EDILIZIA - 033
T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 26 marzo 2001, n. 146
(Presidente Conti; est. Righi)

L'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica deve essere ANCHE comunicato all'interessato entro il termine di 60 giorni e NON SOLO emanato; a favore di tale conclusione, in contrasto con il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, depone l'art. 2 del decreto dirigenziale 18 dicembre 1996 con il quale il Ministero delega ai soprintendenti il potere di annullamento di cui all'art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977 (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.) - Tale decreto (in base al quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli interessati nel termine suddetto) ha carattere organizzatorio, insuscettibile di incidere sui termini stabiliti da norme primarie (Consiglio di Stato, Sezione VI, 1 dicembre 1999, n. 2069) tuttavia il potere dei Soprintendenti di pronunciare l’annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi del già citato art. 82, risiede esclusivamente nella delega conferita col menzionato decreto direttoriale 18 dicembre 1996 - Se nella delega si pone una condizione così esplicita, significa che l’inosservanza della stessa comporta che il potere utilizzato eccede la delega conferita, con violazione di legge lesiva dell'interesse legittimo.
Negli stessi termini: T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 28 febbraio 2001, n. 102; 19 marzo 2001, n. 108 e n. 109.

Contra (orientamento univoco in 2° grado): Consiglio di Stato, sezione VI, 13 febbraio 2001, n. 685
(Presidente Ruoppolo; est. Maruotti)

L'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica NON deve essere anche comunicato all'interessato entro il termine di 60 giorni ma SOLO emanato - Tale conclusione, in linea con il consolidato orientamento del Consiglio di Stato non muta nemmeno alla luce del decreto dirigenziale 18 dicembre 1996 con il quale il Ministero delega ai soprintendenti il potere di annullamento di cui all'art. 151, comma 4, testo unico n. 490 del 1999 -  Tale decreto dirigenziale (in base al quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli interessati nel termine suddetto) non ha inciso sull’ambito della norma legislativa che ha disciplinato il potere di annullamento ed ha individuato il termine finale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 942 del 2000 proposto da B.G. e B.M., rappresentati e difesi dall’avv. G.B. ed elettivamente domiciliati presso lo stesso in Brescia, via ...;

contro

Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;

e nei confronti di

COMUNE di LIMONE SUL GARDA, in persona del Sindaco p.t., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. F.B. ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Brescia, via...;

per l’annullamento, previa sospensione,

del decreto del Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Brescia, prot. n. 43 del 30 maggio 2000, con il quale è stato disposto l’annullamento del provvedimento n. 7927 del 29 marzo 2000, con cui il Sindaco autorizzava la costruzione di un edificio bifamiliare in località Nurbia del Comune di Limone sul Garda; nonché di ogni altro atto connesso;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statale e comunale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese e domande;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 26 gennaio 2001, la relazione del cons. Renato Righi;
Uditi l'avv. G.B. per i ricorrenti, l'avv. dello Stato L. Piotti per il Ministero resistente e l’avv. F.B. per il Comune;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20 luglio 2000, depositato il successivo 31 agosto, i ricorrenti impugnano il decreto di cui in epigrafe, deducendo vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione statale che, con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, controdeducendo al ricorso, ne ha chiesto la reiezione per infondatezza.
Si è costituito altresì il Comune intimato, che ha invece concluso per l’accoglimento del ricorso.
In occasione della camera di consiglio del 27 ottobre 2000, i ricorrenti hanno rinunciato all’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, sicché la causa è stata rinviata per il merito.
Il ricorso è passato in decisione all’odierna udienza pubblica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti impugnano il decreto del Soprintendente per i beni ambientali e architettonici di Brescia, prot. n. 43 del 30 maggio 2000, con il quale è stato disposto l’annullamento del provvedimento sindacale n. 7927 del 29 marzo 2000, con cui si autorizzava - sotto il profilo paesaggistico, ai sensi dell’art. 7 legge 29 giugno 1939, n. 1497, e in via subdelegata dalla Regione - la costruzione di un nuovo edificio bifamiliare su un terreno di proprietà dei ricorrenti medesimi in località Nurbia del Comune di Limone sul Garda.
Appare prioritario - atteso il suo carattere assorbente - l’esame del secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 82, nono comma, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.), nonché dell’art. 2 del decreto del Direttore generale per i beni ambientali e paesaggistici del 18 dicembre 1996, in quanto l’impugnato atto di annullamento sarebbe tardivo.

La censura è fondata.

In punto di fatto, è incontestato che l’autorizzazione comunale, con la relativa documentazione di corredo, sia pervenuta all’organo ministeriale in data 31 marzo 2000, ed è altresì incontestabile che il decreto impugnato sia stato comunicato ai ricorrenti oltre il termine di sessanta giorni decorrente da tale data, prescritto dal citato art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod. (nella specie, esso risulta notificato in data 31 maggio 2000, come si ricava dal timbro postale sulla busta di ricevimento della relativa raccomandata, v. doc. 9 dei ricorrenti).
Orbene, anche ammettendo che il disposto dell’invocato art. 2 del decreto direttoriale 18 dicembre 1996 (in base al quale i provvedimenti di annullamento devono essere anche comunicati agli interessati nel termine suddetto) abbia “carattere meramente organizzatorio, insuscettibile di incidere sui termini stabiliti da norme primarie”, come si legge nella decisione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 1 dicembre 1999, n. 2069, intendendosi con ciò ribadire la tesi che “entro tale termine il provvedimento di annullamento deve solo essere adottato ma non anche comunicato, trattandosi di atto non recettizio” (ibidem), deve peraltro sottolinearsi che il potere dei Soprintendenti di pronunciare l’annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche, ai sensi del già citato art. 82, nono comma, d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod. (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.), risiede proprio ed esclusivamente nel menzionato decreto direttoriale 18 dicembre 1996.

Si tratta infatti, non già di un potere proprio dei Soprintendenti, bensì di un potere loro delegato dal Direttore generale.

Dunque, se nell’atto di delega si pone una condizione così esplicita, significa che l’inosservanza della stessa comporta che il potere utilizzato eccede la delega conferita, si versa cioè in un’ipotesi di esercizio di una funzione amministrativa in violazione della norma attributiva di tale potere; norma che ha sicuramente efficacia esterna e non meramente interna all’apparato burocratico e, come tale, rappresenta una regola il cui mancato rispetto costituisce un vizio del procedimento che gli interessati possono quindi far valere in giudizio, come nella fattispecie, sotto il profilo della violazione di legge.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va pertanto accolto, con pedissequo annullamento del decreto impugnato, restando assorbite le altre censure non espressamente esaminate.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia – accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il decreto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Brescia, il 26 gennaio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia 

T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 28 febbraio 2001, n. 102
(Presidente Conti; est. Righi)
Anche per il provvedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica emanato dal soprintendente ai beni ambientali e architettonici, è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1036 del 2000 proposto da S. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. A.L., ed elettivamente domiciliata presso lo stesso, in Brescia, via ...;

CONTRO

Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;

E NEI CONFRONTI

del COMUNE di LIMONE SUL GARDA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione,

del decreto 4 agosto 2000 del Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia di annullamento di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 Legge n. 1497/1939, rilasciata alla ricorrente dal Comune di Limone sul Garda con provvedimento n. 555 del 12 giugno 2000; nonché di ogni altro atto connesso.

(omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'impresa ricorrente, proprietaria in Comune di Limone sul Garda di immobile a destinazione alberghiera, presentava al Comune stesso domanda per il rilascio di concessione edilizia, nonché - essendo la relativa competenza regionale subdelegata ai Comuni - la richiesta di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 legge n. 1497/39, essendo l'area interessata soggetta a vincolo per la protezione delle bellezze naturali.
Essa otteneva il rilascio dell'autorizzazione con provvedimento sindacale in data 12 giugno 2000, n. 555.

Tuttavia, in data 4 agosto 2000, il Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia pronunciava l'annullamento, ex art. 82, nono comma, del d.P.R. n. 616 del 1977, dell'autorizzazione de qua.

Avverso il suddetto provvedimento la deducente proponeva il ricorso in epigrafe, notificato il 22 settembre 2000 e depositato il 5 ottobre successivo, deducendo vari profili di violazione di legge e di eccesso di potere.
Mentre non si costituiva in giudizio il Comune, si costituiva invece il Ministero che, con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, controdeducendo puntualmente al ricorso, ne chiedeva la reiezione per infondatezza.
In occasione della camera di consiglio del 17 novembre 2000 la ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare, sicché il ricorso veniva rinviato per l’udienza di merito.

La causa è passata in decisione all'odierna udienza pubblica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esaminato – atteso il suo carattere assorbente – il secondo motivo di ricorso, ove si deduce la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la insufficiente comunicazione di avvio del procedimento.
E’ pacifico che tale comunicazione, datata 1 agosto 2000, sia stata inoltrata alla ricorrente, a mezzo telefax, il 3 agosto successivo (v. doc. 7 della ric.), vale a dire il giorno precedente a quello di adozione del decreto impugnato, così vanificando la possibilità per la ricorrente medesima di partecipare al procedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciatale dal Comune.
Del resto, la stessa Amministrazione resistente si è difesa sostenendo la superfluità dell’invio della comunicazione, ritenendo non applicabile la citata disposizione al procedimento in questione.

Il Collegio è di diverso avviso, ritenendo invece sussistente l’obbligo, di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, anche per il procedimento di annullamento di autorizzazione paesaggistica (Cfr., altresì, T.A.R. Sardegna sent. n. 563 e n. 1643 del 1997).

La Sezione con le sentenze nn. 37, 49, 131, 418, 749 e 762 del 1999 ha sviluppato, in proposito, i seguenti argomenti - dai quali non ritiene di discostarsi - e che sono integralmente richiamabili anche per la vertenza in esame.

Il potere di annullamento, attribuito al Ministro per i beni culturali ed ambientali dall’art. 82, nono comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e succ. mod., è infatti esercitato in una successiva ed eventuale fase endoprocedimentale, che ha carattere autonomo (per la natura di secondo grado e per il diverso organo competente a provvedere) rispetto a quella conclusasi con l’autorizzazione paesaggistica (regionale o comunale).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 383 del 1996, ha ritenuto sussistente l’obbligo, di cui al citato art. 7 della legge n. 241 del 1990, anche per le successive ed autonome fasi endoprocedimentali, con la sola esclusione dell’ipotesi, che non ricorre nel caso di specie, in cui la fase successiva sia dovuta all’iniziativa dell’interessato.
Ha rilevato la Corte che “l’Amministrazione è tenuta a predisporre un meccanismo procedurale, che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all’interessato la chiara percezione dell’avvio della nuova fase, in modo di porlo nell’effettiva possibilità di interloquire nell’anzidetta ulteriore fase procedimentale”.
Nel caso in esame, la ricorrente solo teoricamente e formalisticamente è stata messa nella possibilità di percepire l’avvio della nuova fase, ma sostanzialmente non ha avuto la possibilità di interloquire con l’Amministrazione in alcun modo.
La comunicazione dell’avvio del procedimento è strumentale alla partecipazione del destinatario dell’atto al procedimento stesso, dovendo essere indicati l’Amministrazione procedente, l’oggetto ed il responsabile del procedimento e l’ufficio, presso cui si può prendere visione degli atti.
Le due fasi (la prima di competenza della Regione, o dei Comuni subdelegati dalla Regione stessa, e la seconda di competenza del Ministero), sebbene connesse, hanno una tale autonomia sotto il profilo dei soggetti competenti che gli elementi relativi alla prima fase, conosciuti dal privato, sono del tutto diversi da quelli inerenti la seconda fase, destinata a svolgersi presso uffici statali e che non è dovuta all’iniziativa dell’interessato, che è solo edotto - ma in astratto, dalla legge - della sua eventualità.

In un procedimento, quale quello in esame, l’omissione o l’insufficienza della comunicazione non consente al destinatario dell’atto neanche di conoscere le concrete modalità di svolgimento dell’ulteriore fase.
Viene così negata ogni possibilità di interloquire con l’Amministrazione procedente, in aperto contrasto con i principi di trasparenza e pubblicità, introdotti dalla legge n. 241 del 1990.
Il destinatario del provvedimento di autorizzazione paesaggistica, infatti, non conosce quale sia l’ufficio, che procede al controllo di legittimità dell’autorizzazione e non ha quindi la possibilità né di prendere visione degli atti, né di presentare memorie ed osservazioni.
Nel procedimento in questione, la carenza di tale comunicazione assume particolare rilievo, in quanto l’eventuale esercizio del potere di annullamento comporta un evidente pregiudizio per il soggetto interessato, tenuto conto che l’autorizzazione paesaggistica e’ immediatamente valida ed efficace e consente il rilascio delle previste concessioni edilizie e la realizzazione delle opere assentite e che gli effetti dell’eventuale annullamento retroagiscono al momento del rilascio dell’atto autorizzatorio.
Tra l'altro, mentre il privato potrebbe confidare nell'inutile decorso del termine di 60 giorni, non può invece venire a conoscenza di eventuali eventi interruttivi del termine o di eventuali ritardi nella trasmissione dell’autorizzazione alla Soprintendenza.
Al riguardo, va ricordato che, per costante giurisprudenza, il termine inizia a decorrere nel momento in cui l’autorizzazione e la relativa documentazione giungono in modo completo ai competenti uffici del Ministero dei beni culturali e ambientali.
A questo proposito, in caso di incompletezza della documentazione, l’apporto partecipativo del privato può assumere particolare valore per l’accelerazione della procedura (che è nell’interesse sia del privato che dell’Amministrazione procedente).

Il Collegio non ignora che, sull’applicabilità alla fattispecie dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, vi sia un diverso orientamento giurisprudenziale che, invece, la nega facendo leva sul fatto che il procedimento ha inizio su istanza del privato, che è già edotto, in virtù di legge, dell’esistenza di una seconda fase di competenza del Ministro per i beni culturali ed ambientali, che si pone quale continuazione della fase che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione.
Tale orientamento rileva, poi, che l’invio, da parte del Comune, dell’autorizzazione paesaggistica, oltre che alla ricorrente quale diretta destinataria, anche, per conoscenza, alla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici, possa considerarsi un equipollente della comunicazione di avvio del procedimento di verifica di competenza della Soprintendenza medesima.
Tuttavia, si osserva che la citata sentenza della Corte costituzionale ha chiarito che non può escludersi l’obbligo della comunicazione per il solo fatto che si tratti di sequenza procedimentale, da ricollegarsi ad altra precedente fase del procedimento, dovendo invece il destinatario dell’atto essere notiziato dell’avvio del procedimento ogni volta che l’Amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado di annullamento o revoca di un precedente provvedimento.
Né può ritenersi decisiva la circostanza che il privato, quando presenta la domanda di autorizzazione paesaggistica, è già edotto, in virtù di legge, che il procedimento contempla un’eventuale seconda fase, di competenza di diverso organo, che può sfociare nell’annullamento dell’autorizzazione stessa.

Infatti, come già rilevato in precedenza, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento è strumentale all’indicazione degli elementi di cui al successivo art. 8 della stessa legge n. 241 del 1990.

La semplice presunzione ex lege di conoscenza della esistenza di un’eventuale seconda fase non consente certo al privato di conoscere quale sia l’ufficio competente a provvedere e presso cui può prendere visione degli atti e presentare memorie ed osservazioni e chi sia il responsabile del procedimento.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, sicuramente non possono essere considerate comunicazioni equipollenti il mero avviso della trasmissione dell'autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza o l’indicazione della Soprintendenza tra i destinatari dell’atto stesso, in quanto altrimenti si toglierebbe alla norma ogni utilità.
La semplice indicazione della trasmissione della autorizzazione anche alla Soprintendenza non consente al destinatario la chiara percezione dell’avvio della nuova fase, che peraltro è meramente eventuale (come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 157 del 1998).
La comunicazione - ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 - infatti, non può che essere inviata dall’Amministrazione procedente, che è l’unica che può indicare gli elementi previsti dall'art. 8, stessa legge.
Del resto, la giurisprudenza ha affermato che la disposizione di cui al ripetuto art. 7 non può essere applicata meccanicamente e formalisticamente, dovendosi escludere il vizio - consistente nella sua mancata applicazione - nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3 del 1996) o manchi l’utilità della comunicazione dell’avvio del procedimento (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 283 del 1996).
Nella fattispecie in questione, è pacifico che lo scopo non sia stato raggiunto, non avendo partecipato il destinatario dell’atto al procedimento di annullamento, e non può nemmeno affermarsi che la sua partecipazione sarebbe stata inutile.
Potrebbe essere sostenuto che, trattandosi di un controllo di sola legittimità da parte della Soprintendenza, nessun apporto potrebbe dare il destinatario dell’atto, in quanto o il provvedimento è legittimo ed allora non sarà annullato, o è viziato ed in quel caso verrà annullato a prescindere dalle argomentazioni che può apportare il privato.

Tale ragionamento risulta infondato e svilisce il ruolo partecipativo del destinatario dell’atto in tutti quei procedimenti non estesi al merito della controversia.
Innanzi tutto, come già rilevato in precedenza, il privato può contribuire allo svolgimento del procedimento di secondo grado nei termini previsti, supplendo o stimolando l’Amministrazione in caso di ritardi od omissioni nella trasmissione della autorizzazione paesaggistica e della relativa documentazione da parte dell’Ente che l'ha rilasciata.
Anche nell’esame di legittimità del provvedimento di autorizzazione l’apporto del privato, tramite memorie, osservazioni e documenti, può essere particolarmente utile, soprattutto se si tiene conto che la Soprintendenza può annullare l’autorizzazione paesaggistica anche per il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti o per sviamento, nel caso che la valutazione di compatibilità ambientale si traduca in un’oggettiva deroga al vincolo esistente (Cfr. Consiglio di  Stato, Sez. VI, n. 600 del 1990, n. 828 del 1991 e n. 849 del 1993).

Appare, quindi, chiaro che, pur trattandosi di una verifica di sola legittimità, il privato può certamente apportare elementi utili ai fini della valutazione dell’eventuale travisamento dei fatti o sviamento, presenti nel provvedimento di autorizzazione.
Va poi tenuto presente che l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica è comunque espressamente previsto dal regolamento del Ministero dei beni culturali ed ambientali, di attuazione delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 (D.M. 13 giugno 1994, n. 495).

L’art. 4 del citato D.M. prevede espressamente la comunicazione dell’avvio del procedimento da parte del funzionario responsabile, facendo salve solo ragioni di impedimento derivanti da esigenze di celerità (che non ricorrono nel caso di specie); la comunicazione deve indicare il nominativo del responsabile stesso e l’unità organizzativa competente (v. art. 9).
Nella tabella A, allegata al D.M., sono indicati i singoli procedimenti, cui il decreto si applica, ed i relativi termini per la conclusione del procedimento.
Tra di essi è incluso, al punto 4), anche il procedimento di annullamento delle autorizzazioni paesistiche, cui pertanto si applicano tutte le disposizioni del regolamento.
E' interessante rilevare in proposito che il regolamento si applica sia ai procedimenti promossi d’ufficio, sia a quelli su iniziativa di parte (vedi art. 1) e che esplicitamente è stata prevista la suddetta comunicazione in particolare per i procedimenti ad iniziativa di parte (art. 3, comma 3), con una disposizione quindi ancora più garantista rispetto ad un'interpretazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, che tenderebbe ad escludere l’obbligo di comunicazione quando il procedimento è iniziato su domanda dell'interessato.
Tale obbligo, dunque, oltre a derivare direttamente dalla legge, è anche sancito da una specifica disposizione regolamentare, espressamente applicabile al procedimento in questione, e invece disattesa dall’Amministrazione.

Riguardo all’osservazione della difesa della resistente, circa la compressione del termine per l’adozione del provvedimento di annullamento a seguito della suddetta comunicazione, si obietta che il termine perentorio di sessanta giorni è termine ampio, che consente sia all’Amministrazione di avvisare l’interessato nel caso decida di istruire il procedimento per l’eventuale annullamento, sia al destinatario dell'avviso di interloquire con memorie, osservazioni e documenti, in relazione alla cui presentazione l’Amministrazione potrebbe comunque fissare un termine intermedio, rapportato al termine finale.

Il Consiglio di Stato, pur in relazione alla sussistenza dell’obbligo di comunicazione per il diverso procedimento di imposizione del vincolo indiretto di cui all’art. 21 legge n. 1089 del 1939, ha evidenziato il superamento di una visione elitaria ed autoritaria dell’Amministrazione, che compie in solitudine scelte, che il cittadino è destinato a subire (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 515 del 1998).
Nella sentenza viene valorizzata l’introduzione ad opera della legge n. 241 del 1990 di un nuovo metodo procedurale, “che l’Amministrazione è tenuta a seguire ogni qualvolta intraprenda un’azione amministrativa, a prescindere dal fatto che questa azione si sviluppi in una serie di fasi finalizzate all’emanazione di un determinato provvedimento”.
Viene anche evidenziato come sia riduttivo il discorso sull’utilità o meno della partecipazione del privato, in quanto “la nuova forma-procedimento prevede la partecipazione procedimentale non tanto (e non solo) in funzione di mero apporto conoscitivo del privato per una scelta più consapevole dell’Amministrazione, ovvero in funzione collaborativa per garantire situazioni soggettive, la quale si esprime con osservazioni e memorie, quanto invece come mezzo per concorrere alle scelte dell’Amministrazione, anche nell’ipotesi di interessi “forti”, definiti in sede legislativa”.

I suesposti principi assumono un evidente portata generale e non possono non applicarsi anche al procedimento in esame.

L’invio, da parte dell’Amministrazione statale resistente, dell'avviso di avvio del procedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica, soltanto il giorno precedente la conclusione del procedimento stesso, equivale ad un’omessa comunicazione e rende quindi illegittimo l'impugnato provvedimento, che deve pertanto essere annullato, in accoglimento del ricorso, restando assorbite le altre censure proposte.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ACCOGLIE il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 12 gennaio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia.

T.A.R. Lombardia, sezione di Brescia, 19 marzo 2001, n. 108 e n. 109
(Presidente Mariuzzo; est. Farina)
Anche per il provvedimento di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica emanato dal soprintendente ai beni ambientali e architettonici, è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 451 del 2000 proposto  da A.J. e Immobiliare E. s.r.l., in persona del rappresentante legale p.t., rappresentati  e difesi  dagli avv.ti A.A.G. e R.G., ed elettivamente domiciliati  presso  la Segreteria della Sezione in Brescia, via Malta, n.12;

contro

Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Brescia, Ministero per i beni e le attività culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliati presso la stessa, in Brescia, via S. Caterina, 6;

e nei confronti del

COMUNE  di GARDONE RIVIERA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;

per l'annullamento

del decreto 21.2.2000 n.12 del Soprintendente di Brescia, che ha annullato l’autorizzazione  14.12.1999 n. 636, rilasciata al sig. A. dal Comune di Gardone Riviera, ai sensi dell’art. 7 legge  29.6.1939, n. 1497, per la realizzazione di un edificio residenziale in loc. “Le Baite”.

(omissis)

FATTO

Il sig. A.J. ha la disponibilità nel Comune di Gardone Riviera, località “Le Baite”, di un terreno di proprietà dell’Immobiliare E. s.r.l.
Il terreno è inserito, come lotto n. 12, nel piano di lottizzazione del comparto n. 63 del Comune di Gardone.
Ottenuta la disponibilità del lotto così individuato, il sig. A., d’intesa con l’Immobiliare E. predisponeva il progetto per la realizzazione su tale area di un edificio a destinazione residenziale.
Inoltrato il progetto all’esame del Comune ai fini del rilascio dell’autorizzazione ex art.7 della legge n. 1497/1939, con provvedimento 14.12.1999 n. 636, il Responsabile del servizio del Comune di Gardone Riviera rilasciava al sig. A. la richiesta autorizzazione, avendo ritenuto l’intervento compatibile con le esigenze di tutela ambientale della zona.

L’autorizzazione, corredata dei relativi allegati, veniva, quindi, trasmessa in data 23.12.1999 alla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Brescia per l’esercizio del potere di vigilanza ex art. 82, nono comma del d.P.R. 616/77.
Con provvedimento del 21.2.2000 n.12, notificato al ricorrente il 29.2.2000,  il Soprintendente annullava l’autorizzazione rilasciata dal Comune, rilevando una serie di carenze istruttorie da parte degli esperti del Comune in occasione della richiesta di nulla-osta paesaggistico avanzata dal sig. A.

Avverso il provvedimento del Soprintendente di Brescia il sig. A. e l’Immobiliare E. proponevano il ricorso in oggetto, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

- Violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90 – Violazione dell’art. 4 D.M. 13.6.1994, n. 495.
Risultano violate le disposizioni richiamate in quanto non risulta pervenuta al sig. A. titolare dell’autorizzazione paesaggistica n. 636/99, alcuna comunicazione di avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione medesima.

- Violazione dell’art. 82, nono comma d.P.R. n. 616/77 (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.) e dell’art. 2  decreto dirigenziale 18.12.1996 del Ministero per i beni culturali ed  ambientali  - Eccesso di potere.
Ritenuta la natura perentoria del termine di sessanta giorni fissato dall’art. 82, nono comma del d.P.R. n. 616/77, ai fini dell’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune, viene invocata la perentorietà non solo con riguardo al rispetto del termine  mediante l’adozione del provvedimento di annullamento, bensì anche con riguardo alla comunicazione dello stesso all’interessato.

- Violazione dell’art. 4 d.P.R. n. 616/77; Violazione art. 82, terzo e nono comma d.P.R. n. 616/77, anche in relazione agli articoli 3 e seguenti legge regionale n. 14/84 e dell’art. 16 legge regionale n. 18/97; Violazione art. 7 legge n. 1497/1939 e degli articoli 15 e 16  R.D. n. 1357/40; Eccesso di potere.
Il decreto del Soprintendente viene censurato anche sotto il profilo del merito, contestando le motivazioni addotte, relative alle carenze istruttorie riscontrate, che non avrebbero consentito un’adeguata valutazione dell’impatto paesaggistico dell’intero complesso residenziale in corso di realizzazione nella zona.

- Violazione art.4 d.P.R. n. 616/77.
I rilievi mossi dalla Soprintendenza non avrebbero tenuto conto della relazione dell’esperto comunale in materia ambientale.

- Violazione art. 3 legge n. 241/90 ed eccesso di potere, per motivazione carente ed erronea.

- Violazione art. 82 d.P.R. n. 616/77, in quanto l’esame della Soprintendenza non si sarebbe limitato al vaglio di legittimità del provvedimento comunale, ma sarebbe entrato nel merito della valutazione della compatibilità paesaggistica del progetto.

Si costituiva in giudizio il Ministero per i Beni culturali ed ambientali – Soprintendenza di Brescia, assistito dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, la cui difesa ribadiva sotto ogni profilo la legittimità del provvedimento impugnato, sia sotto l’aspetto formale del rispetto del termine di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento di annullamento, che si intende osservato con la sola adozione dell’atto e non anche con la comunicazione all’interessato, sia sotto il profilo dell’osservanza della garanzie di partecipazione, che, nel caso di specie, trattandosi di atto di secondo grado, avviato automaticamente a seguito del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica comunale, non abbisogna di ulteriori comunicazioni.

Preliminarmente, la difesa erariale eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell’Immobiliare Eden, in quanto soggetto del tutto estraneo al provvedimento autorizzatorio.

All’udienza del 9 febbraio 2001 il ricorso passava in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame e per i motivi riassunti in fatto, gli odierni istanti impugnano il decreto n.12 del 21.2.2000, con il quale il Soprintendente per i beni ambientali ed architettonici di Brescia ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497/1939 (prot. n.636/99) rilasciata dal Comune di Gardone Riviera, nell’esercizio dei poteri subdelegati, ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. 616/77, con riguardo alla realizzazione di un edificio residenziale in zona soggetta a tutela ambientale.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione sollevata dalla difesa erariale circa il difetto di legittimazione dell’Immobiliare E., in quanto soggetto non direttamente interessato dal provvedimento autorizzatorio, in quanto trattasi comunque del soggetto proprietario dell’area, avente diretto interesse alla rilascio del nulla osta alla realizzazione dell’intervento progettato.

Nel merito, il ricorso appare fondato, con particolare riguardo alle dedotte censure di tardività della comunicazione del decreto di annullamento, adottato, ma non comunicato entro il termine di sessanta giorni previsto dalla normativa più volte richiamata, e di violazione dell’obbligo di comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento di annullamento del nulla osta rilasciato dal Comune, da parte della Soprintendenza.

Per quanto riguarda la dedotta tardività del provvedimento di annullamento, la Sezione ha già avuto modo di esprimere il proprio orientamento secondo il quale il termine perentorio di sessanta giorni, previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 616/77 (ora art. 151, comma 4, decreto legislativo n. 490 del 1999 - n.d.r.), concesso al Ministero per l’esercizio del potere di annullamento, inizi a decorrere dal momento in cui l’autorizzazione (con la documentazione allegata) perviene agli organi periferici dell’Amministrazione dei Beni Culturali ed Ambientali, nella specie la Soprintendenza di Brescia, e che il potere di annullamento sia da considerare tempestivamente esercitato laddove il decreto venga comunicato all’interessato entro il suddetto termine, non essendo sufficiente ai fini della tempestività dell’atto la mera adozione entro il suddetto termine.

Le ragioni addotte a sostegno della tesi interpretativa seguita dalla Sezione (per tutte vedasi T.A.R. Brescia 13.5.1999, n. 418), sono da ricondurre alla natura del provvedimento autorizzatorio, che consente al privato di ottenere il “via libera” all’esercizio dell’attività edificatoria, attività che non può essere indefinitivamente sospesa in attesa della comunicazione della determinazione da parte della Soprintendenza.

Al contrario, l’eventuale esercizio del potere caducatorio deve estrinsecarsi in tempi certi, definiti, proprio per gli effetti che il potere di annullamento può avere sull’utente: ”A partire dal 61° giorno dalla ricezione da parte della Soprintendenza dell’autorizzazione ambientale rilasciatagli, la posizione soggettiva forte in capo a lui creata e l’affidamento di esercizio indiscriminato delle relative facoltà legali in lui ingenerato debbono poterlo porre, sulla base delle stesse regole generali di correttezza e buona fede oggettiva, nell’assoluta certezza di poter mutare lo stato dei luoghi senza alcuna possibile conseguenza negativa” (T.A.R. Brescia cit.).

Quanto alla natura del provvedimento di annullamento, la Sezione ha avuto modo, da ultimo nella sentenza n. 605/00 e nella citata n. 418/99, di ribadirne il carattere recettizio, proprio in considerazione del fatto che assumono natura di atti recettizi tutti quegli atti che estinguono o limitano poteri, facoltà o diritti, quale appare essere, appunto, l’effetto del provvedimento di annullamento assunto dalla Soprintendenza.
Alle considerazioni che precedono va, poi, aggiunto il dato normativo, prendendo spunto dall’art .6, comma 1, del D.M.  13.6.1994, n. 495, recante il “Regolamento concernente le disposizioni di attuazione degli artt. 2 e 4 della L. 241/90, riguardanti i termini e i responsabili dei procedimenti”, in base al quale “I termini per la conclusione dei procedimenti si riferiscono alla data di adozione del provvedimento, ovvero, nel caso di provvedimenti recettizi, alla data in cui il destinatario ne riceve comunicazione”.

Il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, peraltro, con decreto dirigenziale 18.12.1996, nel decentrare i poteri di tutela ambientale e paesaggistica, ha stabilito, all’art.2, che “i provvedimenti adottati devono essere formalmente comunicati agli interessati al relativo procedimento entro il termine perentorio di cui all’art.1 della legge n. 431 del 1985”.
Ciò conferma definitivamente che il provvedimento di annullamento, atto di natura recettizia, debba pervenire nella sfera giuridica di conoscenza del destinatario entro il termine perentorio stabilito dalla legge.
Nel caso di specie ciò non si è verificato, in quanto è pacifico che il provvedimento della Soprintendenza, adottato nel termine dei sessanta giorni, è stato comunicato all’interessato soltanto in epoca successiva.
Altrettanto fondata è la doglianza relativa alla violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90, laddove al ricorrente non è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’annullamento dell’autorizzazione comunale.
Anche a tale riguardo la Sezione ha avuto modo di esprimere in più occasioni il proprio orientamento (cfr. sentenze n. 873 del 1998, numeri 37, 49, 227, 538 e 632 del 1999, n. 605 del 2000), ritenendo senz’altro sussistente l’obbligo di cui all’art.7 della legge n. 241/90 anche per il procedimento di annullamento di autorizzazione paesaggistica.

Le prescrizioni contenute nel Capo III della citata legge hanno, invero, portata generalissima, trovando applicazione in tutti i procedimenti amministrativi, non avendo il legislatore previsto eccezioni di sorta, di natura soggettiva o oggettiva, circa la portata delle disposizioni riguardanti la notizia dell’avvio del procedimento, adempimento che “consente il contraddittorio nel suo aspetto di potenzialità di partecipazione del destinatario, a cui viene offerta la facoltà di rendersi conto dei futuri effetti dell’attività amministrativa nei suoi confronti e di raggiungere, fin dal momento iniziale di sviluppo di tale attività, una conoscenza utile alla tutela dei suoi personali interessi, in una situazione di composizione di interessi pubblici e privati ancora non delineata sul cui esito ha la possibilità di influire mediante il suo apporto” (cfr. C.d.S. Sez. V, 18.4.1996, n. 446).

Nel caso di specie il decreto della Soprintendenza, risulta assunto all’esito del procedimento avviato con la trasmissione dell’autorizzazione, procedimento del cui inizio non è stata data comunicazione, ai sensi della richiamata normativa, all’interessato, che, in tal modo, non ha avuto modo di percepire l’avvio dell’ulteriore fase nella quale il Ministero, per esso la Soprintendenza, avrebbe controllato la legittimità dell’autorizzazione paesaggistica rilasciatagli dal Comune, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497/1939.
Né risulta, peraltro, che le finalità di partecipazione siano state raggiunte aliunde.
Come ribadito dalla Sezione, la fase ulteriore, all’esito della quale il Ministero può esercitare il potere di Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica “ …si configura, infatti, comunque, quale fase ulteriore endoprocedimentale (avente carattere del tutto autonomo da quella, iniziata a seguito di presentazione di apposita domanda del soggetto pubblico o privato, conclusasi con la adozione della autorizzazione regionale ai sensi del citato art. 7)” (T.A.R. Brescia n. 605 del 2000).

E’ proprio la presenza di una fase ulteriore che induce a ritenere la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di “... predisporre un meccanismo procedurale ... che assicuri il raggiungimento dello scopo di consentire all’interessato la chiara percezione dell’avvio della nuova fase, in modo da porlo nell’effettiva possibilità di interloquire nella anzidetta ulteriore fase procedimentale“ (C. Cost. 5.11.1996, n.383)

La comunicazione dell’avvio del procedimento non è, peraltro, finalizzata unicamente a rendere edotti gli interessati dell’avvio del procedimento che si concluderà con il provvedimento finale, bensì anche, e soprattutto, specie nel caso de quo, a consentire all’interessato di partecipare con memorie ed osservazioni, fornendo ogni utile elemento al controllo di legittimità in cui si estrinseca il potere di annullamento, in modo da aumentare l’efficacia del controllo, integrando gli elementi di valutazione e di rappresentazione della situazione di fatto, già oggetto di esame in occasione della valutazione di compatibilità ambientale precedentemente svolta dall’autorità subdelegata.

Alle considerazioni che precedono si aggiunge, poi, il dato normativo, laddove la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento vìola il disposto di cui all’art. 4 del D.M. per i Beni Culturali n. 495/94, che ha trasfuso nei procedimenti di competenza dell’Amministrazione per i Beni Culturali, gli articoli 7 e 8 della legge n. 241/90, prevedendone l’applicazione “ ... sia ai procedimenti che conseguano obbligatoriamente ad iniziativa di parte, sia ai procedimenti promossi d’Ufficio” (art. 1, comma 1).

In conclusione, ritiene il Collegio che, per i motivi sin qui svolti, il ricorso debba trovare accoglimento, con assorbimento degli ulteriori motivi di censura.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio, liquidandole, a favore dei ricorrenti, in complessive £. 3.500.000.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 9 febbraio 2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4114 del 1999, proposto dal curatore del fallimento della s.n.c. E., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. B.R., con il quale è elettivamente domiciliato  in Roma, alla via ...,

contro

il Ministero dei beni e delle attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

e nei confronti

del Comune di Massalubrense, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio,

per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania, sezione. II, 5 gennaio 1999, n.  53, e per l’accoglimento del ricorso di primo grado n. 16160 del 1993;

(omissis)

FATTO

1. In accoglimento di una domanda dei signori Antonio, Francesco e Raffaele Ravenna, il Sindaco di Massalubrense:

- con l’atto n. 732 del 1° marzo 1982, ha rilasciato il nulla osta, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, per la realizzazione di un edificio nella frazione Sant’Agata sui due Golfi;
- in data 4 marzo 1982, ha rilasciato la concessione edilizia n. 372 per il medesimo fabbricato.

La s.n.c. E., cui il suolo è stato alienato, ha cominciato i lavori, realizzando il rustico e la copertura in difformità con gli atti assentiti, sicché l’assessore comunale, con l’atto n. 6315 del 14  giugno 1983,  ha ordinato la sospensione dei lavori.
A seguito della sentenza di data 21 dicembre 1983 del T.A.R. per la Campania (che ha annullato la concessione edilizia), la s.n.c. E. ha formulato istanza di condono, ai sensi dell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Il Sindaco di Massalubrense ha rilasciato il nulla osta paesaggistico (n. 10105 - 30/C) sull’istanza di condono.

2. Col provvedimento senza numero del 2 settembre 1993, il Ministro per i beni culturali ed ambientali ha annullato il nulla osta, ai sensi dell’art. 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.

3. Col ricorso n. 16160 del 1993, proposto al T.A.R. per la Campania, il curatore del fallimento della s.n.c. E. ha impugnato il provvedimento ministeriale del 2 settembre 1993, chiedendone l’annullamento per diversi di violazione di legge e di eccesso di potere.
Il T.A.R., con la sentenza n. 53 del 5 gennaio 1999, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

4. Con il gravame in esame, l’appellante ha impugnato la sentenza del T.A.R. ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo grado.
Con la memoria depositata in data 13 novembre 2000, l’appellante ha illustrato le proprie deduzioni, ha richiamato la documentazione complessivamente depositata ed ha insistito nelle già formulate conclusioni.

5. All’udienza del 24 novembre 2000 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità del provvedimento del Ministro per i beni culturali ed ambientali, di data 2 settembre 1993, che ha annullato il nulla osta paesaggistico rilasciato dal Sindaco di Massalubrense, per il condono (ai sensi dell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47) di un edificio realizzato al rustico e con la copertura.
Con la sentenza impugnata, il T.A.R. per la Campania ha respinto il ricorso di primo grado, proposto dal curatore del fallimento della società che ha formulato l’istanza di condono.
Con il gravame in esame, l’appellante ha criticato la sentenza del T.A.R. ed ha chiesto che, in sua riforma, sia annullato l’impugnato provvedimento ministeriale.

2. Col primo articolato motivo, l’appellante ha lamentato la violazione, sotto vari profili, dell’art. 82 del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.

2.1. Egli ha dedotto che vi sarebbe l’incertezza sulla effettiva data di emanazione del provvedimento ministeriale, perché privo del numero di protocollo.
La censura va disattesa, perché la sottoscrizione del Ministro in calce al decreto ed a fianco della data fa piena prova della veridicità di questa fino a querela di falso: la mancata indicazione del numero del protocollo non incide sulla certezza della data di emanazione del decreto ministeriale (Sezione. VI, 28 febbraio 2000, n. 1047).

2.2. Inoltre, l’appellante ha dedotto che:

- il provvedimento ministeriale sarebbe illegittimo, perché comunicato oltre la scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 82, nono comma, del decreto legislativo 24 luglio 1977, n. 616;
- il T.A.R. non avrebbe valutato le argomentazioni difensive, svolte in una memoria, secondo le quali il direttore generale del Ministero, con un decreto del 18 dicembre 1996, nel delegare il proprio potere ai soprintendenti, senza innovare l’ordinamento avrebbe disposto che entro il termine va comunicato il provvedimento di annullamento.

Anche tali censure vanno respinte.

L’invocato art. 82, nono comma, vigente ratione temporis al momento della adozione del contestato atto ministeriale (e ora trasfuso nell’art. 151, comma 4, del testo unico n. 490 del 1999), disponeva che «il Ministro per i beni culturali e ambientali può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».
Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e fa propria, il termine perentorio di sessanta giorni riguarda l’esercizio del potere di annullamento e non anche la successiva fase della comunicazione o della notificazione (Ad. Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20; Sezione VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sezione VI, 24 maggio 2000, n. 3010; Sezione VI, 28 gennaio 2000, n. 403; Sezione VI, 15 dicembre 1999, n. 2073; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069; Sezione VI, 3 novembre 1999, n. 1693; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 17 giugno 1998, n. 967; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 19 luglio 1996, n. 968; Sezione VI, 22 febbraio 1995, n. 207).
Infatti, la legge ha disciplinato un provvedimento che, secondo i principi generali, è immediatamente efficace e non ha natura recettizia.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ab antiquo ha chiarito che il provvedimento amministrativo, per il suo carattere autoritativo, ha una diretta ed immediata efficacia, che comporta una modificazione del mondo giuridico e, in particolare, della sfera giuridica del suo destinatario.
Tale regola generale trova eccezione (oltre che per i provvedimenti sottoposti al controllo preventivo di legittimità) solo nei casi in cui la legge disponga che gli effetti di un provvedimento si verificano quando esso è posto a conoscenza del destinatario ovvero quando la natura dell’atto (ad esempio di una diffida che fissi un termine per un comportamento) implica la sua conoscenza da parte del destinatario, perché possa uniformarsi (cfr. Sezione IV, 30 novembre 1992, n. 990; Sezione IV, 12 marzo 1992, n. 276).
Nel caso di specie, nessuna legge ha attribuito natura recettizia al provvedimento statale di annullamento dell’autorizzazione paesistica: l’art. 82, nono comma, con l’espressione «può annullare in ogni caso», non ha posto alcuna deroga al principio per cui l’atto di annullamento è efficace e produce immediatamente  i suoi effetti.
Sul punto, non ha rilievo il richiamo che l’appellante ha operato al decreto con cui il direttore generale del Ministero (divenuto competente a seguito della separazione dei poteri di gestione da quelli di indirizzo politico) ha delegato ai sovrintendenti il proprio potere di annullamento, poiché:

- tale circostanza è successiva all’emanazione del contestato atto di annullamento ed è stata prospettata in primo grado con una memoria non notificata;
- il medesimo decreto non ha inciso sull’ambito della norma legislativa che ha disciplinato il potere di annullamento ed ha individuato il termine finale (cfr. Sezione VI, 18 aprile 2000, n. 2326), sicché l’invito agli organi periferici di notificare con la massima rapidità ogni atto di annullamento, oltre all’esigenza di far cominciare a decorrere il termine per la sua impugnazione, mira a garantire gli interessi pubblici ed ad evitare che medio tempore sia modificata l’area vincolata, ma non incide sul termine, fissato inderogabilmente dalla legge, entro il quale l’atto va emanato.

3. Col secondo motivo, l’appellante ha riproposto il corrispondente motivo del ricorso di primo grado, con cui era stata lamentato l’omesso invio della comunicazione dell’avviso del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Secondo l’assunto, solo mediante tale comunicazione potrebbero trovare piena attuazione i principi di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, anche perché l’art. 16 del regolamento 3 giugno 1940, n. 1357, già disponeva che il soprintendente dovesse suggerire le modifiche progettuali necessarie per un migliore inserimento dell’opera nel paesaggio.
Con la memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione, l’appellante ha poi richiamato i principi affermati dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza 25 ottobre 2000, n. 437, ha annullato un provvedimento statale, emesso ai sensi dell’art. 82, nono comma, emesso senza la previa comunicazione alla Regione autonoma Valle d’Aosta dell’avvio del procedimento.
Ritiene la Sezione che la censura dell’appellante vada nel suo complesso respinta, perché ha richiamato principi non rilevanti nel presente giudizio.

3.1. Per l’adeguato esame delle deduzioni dell’appellante, va premesso che:

- l’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 (trasfuso nell’art. 151, comma 3, del testo unico n. 490 del 1999) ha disciplinato i poteri dello Stato e delle Regioni di gestione dei vincoli paesistici, attribuendo al provvedimento statale, di annullamento dell’autorizzazione paesistica, la peculiare natura di atto di controllo preventivo di legittimità del provvedimento di accoglimento dell’istanza dell’interessato;
- per quanto riguarda il condono, «per le aree soggette a vincolo paesistico…, il parere prescritto dall’art. 32, primo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è reso ai sensi del nono comma dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616» e successive modificazioni, ai sensi dell’art. 12 della legge 13 marzo 1988, n. 68 (la cui conformità agli artt. 42 e 97 Cost. è stata rilevata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 4 giugno 1997, n. 170);
- l’art. 6 della legge della Regione Campania 1° settembre 1981, n. 65, ha subdelegato ai Comuni le funzioni amministrative concernenti la gestione dei vincoli paesistici.

Pertanto, l’esame delle questioni concernenti la legittimità dell’atto di annullamento del parere-nulla osta, rilasciato dal Sindaco – quale autorità subdelegata - ai fini del condono previsto dalla legge n. 47 del 1985, va effettuato tenendo conto della copiosa giurisprudenza formatasi sull’ambito di applicazione del richiamato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, come modificato dalla legge n. 431 del 1985 (Sezione VI, 28 gennaio 1998, n. 114).

3.2. Ciò posto, va evidenziato (v. anche Sezione VI, 20 ottobre 2000, n. 5651) che con il richiamato art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977 e con le successive modifiche avutesi con la legge n. 431 del 1985, in attuazione dell’art. 9 della Costituzione, il legislatore ha disciplinato le esigenze di tutela del paesaggio, quale valore primario ed insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro (cfr. Corte Cost., 23 luglio 1997, n. 262; 18 ottobre 1996, n. 341; 28 luglio 1995, n. 417; 20 febbraio 1995, n. 46; 24 febbraio 1992, n. 67; 9 dicembre 1991, n. 437; 27 giugno 1986, n. 151; 21 dicembre 1985, n. 359).
Mentre la legge fondamentale 29 giugno 1939, n. 1497, attribuiva i poteri di amministrazione attiva (per l’apposizione dei vincoli e la loro gestione, nonché quelli di vigilanza) ai soli organi statali, le riforme avutesi nel 1977 e nel 1985 (consentite dall’art. 118, secondo comma, della Costituzione) hanno attribuito i relativi poteri allo Stato ed alle Regioni, con uno «spessore dei poteri statali» che trova il suo fondamento nell’art. 9 della Costituzione (Corte Cost., 13 febbraio 1995, n. 36; Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 153) ed è disciplinato da norme fondamentali di riforma economico-sociale (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437; Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 341).
Nella materia della gestione dei vincoli paesistici, vi è dunque una contitolarità di poteri da parte dello Stato e della Regione (Sezione VI, 20 ottobre 2000, n. 5651), che devono ispirare i loro atti e comportamenti al principio della leale collaborazione (Corte Cost., 25 ottobre 2000, n. 437), nell’ambito di un sistema che, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 c.p., implica particolari doveri di informazione e configura quale reato l’esecuzione di «lavori di qualsiasi genere» «senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa» (art.  1-sexies della legge n. 431 del 1985, come trasfuso nell’art. 163, comma 1, del testo unico n. 490 del 1999).
Il nono comma dell’art. 82 (come modificato con la legge n. 431 del 1985 e ora trasfuso nei distinti commi 3, 4 e 5 dell’art. 151 del testo unico n. 490 del 1999) conteneva quattro periodi:

- il primo ha attribuito alle Regioni il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta dell’interessato;
- il secondo ha fissato l’obbligo delle Regioni di trasmettere immediatamente allo Stato la comunicazione del rilascio della autorizzazione e la relativa documentazione;
- il terzo ha attribuito allo Stato il potere di emanare l’autorizzazione paesistica, nel caso di inerzia della Regione;
- il quarto, già sopra riportato, ha disposto che lo Stato «può in ogni caso annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione».

Il potere di rilasciare l’autorizzazione paesistica, dunque, spetta:

- alla Regione (o all’ente subdelegato con legge regionale, ai sensi dell’art. 118, terzo comma, della Costituzione), ai sensi del primo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 2, del testo unico n. 490 del 1999);
- allo Stato, nel caso di inerzia della Regione (o dell’ente subdelegato), ai sensi del terzo periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 5, del testo unico), e previa comunicazione dell’istanza all’Amministrazione inerte.

In ragione di tale contitolarità di poteri, nel caso di inerzia (dell’autorità delegata e dello Stato) l’interessato può adire il giudice amministrativo ai sensi dell’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (nel testo previsto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205), notificando il ricorso ad entrambe le autorità inerti.
Quando, invece, l’autorità delegata provvede, il legislatore ha determinato i limiti, anche temporali, entro i quali sussiste il potere statale di controllo.
Qualora l’autorità delegata respinga la domanda di autorizzazione paesistica, il relativo diniego comporta la conclusione del procedimento, non è soggetto al controllo ed è immediatamente impugnabile.
In tal caso, lo Stato non può sovrapporre la propria valutazione a quella dell’autorità delegata, anche se, in ipotesi, il diniego di autorizzazione fosse viziato: salva la tutela giurisdizionale dell’interessato, il legislatore non ha previsto alcun controllo statale sul diniego, perché questo, per definizione, non consente alcun mutamento dello stato dei luoghi.
Se, invece, la domanda è accolta, in base al quarto periodo del nono comma dell’art. 82 (e dell’art. 151, comma 4, del testo unico), l’autorizzazione paesistica costituisce un atto perfetto ed efficace perché produttivo di poteri ed obblighi per lo Stato, che può annullare in sede di controllo l’autorizzazione paesistica entro il prescritto termine di sessanta giorni.
Nell’ambito del complessivo unitario procedimento volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi, l’autorizzazione è dunque l’atto conclusivo della prima fase procedimentale concernente la gestione del vincolo paesistico, cui segue la seconda, ulteriore e necessaria fase di controllo, che, per il tramite dell’esame dell’autorizzazione rilasciata e del progetto assentito, soddisfa le esigenze sostanziali di tutela del paesaggio.
Entro il termine perentorio sancito dalla legge, lo Stato può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non è consentita la mutazione dello stato dei luoghi, perché non avrebbe avuto senso attribuirgli il potere di annullare le autorizzazioni, quando già i luoghi fossero già stati modificati: salva la necessità degli ulteriori prescritti titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dei luoghi quando lo Stato non ritiene illegittima l’autorizzazione paesistica e lascia decorrere il termine di sessanta giorni senza disporne l’annullamento (cfr. Cass. pen., Sezione VI, 26 maggio-7 luglio 1999, n. 8631; Cass. pen., Sezione III, 9 febbraio 1998, Svara; Cons. Stato, Sezione VI, 20 ottobre 2000, n. 5651; Sezione. V, 15 settembre 1997, n. 963).

Tale seconda indefettibile fase è stata prevista dal legislatore in coerenza con l’art. 9 della Costituzione,  per consentire che l’autorità statale verifichi se la gestione dei vincoli paesistici avvenga con atti legittimi e può concludersi con il superamento del termine o con un atto che non ravvisi sussistenti gli estremi per disporre l’annullamento (il che comporta il verificarsi della condicio iuris e la produzione degli effetti tipici della autorizzazione), ovvero col provvedimento statale di annullamento che, per la costante giurisprudenza della Sezione, può essere disposto per qualsiasi vizio della autorizzazione, anche sotto il profilo di eccesso di potere per inidonea motivazione (Sezione VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 22 giugno 1997, n. 952; Sezione VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771).
Mediante la previsione legale di tale atipico potere di controllo, è infatti stimolata la più adeguata motivazione delle autorizzazioni rilasciate dall’autorità delegata, col sostanziale rispetto del principio di legalità.
Più volte questo Consiglio ha osservato che, per aversi la concreta giustizia nell’amministrazione (v. art. 100 Cost.), anche i provvedimenti cd. positivi debbano basarsi su una idonea motivazione, poiché l’esposizione delle ragioni su cui si fonda un provvedimento amministrativo agevola la concreta attuazione dei principi costituzionali della trasparenza e del buon andamento dell’azione amministrativa (Sezione V, 24 maggio 1996, n. 585; Sezione V, 17 ottobre 1995, n. 1431): a maggior ragione, in considerazione della tendenziale irreversibiltà dell’alterazione dello stato dei luoghi, per l’adeguata gestione dei vincoli paesistici va rispettata l’esigenza che sia adeguatamente motivata l’autorizzazione paesistica.
Come ha anche chiarito la Corte Costituzionale con la richiamata sentenza n. 437 del 2000, l’esercizio del potere statale di annullamento non implica, dunque, un atto complesso o una intesa con la Regione (ovvero un atto di equivalente rilevanza con l’ente subdelegato): l’autorizzazione paesistica costituisce esercizio dei poteri di amministrazione attiva, mentre l’atto statale di annullamento costituisce esercizio di peculiari poteri di controllo.
Pertanto, nel caso di esito negativo del controllo, in linea di principio l’autorità delegata può anche riesaminare l’originaria istanza, tenendo conto delle statuizioni del provvedimento di annullamento che abbia ravvisato suoi vizi, ovvero di quelle del giudice amministrativo, qualora l’atto controllato sia annullato per un vizio diverso dal superamento del termine (Sezione V, 12 giugno 1995, n. 910; Sezione V, 31 marzo 1994, n. 242; Sezione V, 30 marzo 1994, n. 194, dal momento che per i soli poteri del Co.Re.Co. si applica l’art. 17, comma 37, della legge 15 maggio 1997, n. 127, trasfuso nell’art. 133, comma 5, del testo unico 18 agosto 2000, n. 267).

 3.2. Le osservazioni che precedono rilevano per determinare i casi nei quali l’amministrazione statale deve inviare l’avviso dell’avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, prima di esercitare l’annullamento della autorizzazione paesistica.
In considerazione della natura del provvedimento statale di annullamento e dell’obbligo dall’autorità delegata di trasmettere l’autorizzazione con i relativi allegati all’organo statale, ai sensi dell’art. 82, nono comma, secondo periodo, del decreto legislativo n. 616 del 1977 (poi trasfuso nell’art. 151, comma 4, primo periodo, del testo unico n. 490 del 1999), la Sezione  ha più volte ritenuto non necessaria la comunicazione dell’invio del procedimento  (Sezione VI, 3 novembre 2000, n. 5929; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069; Sezione VI, 25 settembre 1995, n. 963; Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771).
Si è affermato che tale comunicazione non va trasmessa all’autorità delegata o subdelegata (perché proprio essa trasmette l’autorizzazione ed i relativi allegati per l’esercizio dei poteri di controllo e, nell’adempimento corretto e leale del proprio dovere, deve trasmettere tutta la documentazione rilevante) e neppure al soggetto che ha ottenuto l’autorizzazione (poiché proprio egli ha attivato il procedimento conclusosi con l’atto sottoposto al controllo, anche perché altrimenti vi sarebbe la violazione di una norma penale).
Infatti, la ratio dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 è quella di rendere edotti gli interessati di un procedimento che li riguarda, perché avviati su iniziativa dell’ufficio o di soggetti diversi dal destinatario del provvedimento finale. Del resto, anche in relazione agli altri casi in cui l’ordinamento ancora prevede il controllo preventivo di legittimità, pur se eventuale, non è previsto che l’autorità titolare dei poteri di controllo ponga in essere ulteriori formalità procedimentali (cfr. l’art. 134 del testo unico n. 267 del 2000).
In materia, peraltro, deve tenersi conto delle varie normative riguardanti le Regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale per le quali rilevano le previsioni degli statuti, approvati con legge costituzionale, sulle competenze in materia di tutela del paesaggio.
Con la citata sentenza n. 437 del 2000, la Corte Costituzionale ha chiarito che la Regione Valle d’Aosta:

- è titolare della competenza legislativa primaria per la «tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 2, lettera q), dello statuto, approvato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4;
- è titolare di tutte le funzioni amministrative del Ministero e degli altri organi statali, «per il territorio della Valle d’Aosta in materia di tutela del paesaggio», ai sensi dell’art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196;
- se intende esercitare valutazioni sull’esigenza «di estrema difesa del vincolo» ed avvalersi del potere di annullamento previsto dall’art. 82 del decreto legislativo n. 616 del 1977, in considerazione delle specifiche competenze trasferite (e non meramente delegate) alla Regione Valle d’Aosta, lo Stato deve seguire un procedimento improntato al principio della leale collaborazione, che si manifesta nell’obbligo di trasmettere alla Regione, «con qualsiasi mezzo di comunicazione ed in maniera sintetica», la notizia che è stata avviata la fase di annullamento.

Ciò comporta che, caso per caso, il Ministero debba improntare la propria complessiva attività non solo alle regole il cui rispetto esclude profili di eccesso di potere, ma anche al principio di leale collaborazione, quando intenda sindacare le motivate statuizioni di autorità cui siano stati trasferiti (e non meramente delegati) i poteri nella materia del paesaggio.
Inoltre, deve tenersi conto dei principi cui si è ispirato il regolamento approvato col decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali 13 giugno 1994, n. 495, di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge n. 241 del 1990 (cui è seguito il decreto del direttore generale dell’Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici, di data 18 dicembre 1996, che ha delegato ai soprintendenti territorialmente competenti l’esercizio dei poteri di annullamento delle autorizzazioni, per gli interventi interessanti il territorio di un unico Comune).
Questa Sezione ha interpretato le disposizioni di tale regolamento nel senso che in qualche modo l’originario richiedente debba essere posto in condizione di sapere che la sostanziale fondatezza della sua istanza è esaminata dall’autorità statale, nella nuova fase di controllo (cfr. Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069): anche se il quadro I della tabella A allegata al regolamento si è riferito al procedimento di «annullamento delle autorizzazioni paesistiche» per ribadire che la divisione seconda è l’unità organizzativa responsabile e che l’atto può essere emesso entro il termine di sessanta giorni, occorre infatti consentire all’interessato di interloquire nella fase di controllo.

Il collegio ritiene di condividere tali  conclusioni.

E’ infatti anche conforme al pubblico interesse l’esigenza che l’organo statale eserciti il proprio potere sulla base di ogni elemento che sia fornito dall’interessato e dalla amministrazione delegata.
Mentre la Regione stessa trasmette all’organo statale la documentazione già formalmente acquisita nella fase del rilascio dell’autorizzazione, l’originario ricorrente può trasmettere tutta la ulteriore documentazione che ritenga più opportuna, al fine non solo di evidenziare la legittimità della autorizzazione già rilasciata, ma anche di rappresentare all’organo statale che, pur se l’autorizzazione è carente per difetto di motivazione o di istruttoria, non sussistono ragioni sostanziali per disporne l’annullamento.
Come ha chiarito infatti anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 437 del 2000, l’esercizio del potere di annullamento in sede di controllo, nella peculiare materia della gestione dei vincoli paesistici, si caratterizza per la sua discrezionalità.
A differenza degli altri casi in cui l’ordinamento prevede forme di controllo preventivo di legittimità, rispetto alle quali l’organo di controllo è comunque tenuto ad annullare l’illegittimo atto controllato, nella materia in esame il Ministero può anche ritenere pienamente giustificato l’accoglimento dell’istanza, pur se la motivazione dell’autorizzazione risulti inadeguata.
Ovviamente, il mancato annullamento dell’autorizzazione affetta da difetto di motivazione può derivare dalle responsabili valutazioni del Ministero e non incide sulla possibilità che chi vi abbia interesse prospetti in sede giurisdizionale l’inadeguata motivazione dell’autorizzazione.
Tuttavia, proprio perché l’apporto collaborativo dell’interessato può consentire una più adeguata valutazione degli interessi in conflitto, si deve condividere la precedente giurisprudenza per la quale, da un lato, il difetto di motivazione dell’autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (Sezione VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sezione VI, 20 giugno 1997, n. 952; Sezione VI, 30 dicembre 1995, n. 1415; Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771), mentre, dall’altro, deve consentirsi che l’originario richiedente abbia la possibilità di fornire ulteriori elementi di valutazione all’autorità statale (cfr. Sezione VI, 22 agosto 2000, n. 4546; Sezione VI, 2000, n. 909; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069).
Pertanto, ritiene che nel vigore del regolamento emanato col decreto ministeriale 13 giugno 1994, n. 495, al soggetto che abbia chiesto ed ottenuto l’autorizzazione paesistica debba consentirsi di valutarne la motivazione e di fornire all’autorità statale gli ulteriori elementi valutativi e istruttori che reputi opportuno (cfr. Sezione VI, 22 agosto 2000, n. 4546; Sezione VI, 17 febbraio 2000, n. 909; Sezione VI, 1° dicembre 1999, n. 2069).
In considerazione delle sue finalità, la comunicazione riguardante il passaggio alla fase del controllo può essere effettuata in qualsiasi modo ed ammette equipollenti, nel senso che essa può anche essere effettuata dalla stessa amministrazione con la comunicazione del rilascio dell’autorizzazione o, in mancanza, dall’organo statale, se intenda avvalersi del potere di annullamento.

3.4. Nel caso di specie, si deve ritenere che il Ministro per i beni culturali ed ambientali non aveva l’obbligo di trasmettere all’originaria richiedente la comunicazione dell’avvio del procedimento di controllo.
In primo luogo, il contestato provvedimento ministeriale risale al 2 settembre 1993, quando ancora non era stato emanato il regolamento del Ministero per i beni culturali ed ambientali 13 giugno 1994, n. 495, dalle cui disposizioni la giurisprudenza della Sezione ha tratto il principio per il quale l’originario richiedente deve essere posto in condizione di sapere che il procedimento si trova nella fase del controllo.
Pertanto, va richiamata la costante giurisprudenza della Sezione per la quale, prima della entrata in vigore del medesimo regolamento, non era ravvisabile tale specifico obbligo (Sezione VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sezione VI, 15 maggio 2000, n. 2772; Sezione VI, 12 maggio 1994, n. 771).
In secondo luogo, come ha rilevato l’impugnato provvedimento ministeriale, il nulla osta è stato rilasciato su un ‘modulo tipo’, nel quale si è dato atto della normativa (anche avente rilevanza penale) concernente il rilascio del nulla osta e l’indefettibile potere di annullamento da parte dell’autorità centrale, cui è stato trasmesso l’atto.
Pertanto, risultando la dovuta trasmissione degli atti al Ministero, questi non aveva comunque l’obbligo di comunicare all’interessata una circostanza che già conosceva, cioè  l’esistenza della condicio iuris.
Neppure il Ministro aveva l’obbligo di «suggerire» le modifiche progettuali che avrebbero potuto rendere accoglibile la domanda di sanatoria, poiché:

- l’art. 16 del regolamento 3 giugno 1940, n. 1357, si riferisce alla fase nella quale ancora il manufatto non è stato costruito (Sezione II, 17 giugno 1998, parere n. 853 del 1998), sicché può ancora svolgersi il confronto tale da fare emergere la soluzione più conforme agli interessi pubblici e privati (mentre nella specie si tratta di un edificio già realizzato nei suoi elementi strutturali, che ha reso impossibile la valutazione di altre scelte progettuali);
- la norma attribuisce ampi poteri discrezionali all’autorità competente al rilascio della autorizzazione, e dunque all’autorità delegata (ovvero al Ministero, nel caso di sostituzione previsto dall’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977, trasfuso nell’art. 151, comma 4, del testo unico n. 490 del 1999), che può decidere se intende avvalersene.

4. Con le residue censure, l’appellante ha lamentato che il contestato provvedimento ministeriale non avrebbe valutato:

- le circostanze che hanno condotto alla realizzazione del rustico e della copertura dell’edificio, perché a suo tempo erano state rilasciate l’autorizzazione paesistica e la concessione edilizia, poi annullate dal T.A.R. per la Campania, su ricorso di alcuni vicini per la constatata violazione delle regole sulle distanze;
- la situazione dei luoghi, poiché la costruzione si trova su un’area pianeggiante ed edificata;
- il fatto che sull’area il vincolo paesistico è stato apposto successivamente alla realizzazione del manufatto.

Inoltre, l’appellante:

- ha criticato la motivazione della sentenza impugnata, sulla sussistenza sull’area di un vincolo di ‘sostanziale inedificabilità’, ed ha dedotto che, contrariamente a quanto affermato dal T.A.R. e dal Ministero, il nulla osta sindacale dovrebbe considerarsi adeguatamente motivato, sia in relazione al previo parere della commissione edilizia integrata, sia in relazione al piano territoriale paesistico rilevante per la zona;
- ha richiamato i motivi 7-10 del ricorso di primo grado, lamentando che il Ministro, con motivazione tautologica, avrebbe rilevato vizi del nulla osta in realtà insussistenti, non avrebbe valutato che il contesto è già stato urbanizzato con ulteriori numerosi edifici residenziali ed avrebbe effettuato un riesame nel merito delle valutazioni del Sindaco, ritenendo erroneamente che sarebbe stato violato il vincolo paesistico.

4.1. Ritiene la Sezione che tali censure, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione, siano infondate e vadano respinte.
Il contestato provvedimento ministeriale ha rilevato che il nulla osta paesistico è stato rilasciato in sanatoria per il manufatto, ivi analiticamente descritto, sulla base di un ‘modulo tipico’, che non ha indicato le ragioni da cui possa evincersi che il progetto possa ritenersi compatibile col vincolo paesistico imposto sulla zona.
Va pertanto richiamata la ferma giurisprudenza di questo Consiglio, per la quale è illegittima l’autorizzazione paesistica (ovvero il nulla osta paesistico in sede di condono), quando non sono esposte le ragioni di effettiva compatibilità con gli specifici valori paesistici dei luoghi (Sezione VI, 8 agosto 2000, n. 4345; Sezione VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sezione IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sezione VI, 9 aprile 1998, n. 460).
L’assoluta carenza di motivazione del nulla osta implica che legittimamente il Ministero ne abbia disposto l’annullamento per difetto di motivazione, anche perché il beneficiario dell’autorizzazione non ha fornito alcun ulteriore elemento di valutazione.
Neppure si può ritenere che la motivazione del nulla osta possa evincersi dal precedente parere della commissione edilizia integrata ovvero dai precedenti provvedimenti poi annullati dal TAR per la Campania.
Infatti, il menzionato parere non contiene alcuna concreta valutazione ed è anch’esso carente di motivazione: è significativo che lo stesso appellante non abbia neppure riportato il contenuto del parere, per contrapporlo a quanto rilevato dal Ministro.
Anche gli atti risalenti al 1982 e poi annullati in sede giurisdizionale non hanno effettuato alcuna concreta valutazione del progetto, in relazione agli aspetti paesistici.
Infatti, anche essi contengono la sola espressione «considerato che il previsto intervento può ritenersi compatibile con l’attuale stato di fatto ambientale», il che evidenzia la sussistenza dei vizi accertati dal Ministro in sede di controllo.
Del resto, risulta agli atti la documentazione riguardante le circostanze che hanno preceduto la presentazione della domanda di condono, da cui emerge che i lavori sono stati a suo tempo sospesi perché difformi da quelli assentiti, con l’ordinanza comunale n. 6315 del 14 giugno 1983.
Pertanto, anche se gli originari atti abilitativi fossero stati adeguatamente motivati, in ogni caso il nulla osta sulla domanda di condono avrebbe dovuto valutare le concrete caratteristiche del manufatto, come realizzato, e la sua compatibilità con le esigenze di tutela del vincolo.
Argomenti favorevoli all’appellante neppure derivano dal piano urbanistico territoriale, poiché esso non è stato richiamato nel nulla osta sindacale e nessuna sua specifica previsione è stata del resto specificamente invocata dall’appellante.

4.2. Infine, per vari profili è infondata la deduzione per cui sarebbe irrilevante il vincolo paesistico, perché apposto sull’area dopo la realizzazione del manufatto.
In primo luogo, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (che il collegio condivide e fa propria, anche in assenza di specifiche argomentazioni contrarie dell’appellante), ai fini della valutazione delle istanze di condono, va considerato rilevante anche il vincolo apposto successivamente alla realizzazione del manufatto abusivo (Ad. Plen., 20 luglio 1999, n. 20; Sezione VI, 9 ottobre 1997, n. 1461; Sezione V, 13 febbraio 1997, n. 158; Sezione V, 4 maggio 1995, n. 696; Sezione V, 23 marzo 1991, n. 326).
In secondo luogo, nella specie risulta dagli atti che il vincolo è stato apposto con il decreto ministeriale di data 22 dicembre 1965 (richiamato nell’impugnato provvedimento ministeriale): non essendo stata contestata tale circostanza dall’appellante, risulta legittimo l’esercizio del potere di controllo sul nulla osta da parte del Ministro.
Sono altresì infondate le censure che l’appellante ha formulato avverso la parte della motivazione della sentenza del TAR riguardante il vincolo ‘di sostanziale inedificabilità’: tale espressione non intendeva affermare che l’area era soggetta ad un vincolo di inedificabilità assoluta e, comunque, non ha rilevanza, dal momento che il Ministro ha implicitamente condiviso la valutazione del Sindaco, sulla assenza del vincolo assoluto di inedificabilità.

4.3. E’ infine irrilevante in questa sede la dedotta circostanza per cui il fabbricato in questione si troverebbe in una più  vasta area urbanizzata.

Innanzitutto, il Ministro ha richiamato la nota della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Napoli, n. 23968 del 6 agosto 1993, da cui emerge che il fabbricato si trova all’interno di un più vasto territorio, caratterizzato «da un prevalente carattere di centro agricolo dell’area».
In ogni caso, anche della circostanza dedotta dall’appellante non vi è traccia nel nulla osta sindacale, sicché il Ministro non poteva che ritenerlo viziato per carenza assoluta di motivazione.
Quanto infine ai dettagliati richiami che il Ministro ha operato alla situazione dei luoghi (e, in particolare, ai tredici non completati appartamenti ed alle pertinenze, aventi un volume complessivo di mc 3.370, ed a tutte le altre circostanze caratterizzanti l’edificio), ad avviso della Sezione risulta evidente che essi sono stati effettuati nell’atto di controllo unicamente per evidenziare come il nulla osta abbia omesso di considerare le caratteristiche dei luoghi e per rimarcare in tal modo l’assoluto difetto di motivazione dell’atto controllato.

5. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso va respinto.

La sentenza impugnata va confermata, sia pure con motivazione parzialmente diversa.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 4114 del 1999.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 24 novembre 2000, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei signori: