intervento non si produce quale effetto in coincidenza con la presentazione della denuncia di inizio d’attività.

Questa costituisce mero onere, mentre l’accertamento della legittimazione all’intervento consegue dalla verifica del rispetto dei requisiti e presupposti di legittimità entro il termine di venti giorni dalla presentazione della denuncia (cfr. con riguardo in genere alla D.I.A. Consiglio di Stato, parere n.  27 del 1992; T.A.R. Veneto 11 maggio 1995, n. 763).
Del resto il richiamo alla disciplina prevista all’art. 4 della legge n. 493 del 1993, contenuto nell’art. 4 della legge regionale n. 22 del 1999, comporta che l’esecuzione delle opere per cui sia esercitata la facoltà di D.I.A. sono comunque subordinate “alla medesima disciplina definita dalle norme statali e regionali vigenti per le corrispondenti opere eseguite su rilascio di concessione edilizia”.
Né può essere utilmente richiamato a favore dei ricorrenti il principio tempus regit actum posto che la D.I.A non dà luogo, come essi stessi precisano nelle premesse, ad alcuna una “fattispecie attizia”, non essendo richiesta per l’operatività di essa la mediazione di alcun provvedimento amministrativo per esercitare l’attività costruttiva che è infatti presa in considerazione dalla norma direttamente sul piano fattuale.
D’altra parte la delibera consiliare di adozione della variante al P.R.G. è stata adottata il 30 giugno 2000 in pendenza del termine per la verifica dei presupposti che consentono l’esercizio dell’attività edilizia di cui alla denuncia di inizio dell’attività del 17 giugno 2000. Conseguentemente nessun effetto retroattivo ha dispiegato la delibera impugnata, dovendosi invece ritenere, in conformità al già precisato meccanismo giuridico di legittimazione della D.I.A, che essa abbia trovato “attuale” applicazione con riferimento alle misure di salvaguardia alla situazione dedotta in giudizio.

Discende dalle svolte considerazioni la conclusione che la previsione di cui all’art. 1, comma 1, della legge 3 novembre 1952, n. 1902, che attribuisce al Sindaco, o al suo delegato il potere, fin dalla data della deliberazione comunale di adozione dello strumento urbanistico generale, e quindi prima che la delibera divenga esecutiva per effetto della pubblicazione, di impedire la realizzazione di interventi che siano in contrasto col piano appare legittimamente applicabile nel caso di specie.
Nel caso che ne occupa il Segretario comunale, delegato dal Sindaco, ha appunto adottato sia la diffida ad intraprendere l’attività edilizia invocando genericamente le misure di salvaguardia, che la sospensione dell’attività di edificazione, che oltretutto non è stata impugnata.

Chiarito quanto precede osserva il Collegio che il primo motivo di impugnazione che assume la violazione delle norme sull’avviso del procedimento è privo di pregio.
L’operatività della prescrizione sull’avviso di avvio del procedimento è infatti esclusa per i procedimenti che abbiano inizio su istanza di parte.
Relativamente al secondo motivo è sufficiente rilevare che risulta per tabulas la delega del Sindaco al Segretario comunale (decreto di delega n. 5425 del 15 dicembre 1999) che estensivamente riguarda (tutta) la materia urbanistica, inclusa l’adozione delle misure a carattere inibitorio delle attività edilizie non conformi alla previsioni urbanistiche.

Passando ore all’esame dei motivi di impugnazione incentrati sull’illegittimità della variante al P.R.G. adottata con deliberazione del Consiglio comunale il 30.06.2000, la Sezione è dell’avviso che, quanto alla dedotta violazione dell’art.19 della legge n. 265/99 (per avere partecipato alla discussione ed alla votazione consiglieri che vantavano un interesse personale alla variante), al difetto di pubblicità ed al mancato esame da parte dei consiglieri dei riferimenti cartografici e tecnici relativi alla variante, nonché il denunciato difetto di istruttoria e di motivazione (anche avuto riguardo all’incremento degli standards urbanistici) si debba procedere sia ad una verifica istruttoria sia ad una consulenza tecnica d’ufficio.

Detti incombenti vengono, pertanto, affidati al Giudice relatore, che provvederà ad ogni verifica documentale ed alla nomina nel contraddittorio delle parti di C.T.U., cui porrà, previo giuramento di rito, ogni occorrente quesito volto ad appurare e chiarire le circostanze sopra indicate.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia- Sezione staccata di Brescia - non definitivamente pronunciando - respinge i primi tre motivi di impugnazione del ricorso in epigrafe, disponendo per i rimanenti motivi gli incombenti istruttori ai sensi di cui in motivazione, restando riservata ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 9 febbraio 2001, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco Mariuzzo, Presidente;
Renato Righi, Consigliere;
Oreste Mario Caputo, Consigliere – estensore.

 EDILIZIA - 035-bis 
T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 2 aprile 2004, n. 380
La d.i.a. è equiparabile sotto diversi profili al permesso di costruire; così come le norme sopravvenute alla presentazione della domanda di permesso di costruire prima del suo rilascio trovano applicazione all'interno del regime di salvaguardia, alla stessa stregua devono essere applicate le misure di salvaguardia alle d.i.a. per le quali non sia ancora trascorso il termine di 30 giorni.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

su ricorso n. 1008/2003, e motivi aggiunti, proposto da M.J rappresentata e difesa dagli Avv.ti G.C. e F.F. ed elettivamente domiciliata presso ...

contro

COMUNE DI SELVINO in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti M.B. e M.V. ed elettivamente domiciliato presso ...

per l’annullamento

dei seguenti provvedimenti:

- comunicazione in data 24.1.2003 prot. n. 164, recante sospensione pratica edilizia per applicazione delle misure di salvaguardia (Ric. principale);
- deliberazione di Consiglio comunale n. 56 del 23.12.2002, recante adozione variante al PRG (Ric. principale);
-deliberazione di Consiglio comunale n. 13 del 5.6.2003, recante approvazione definitiva variante al PRG (Ric. principale);
- comunicazione in data 7.1.2003 prot. n. 50, recante diniego di pratica edilizia – Dia del 20.12.2002 (Ric. principale);
- comunicazione in data 9.9.2003 prot. n. 164, recante diniego pratica edilizia – Dia del 10.1.2003 (Ric. per motivi aggiunti);

e per

il consequenziale risarcimento dei danni.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Selvino;
Visto il ricorso per motivi aggiunti;
Viste le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato, quale relatore alla pubblica udienza del 12.3.2004, il Dott. Gianluca Morri;  
Uditi i difensori delle parti,

Ritenuto quanto segue in fatto e in diritto:

FATTO

La ricorrente è proprietaria di un fabbricato residenziale unifamiliare, avente una superficie utile abitabile di circa mq. 300, sviluppata su tre piani fuori terra, oltre ad una superficie per servizi ed accessori di circa mq. 220.

Con una prima denuncia di inizio attività, depositata in data 20.12.2002, la ricorrente intendeva intraprendere lavori di demolizione e ricostruzione dell'edificio in oggetto, per la realizzazione di un condominio di 6 alloggi di circa 50 mq. ciascuno.

A detta denuncia seguiva il divieto di inizio dei lavori disposto con provvedimento in data 7.1.2003 prot. n. 50 del Responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune di Selvino, in quanto l'elevazione dell'altezza del piano seminterrato avrebbe comportato un aumento volumetrico e un aumento dell'altezza dell'edificio in contrasto con gli artt. 14 e i 17 della NTA del PRG.

Nel frattempo il Consiglio comunale, con delibera n. 56 del 23.12.2002, adottava variante al PRG con la quale veniva modificato l'art. 15 della NTA - Norme generali per le zone residenziali -, inserendo la seguente prescrizione: "È consentito ristrutturare le ville unifamiliari esistenti, ricavandovi non più di due unità di abitazione per ognuna di essere, senza ulteriori suddivisioni". Detta deliberazione risulta essere divenuta esecutiva in data 19.1.2003, per decorrenza dei prescritti termini di pubblicazione.

In data 10.1.2003 la ricorrente depositava una nuova denuncia di inizio attività per l'esecuzione di un condominio analogo a quello oggetto della denuncia precedente ma con la riduzione delle altezze interne al fine di rientrare nei limiti previsti dal PRG.

Con provvedimento in data 24.1.2003 il Responsabile dell'Ufficio tecnico comunale sospendeva detta denuncia applicando, alla stessa, le misure di salvaguardia, poiché i lavori da intraprendere avrebbero comportato la trasformazione della villa unifamiliare in un condominio di 6 abitazioni in contrasto con l'art. 15 della NTA nel testo modificato dalla variante al PRG in itinere.

Detta variante è stata definitivamente approvata con delibera di Consiglio comunale n. 13 del 5.6.2003, a seguito della quale il Responsabile dell'Ufficio tecnico comunale, con provvedimento in data 9.9.2003 prot. n. 164, ha disposto l'ordine definitivo di non effettuare i lavori in progetto.

Avverso tali provvedimenti la ricorrente propone ricorso principale e successivo ricorso per motivi aggiunti contestando la legittimità sia dalla variante alle NTA del PRG sia i provvedimenti con i quali sono stati rispettivamente sospesi e interdetti i lavori oggetto della seconda denuncia di inizio attività.

Per quanto riguarda la nuova disposizione introdotta nelle NTA del PRG vengono dedotte le seguenti illegittimità:

- violazione di legge ed eccesso di potere per difetto o insufficienza della motivazione, in quanto il divieto di ricavare, nelle ville unifamiliari esistenti, non più di due unità abitative, non reca alcuna giustificazione in relazione sia alla dimensione minima delle unità abitative sia alla situazione di fatto esistente nella zona;
- eccesso di potere per illogicità, contradditorietà e parzialità, in quanto il limite di due unità abitative risulterebbe del tutto arbitrario e fuori dalle esigenze dell'attuale mercato immobiliare;
- violazione degli artt. 1, 2, 3 e 8 della Legge regionale n. 1 del 2001 che consente il recupero degli edifici con mantenimento della destinazione d'uso esistente ancorché venga aumentato il carico urbanistico.

Per quanto riguarda i provvedimenti con i quali sono stati rispettivamente sospesi e interdetti i lavori oggetto della seconda Dia, vengono dedotte le seguenti illegittimità:

- illegittimità derivata dall'illegittimità della variante al PRG adottata ed approvata rispettivamente con le deliberazioni di Consiglio comunale nn. 56/2002 e 13/2003;
- violazione di legge ed eccesso di potere per inapplicabilità della predetta variante ai lavori in oggetto.

La ricorrente rivolge, altresì, istanza di risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi a mezzo di consulenza tecnico d'ufficio ovvero da liquidarsi in via equitativa.

Si è costituito in giudizio il Comune di Selvino, eccependo, in primo luogo, la tardiva impugnazione dei provvedimenti in data 7.1.2003 e 24.1.2003 recanti, rispettivamente, diniego Dia del 20.12.2002 e applicazione delle misure di salvaguardia sulla Dia del 10.1.2003. Contesta, altresì, nel merito, tutte le censure di parte ricorrente chiedendo la reiezione del ricorso poiché infondato.

All'udienza del 12 Marzo 2004 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Occorre esaminare preliminarmente le eccezioni di irricevibilità del ricorso della parte in cui vengono impugnati i provvedimenti in data 7.1.2003 e 24.1.2003 recanti, rispettivamente, diniego Dia del 20.12.2002 e applicazione delle misure di salvaguardia sulla Dia del 10.1.2003.

Tali eccezioni sono irrilevanti fini della decisione dell’odierna controversia.

In particolare il provvedimento in data 7.1.2003 prot. n. 50, risulta essere stato oggetto di acquiescenza con la seconda denuncia di inizio attività depositata in data 10.1.2003 per l'esecuzione di un condominio analogo a quello oggetto della denuncia precedente ma con la riduzione delle altezze interne al fine di rientrare nei limiti previsti dal PRG contestati con detto provvedimento.

Il secondo provvedimento, in data 24.1.2003, recante applicazione delle misure di salvaguardia sulla Dia del 10.1.2003, risulta essere stato superato dal provvedimento in data 9.9.2003, oggetto di ricorso per motivi aggiunti, con il quale il Responsabile del servizio ha inibito definitivamente l'esecuzione dei lavori essendo stata nel frattempo approvata la variante al PRG.

2. Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.

3. In ordine logico è necessario esaminare preliminarmente la censura rivolta contro il provvedimento in data 9.9.2003 con la quale si deduce violazione di legge ed eccesso di potere per inapplicabilità della predetta variante ai lavori oggetto di denuncia di inizio attività.

In particolare la ricorrente sostiene che la disposizione introdotta nell'artt. 15 della NTA del PRG, secondo cui: "È consentito ristrutturare le ville unifamiliari esistenti, ricavandovi non più di due unità di abitazione per ognuna di essere, senza ulteriori suddivisioni", non troverebbe applicazione, nel caso in esame, per le seguenti ragioni:

a) la seconda Dia, depositata in data 10.1.2003, non può ritenersi nuova comunicazione rispetto alla precedente Dia del 20.12.2002, in quanto ripropone, nella sostanza, il medesimo progetto modificando solo l'altezza del piano seminterrato;
b) anche a voler considerare la Dia depositata in data 10.1.2003 come nuova denuncia, non potrebbe trovare applicazione detta variante al PRG in quanto la delibera di adozione risulta essere divenuta esecutiva in data successiva (19.1.2003).

Al fine di comprendere meglio le predette censure è necessario ricapitolare le date in cui si sono susseguiti gli atti e i provvedimenti di causa. In particolare:

- in data 20.12.2002 veniva depositata la prima denuncia di inizio attività;
- in data 23.12.2002 veniva adottata la variante al PRG;
- in data 7.1.2003 venivano inibiti i lavori oggetto di Dia;
- in data 10.1.2003 veniva presentata la seconda denuncia di inizio attività;
- in data 19.1.2003 diveniva esecutiva la delibera di adozione della variante al PRG;
- in data 24.1.2003 veniva adottato il provvedimento soprassessorio sulla seconda Dia.

3.1 Entrambe le argomentazioni non possono essere condivise.

3.2 La prima denuncia si è definitivamente arrestata con il provvedimento in data 7.1.2003 con cui il Responsabile dell'Ufficio tecnico ha disposto l'inibizione dei lavori poiché l'elevazione dell'altezza del piano seminterrato avrebbe comportato un aumento volumetrico e un aumento dell'altezza dell'edificio in contrasto con gli artt. 14 e i 17 della NTA del PRG. La seconda denuncia di inizio attività, depositata in data 10.1.2003, deve considerarsi, pertanto, nuova denuncia rispetto alla precedente, in quanto avvia un nuovo procedimento amministrativo per un intervento strutturale parzialmente difforme dal precedente stante l’adeguamento dell'altezza e del volume ai limiti previsti dallo strumento urbanistico.

Del resto la disciplina applicabile alla fattispecie conferma questo assunto quando stabilisce che: “Nei casi di cui al comma 7, il sindaco, ove entro il termine indicato al comma 11 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica agli interessati l'ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni…. Gli aventi titolo hanno facoltà di inoltrare una nuova denuncia di inizio di attività qualora le stabilite condizioni siano soddisfacibili mediante modificazioni o integrazioni dei progetti delle trasformazioni, ovvero mediante acquisizioni di autorizzazioni, nulla-osta, pareri, assensi comunque denominati, oppure, in ogni caso, di presentare una richiesta di autorizzazione (art. 4 del D.L. 5.10.1993, n. 398 e s.m.i.)”.

3.3 Il secondo profilo qui in esame riguarda più da vicino l'individuazione della disciplina urbanistica applicabile alla denuncia di inizio attività. Poiché la variante al PRG risulta essere stata adottata con delibera divenuta esecutiva in data 19.1.2003 la stessa non potrebbe trovare applicazione, secondo la ricorrente, né in regime di salvaguardia né in via definitiva, in quanto anche la seconda Dia risulta essere stata depositata in data antecedente.

Al riguardo viene richiamata una recente ordinanza del Consiglio di Stato (Ord. Sez. V, n. 3234/2003), secondo cui: “Il doveroso potere di controllo/vigilanza da esercitarsi, a cura del Comune, nel termine di legge deve essere necessariamente esercitato in relazione alla sussistenza dei presupposti legali al momento della presentazione della denunzia”.

Pur prendendo atto dell'autorevole pronuncia sopra citata, il Collegio ritiene di dover esprimere contrario avviso, anche in relazione alla sommarietà della cognizione che caratterizza il processo cautelare.

Al di là della questione secondo cui, a fronte del mancato esercizio dei poteri di vigilanza e controllo attribuiti all'amministrazione comunale, sussista un provvedimento amministrativo da impugnare o solo un comportamento inerte della pubblica amministrazione, pare non revocabile in dubbio che la Dia costituisca oggi un titolo edilizio che, in presenza di tutti presupposti richiesti dalla legge, legittima l'interessato all'esecuzione dei lavori.

Infatti l’art. 4, comma 14, del D.L. 5.10.1993, n. 398, e successive modifiche ed integrazioni (ora art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001), stabilisce che: “…ai fini degli adempimenti necessari per comprovare la sussistenza del titolo abilitante all'effettuazione delle trasformazioni tengono luogo delle autorizzazioni le copie delle denunce di inizio di attività, dalle quali risultino le date di ricevimento delle denunce stesse, nonché l'elenco di quanto prescritto comporre e corredare i progetti delle trasformazioni e le attestazioni dei professionisti abilitati”.

Fra i vari requisiti richiesti affinché la Dia possa produrre i propri effetti legittimanti è prevista la conformità delle opere da realizzare con gli strumenti urbanistici adottati o approvati (art. 4, comma 11, del D.L. n. 398 del 1993).

Al fine di verificare la sussistenza di tutti presupposti legittimanti è prescritto che la denuncia venga presentata prima dell’inizio dei lavori.

In sostanza l'ordinamento non consente all'interessato l'immediato inizio dell'attività edilizia, ma prevede un breve termine entro cui l'amministrazione possa intervenire per inibire definitivamente l'attività in caso di assenza dei requisiti richiesti senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato dall’interessato (termine fissato in 20 giorni dall’art. 4 comma 11 del D.L. n. 398 del 1993 ora elevato a 30 gg. dall'art. 23 comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001).

In questa logica procedimentale gli effetti dell'attività amministrativa di istruttoria sulla Dia non sono diversi da quelli conseguenti all'espletamento dell’istruttoria volta al rilascio del permesso di costruire. In sostanza, in entrambi i casi, è precluso all'interessato intraprendere i lavori fino a quando non decorra infruttuosamente il termine previsto dalla legge per inibire l'effettivo inizio degli stessi ovvero fino al rilascio dell'esplicito titolo edilizio (permesso di costruire).

L'ordinamento, pertanto, non tollera attività edilizie intraprese in assenza di un comportamento cosciente, attivo o passivo, dell'amministrazione deputata al relativo controllo.

Nel caso della Dia si tratta di un comportamento omissivo, ossia la mancata inibizione dei lavori dopo lo svolgimento dell'attività istruttoria volta all'accertamento dei presupposti legittimanti l'esecuzione degli stessi. Nel caso di permesso di costruire si tratta, al contrario, di un comportamento attivo, consistente nell'emanazione del prescritto titolo legittimante.

Analogo parallelismo deve, pertanto, sussistere anche per l'applicazione delle misure di salvaguardia, atteso che la denuncia di inizio attività non può validamente produrre i suoi effetti in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici anche adottati.

Nel caso di opere edilizie subordinate all’ottenimento di un titolo espresso (oggi permesso di costruire), l'ordinamento non tollera che lo stesso venga rilasciato in contrasto con gli strumenti urbanistici in fase di adozione prevedendo, al riguardo, l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui alla Legge 3.11.1952, n. 1902, ancorché l'istanza sia stata presentata prima di tale adozione.

In sostanza nelle more di conclusione del procedimento amministrativo, in questo caso volto all'emanazione di un provvedimento espresso, l'istanza dell'interessato non può ritenersi immune dai mutamenti della strumentazione urbanistica del frattempo intervenuti.

In questa logica appare coerente applicare analogo principio al procedimento istruttorio volto alla verifica dei presupposti legittimanti l'esecuzione dei lavori in base ad una denuncia di inizio attività.

Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata. Qualora non sussista tale presupposto l'amministrazione deve intervenire, analogamente come avviene nel procedimento volto al rilascio del permesso di costruire, per l'applicazione delle misure di salvaguardia.

4. Accertata così l'applicabilità, ai lavori oggetto di Dia, della nuova disciplina urbanistica introdotta dal Comune di Selvino, occorre ora esaminare le censure rivolte contro quest’ultima.

Secondo la ricorrente la disposizione inserita nell'art. 15 della NTA, secondo cui: "È consentito ristrutturare le ville unifamiliari esistenti, ricavandovi non più di due unità di abitazione per ognuna di essere, senza ulteriori suddivisioni", sarebbe illegittima per i seguenti motivi:

a) violazione di legge ed eccesso di potere per difetto o insufficienza della motivazione, in quanto il divieto di ricavare, nelle ville unifamiliari esistenti, non più di due unità abitative, non reca alcuna giustificazione in relazione sia alla dimensione minima delle unità abitative sia alla situazione di fatto esistente nella zona;
b) eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e parzialità, in quanto il limite di due unità abitative risulterebbe del tutto arbitrario e fuori dalle esigenze dell'attuale mercato immobiliare;
c) violazione degli artt. 1, 2, 3 e 8 della Legge regionale n. 1 del 2001 che consente il recupero degli edifici con mantenimento della destinazione d'uso esistente ancorché venga aumentato il carico urbanistico.

4.1 In ordine ai primi due aspetti (lett. a e b) giova ricordare che, in sede di pianificazione urbanistica, le scelte dell'amministrazione costituiscono apprezzamento di merito e per ciò sono sottratte al sindacato di legittimità, salvo che le nuove previsioni siano inficiate da errori di fatto o da vizi di illogicità e contraddittorietà; si tratta di scelte discrezionali per le quali la giurisprudenza non ritiene, altresì, necessaria una espressa e specifica motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell'impostazione del piano (ex multis: Cons. Stato Sez. IV, 20.112000, n. 6177; Sez. IV, 8.6.2000, n. 3280; Sez. V, 23.5.2000, n. 2982 ; Cons. Stato, Sez. IV, 9.7.2002, n. 3817).

La giurisprudenza ha, invece, ritenuto necessaria la puntuale motivazione solo nei casi in cui l’amministrazione adotti varianti specifiche e settoriali al PRG che incidono su interessi e aspettative basate su una particolare tutela od affidamento o di variante limitata ad un determinato oggetto di riferimento (terreno o immobile) (Cons. Stato Sez. V, 23.5.2000, n. 2982; Sez. IV, 20.3.2001, n. 1679).

In sostanza, nella materia di disciplina generale dell'assetto del territorio attraverso il PRG, l’amministrazione non è tenuta, salvo ipotesi determinate, individuate dalla giurisprudenza, ad uno specifico obbligo di motivazione oltre a ciò che si può evincere dai sopra citati criteri generali seguiti nell'impostazione del piano contenuti nella relazione di accompagnamento allo stesso.

Nel caso in esame le ragioni che hanno indotto il Consiglio comunale di Selvino ad introdurre la nuova disciplina in oggetto emergono chiaramente dalla relazione tecnica allegata alla delibera di adozione n. 56 del 23.12.2002.

In tale sede viene dato atto di una tendenza alla ristrutturazione di immobili residenziali volta a realizzare alloggi turistici di dimensioni ridotte che determinano uno squilibrio fra la capacità insediativa teorica del PRG, in base alla quale sono stati dimensionati gli standard, e la popolazione effettivamente insediata sul territorio. Viene, altresì, rilevato che quest'ultima risulta essere sensibilmente superiore alla prima comportando ripercussioni negative sui servizi pubblici, i quali risultano sotto dimensionati e carenti di fronte alla domanda reale. Tali accertamenti non risultano essere stati contestati dalla parte ricorrente.

Per arginare tale fenomeno l’Amministrazione ha ritenuto opportuno impedire che edifici sorti originariamente come unifamiliari (ville) di grandi dimensioni, vengano trasformati in condomini con più di due unità di abitazione, già capaci, comunque, di determinare a un sensibile aumento della capacità insediativa e di tutto il peso urbanistico che ne consegue.

Nel caso in esame l'edificio, originariamente unifamiliare, verrebbe trasformato in un condominio con 6 unità abitative di circa 50 mq ciascuna.

Il Collegio ritiene che dette motivazioni appaiano congrue e non palesementi irrazionali in relazione allo scopo perseguito, essendo proprio la finalità principale dello strumento urbanistico quella di disciplinare un ordinato utilizzo del territorio, equilibrando la capacità insediativa con gli standard generali e i servizi, pubblici e privati, idonei a garantirne la vivibilità.

La posizione della ricorrente non rientra tra le ipotesi assistite da quella particolare tutela o affidamento che avrebbero imposto una motivazione ancor più analitica con riferimento al caso specifico.

In sostanza la norma introdotta con l'impugnata variante al PRG, oltre ad assumere portata generale, è volta a salvaguardare la situazione, anche urbanisticamente di pregio, esistente assicurando il godimento degli immobili ai quali è rivolta, nello stato in cui si trovano e per i quali è stato rilasciato il prescritto titolo abilitativo.

4.2 Con l’ultimo motivo si deduce violazione degli artt. 1, 2, 3 e 8 della Legge regionale n. 1 del 2001 che consente il recupero degli edifici con mantenimento della destinazione d'uso esistente ancorché venga aumentato il carico urbanistico.

La censura non appare pertinente con il caso in esame.

La Legge regionale n. 1 del 2001 detta disposizioni affinché i comuni, attraverso i propri strumenti umanistici, introducano discipline semplificate per i mutamenti delle destinazioni d'uso degli immobili nelle singole zone omogenee.

Nel caso in esame il Comune di Selvino non ha introdotto una disciplina della destinazione d'uso, ma soltanto una norma di tutela dalla tipologia edilizia di immobili determinati (ville unifamiliari), al fine di contenere l’aumento del carico urbanistico in caso di loro trasformazione in edifici plurifamiliari.

5. Il Collegio ritiene che, anche in relazione alla novità di alcune questioni trattate, sussistano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia -  definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia, il giorno 12 Marzo 2004, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:

Francesco Mariuzzo - Presidente
Gianluca Morri - Giudice relat. est.
Mauro Pedron - Giudice  

EDILIZIA - 035-ter
Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 29 luglio 2003, n. 3234
La d.i.a. è procedura alternativa al rilascio di assenso da parte dell’Amministrazione comunale e pretende che venga asseverata, da parte di progettista abilitato, la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati. Il  potere di controllo/vigilanza da esercitarsi, a cura del Comune, nel termine di legge deve essere necessariamente esercitato in relazione alla sussistenza dei presupposti legali al momento della presentazione della denunzia.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

 

composto dai Signori:

Pres. Alfonso Quaranta
Cons. Giuseppe Farina
Cons. Paolo Buonvino
Cons. Claudio Marchitiello
Cons. Gerardo Mastrandrea Est.

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 29 Luglio 2003 .

Visto l'art.21, u.c., della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Visto l'appello proposto da: M.E., M.S., M.M., M.M.A.

rappresentato e difeso da: Avv. A.M. e Avv. A.B. con domicilio eletto ...

contro

COMUNE DI BORMIO rappresentato e difeso da Avv. E.R. e Avv. G.D.M. con domicilio eletto in ...

per l'annullamento dell'ordinanza del T.A.R. LOMBARDIA - Milano, Sezione II, n. 846/2003, resa tra le parti, concernente LAVORI DI RISANAMENTO CONSERVATIVO - CAMBIO DESTINAZIONE D'USO DA RICETTIVO A RESIDENZIALE ;

Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
Vista l'ordinanza di rigetto della domanda cautelare proposta in primo grado;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di: COMUNE DI BORMIO
Udito il relatore Cons. Gerardo Mastrandrea e uditi , altresì, per le parti gli avv.ti M. e P. su delega dell’avv. R.

Considerato che la denunzia di inizio attività, prevista espressamente, in linea teorica, anche per gli interventi di risanamento conservativo, è procedura alternativa al rilascio di assenso, anche tacito, da parte dell’Amministrazione comunale e pretende che venga asseverata, da parte di progettista abilitato, la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati;

Considerato che il doveroso potere di controllo/vigilanza da esercitarsi, a cura del Comune, nel termine di legge deve essere necessariamente esercitato in relazione alla sussistenza dei presupposti legali al momento della presentazione della denunzia;

Ritenuto, pertanto, che il Comune intimato debba riesaminare la posizione espressa nel provvedimento impugnato dal 20 marzo 2003;

P.Q.M.

Accoglie l'appello (Ricorso numero: 6186/2003 ) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado, nei sensi di cui in motivazione.

La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Roma, 29 Luglio 2003