EDILIZIA - 033
T.A.R.
Lombardia, sezione di Brescia, 26 marzo 2001, n. 146
(Presidente Conti; est. Righi)
L'annullamento dell'autorizzazione
paesaggistica deve essere ANCHE comunicato all'interessato entro il termine di
60 giorni e NON SOLO emanato; a favore di tale conclusione, in contrasto con il
consolidato orientamento del Consiglio di Stato, depone l'art. 2 del decreto dirigenziale 18 dicembre 1996
con il quale il Ministero delega ai soprintendenti il potere di annullamento di
cui all'art. 82, nono
comma, d.P.R. n. 616 del 1977 (ora art.
151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.) - Tale
decreto (in base al
quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli
interessati nel termine suddetto) ha carattere organizzatorio,
insuscettibile di incidere sui termini stabiliti da norme primarie (Consiglio di Stato,
Sezione VI, 1 dicembre 1999, n.
2069) tuttavia il potere dei Soprintendenti di pronunciare l’annullamento
delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi del già citato art. 82, risiede esclusivamente
nella delega conferita col menzionato decreto direttoriale 18 dicembre 1996 - Se
nella delega si pone una
condizione così esplicita, significa che l’inosservanza della stessa comporta
che il potere utilizzato eccede la delega conferita, con violazione di legge
lesiva dell'interesse legittimo.
Negli stessi termini: T.A.R.
Lombardia, sezione di Brescia, 28 febbraio 2001,
n. 102; 19 marzo 2001, n. 108 e n. 109.
Contra (orientamento univoco in 2°
grado): Consiglio di Stato, sezione VI, 13
febbraio 2001, n. 685
(Presidente Ruoppolo; est. Maruotti)
L'annullamento dell'autorizzazione
paesaggistica NON deve essere anche comunicato all'interessato entro il termine di
60 giorni ma SOLO emanato - Tale conclusione, in linea con il consolidato orientamento del Consiglio di
Stato non muta nemmeno alla luce del decreto dirigenziale 18 dicembre 1996
con il quale il Ministero delega ai soprintendenti il potere di annullamento di
cui all'art.
151, comma 4, testo unico n. 490 del 1999 - Tale decreto dirigenziale (in base al
quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli
interessati nel termine suddetto) non ha inciso sull’ambito della norma legislativa che ha
disciplinato il potere di
annullamento ed ha individuato il termine finale.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 942 del 2000 proposto da B.G. e B.M., rappresentati e difesi dall’avv. G.B. ed elettivamente domiciliati presso lo stesso in Brescia, via ...;
contro
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;
e nei confronti di
COMUNE di LIMONE SUL GARDA, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. F.B. ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Brescia, via...;
per l’annullamento, previa sospensione,
del decreto del Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Brescia, prot. n. 43 del 30 maggio 2000, con il quale è stato disposto l’annullamento del provvedimento n. 7927 del 29 marzo 2000, con cui il Sindaco autorizzava la costruzione di un edificio bifamiliare in località Nurbia del Comune di Limone sul Garda; nonché di ogni altro atto connesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle
Amministrazioni statale e comunale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno
delle proprie difese e domande;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 26
gennaio 2001, la relazione del cons. Renato Righi;
Uditi l'avv. G.B. per i ricorrenti, l'avv.
dello Stato L. Piotti per il Ministero resistente e l’avv. F.B. per il
Comune;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 20 luglio 2000, depositato
il successivo 31 agosto, i ricorrenti impugnano il decreto di cui in epigrafe,
deducendo vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituita in giudizio l’intimata
Amministrazione statale che, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale
dello Stato, controdeducendo al ricorso, ne ha chiesto la reiezione per
infondatezza.
Si è costituito altresì il Comune intimato, che
ha invece concluso per l’accoglimento del ricorso.
In occasione della camera di consiglio del 27
ottobre 2000, i ricorrenti hanno rinunciato all’istanza incidentale di
sospensione del provvedimento impugnato, sicché la causa è stata rinviata per
il merito.
Il ricorso è passato in decisione all’odierna
udienza pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti impugnano il decreto del
Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Brescia, prot. n. 43
del 30 maggio 2000, con il quale è stato disposto l’annullamento del
provvedimento sindacale n. 7927 del 29 marzo 2000, con cui si autorizzava -
sotto il profilo paesaggistico, ai sensi dell’art. 7 legge 29 giugno 1939, n.
1497, e in via subdelegata dalla Regione - la costruzione di un nuovo edificio
bifamiliare su un terreno di proprietà dei ricorrenti medesimi in località
Nurbia del Comune di Limone sul Garda.
Appare prioritario - atteso il suo carattere
assorbente - l’esame del secondo motivo, con cui si deduce la violazione
dell’art. 82, nono comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (ora art.
151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.),
nonché dell’art. 2 del decreto del Direttore generale per i beni ambientali e
paesaggistici del 18 dicembre 1996, in quanto l’impugnato atto di annullamento
sarebbe tardivo.
La censura è fondata.
In punto di fatto, è incontestato che
l’autorizzazione comunale, con la relativa documentazione di corredo, sia
pervenuta all’organo ministeriale in data 31 marzo 2000, ed è altresì
incontestabile che il decreto impugnato sia stato comunicato ai ricorrenti oltre
il termine di sessanta giorni decorrente da tale data, prescritto dal citato
art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod. (nella specie, esso
risulta notificato in data 31 maggio 2000, come si ricava dal timbro postale
sulla busta di ricevimento della relativa raccomandata, v. doc. 9 dei
ricorrenti).
Orbene, anche ammettendo che il disposto
dell’invocato art. 2 del decreto direttoriale 18 dicembre 1996 (in base al
quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli
interessati nel termine suddetto) abbia “carattere meramente organizzatorio,
insuscettibile di incidere sui termini stabiliti da norme primarie”, come si
legge nella decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 dicembre 1999, n. 2069,
intendendosi con ciò ribadire la tesi che “entro tale termine il
provvedimento di annullamento deve solo essere adottato ma non anche comunicato,
trattandosi di atto non recettizio” (ibidem), deve peraltro
sottolinearsi che il potere dei Soprintendenti di pronunciare l’annullamento
delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi del già citato art. 82, nono
comma, d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod. (ora art.
151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.), risiede proprio ed esclusivamente
nel menzionato decreto direttoriale 18 dicembre 1996.
Si tratta infatti, non già di un potere proprio dei Soprintendenti, bensì di un potere loro delegato dal Direttore generale.
Dunque, se nell’atto di delega si pone una condizione così esplicita, significa che l’inosservanza della stessa comporta che il potere utilizzato eccede la delega conferita, si versa cioè in un’ipotesi di esercizio di una funzione amministrativa in violazione della norma attributiva di tale potere; norma che ha sicuramente efficacia esterna e non meramente interna all’apparato burocratico e, come tale, rappresenta una regola il cui mancato rispetto costituisce un vizio del procedimento che gli interessati possono quindi far valere in giudizio, come nella fattispecie, sotto il profilo della violazione di legge.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va pertanto accolto, con pedissequo annullamento del decreto impugnato, restando assorbite le altre censure non espressamente esaminate.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il decreto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso in Brescia, il 26 gennaio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
T.A.R.
Lombardia, sezione di Brescia, 28 febbraio 2001, n. 102
(Presidente Conti; est. Righi)
Anche per il provvedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica
emanato dal soprintendente ai beni ambientali e architettonici, è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge n.
241 del 1990.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1036 del 2000 proposto da S. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. A.L., ed elettivamente domiciliata presso lo stesso, in Brescia, via ...;
CONTRO
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;
E NEI CONFRONTI
del COMUNE di LIMONE SUL GARDA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione,
del decreto 4 agosto 2000 del Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia di annullamento di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 Legge n. 1497/1939, rilasciata alla ricorrente dal Comune di Limone sul Garda con provvedimento n. 555 del 12 giugno 2000; nonché di ogni altro atto connesso.
(omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'impresa ricorrente,
proprietaria in Comune di Limone sul Garda di immobile a destinazione
alberghiera, presentava al Comune stesso domanda per il rilascio di concessione
edilizia, nonché - essendo la relativa competenza regionale subdelegata ai
Comuni - la richiesta di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 legge n. 1497/39,
essendo l'area interessata soggetta a vincolo per la protezione delle bellezze
naturali.
Essa otteneva il rilascio
dell'autorizzazione con provvedimento sindacale in data 12 giugno 2000, n. 555.
Tuttavia, in data 4 agosto 2000, il Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia pronunciava l'annullamento, ex art. 82, nono comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, dell'autorizzazione de qua.
Avverso il suddetto provvedimento
la deducente proponeva il ricorso in epigrafe, notificato il 22 settembre 2000 e
depositato il 5 ottobre successivo, deducendo vari profili di violazione di
legge e di eccesso di potere.
Mentre non si costituiva in
giudizio il Comune, si costituiva invece il Ministero che, con il patrocinio
dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, controdeducendo puntualmente al
ricorso, ne chiedeva la reiezione per infondatezza.
In occasione della camera di
consiglio del 17 novembre 2000 la ricorrente ha rinunciato all’istanza
cautelare, sicché il ricorso veniva rinviato per l’udienza di merito.
La causa è passata in decisione all'odierna udienza pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente esaminato –
atteso il suo carattere assorbente – il secondo motivo di ricorso, ove si
deduce la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n.
241, per la
insufficiente comunicazione di avvio del procedimento.
E’ pacifico che tale
comunicazione, datata 1 agosto 2000, sia stata inoltrata alla ricorrente, a
mezzo telefax, il 3 agosto successivo (v. doc. 7 della ric.), vale a dire il
giorno precedente a quello di adozione del decreto impugnato, così vanificando
la possibilità per la ricorrente medesima di partecipare al procedimento di
annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciatale dal Comune.
Del resto, la stessa
Amministrazione resistente si è difesa sostenendo la superfluità dell’invio
della comunicazione, ritenendo non applicabile la citata disposizione al
procedimento in questione.
Il Collegio è di diverso avviso, ritenendo invece sussistente l’obbligo, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, anche per il procedimento di annullamento di autorizzazione paesaggistica (Cfr., altresì, T.A.R. Sardegna sent. n. 563 e n. 1643 del 1997).
La Sezione con le sentenze nn. 37, 49, 131, 418, 749 e 762 del 1999 ha sviluppato, in proposito, i seguenti argomenti - dai quali non ritiene di discostarsi - e che sono integralmente richiamabili anche per la vertenza in esame.
Il potere di annullamento,
attribuito al Ministro per i beni culturali ed ambientali dall’art. 82, nono
comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod., è infatti esercitato in una
successiva ed eventuale fase endoprocedimentale, che ha carattere autonomo (per
la natura di secondo grado e per il diverso organo competente a provvedere)
rispetto a quella conclusasi con l’autorizzazione paesaggistica (regionale o
comunale).
La Corte costituzionale, con la
sentenza n. 383 del 1996, ha ritenuto sussistente l’obbligo, di cui al citato
art. 7 della legge n. 241 del 1990, anche per le successive ed autonome fasi
endoprocedimentali, con la sola esclusione dell’ipotesi, che non ricorre nel
caso di specie, in cui la fase successiva sia dovuta all’iniziativa
dell’interessato.
Ha rilevato la Corte che
“l’Amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale, che
assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all’interessato la chiara
percezione dell’avvio della nuova fase, in modo di porlo nell’effettiva
possibilità di interloquire nell’anzidetta ulteriore fase procedimentale”.
Nel caso in esame, la ricorrente
solo teoricamente e formalisticamente è stata messa nella possibilità di
percepire l’avvio della nuova fase, ma sostanzialmente non ha avuto la
possibilità di interloquire con l’Amministrazione in alcun modo.
La comunicazione dell’avvio del
procedimento è strumentale alla partecipazione del destinatario dell’atto al
procedimento stesso, dovendo essere indicati l’Amministrazione procedente,
l’oggetto ed il responsabile del procedimento e l’ufficio, presso cui si può
prendere visione degli atti.
Le due fasi (la prima di
competenza della Regione, o dei Comuni subdelegati dalla Regione stessa, e la
seconda di competenza del Ministero), sebbene connesse, hanno una tale autonomia
sotto il profilo dei soggetti competenti che gli elementi relativi alla prima
fase, conosciuti dal privato, sono del tutto diversi da quelli inerenti la
seconda fase, destinata a svolgersi presso uffici statali e che non è dovuta
all’iniziativa dell’interessato, che è solo edotto - ma in astratto, dalla
legge - della sua eventualità.
In un procedimento, quale quello
in esame, l’omissione o l’insufficienza della comunicazione non consente al
destinatario dell’atto neanche di conoscere le concrete modalità di
svolgimento dell’ulteriore fase.
Viene così negata ogni
possibilità di interloquire con l’Amministrazione procedente, in aperto
contrasto con i principi di trasparenza e pubblicità, introdotti dalla legge n.
241 del 1990.
Il destinatario del provvedimento
di autorizzazione paesaggistica, infatti, non conosce quale sia l’ufficio, che
procede al controllo di legittimità dell’autorizzazione e non ha quindi la
possibilità né di prendere visione degli atti, né di presentare memorie ed
osservazioni.
Nel procedimento in questione, la
carenza di tale comunicazione assume particolare rilievo, in quanto
l’eventuale esercizio del potere di annullamento comporta un evidente
pregiudizio per il soggetto interessato, tenuto conto che l’autorizzazione
paesaggistica e’ immediatamente valida ed efficace e consente il rilascio
delle previste concessioni edilizie e la realizzazione delle opere assentite e
che gli effetti dell’eventuale annullamento retroagiscono al momento del
rilascio dell’atto autorizzatorio.
Tra l'altro, mentre il privato
potrebbe confidare nell'inutile decorso del termine di 60 giorni, non può
invece venire a conoscenza di eventuali eventi interruttivi del termine o di
eventuali ritardi nella trasmissione dell’autorizzazione alla Soprintendenza.
Al riguardo, va ricordato che,
per costante giurisprudenza, il termine inizia a decorrere nel momento in cui
l’autorizzazione e la relativa documentazione giungono in modo completo ai
competenti uffici del Ministero dei beni culturali e ambientali.
A questo proposito, in caso di
incompletezza della documentazione, l’apporto partecipativo del privato può
assumere particolare valore per l’accelerazione della procedura (che è
nell’interesse sia del privato che dell’Amministrazione procedente).
Il Collegio non ignora che,
sull’applicabilità alla fattispecie dell’art. 7 della legge n. 241 del
1990, vi sia un diverso orientamento giurisprudenziale che, invece, la nega
facendo leva sul fatto che il procedimento ha inizio su istanza del privato, che
è già edotto, in virtù di legge, dell’esistenza di una seconda fase di
competenza del Ministro per i beni culturali ed ambientali, che si pone quale
continuazione della fase che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione.
Tale orientamento rileva, poi,
che l’invio, da parte del Comune, dell’autorizzazione paesaggistica, oltre
che alla ricorrente quale diretta destinataria, anche, per conoscenza, alla
Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici, possa considerarsi un
equipollente della comunicazione di avvio del procedimento di verifica di
competenza della Soprintendenza medesima.
Tuttavia, si osserva che la
citata sentenza della Corte costituzionale ha chiarito che non può escludersi
l’obbligo della comunicazione per il solo fatto che si tratti di sequenza
procedimentale, da ricollegarsi ad altra precedente fase del procedimento,
dovendo invece il destinatario dell’atto essere notiziato dell’avvio del
procedimento ogni volta che l’Amministrazione intenda emanare un atto di
secondo grado di annullamento o revoca di un precedente provvedimento.
Né può ritenersi decisiva la
circostanza che il privato, quando presenta la domanda di autorizzazione
paesaggistica, è già edotto, in virtù di legge, che il procedimento contempla
un’eventuale seconda fase, di competenza di diverso organo, che può sfociare
nell’annullamento dell’autorizzazione stessa.
Infatti, come già rilevato in precedenza, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento è strumentale all’indicazione degli elementi di cui al successivo art. 8 della stessa legge n. 241 del 1990.
La semplice presunzione ex lege di conoscenza della esistenza di un’eventuale seconda fase non consente certo al privato di conoscere quale sia l’ufficio competente a provvedere e presso cui può prendere visione degli atti e presentare memorie ed osservazioni e chi sia il responsabile del procedimento.
Alla luce di quanto sopra
evidenziato, sicuramente non possono essere considerate comunicazioni
equipollenti il mero avviso della trasmissione dell'autorizzazione paesaggistica
alla Soprintendenza o l’indicazione della Soprintendenza tra i destinatari
dell’atto stesso, in quanto altrimenti si toglierebbe alla norma ogni utilità.
La semplice indicazione della
trasmissione della autorizzazione anche alla Soprintendenza non consente al
destinatario la chiara percezione dell’avvio della nuova fase, che peraltro è
meramente eventuale (come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 157 del 1998).
La comunicazione - ai sensi e per
gli effetti dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 - infatti, non può che
essere inviata dall’Amministrazione procedente, che è l’unica che può
indicare gli elementi previsti dall'art. 8, stessa legge.
Del resto, la giurisprudenza ha
affermato che la disposizione di cui al ripetuto art. 7 non può essere
applicata meccanicamente e formalisticamente, dovendosi escludere il vizio -
consistente nella sua mancata applicazione - nei casi in cui lo scopo della
partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto (Consiglio di Stato,
Sez. IV, n. 3 del 1996) o manchi l’utilità della comunicazione dell’avvio
del procedimento (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 283 del 1996).
Nella fattispecie in questione,
è pacifico che lo scopo non sia stato raggiunto, non avendo partecipato il
destinatario dell’atto al procedimento di annullamento, e non può nemmeno
affermarsi che la sua partecipazione sarebbe stata inutile.
Potrebbe essere sostenuto che,
trattandosi di un controllo di sola legittimità da parte della Soprintendenza,
nessun apporto potrebbe dare il destinatario dell’atto, in quanto o il
provvedimento è legittimo ed allora non sarà annullato, o è viziato ed in
quel caso verrà annullato a prescindere dalle argomentazioni che può apportare
il privato.
Tale ragionamento risulta
infondato e svilisce il ruolo partecipativo del destinatario dell’atto in
tutti quei procedimenti non estesi al merito della controversia.
Innanzi tutto, come già rilevato
in precedenza, il privato può contribuire allo svolgimento del procedimento di
secondo grado nei termini previsti, supplendo o stimolando l’Amministrazione
in caso di ritardi od omissioni nella trasmissione della autorizzazione
paesaggistica e della relativa documentazione da parte dell’Ente che l'ha
rilasciata.
Anche nell’esame di legittimità
del provvedimento di autorizzazione l’apporto del privato, tramite memorie,
osservazioni e documenti, può essere particolarmente utile, soprattutto se si
tiene conto che la Soprintendenza può annullare l’autorizzazione
paesaggistica anche per il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti
o per sviamento, nel caso che la valutazione di compatibilità ambientale si
traduca in un’oggettiva deroga al vincolo esistente (Cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, n. 600 del 1990, n. 828 del 1991 e n. 849 del 1993).
Appare, quindi, chiaro che, pur
trattandosi di una verifica di sola legittimità, il privato può certamente
apportare elementi utili ai fini della valutazione dell’eventuale travisamento
dei fatti o sviamento, presenti nel provvedimento di autorizzazione.
Va poi tenuto presente che
l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica è comunque espressamente previsto dal
regolamento del Ministero dei beni culturali ed ambientali, di attuazione delle
disposizioni della legge n. 241 del 1990 (D.M. 13 giugno 1994, n. 495).
L’art. 4 del citato D.M.
prevede espressamente la comunicazione dell’avvio del procedimento da parte
del funzionario responsabile, facendo salve solo ragioni di impedimento
derivanti da esigenze di celerità (che non ricorrono nel caso di specie); la
comunicazione deve indicare il nominativo del responsabile stesso e l’unità
organizzativa competente (v. art. 9).
Nella tabella A, allegata al
D.M., sono indicati i singoli procedimenti, cui il decreto si applica, ed i
relativi termini per la conclusione del procedimento.
Tra di essi è incluso, al punto
4), anche il procedimento di annullamento delle autorizzazioni paesistiche, cui
pertanto si applicano tutte le disposizioni del regolamento.
E' interessante rilevare in
proposito che il regolamento si applica sia ai procedimenti promossi
d’ufficio, sia a quelli su iniziativa di parte (vedi art. 1) e che
esplicitamente è stata prevista la suddetta comunicazione in particolare per i
procedimenti ad iniziativa di parte (art. 3, comma 3), con una disposizione
quindi ancora più garantista rispetto ad un'interpretazione dell’art. 7 della
legge n. 241 del 1990, che tenderebbe ad escludere l’obbligo di comunicazione
quando il procedimento è iniziato su domanda dell'interessato.
Tale obbligo, dunque, oltre a
derivare direttamente dalla legge, è anche sancito da una specifica
disposizione regolamentare, espressamente applicabile al procedimento in
questione, e invece disattesa dall’Amministrazione.
Riguardo all’osservazione della difesa della resistente, circa la compressione del termine per l’adozione del provvedimento di annullamento a seguito della suddetta comunicazione, si obietta che il termine perentorio di sessanta giorni è termine ampio, che consente sia all’Amministrazione di avvisare l’interessato nel caso decida di istruire il procedimento per l’eventuale annullamento, sia al destinatario dell'avviso di interloquire con memorie, osservazioni e documenti, in relazione alla cui presentazione l’Amministrazione potrebbe comunque fissare un termine intermedio, rapportato al termine finale.
Il Consiglio di Stato, pur in
relazione alla sussistenza dell’obbligo di comunicazione per il diverso
procedimento di imposizione del vincolo indiretto di cui all’art. 21 legge n.
1089 del 1939, ha evidenziato il superamento di una visione elitaria ed
autoritaria dell’Amministrazione, che compie in solitudine scelte, che il
cittadino è destinato a subire (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 515 del 1998).
Nella sentenza viene valorizzata
l’introduzione ad opera della legge n. 241 del 1990 di un nuovo metodo
procedurale, “che l’Amministrazione è tenuta a seguire ogni qualvolta
intraprenda un’azione amministrativa, a prescindere dal fatto che questa
azione si sviluppi in una serie di fasi finalizzate all’emanazione di un
determinato provvedimento”.
Viene anche evidenziato come sia
riduttivo il discorso sull’utilità o meno della partecipazione del privato,
in quanto “la nuova forma-procedimento prevede la partecipazione
procedimentale non tanto (e non solo) in funzione di mero apporto conoscitivo
del privato per una scelta più consapevole dell’Amministrazione, ovvero in
funzione collaborativa per garantire situazioni soggettive, la quale si esprime
con osservazioni e memorie, quanto invece come mezzo per concorrere alle scelte
dell’Amministrazione, anche nell’ipotesi di interessi “forti”, definiti
in sede legislativa”.
I suesposti principi assumono un evidente portata generale e non possono non applicarsi anche al procedimento in esame.
L’invio, da parte dell’Amministrazione statale resistente, dell'avviso di avvio del procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, soltanto il giorno precedente la conclusione del procedimento stesso, equivale ad un’omessa comunicazione e rende quindi illegittimo l'impugnato provvedimento, che deve pertanto essere annullato, in accoglimento del ricorso, restando assorbite le altre censure proposte.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ACCOGLIE il ricorso
in epigrafe e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.
Così deciso, in Brescia, il 12 gennaio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia.
T.A.R.
Lombardia, sezione di Brescia, 19 marzo 2001, n. 108 e n. 109
(Presidente Mariuzzo; est. Farina)
Anche per il provvedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica
emanato dal soprintendente ai beni ambientali e architettonici, è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge n.
241 del 1990.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 451 del 2000 proposto da A.J. e Immobiliare E. s.r.l., in persona del rappresentante legale p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti A.A.G. e R.G., ed elettivamente domiciliati presso la Segreteria della Sezione in Brescia, via Malta, n.12;
contro
Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;
e nei confronti del
COMUNE di GARDONE RIVIERA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;
per l'annullamento
del decreto 21.2.2000 n.12 del Soprintendente di Brescia, che ha annullato l’autorizzazione 14.12.1999 n. 636, rilasciata al sig. A. dal Comune di Gardone Riviera, ai sensi dell’art. 7 legge 29.6.1939, n. 1497, per la realizzazione di un edificio residenziale in loc. “Le Baite”.
(omissis)
FATTO
Il sig. A.J. ha la
disponibilità nel Comune di Gardone Riviera, località “Le Baite”, di un
terreno di proprietà dell’Immobiliare E. s.r.l.
Il terreno è inserito, come
lotto n. 12, nel piano di lottizzazione del comparto n. 63 del Comune di Gardone.
Ottenuta la disponibilità del
lotto così individuato, il sig. A., d’intesa con l’Immobiliare E.
predisponeva il progetto per la realizzazione su tale area di un edificio a
destinazione residenziale.
Inoltrato il progetto all’esame
del Comune ai fini del rilascio dell’autorizzazione ex art.7 della legge n.
1497/1939, con provvedimento 14.12.1999 n. 636, il Responsabile del servizio del
Comune di Gardone Riviera rilasciava al sig. A. la richiesta autorizzazione,
avendo ritenuto l’intervento compatibile con le esigenze di tutela ambientale
della zona.
L’autorizzazione, corredata dei
relativi allegati, veniva, quindi, trasmessa in data 23.12.1999 alla
Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Brescia per
l’esercizio del potere di vigilanza ex art. 82, nono comma del d.P.R. 616/77.
Con provvedimento del 21.2.2000
n.12, notificato al ricorrente il 29.2.2000, il Soprintendente annullava
l’autorizzazione rilasciata dal Comune, rilevando una serie di carenze
istruttorie da parte degli esperti del Comune in occasione della richiesta di
nulla-osta paesaggistico avanzata dal sig. A.
Avverso il provvedimento del Soprintendente di Brescia il sig. A. e l’Immobiliare E. proponevano il ricorso in oggetto, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
- Violazione degli
articoli 7 e 8
della legge n. 241/90 – Violazione dell’art. 4 D.M. 13.6.1994, n. 495.
Risultano violate le disposizioni
richiamate in quanto non risulta pervenuta al sig. A. titolare
dell’autorizzazione paesaggistica n. 636/99, alcuna comunicazione di avvio del
procedimento di annullamento dell’autorizzazione medesima.
- Violazione dell’art. 82, nono
comma d.P.R. n. 616/77 (ora art.
151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.) e dell’art. 2
decreto dirigenziale 18.12.1996 del Ministero per
i beni culturali ed ambientali - Eccesso di potere.
Ritenuta la natura perentoria del
termine di sessanta giorni fissato dall’art. 82, nono comma del d.P.R. n. 616/77,
ai fini dell’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione
paesaggistica rilasciata dal Comune, viene invocata la perentorietà non solo
con riguardo al rispetto del termine mediante l’adozione del
provvedimento di annullamento, bensì anche con riguardo alla comunicazione
dello stesso all’interessato.
- Violazione dell’art. 4 d.P.R.
n. 616/77; Violazione art. 82, terzo e nono comma d.P.R. n. 616/77, anche in relazione
agli articoli 3 e seguenti legge regionale n. 14/84 e dell’art. 16 legge
regionale n. 18/97; Violazione art. 7 legge n. 1497/1939 e degli articoli 15 e 16 R.D.
n. 1357/40; Eccesso di potere.
Il decreto del Soprintendente
viene censurato anche sotto il profilo del merito, contestando le motivazioni
addotte, relative alle carenze istruttorie riscontrate, che non avrebbero
consentito un’adeguata valutazione dell’impatto paesaggistico dell’intero
complesso residenziale in corso di realizzazione nella zona.
- Violazione art.4 d.P.R. n. 616/77.
I rilievi mossi dalla
Soprintendenza non avrebbero tenuto conto della relazione dell’esperto
comunale in materia ambientale.
- Violazione art. 3 legge n. 241/90 ed eccesso di potere, per motivazione carente ed erronea.
- Violazione art. 82 d.P.R. n. 616/77, in quanto l’esame della Soprintendenza non si sarebbe limitato al vaglio di legittimità del provvedimento comunale, ma sarebbe entrato nel merito della valutazione della compatibilità paesaggistica del progetto.
Si costituiva in giudizio il Ministero per i Beni culturali ed ambientali – Soprintendenza di Brescia, assistito dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, la cui difesa ribadiva sotto ogni profilo la legittimità del provvedimento impugnato, sia sotto l’aspetto formale del rispetto del termine di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento di annullamento, che si intende osservato con la sola adozione dell’atto e non anche con la comunicazione all’interessato, sia sotto il profilo dell’osservanza della garanzie di partecipazione, che, nel caso di specie, trattandosi di atto di secondo grado, avviato automaticamente a seguito del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica comunale, non abbisogna di ulteriori comunicazioni.
Preliminarmente, la difesa erariale eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’Immobiliare Eden, in quanto soggetto del tutto estraneo al provvedimento autorizzatorio.
All’udienza del 9 febbraio 2001 il ricorso passava in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in esame e per i motivi riassunti in fatto, gli odierni istanti impugnano il decreto n.12 del 21.2.2000, con il quale il Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497/1939 (prot. n.636/99) rilasciata dal Comune di Gardone Riviera, nell’esercizio dei poteri subdelegati, ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. 616/77, con riguardo alla realizzazione di un edificio residenziale in zona soggetta a tutela ambientale.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione sollevata dalla difesa erariale circa il difetto di legittimazione dell’Immobiliare E., in quanto soggetto non direttamente interessato dal provvedimento autorizzatorio, in quanto trattasi comunque del soggetto proprietario dell’area, avente diretto interesse alla rilascio del nulla osta alla realizzazione dell’intervento progettato.
Nel merito, il ricorso appare fondato, con particolare riguardo alle dedotte censure di tardività della comunicazione del decreto di annullamento, adottato, ma non comunicato entro il termine di sessanta giorni previsto dalla normativa più volte richiamata, e di violazione dell’obbligo di comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento di annullamento del nulla osta rilasciato dal Comune, da parte della Soprintendenza.
Per quanto riguarda la dedotta tardività del provvedimento di annullamento, la Sezione ha già avuto modo di esprimere il proprio orientamento secondo il quale il termine perentorio di sessanta giorni, previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 616/77 (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.), concesso al Ministero per l’esercizio del potere di annullamento, inizi a decorrere dal momento in cui l’autorizzazione (con la documentazione allegata) perviene agli organi periferici dell’Amministrazione dei Beni Culturali ed Ambientali, nella specie la Soprintendenza di Brescia, e che il potere di annullamento sia da considerare tempestivamente esercitato laddove il decreto venga comunicato all’interessato entro il suddetto termine, non essendo sufficiente ai fini della tempestività dell’atto la mera adozione entro il suddetto termine.
Le ragioni addotte a sostegno della tesi interpretativa seguita dalla Sezione (per tutte vedasi T.A.R. Brescia 13.5.1999, n. 418), sono da ricondurre alla natura del provvedimento autorizzatorio, che consente al privato di ottenere il “via libera” all’esercizio dell’attività edificatoria, attività che non può essere indefinitivamente sospesa in attesa della comunicazione della determinazione da parte della Soprintendenza.
Al contrario, l’eventuale esercizio del potere caducatorio deve estrinsecarsi in tempi certi, definiti, proprio per gli effetti che il potere di annullamento può avere sull’utente: ”A partire dal 61° giorno dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione ambientale rilasciatagli, la posizione soggettiva forte in capo a lui creata e l’affidamento di esercizio indiscriminato delle relative facoltà legali in lui ingenerato debbono poterlo porre, sulla base delle stesse regole generali di correttezza e buona fede oggettiva, nell’assoluta certezza di poter mutare lo stato dei luoghi senza alcuna possibile conseguenza negativa” (T.A.R. Brescia cit.).
Quanto alla natura del
provvedimento di annullamento, la Sezione ha avuto modo, da ultimo nella
sentenza n. 605/00 e nella citata n. 418/99, di ribadirne il carattere recettizio,
proprio in considerazione del fatto che assumono natura di atti recettizi tutti
quegli atti che estinguono o limitano poteri, facoltà o diritti, quale appare
essere, appunto, l’effetto del provvedimento di annullamento assunto dalla
Soprintendenza.
Alle considerazioni che precedono
va, poi, aggiunto il dato normativo, prendendo spunto dall’art .6, comma 1, del
D.M. 13.6.1994, n. 495, recante il “Regolamento concernente le
disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 della L. 241/90, riguardanti i
termini e i responsabili dei procedimenti”, in base al quale “I termini per
la conclusione dei procedimenti si riferiscono alla data di adozione del
provvedimento, ovvero, nel caso di provvedimenti recettizi, alla data in cui il
destinatario ne riceve comunicazione”.
Il Ministero dei Beni Culturali
ed Ambientali, peraltro, con decreto dirigenziale 18.12.1996, nel decentrare i poteri di
tutela ambientale e paesaggistica, ha stabilito, all’art.2, che “i
provvedimenti adottati devono essere formalmente comunicati agli interessati al
relativo procedimento entro il termine perentorio di cui all’art.1 della legge
n. 431 del 1985”.
Ciò conferma definitivamente che
il provvedimento di annullamento, atto di natura recettizia, debba pervenire
nella sfera giuridica di conoscenza del destinatario entro il termine perentorio
stabilito dalla legge.
Nel caso di specie ciò non si è
verificato, in quanto è pacifico che il provvedimento della Soprintendenza,
adottato nel termine dei sessanta giorni, è stato comunicato all’interessato
soltanto in epoca successiva.
Altrettanto fondata è la
doglianza relativa alla violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90, laddove al
ricorrente non è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento
conclusosi con l’annullamento dell’autorizzazione comunale.
Anche a tale riguardo la Sezione
ha avuto modo di esprimere in più occasioni il proprio orientamento (cfr.
sentenze n. 873 del 1998, numeri 37, 49, 227, 538 e 632 del 1999, n. 605 del 2000),
ritenendo senz’altro sussistente l’obbligo di cui all’art.7 della legge n.
241/90 anche per il procedimento di annullamento di autorizzazione
paesaggistica.
Le prescrizioni contenute nel Capo III della citata legge hanno, invero, portata generalissima, trovando applicazione in tutti i procedimenti amministrativi, non avendo il legislatore previsto eccezioni di sorta, di natura soggettiva o oggettiva, circa la portata delle disposizioni riguardanti la notizia dell’avvio del procedimento, adempimento che “consente il contraddittorio nel suo aspetto di potenzialità di partecipazione del destinatario, a cui viene offerta la facoltà di rendersi conto dei futuri effetti dell’attività amministrativa nei suoi confronti e di raggiungere, fin dal momento iniziale di sviluppo di tale attività, una conoscenza utile alla tutela dei suoi personali interessi, in una situazione di composizione di interessi pubblici e privati ancora non delineata sul cui esito ha la possibilità di influire mediante il suo apporto” (cfr. C.d.S. Sez. V, 18.4.1996, n. 446).
Nel caso di specie il decreto
della Soprintendenza, risulta assunto all’esito del procedimento avviato con
la trasmissione dell’autorizzazione, procedimento del cui inizio non è stata
data comunicazione, ai sensi della richiamata normativa, all’interessato, che,
in tal modo, non ha avuto modo di percepire l’avvio dell’ulteriore fase
nella quale il Ministero, per esso la Soprintendenza, avrebbe controllato la
legittimità dell’autorizzazione paesaggistica rilasciatagli dal Comune, ai
sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939.
Né risulta, peraltro, che le
finalità di partecipazione siano state raggiunte aliunde.
Come ribadito dalla Sezione, la
fase ulteriore, all’esito della quale il Ministero può esercitare il potere
di Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica “ …si configura,
infatti, comunque, quale fase ulteriore endoprocedimentale (avente carattere del
tutto autonomo da quella, iniziata a seguito di presentazione di apposita
domanda del soggetto pubblico o privato, conclusasi con la adozione della
autorizzazione regionale ai sensi del citato art. 7)” (T.A.R. Brescia n.
605 del 2000).
E’ proprio la presenza di una fase ulteriore che induce a ritenere la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di “... predisporre un meccanismo procedurale ... che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all’interessato la chiara percezione dell’avvio della nuova fase, in modo da porlo nell’effettiva possibilità di interloquire nella anzidetta ulteriore fase procedimentale“ (C. Cost. 5.11.1996, n.383)
La comunicazione dell’avvio del procedimento non è, peraltro, finalizzata unicamente a rendere edotti gli interessati dell’avvio del procedimento che si concluderà con il provvedimento finale, bensì anche, e soprattutto, specie nel caso de quo, a consentire all’interessato di partecipare con memorie ed osservazioni, fornendo ogni utile elemento al controllo di legittimità in cui si estrinseca il potere di annullamento, in modo da aumentare l’efficacia del controllo, integrando gli elementi di valutazione e di rappresentazione della situazione di fatto, già oggetto di esame in occasione della valutazione di compatibilità ambientale precedentemente svolta dall’autorità subdelegata.
Alle considerazioni che precedono si aggiunge, poi, il dato normativo, laddove la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento vìola il disposto di cui all’art. 4 del D.M. per i Beni Culturali n. 495/94, che ha trasfuso nei procedimenti di competenza dell’Amministrazione per i Beni Culturali, gli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90, prevedendone l’applicazione “ ... sia ai procedimenti che conseguano obbligatoriamente ad iniziativa di parte, sia ai procedimenti promossi d’Ufficio” (art. 1, comma 1).
In conclusione, ritiene il Collegio che, per i motivi sin qui svolti, il ricorso debba trovare accoglimento, con assorbimento degli ulteriori motivi di censura.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna l’Amministrazione
resistente al pagamento delle spese di giudizio, liquidandole, a favore dei
ricorrenti, in complessive £. 3.500.000.
Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso, in Brescia, il 9 febbraio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
sul ricorso in appello n. 4114 del 1999, proposto dal curatore del fallimento della s.n.c. E., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. B.R., con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, alla via ...,
contro
il Ministero dei beni e delle attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
e nei confronti
del Comune di Massalubrense, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio,
per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania, sezione. II, 5 gennaio 1999, n. 53, e per l’accoglimento del ricorso di primo grado n. 16160 del 1993;
(omissis)
1. In accoglimento di una domanda dei signori Antonio, Francesco e Raffaele Ravenna, il Sindaco di Massalubrense:
- con l’atto n. 732 del 1° marzo 1982, ha rilasciato il nulla osta, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, per la realizzazione di un edificio nella frazione Sant’Agata sui due Golfi;
- in data 4 marzo 1982, ha rilasciato la concessione edilizia n. 372 per il medesimo fabbricato.
La
s.n.c. E., cui il suolo è
stato alienato, ha cominciato i lavori, realizzando il rustico e la copertura in
difformità con gli atti assentiti, sicché l’assessore comunale, con l’atto
n. 6315 del 14 giugno 1983, ha ordinato la sospensione dei lavori.
A
seguito della sentenza di data 21
dicembre 1983 del T.A.R. per la Campania (che ha annullato la concessione
edilizia), la s.n.c. E. ha formulato istanza di condono, ai sensi
dell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Il
Sindaco di Massalubrense ha rilasciato il nulla
osta paesaggistico (n. 10105 - 30/C) sull’istanza di condono.
2. Col provvedimento senza numero del 2 settembre 1993, il Ministro per i beni culturali ed ambientali ha annullato il nulla osta, ai sensi dell’art. 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.
3.
Col ricorso n. 16160 del 1993, proposto al T.A.R. per la Campania, il curatore del
fallimento della s.n.c. E. ha impugnato il provvedimento ministeriale del 2
settembre 1993, chiedendone l’annullamento
per diversi di violazione di legge e di eccesso di potere.
Il T.A.R., con la sentenza n. 53 del 5 gennaio 1999, ha respinto il ricorso ed ha
compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
4.
Con il gravame in esame, l’appellante ha impugnato
la sentenza del T.A.R. ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di
primo grado.
Con
la memoria depositata in data 13 novembre 2000, l’appellante ha illustrato le
proprie deduzioni, ha richiamato la documentazione complessivamente depositata
ed ha insistito nelle già formulate conclusioni.
5. All’udienza del 24 novembre 2000 la causa è stata trattenuta per la decisione.
1.
Nel presente giudizio, è controversa la legittimità del provvedimento del
Ministro per i beni culturali ed ambientali, di data 2 settembre 1993, che ha
annullato il nulla osta paesaggistico rilasciato dal Sindaco di Massalubrense,
per il condono (ai sensi dell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) di
un edificio realizzato al rustico e con la copertura.
Con
la sentenza impugnata, il T.A.R. per la Campania ha respinto il ricorso di primo
grado, proposto dal curatore del fallimento della società che ha formulato
l’istanza di condono.
Con
il gravame in esame, l’appellante ha criticato la sentenza del T.A.R. ed ha chiesto
che, in sua riforma, sia annullato l’impugnato provvedimento ministeriale.
2. Col primo articolato motivo, l’appellante ha lamentato la violazione, sotto vari profili, dell’art. 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.
2.1.
Egli ha dedotto che vi sarebbe l’incertezza sulla effettiva data di emanazione
del provvedimento ministeriale, perché privo del numero di protocollo.
La
censura va disattesa, perché la sottoscrizione del Ministro in calce
al decreto ed a fianco della data fa piena prova della veridicità di questa
fino a querela di falso: la mancata indicazione del numero del protocollo non
incide sulla certezza della data di emanazione del decreto ministeriale (Sezione.
VI, 28 febbraio 2000, n. 1047).
2.2. Inoltre, l’appellante ha dedotto che:
-
il provvedimento ministeriale sarebbe illegittimo, perché comunicato oltre la
scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 82, nono comma,
del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616;
-
il T.A.R. non avrebbe valutato le argomentazioni difensive, svolte in una memoria,
secondo le quali il direttore generale del Ministero, con un decreto del 18
dicembre 1996, nel delegare il proprio potere ai soprintendenti, senza innovare
l’ordinamento avrebbe disposto che entro il termine va comunicato il
provvedimento di annullamento.
Anche tali censure vanno respinte.
L’invocato
art. 82, nono comma, vigente ratione
temporis al momento della adozione del contestato atto ministeriale (e ora
trasfuso nell’art.
151, comma 4, del testo unico n. 490 del 1999),
disponeva che «il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni
caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i
sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».
Per
la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e fa
propria, il termine perentorio di sessanta giorni riguarda l’esercizio del
potere di annullamento e non anche la successiva fase della comunicazione o
della notificazione (Ad. Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20; Sezione VI, 6 luglio 2000,
n. 3793; Sezione VI, 24 maggio 2000, n. 3010; Sezione VI, 28 gennaio 2000, n. 403;
Sezione VI, 15 dicembre 1999, n. 2073; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069;
Sezione VI,
3 novembre 1999, n. 1693; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 17 giugno
1998, n. 967; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 19 luglio 1996, n. 968;
Sezione VI, 22 febbraio 1995, n. 207).
Infatti,
la legge ha disciplinato un provvedimento che, secondo i principi generali, è
immediatamente efficace e non ha natura recettizia.
La
giurisprudenza del Consiglio di Stato ab
antiquo ha chiarito che il provvedimento amministrativo, per il suo
carattere autoritativo, ha una diretta ed immediata efficacia, che comporta una
modificazione del mondo giuridico e, in particolare, della sfera giuridica del
suo destinatario.
Tale
regola generale trova eccezione (oltre che per i provvedimenti sottoposti al
controllo preventivo di legittimità) solo nei casi in cui la legge disponga che
gli effetti di un provvedimento si
verificano quando esso è posto a conoscenza del destinatario ovvero quando la
natura dell’atto (ad esempio di una diffida che fissi un termine per un
comportamento) implica la sua conoscenza da parte del destinatario, perché
possa uniformarsi (cfr. Sezione IV, 30 novembre 1992, n. 990; Sezione IV, 12 marzo
1992, n. 276).
Nel
caso di specie, nessuna legge ha attribuito natura recettizia al provvedimento
statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica: l’art. 82, nono
comma, con l’espressione «può
annullare in ogni caso», non ha posto alcuna deroga al principio per cui
l’atto di annullamento è efficace e produce immediatamente i suoi
effetti.
Sul
punto, non ha rilievo il richiamo che l’appellante ha operato al decreto con
cui il direttore generale del
Ministero (divenuto competente a seguito della separazione dei poteri di
gestione da quelli di indirizzo politico) ha delegato ai sovrintendenti il
proprio potere di annullamento, poiché:
- tale circostanza è successiva all’emanazione del contestato atto di annullamento ed è stata prospettata in primo grado con una memoria non notificata;
- il medesimo decreto non ha inciso sull’ambito della norma legislativa che ha disciplinato il potere di annullamento ed ha individuato il termine finale (cfr. Sezione VI, 18 aprile 2000, n. 2326), sicché l’invito agli organi periferici di notificare con la massima rapidità ogni atto di annullamento, oltre all’esigenza di far cominciare a decorrere il termine per la sua impugnazione, mira a garantire gli interessi pubblici ed ad evitare che medio tempore sia modificata l’area vincolata, ma non incide sul termine, fissato inderogabilmente dalla legge, entro il quale l’atto va emanato.
3.
Col secondo motivo, l’appellante
ha riproposto il corrispondente motivo del ricorso di primo grado, con cui era
stata lamentato l’omesso invio della comunicazione dell’avviso del
procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n.
241.
Secondo
l’assunto, solo mediante tale
comunicazione potrebbero trovare piena attuazione i principi di leale
collaborazione tra lo Stato e le Regioni, anche perché l’art. 16 del
regolamento 3 giugno 1940, n. 1357, già disponeva che il soprintendente dovesse
suggerire le modifiche progettuali necessarie per un migliore inserimento
dell’opera nel paesaggio.
Con
la memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione,
l’appellante ha poi richiamato i principi affermati dalla Corte
Costituzionale, che con la sentenza 25 ottobre 2000,
n. 437, ha annullato un provvedimento statale, emesso ai sensi dell’art. 82,
nono comma, emesso senza la previa comunicazione alla Regione autonoma Valle
d’Aosta dell’avvio del procedimento.
Ritiene
la Sezione che la censura dell’appellante vada nel suo complesso
respinta, perché ha richiamato principi non rilevanti nel presente giudizio.
3.1. Per l’adeguato esame delle deduzioni dell’appellante, va premesso che:
- l’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 (trasfuso nell’art. 151, comma 3, del testo unico n. 490 del 1999) ha disciplinato i poteri dello Stato e delle Regioni di gestione dei vincoli paesistici, attribuendo al provvedimento statale, di annullamento dell’autorizzazione paesistica, la peculiare natura di atto di controllo preventivo di legittimità del provvedimento di accoglimento dell’istanza dell’interessato;
- per quanto riguarda il condono, «per le aree soggette a vincolo paesistico…, il parere prescritto dall’art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è reso ai sensi del nono comma dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616» e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 12 della legge 13 marzo 1988, n. 68 (la cui conformità agli artt. 42 e 97 Cost. è stata rilevata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 4 giugno 1997, n. 170);
- l’art. 6 della legge della Regione Campania 1° settembre 1981, n. 65, ha subdelegato ai Comuni le funzioni amministrative concernenti la gestione dei vincoli paesistici.
Pertanto, l’esame delle questioni concernenti la legittimità dell’atto di annullamento del parere-nulla osta, rilasciato dal Sindaco – quale autorità subdelegata - ai fini del condono previsto dalla legge n. 47 del 1985, va effettuato tenendo conto della copiosa giurisprudenza formatasi sull’ambito di applicazione del richiamato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, come modificato dalla legge n. 431 del 1985 (Sezione VI, 28 gennaio 1998, n. 114).
3.2.
Ciò posto, va evidenziato (v. anche Sezione
VI, 20 ottobre 2000, n. 5651) che con
il richiamato art. 82 del decreto
legislativo n. 616 del 1977 e con le successive modifiche avutesi con la legge
n. 431 del 1985, in attuazione dell’art. 9 della Costituzione, il legislatore
ha disciplinato le esigenze di tutela del paesaggio, quale valore primario ed
insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (cfr. Corte Cost., 23
luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341; 28 luglio 1995, n. 417; 20
febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9 dicembre 1991, n. 437; 27
giugno 1986, n. 151; 21 dicembre 1985, n. 359).
Mentre
la legge fondamentale 29 giugno 1939, n. 1497, attribuiva i poteri di
amministrazione attiva (per l’apposizione dei vincoli e la loro gestione,
nonché quelli di vigilanza) ai soli organi statali, le riforme avutesi nel 1977
e nel 1985 (consentite dall’art. 118, secondo comma, della Costituzione) hanno
attribuito i relativi poteri allo Stato ed alle Regioni, con uno «spessore dei
poteri statali» che trova il suo fondamento nell’art. 9 della Costituzione
(Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36; Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 153) ed
è disciplinato da norme fondamentali di riforma economico-sociale (Corte Cost.,
25 ottobre 2000, n. 437; Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341).
Nella
materia della gestione dei vincoli paesistici, vi è dunque una contitolarità
di poteri da parte dello Stato e della Regione (Sezione VI, 20 ottobre 2000, n.
5651), che devono ispirare i loro atti e comportamenti al principio della leale
collaborazione (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437), nell’ambito di un
sistema che, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 c.p., implica
particolari doveri di informazione e configura quale reato l’esecuzione di «lavori
di qualsiasi genere» «senza la prescritta autorizzazione o in difformità
da essa» (art. 1-sexies della legge n. 431 del 1985, come trasfuso
nell’art. 163, comma 1, del testo unico n. 490 del 1999).
Il
nono comma dell’art. 82 (come modificato con la legge n. 431 del 1985 e ora
trasfuso nei distinti commi 3, 4 e 5 dell’art. 151 del testo unico n. 490 del
1999) conteneva quattro periodi:
- il primo ha attribuito alle Regioni il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta dell’interessato;
- il secondo ha fissato l’obbligo delle Regioni di trasmettere immediatamente allo Stato la comunicazione del rilascio della autorizzazione e la relativa documentazione;
- il terzo ha attribuito allo Stato il potere di emanare l’autorizzazione paesistica, nel caso di inerzia della Regione;
- il quarto, già sopra riportato, ha disposto che lo Stato «può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».
Il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica, dunque, spetta:
- alla Regione (o all’ente subdelegato con legge regionale, ai sensi dell’art. 118, terzo comma, della Costituzione), ai sensi del primo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 2, del testo unico n. 490 del 1999);
- allo Stato, nel caso di inerzia della Regione (o dell’ente subdelegato), ai sensi del terzo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 5, del testo unico), e previa comunicazione dell’istanza all’Amministrazione inerte.
In
ragione di tale contitolarità di poteri, nel caso di inerzia
(dell’autorità delegata e dello Stato) l’interessato può adire il giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034
(nel testo previsto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205),
notificando il ricorso ad entrambe le autorità inerti.
Quando,
invece, l’autorità delegata provvede, il legislatore ha determinato i limiti,
anche temporali, entro i quali sussiste il potere statale di controllo.
Qualora
l’autorità delegata respinga la domanda di autorizzazione paesistica,
il relativo diniego comporta la conclusione del procedimento, non è soggetto al
controllo ed è immediatamente impugnabile.
In
tal caso, lo Stato non può sovrapporre la propria valutazione a quella
dell’autorità delegata, anche se, in ipotesi, il diniego
di autorizzazione fosse viziato: salva la tutela giurisdizionale
dell’interessato, il legislatore non ha previsto alcun controllo statale sul
diniego, perché questo, per definizione, non consente alcun mutamento dello
stato dei luoghi.
Se,
invece, la domanda è accolta, in
base al quarto periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma
4, del testo unico), l’autorizzazione paesistica costituisce un atto perfetto
ed efficace perché produttivo di poteri ed obblighi per lo Stato, che può
annullare in sede di controllo l’autorizzazione paesistica entro il prescritto
termine di sessanta giorni.
Nell’ambito
del complessivo unitario procedimento volto al riscontro della possibilità
giuridica di mutare lo stato dei luoghi, l’autorizzazione è dunque l’atto
conclusivo della prima fase procedimentale concernente la gestione del vincolo
paesistico, cui segue la seconda, ulteriore e necessaria fase di controllo, che,
per il tramite dell’esame dell’autorizzazione rilasciata e del progetto
assentito, soddisfa le esigenze sostanziali di tutela del paesaggio.
Entro
il termine perentorio sancito dalla legge, lo
Stato può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non è consentita
la mutazione dello stato dei luoghi, perché non avrebbe avuto senso
attribuirgli il potere di annullare le autorizzazioni, quando già i luoghi
fossero già stati modificati: salva la necessità degli ulteriori prescritti
titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dei luoghi quando lo
Stato non ritiene illegittima l’autorizzazione paesistica e lascia decorrere
il termine di sessanta giorni senza disporne l’annullamento (cfr. Cass. pen., Sezione
VI, 26 maggio-7 luglio 1999, n. 8631; Cass. pen., Sezione III, 9 febbraio
1998, Svara; Cons. Stato, Sezione
VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; Sezione. V, 15
settembre 1997, n. 963).
Tale
seconda indefettibile fase è stata prevista dal legislatore in coerenza
con l’art. 9 della Costituzione, per consentire che l’autorità
statale verifichi se la gestione dei vincoli paesistici avvenga con atti
legittimi e può concludersi con il superamento del termine o con un atto che
non ravvisi sussistenti gli estremi per disporre l’annullamento (il che
comporta il verificarsi della condicio iuris e la produzione degli
effetti tipici della autorizzazione), ovvero col provvedimento statale di
annullamento che, per la costante giurisprudenza della Sezione, può essere
disposto per qualsiasi vizio della autorizzazione, anche sotto il profilo di
eccesso di potere per inidonea motivazione (Sezione VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sezione
IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 22
giugno 1997, n. 952; Sezione
VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sezione
VI, 12 maggio
1994, n. 771).
Mediante
la previsione legale di tale atipico potere di controllo, è infatti stimolata
la più adeguata motivazione delle autorizzazioni rilasciate dall’autorità
delegata, col sostanziale rispetto del principio di legalità.
Più
volte questo Consiglio ha osservato che, per aversi la concreta giustizia
nell’amministrazione (v. art. 100 Cost.), anche i provvedimenti cd. positivi
debbano basarsi su una idonea motivazione, poiché l’esposizione delle ragioni
su cui si fonda un provvedimento amministrativo agevola la concreta attuazione
dei principi costituzionali della trasparenza e del buon andamento dell’azione
amministrativa (Sezione V, 24 maggio 1996, n. 585; Sezione V, 17 ottobre 1995, n.
1431): a maggior ragione, in considerazione della tendenziale irreversibiltà
dell’alterazione dello stato dei luoghi, per l’adeguata gestione dei vincoli
paesistici va rispettata l’esigenza che sia adeguatamente motivata
l’autorizzazione paesistica.
Come
ha anche chiarito la Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n. 437 del
2000, l’esercizio del potere statale di annullamento non implica, dunque, un
atto complesso o una intesa con la Regione (ovvero un atto di equivalente
rilevanza con l’ente subdelegato): l’autorizzazione paesistica costituisce
esercizio dei poteri di amministrazione attiva, mentre l’atto statale di
annullamento costituisce esercizio di peculiari poteri di controllo.
Pertanto,
nel caso di esito negativo del controllo, in linea di principio l’autorità
delegata può anche riesaminare l’originaria istanza, tenendo conto delle
statuizioni del provvedimento di annullamento che abbia ravvisato suoi vizi,
ovvero di quelle del giudice amministrativo, qualora l’atto controllato sia
annullato per un vizio diverso dal superamento del termine (Sezione V, 12 giugno
1995, n. 910; Sezione V, 31 marzo 1994, n. 242; Sezione V, 30 marzo 1994, n. 194, dal
momento che per i soli poteri del Co.Re.Co. si applica l’art. 17, comma 37,
della legge 15 maggio 1997, n. 127, trasfuso nell’art. 133, comma 5, del testo
unico 18 agosto 2000, n. 267).
3.2.
Le osservazioni che precedono rilevano per determinare i casi nei quali
l’amministrazione statale deve inviare l’avviso dell’avvio del
procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, prima di
esercitare l’annullamento della autorizzazione paesistica.
In
considerazione della natura del provvedimento statale di annullamento e
dell’obbligo dall’autorità delegata di trasmettere l’autorizzazione con i
relativi allegati all’organo statale, ai sensi dell’art. 82, nono comma,
secondo periodo, del decreto
legislativo n. 616 del 1977 (poi trasfuso nell’art. 151, comma 4, primo
periodo, del testo unico n. 490 del 1999), la Sezione ha più volte
ritenuto non necessaria la comunicazione dell’invio del procedimento (Sezione
VI, 3 novembre 2000, n. 5929; Sezione
VI, 1° dicembre 1999, n. 2069; Sezione
VI, 25
settembre 1995, n. 963; Sezione
VI, 12 maggio 1994, n. 771).
Si
è affermato che tale comunicazione non va trasmessa all’autorità delegata o
subdelegata (perché proprio essa trasmette l’autorizzazione ed i relativi
allegati per l’esercizio dei poteri di controllo e, nell’adempimento
corretto e leale del proprio dovere, deve trasmettere tutta la documentazione
rilevante) e neppure al soggetto che ha ottenuto l’autorizzazione (poiché
proprio egli ha attivato il procedimento conclusosi con l’atto sottoposto al
controllo, anche perché altrimenti vi sarebbe la violazione di una norma
penale).
Infatti,
la ratio dell’art. 7 della
legge n. 241 del 1990 è quella di rendere edotti gli interessati di un
procedimento che li riguarda, perché avviati su iniziativa dell’ufficio o di
soggetti diversi dal destinatario del provvedimento finale. Del resto, anche in
relazione agli altri casi in cui l’ordinamento ancora prevede il controllo
preventivo di legittimità, pur se eventuale, non è previsto che l’autorità
titolare dei poteri di controllo ponga in essere ulteriori formalità
procedimentali (cfr. l’art. 134 del testo unico n. 267 del 2000).
In
materia, peraltro, deve tenersi conto delle varie normative riguardanti le
Regioni a statuto ordinario e
quelle a statuto speciale per le quali rilevano le previsioni degli statuti,
approvati con legge costituzionale, sulle competenze in materia di tutela del
paesaggio.
Con
la citata sentenza n. 437 del 2000, la Corte Costituzionale ha chiarito
che la Regione Valle d’Aosta:
- è titolare della competenza legislativa primaria per la «tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 2, lettera q), dello statuto, approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4;
- è titolare di tutte le funzioni amministrative del Ministero e degli altri organi statali, «per il territorio della Valle d’Aosta in materia di tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196;
- se intende esercitare valutazioni sull’esigenza «di estrema difesa del vincolo» ed avvalersi del potere di annullamento previsto dall’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, in considerazione delle specifiche competenze trasferite (e non meramente delegate) alla Regione Valle d’Aosta, lo Stato deve seguire un procedimento improntato al principio della leale collaborazione, che si manifesta nell’obbligo di trasmettere alla Regione, «con qualsiasi mezzo di comunicazione ed in maniera sintetica», la notizia che è stata avviata la fase di annullamento.
Ciò
comporta che, caso per caso, il Ministero debba improntare la propria
complessiva attività non solo alle regole il cui rispetto esclude profili di
eccesso di potere, ma anche al principio di leale collaborazione, quando intenda
sindacare le motivate statuizioni di autorità cui siano stati trasferiti (e non
meramente delegati) i poteri nella materia del paesaggio.
Inoltre,
deve tenersi conto dei principi cui si è ispirato il regolamento approvato col
decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali 13 giugno
1994, n. 495, di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241 del 1990 (cui
è seguito il decreto del direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni
ambientali e paesaggistici, di data 18 dicembre 1996, che ha delegato ai
soprintendenti territorialmente competenti l’esercizio dei poteri di
annullamento delle autorizzazioni, per gli interventi interessanti il territorio
di un unico Comune).
Questa
Sezione ha interpretato le disposizioni di tale regolamento nel senso che in
qualche modo l’originario richiedente debba essere posto in condizione di
sapere che la sostanziale fondatezza della sua istanza è esaminata
dall’autorità statale, nella nuova fase di controllo (cfr. Sezione VI, 1°
dicembre 1999, n. 2069): anche se il quadro I della tabella A allegata al
regolamento si è riferito al procedimento di «annullamento delle
autorizzazioni paesistiche» per ribadire che la divisione seconda è l’unità
organizzativa responsabile e che l’atto può essere emesso entro il termine di
sessanta giorni, occorre infatti consentire all’interessato di interloquire
nella fase di controllo.
Il collegio ritiene di condividere tali conclusioni.
E’
infatti anche conforme al pubblico
interesse l’esigenza che l’organo statale eserciti il proprio potere sulla
base di ogni elemento che sia fornito dall’interessato e dalla amministrazione
delegata.
Mentre
la Regione stessa trasmette all’organo statale la documentazione già formalmente
acquisita nella fase del rilascio dell’autorizzazione, l’originario
ricorrente può trasmettere tutta la ulteriore documentazione che ritenga più
opportuna, al fine non solo di evidenziare la legittimità della autorizzazione
già rilasciata, ma anche di rappresentare all’organo statale che, pur se
l’autorizzazione è carente per difetto di motivazione o di istruttoria, non
sussistono ragioni sostanziali per disporne l’annullamento.
Come
ha chiarito infatti anche la Corte Costituzionale con la sentenza
n. 437 del 2000, l’esercizio del potere di annullamento in sede di controllo,
nella peculiare materia della gestione dei vincoli paesistici, si caratterizza
per la sua discrezionalità.
A
differenza degli altri casi in cui l’ordinamento prevede forme di controllo
preventivo di legittimità, rispetto alle quali l’organo di controllo è
comunque tenuto ad annullare l’illegittimo atto controllato, nella materia in
esame il Ministero può anche ritenere pienamente giustificato l’accoglimento
dell’istanza, pur se la motivazione dell’autorizzazione risulti inadeguata.
Ovviamente,
il mancato annullamento dell’autorizzazione affetta da difetto di motivazione
può derivare dalle responsabili valutazioni del Ministero e non incide sulla
possibilità che chi vi abbia interesse
prospetti in sede giurisdizionale l’inadeguata motivazione
dell’autorizzazione.
Tuttavia,
proprio perché l’apporto collaborativo dell’interessato può consentire una
più adeguata valutazione degli interessi in conflitto, si deve condividere la
precedente giurisprudenza per la
quale, da un lato, il difetto di motivazione dell’autorizzazione giustifica
per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Sezione VI, 8 agosto 2000,
n. 4345; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734;
Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 20 giugno 1997, n. 952; Sezione VI, 30 dicembre
1995, n. 1415; Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771), mentre, dall’altro, deve
consentirsi che l’originario richiedente abbia la possibilità di fornire
ulteriori elementi di valutazione all’autorità statale (cfr. Sezione VI, 22
agosto 2000, n. 4546; Sezione VI, 2000, n. 909; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n.
2069).
Pertanto,
ritiene che nel vigore del regolamento emanato col decreto ministeriale 13
giugno 1994, n. 495, al soggetto che abbia
chiesto ed ottenuto l’autorizzazione paesistica debba consentirsi di valutarne
la motivazione e di fornire all’autorità statale gli ulteriori elementi
valutativi e istruttori che reputi opportuno (cfr. Sezione VI, 22 agosto 2000, n.
4546; Sezione VI, 17 febbraio 2000, n. 909; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069).
In
considerazione delle sue finalità, la comunicazione riguardante il passaggio
alla fase del controllo può essere effettuata in qualsiasi modo ed ammette
equipollenti, nel senso che essa può anche essere
effettuata dalla stessa amministrazione con la comunicazione del rilascio
dell’autorizzazione o, in mancanza, dall’organo statale, se intenda
avvalersi del potere di annullamento.
3.4.
Nel caso di specie, si deve ritenere che il Ministro per i beni culturali
ed ambientali non aveva l’obbligo di trasmettere all’originaria richiedente
la comunicazione dell’avvio del procedimento di controllo.
In
primo luogo, il contestato provvedimento ministeriale risale al 2 settembre
1993, quando ancora non era stato emanato il regolamento del Ministero per i
beni culturali ed ambientali 13 giugno 1994, n. 495, dalle cui disposizioni la
giurisprudenza della Sezione ha tratto il principio per il quale l’originario
richiedente deve essere posto in condizione di sapere che il procedimento si
trova nella fase del controllo.
Pertanto,
va richiamata la costante giurisprudenza della Sezione per la quale, prima della
entrata in vigore del medesimo regolamento, non era ravvisabile tale specifico
obbligo (Sezione VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sezione VI, 15 maggio 2000, n. 2772;
Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771).
In
secondo luogo, come ha rilevato l’impugnato provvedimento ministeriale,
il nulla osta è stato rilasciato su un ‘modulo tipo’, nel quale si è dato
atto della normativa (anche avente rilevanza penale) concernente il rilascio del
nulla osta e l’indefettibile potere di annullamento da parte dell’autorità
centrale, cui è stato trasmesso l’atto.
Pertanto,
risultando la dovuta trasmissione degli atti al Ministero, questi non aveva
comunque l’obbligo di comunicare all’interessata una circostanza che già
conosceva, cioè l’esistenza della condicio
iuris.
Neppure
il Ministro aveva l’obbligo di «suggerire» le modifiche progettuali che
avrebbero potuto rendere accoglibile la domanda di sanatoria, poiché:
- l’art. 16 del regolamento 3 giugno 1940, n. 1357, si riferisce alla fase nella quale ancora il manufatto non è stato costruito (Sezione II, 17 giugno 1998, parere n. 853 del 1998), sicché può ancora svolgersi il confronto tale da fare emergere la soluzione più conforme agli interessi pubblici e privati (mentre nella specie si tratta di un edificio già realizzato nei suoi elementi strutturali, che ha reso impossibile la valutazione di altre scelte progettuali);
- la norma attribuisce ampi poteri discrezionali all’autorità competente al rilascio della autorizzazione, e dunque all’autorità delegata (ovvero al Ministero, nel caso di sostituzione previsto dall’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977, trasfuso nell’art. 151, comma 4, del testo unico n. 490 del 1999), che può decidere se intende avvalersene.
4. Con le residue censure, l’appellante ha lamentato che il contestato provvedimento ministeriale non avrebbe valutato:
- le circostanze che hanno condotto alla realizzazione del rustico e della copertura dell’edificio, perché a suo tempo erano state rilasciate l’autorizzazione paesistica e la concessione edilizia, poi annullate dal T.A.R. per la Campania, su ricorso di alcuni vicini per la constatata violazione delle regole sulle distanze;
- la situazione dei luoghi, poiché la costruzione si trova su un’area pianeggiante ed edificata;
- il fatto che sull’area il vincolo paesistico è stato apposto successivamente alla realizzazione del manufatto.
Inoltre, l’appellante:
- ha criticato la motivazione della sentenza impugnata, sulla sussistenza sull’area di un vincolo di ‘sostanziale inedificabilità’, ed ha dedotto che, contrariamente a quanto affermato dal T.A.R. e dal Ministero, il nulla osta sindacale dovrebbe considerarsi adeguatamente motivato, sia in relazione al previo parere della commissione edilizia integrata, sia in relazione al piano territoriale paesistico rilevante per la zona;
- ha richiamato i motivi 7-10 del ricorso di primo grado, lamentando che il Ministro, con motivazione tautologica, avrebbe rilevato vizi del nulla osta in realtà insussistenti, non avrebbe valutato che il contesto è già stato urbanizzato con ulteriori numerosi edifici residenziali ed avrebbe effettuato un riesame nel merito delle valutazioni del Sindaco, ritenendo erroneamente che sarebbe stato violato il vincolo paesistico.
4.1.
Ritiene la Sezione che tali censure, da esaminare congiuntamente
per la loro stretta connessione, siano infondate e vadano respinte.
Il
contestato provvedimento ministeriale ha rilevato che il nulla osta paesistico
è stato rilasciato in sanatoria per il manufatto, ivi analiticamente descritto,
sulla base di un ‘modulo tipico’,
che non ha indicato le ragioni da cui possa evincersi che il progetto possa
ritenersi compatibile col vincolo paesistico imposto sulla zona.
Va
pertanto richiamata la ferma giurisprudenza di questo Consiglio, per la quale è
illegittima l’autorizzazione paesistica (ovvero il nulla osta paesistico in
sede di condono), quando non sono esposte le ragioni di effettiva compatibilità
con gli specifici valori paesistici dei luoghi (Sezione VI, 8 agosto 2000, n. 4345;
Sezione VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione
VI, 9
aprile 1998, n. 460).
L’assoluta
carenza di motivazione del nulla osta implica che legittimamente il Ministero ne
abbia disposto l’annullamento per difetto di motivazione, anche perché il
beneficiario dell’autorizzazione non ha fornito alcun ulteriore elemento di
valutazione.
Neppure
si può ritenere che la motivazione del nulla osta possa evincersi dal
precedente parere della commissione
edilizia integrata ovvero dai precedenti provvedimenti poi annullati dal TAR per
la Campania.
Infatti,
il menzionato parere non contiene alcuna concreta valutazione ed è anch’esso
carente di motivazione: è significativo che lo stesso appellante
non abbia neppure riportato il contenuto del parere, per contrapporlo a quanto
rilevato dal Ministro.
Anche
gli atti risalenti al 1982 e poi annullati in sede giurisdizionale non hanno
effettuato alcuna concreta valutazione del progetto, in relazione
agli aspetti paesistici.
Infatti,
anche essi contengono la sola espressione «considerato che il previsto
intervento può ritenersi compatibile con l’attuale stato di fatto ambientale»,
il che evidenzia la sussistenza dei vizi accertati dal Ministro in
sede di controllo.
Del
resto, risulta agli atti la documentazione riguardante le circostanze che hanno
preceduto la presentazione della domanda di condono, da cui emerge che i lavori
sono stati a suo tempo sospesi perché difformi da quelli assentiti, con l’ordinanza
comunale n. 6315 del 14 giugno 1983.
Pertanto,
anche se gli originari atti abilitativi fossero stati adeguatamente motivati, in
ogni caso il nulla osta sulla domanda di condono avrebbe dovuto valutare le
concrete caratteristiche del manufatto, come
realizzato, e la sua compatibilità con le esigenze di tutela del vincolo.
Argomenti
favorevoli all’appellante neppure derivano dal piano urbanistico territoriale,
poiché esso non è stato richiamato nel nulla osta sindacale e nessuna sua
specifica previsione è stata del
resto specificamente invocata dall’appellante.
4.2.
Infine, per vari profili è infondata la deduzione per cui sarebbe irrilevante
il vincolo paesistico, perché apposto sull’area dopo la realizzazione del
manufatto.
In
primo luogo, per la consolidata
giurisprudenza di questo Consiglio (che il collegio condivide e fa propria,
anche in assenza di specifiche argomentazioni contrarie dell’appellante), ai
fini della valutazione delle istanze di condono, va considerato rilevante anche
il vincolo apposto successivamente alla realizzazione del manufatto abusivo (Ad.
Plen., 20 luglio 1999, n. 20; Sezione VI, 9 ottobre 1997, n. 1461; Sezione V, 13
febbraio 1997, n. 158; Sezione V, 4 maggio 1995, n. 696; Sezione V, 23 marzo 1991, n.
326).
In
secondo luogo, nella specie risulta
dagli atti che il vincolo è stato apposto con il decreto ministeriale di data
22 dicembre 1965 (richiamato nell’impugnato provvedimento ministeriale): non
essendo stata contestata tale circostanza dall’appellante, risulta legittimo
l’esercizio del potere di controllo sul nulla osta da parte del Ministro.
Sono
altresì infondate le censure che l’appellante ha formulato avverso la parte
della motivazione della sentenza del TAR riguardante il vincolo ‘di
sostanziale inedificabilità’: tale espressione
non intendeva affermare che l’area era soggetta ad un vincolo di
inedificabilità assoluta e, comunque, non ha rilevanza, dal momento che il
Ministro ha implicitamente condiviso la valutazione del Sindaco, sulla assenza
del vincolo assoluto di inedificabilità.
4.3. E’ infine irrilevante in questa sede la dedotta circostanza per cui il fabbricato in questione si troverebbe in una più vasta area urbanizzata.
Innanzitutto,
il Ministro ha richiamato la nota della Soprintendenza per i beni ambientali ed
architettonici di Napoli, n. 23968
del 6 agosto 1993, da cui emerge che il fabbricato si trova all’interno di un
più vasto territorio, caratterizzato «da un prevalente carattere di centro
agricolo dell’area».
In
ogni caso, anche della circostanza dedotta dall’appellante non vi è traccia
nel nulla osta sindacale, sicché il Ministro non poteva che ritenerlo viziato
per carenza assoluta di motivazione.
Quanto
infine ai dettagliati richiami che il Ministro ha operato
alla situazione dei luoghi (e, in particolare, ai tredici non completati
appartamenti ed alle pertinenze, aventi un volume complessivo di mc 3.370, ed a
tutte le altre circostanze caratterizzanti l’edificio), ad avviso della
Sezione risulta evidente che essi sono stati effettuati nell’atto di controllo
unicamente per evidenziare come il nulla osta abbia omesso di considerare le
caratteristiche dei luoghi e per rimarcare in tal modo l’assoluto difetto di
motivazione dell’atto controllato.
5. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso va respinto.
La sentenza impugnata va confermata, sia pure con motivazione parzialmente diversa.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 4114 del 1999.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 24 novembre 2000, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori: