EDILIZIA - 020
Consiglio
di Stato, sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5373 (idem. 31 ottobre 2000, n. 5858)
Pres. De Roberto, Est. Chieppa - Ministero beni
culturali (Avv. gen. Stato) c. Regione Molise (avv. S.)
Il principio di
tipicità degli atti amministrativi non può essere interpretato con un rigore
tale da escludere, in via pregiudiziale, la possibilità di modificare il
momento nel quale effettuare le valutazioni fondanti l’esercizio del potere
amministrativo di autorizzazione.
E’ pertanto possibile, facendo leva sull’identità sostanziale del potere
esercitato e sul principio di economia dei mezzi giuridici, ammettere la
possibilità dell'autorizzazione paesistica postuma a carattere sanante con la
quale si effettuano le
medesime valutazioni che avrebbero dovuto essere a carattere preventivo.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 3199/1995, proposto dal Ministero dei beni e delle attività culturali, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ex lege domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, alla via dei Portoghesi, n.12;
contro
la Regione Molise, in persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del T.A.R. del Lazio, sede di Roma, sez.II, 17 marzo 1995, n. 464 resa tra le parti.
Visto il
ricorso con i relativi allegati;
vista la
memoria prodotta dall’appellante a sostegno delle proprie difese;
visti tutti gli
atti della causa;
relatore alla
pubblica udienza del 9 giugno 2000 il consigliere Francesco Caringella e udito
l'Avv. dello Stato Giacobbe;
ritenuto in
fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con distinti provvedimenti la Regione Molise, nell’esercizio delle competenze conferite alle Regioni in forza dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, rilasciava una serie di autorizzazioni ex post in relazione ad interventi edilizi posti in essere in aree soggetta a vincolo ambientale, come tali necessitanti di autorizzazione preventiva ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Il Ministero dei beni culturali ed ambientali procedeva all’annullamento dell’autorizzazione relativa al caso di specie, nel presupposto che l’autorizzazione regionale prevista dall’art.7 citato non può sanare in via postuma opere già realizzate in spregio alla disciplina di legge.
I primi Giudici hanno accolto il ricorso proposto dalla Regione avverso la determinazione ministeriale tracciando una parabola motivazionale calibrata nei termini che seguono:
a) una volta ammessa dal sistema, in forza dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, la possibilità di sanare la carenza del titolo concessorio in relazione ad edifici realizzati in conformità alle prescrizioni urbanistiche, si deve ammettere, accedendo ad una lettura aggiornata dell’art. 7 della legge n. 1497/1939, l'autorizzabilità in via postuma di costruzioni che risultino non lesive dell’interesse pubblico alla preservazione del contesto paesaggistico e naturalistico oggetto di tutela vincolistica;
b) alla percorribilità della descritta via interpretativa non osta il dettato dell’art. 32 della legge n. 47/1985, che pure parrebbe limitare il parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo paesistico alla sola fattispecie di condono di opere realizzate in difformità dalla legge o in base a titolo divenuto comunque divenuto inefficace, posto che la previsione espressa della possibilità di sanare il fabbricato difforme dalle prescrizioni paesaggistiche oltre che edilizie è in tale caso necessaria in presenza di abuso che investe i profili sostanziali e non solo quelli meramente formali;
c) anche nella struttura della legge n. 47/1985, pertanto, nulla osta al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche in via successiva, atteso che può essere legittimamente effettuata in via postuma la valutazione circa la compromissione o meno della bellezza del paesaggio o del quadro d’insieme per effetto dell’inserimento del nuovo edificio;
d) una diversa opzione ermeneutica comporterebbe l’illogico effetto di impedire la sanatoria e di imporre la demolizione (o l’applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 15 della legge n. 1497/1939) in relazione ad interventi conformi alla normativa urbanistica ed al contesto paesaggistico solo perché posteriori al termine del 1° ottobre 1993.
Il Ministero appella contestando in radice gli argomenti di diritto posti a fondamento del dictum di primo grado. L’Amministrazione rimprovera in particolare alla sentenza appellata:
a) l’eccentricità dell’autorizzazione postuma ammessa dai primi Giudici al proprium del potere di cui all’art. 7, dato dalla valutazione preventiva della compatibilità dei progetti presentati con le ragioni a base del vincolo, nell’assunto che gli interessati si astengano dal mettervi mano sino al conseguimento del titolo legittimante;
b) la violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi scaturente da un’opzione ermeneutica intesa a forzare, snaturandoli, i confini del potere assegnato dal legislatore all’amministrazione preposta alla salvaguardia del vincolo;
c) il contrasto tra l’ammissione di una sorta di condono a fini ambientali e paesaggistici con la voluntas legis, incarnata dal disposto dell’art. 15 della legge n. 1497/1939, di infliggere la sanzione pecuniaria per ogni ipotesi di violazione degli ordini e degli obblighi di cui alla normativa medesima, ivi compreso l’obbligo di far precedere la realizzazione di opere edilizia ricadenti in zone vincolate dal rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo;
d) la disciplina in tema di condono edilizio, per sua natura di carattere eccezionale, sfugge ad ogni possibilità di interpretazione analogica od estensiva e non può essere applicata alla materia eterogenea della protezione del paesaggio.
Il Ministero ha
ulteriormente precisato con memoria gli argomenti posti a fondamento
dell’appello.
La Regione
Molise non si è costituita in giudizio.
All’udienza
del 9 giugno 2000 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La questione di diritto sottoposta all’esame della Sezione concerne la possibilità che l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilasci in via postuma l’autorizzazione prescritta dall’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497/1938 in relazione alla compatibilità dell’intervento edilizio con il contesto paesaggistico oggetto di protezione. I Giudici di primo grado, in sede di accoglimento del ricorso proposto dalla Regione Molise avverso il decreto ministeriale di annullamento di un’autorizzazione rilasciata in via successiva, hanno optato per la soluzione positiva, argomentando dalla necessità di una lettura evolutiva e sostanzialistica del dato di legge. Il Ministero contesta in radice gli argomenti di diritto posti a fondamento del dictum di primo grado, facendo perno sull’eccentricità dell’autorizzazione postuma rispetto al referente positivo, da leggere a sua volta alla luce del principio di tipicità degli atti amministrativi, sul contrasto dell’istituto pretorio del condono ambientale con il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 15 della legge n. 1497/1939 e, infine, sull’inammissibilità di un'applicazione analogica della normativa, per definizione eccezionale e quindi di stretta interpretazione, in materia di condono edilizio.
Le censure non sono fondate.
Occorre preliminarmente prendere in esame in motivi di ricorso con i quali il Ministero, ponendo l’accento sul principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, contesta in radice la possibilità di creare in via giurisprudenziale la fattispecie dell’autorizzazione paesaggistica postuma rispetto alla realizzazione dell’intervento edilizio. Detto principio di tipicità impedirebbe, ad avviso dell’amministrazione appellante, l’applicazione analogica della disciplina in tema di autorizzazione paesistica di carattere preventivo alla fattispecie non codificata dell’autorizzazione a sanatoria da rendersi in epoca successiva alla modificazione del territorio vincolato. Di qui il corollario dell’impossibilità di rendere detta autorizzazione al fine di consentire la sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985.
La
prospettazione, per quanto fedele al dato letterale dell’art. 7, non appare
convincente.Giova preliminarmente rilevare che il principio di tipicità degli
atti amministrativi non può essere interpretato con un rigore tale da escludere
in radice la possibilità di modificare il momento nel quale effettuare le
medesime valutazioni alla base dell’esercizio del potere amministrativo
conferito dalla legge. Giova rammentare in proposito che la dottrina e la
giurisprudenza univocamente ammettono, facendo leva sull’identità sostanziale
del potere esercitato e sul principio di economia dei mezzi giuridici, la
possibilità di autorizzazioni postume a carattere (totalmente o parzialmente)
sanante con le quali si duplichino, in un torno temporale successivo, le
medesime valutazioni che avrebbero dovuto essere nella fisiologia oggetto di
verifica a carattere preventivo (cfr. Cons. Stato, sezione IV, 6 giugno 1986, n.
380 in tema di autorizzazione in sanatoria per lo svolgimento di lavoro
straordinario con riguardo ad attività svolta per improcrastinabili esigenze
d’ufficio). In particolare, ben prima della positivizzazione dell’istituto
per effetto della legge n. 47/1985, la prassi, la dottrina e la giurisprudenza
amministrativa erano concordi nel dare ingresso a forme di licenza edilizia,
concessione ed autorizzazione in sanatoria.
L’affermazione circa l’ammissibilità in linea di principio di
un’autorizzazione in via postuma deve essere temperata con l’osservazione
che detta procrastinazione del momento nel quale il legislatore colloca l’atto
di assenso legittimante, è subordinata, oltre che alla mancanza di un vetitum
normativo, alla possibilità che, in relazione alla specificità della materia
ed alla particolarità degli elementi di fatto e degli interessi toccati, la
verifica alla base del titolo legittimante possa realizzarsi in un momento
successivo. Non è infatti chi non veda come nel modulo l’autorizzatorio il
rilascio del provvedimento a posteriori sia inibito quante volte circostanze di
fatto o di diritto esauriscano l’esercizio del potere o ne compromettano
l’effettività.
Va ulteriormente precisato che, pur se ammessa sul piano dell’an,
l’autorizzazione postuma non necessariamente costituisce un pieno
equipollente, sul versante degli effetti, dell’autorizzazione preventiva,
essendo ben possibile che il legislatore, nell’esercizio della sua
discrezionalità, annetta alla violazione del dovere di far precedere la
realizzazione di determinate attività da un titolo di assenso l’effetto
dell’inflizione di sanzioni amministrative al pari dell’attivazione di
meccanismi diretti a far risaltare la responsabilità penale e disciplinare del
privato che abbia agito in difformità rispetto al percorso dettato in via
normativa.
Applicando
i principi esposti alla fattispecie dell’autorizzazione paesistica la Sezione
reputa che, ferme le considerazioni che saranno di seguito svolte in merito alla
residuare del potere-dovere di applicare le sanzioni di cui all’art.15 da
parte dell’amministrazione competente, la possibilità di una verifica ex
post circa la compatibilità paesistica dell’intervento non sia
contraddetta né dalla peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo.
Quanto al primo profilo deve considerarsi che in linea generale la valutazione
di impatto paesaggistico, propria della fattispecie autorizzativa di cui
all’art. 7, non muta in relazione al fatto che l’opera sia stata realizzata o
meno. All’obiezione secondo cui la realizzazione dell’opera potrebbe mutare
la situazione dei luoghi. rendendo difficoltoso o addirittura impedendo
l’accertamento nel caso in cui l’intervento si risolva nella cancellazione
del bene tutelato, si deve replicare che la valutazione di compatibilità mira
proprio a verificare la mancata produzione di effetti pregiudizievoli in
relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione e che costituisce
onere dell’interessato, in tale evenienza, dimostrare l’assenza di impatto
negativo attraverso la produzione della documentazione relativa alla condizione
dei luoghi anteatta e, per l’effetto, consentire la disamina comparativa tra
lo stato antecedente e posteriore all’edificazione. Il giudizio dovrà essere
conseguentemente negativo, con correlativa possibilità di demolire le opere,
laddove detto raffronto non si riveli possibile stante il mancato assolvimento
del descritto onere da parte del privato così come nel caso in cui la
realizzazione dell’opera abbia cancellato il bene sottoposto a tutela. Quanto
alle legittime preoccupazioni in merito al rischio di avallare,
generalizzandole, iniziative private intraprese senza il conforto della
preventiva autorizzazione, nell’auspicio di una verifica positiva di stampo
postumo, si deve anticipare che, come si vedrà più analiticamente in seguito,
l’autorizzazione in sanatoria non costituisce un equipollente perfetto
dell’autorizzazione preventiva in quanto, pur precludendo la possibilità di
pervenire alla demolizione dell’edificio, lascia intatto in testa alla
competente amministrazione il potere-dovere di infliggere la sanzione pecuniaria
di cui all’art.15 della legge n.1497/1939, fermi gli ulteriori eventuali
profili di responsabilità delineati dall’ordinamento.
La
possibilità di un’autorizzazione successiva, oltre a non essere contraddetta
dalle caratteristiche precipue dell’atto di assenso di cui si discorre, è
implicitamente ammessa dallo stesso legislatore. La tesi della non assentibilità
a posteriori dell’intervento avrebbe avuto in ipotesi una reale consistenza
sul piano positivo laddove la procedura sanzionatoria ex art. 15 della legge n.
1497/1939, prevedendo l’esito vincolato della demolizione anche in ordine a
violazioni di carattere formale, non avesse posto l’alternativa tra la
demolizione a spese del trasgressore delle opere abusivamente eseguite ed il
pagamento di un’indennità equivalente alla maggior somma tra il danno
arrecato e il profitto conseguito.
La previsione di questa alternativa affida invece alla valutazione discrezionale
dell’amministrazione, basata sull’esistenza e sulla consistenza del
pregiudizio ambientale, la scelta tra la misura ripristinatoria e quella
pecuniaria. Ne deriva che la via della demolizione sarà interdetta - lasciando
residuare, come si vedrà la strada della sanzione pecuniaria - nell’ipotesi
in cui l’opera si armonizzi con il contesto ambientale, dovendosi in tal caso
escludere un qualsiasi profilo di vulnus sostanziale, così come nel caso
in cui il pregiudizio si presenti marginale al punto da rendere
sovradimensionata la drastica misura della demolizione. Ebbene, fermandoci alla
prima delle due ipotesi, non è chi non veda come la decisione di non procedere
alla demolizione per effetto della ritenuta compatibilità dell’opera con il
contesto paesaggistico oggetto di tutela implichi, sulla base di una precisa
opzione del legislatore, un'implicita autorizzazione al mantenimento in vita
dell’opera, ossia una verifica che nella sostanza replica, sia pure ai fini
della scelta della sanzione da applicare, lo stesso apprezzamento previsto in
via preventiva dall’art.7 della legge in parola (cfr., sia pure in un’ottica
propensa ad escludere la possibilità di applicare anche la sola sanzione
pecuniaria in caso di assenza di danno ambientale, Cons. Stato, Commiss. Spec.,
9 maggio 1977, parere n. 5/77 parere 15 febbraio 1989, n. 28/89). In definitiva la
circostanza che il legislatore non preveda la necessità di un provvedimento
formale in sanatoria, reputando sufficiente al fine di salvaguardare
l’esistenza in vita dell’immobile la scelta di non accedere alla sanzione
della demolizione, non esclude la possibilità che detta valutazione di
compatibilità paesistica, alla base dell’esito del procedimento
sanzionatorio, venga esplicitata attraverso una determinazione sostanzialmente
riconducibile, con le differenze di cui si dirà, al paradigma di cui
all’art.7. In sintesi un tale modus procedendi innesca una non preclusa
inversione nella sequenza procedimentale di cui all’art.15, facendo sì che la
verifica di compatibilità, piuttosto che essere desumibile dalla non adozione
della misura ripristinatoria, condizioni a monte l’esito del procedimento
sanzionatorio nel senso di rendere non più praticabile la soluzione radicale
dell’abbattimento delle opere abusive (vedi in conformità, da ultimo, Cons.
Stato, sez. VI, 28 gennaio 2000, n. 421).
Detta
inversione della sequenza procedimentale, oltre a non essere smentita dal dato
positivo, si appalesa utile al fine di definire in termini espliciti, attraverso
un titolo formale di legittimazione, la condizione giuridica di un’opera
paesaggisticamente legittimata, ai fini della permanenza, mercé la valutazione
di compatibilità paesistica e la conseguenza preclusione della strada della
demolizione.
L’opzione ermeneutica abbracciata dal Ministero appellante, laddove esclude
aprioristicamente la possibilità di autorizzazione successiva, finisce invece
per innescare, nel rapporto tra valutazione di compatibilità ambientale e
procedimento di sanatoria ex art.13 della legge n.47/1985, effetti che, oltre a
mal conciliarsi con la decisione dell’ordinamento di non far seguire alla
violazione degli obblighi di cui alla legge n.1497 l’effetto inesorabile della
demolizione degli immobili abusivi, entra in contraddizione con la premessa,
dalla quale pure prende le mosse l’appellante, in punto di autonomia del
riscontro urbanistico rispetto alla valutazione di compatibilità paesistica.
Quanto al primo aspetto, infatti, il divieto dell'autorizzazione paesistica
successiva, traducendosi nell’impossibilità di accedere alla sanatoria di cui
all’art. 13 della legge n. 47/1985, implicherebbe l’inevitabile corollario
della demolizione di tali opere, in aperta contraddizione con il meccanismo
sanzionatorio articolato di cui all’art. 15.
In ordine al secondo profilo, la preclusione della piena legittimazione
dell’immobile in ipotesi non incompatibile con il contesto paesistico
confligge con il principio di piena autonomia dei due procedimenti, alla stregua
del quale il rilascio della concessione in sanatoria deve conseguire
all’esclusivo accertamento della conformità dell’opera alla normativa
urbanistica mentre non è logico che l’impossibilità di positiva definizione
del procedimento di sanatoria, con correlativa obbligatoria demolizione del
bene, possa scaturire dal dato formale del mancato conseguimento del titolo
preventivo ai fini paesaggistici nonostante una valutazione sostanziale di
compatibilità ambientale che impedisce lo sbocco della demolizione ai fini
paesaggistici ex art .15 cit.
In definitiva, l’esame sistematico della disciplina di cui agli articoli 7 e 15
della legge n .1497/1939 e dell’art. 13 della legge n. 47/1985 consentono di
concludere nel senso della possibilità di formalizzare attraverso
un'autorizzazione postuma, in parte equipollente alla fattispecie di cui
all’art. 7, la verifica di compatibilità ambientale implicita nel meccanismo
sanzionatorio di cui all’art. 15, così conferendo alla legittimazione
paesaggistica una veste formale spendibile ai fini della favorevole definizione
del separato procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985. L’assunto
appare rispettoso del coacervo degli interessi, pubblici e privati, in rilievo
oltre che coerente con il principio di economia dei mezzi giuridici, essendo
irrazionale sotto ambo i profili un meccanismo che, per via della impossibilità
di favorevole definizione del procedimento di cui all’art.13, imponga la
demolizione di un edificio conforme alla normativa urbanistica ed al contesto
paesaggistico e, quindi, realizzabile tal quale in un torno di tempo successivo
per effetto del conseguimento dei titoli formali originariamente omessi.
Non
vale a scalfire i rilievi fin qui svolti l’argomento a contrario basato
sulla previsione esplicita, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985, del
parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, per i
soli abusi anteriori al 1° ottobre 1983. L’argomento prova troppo in quanto,
da un lato, la possibilità di autorizzazioni postume ove non incompatibili con
la specificità della fattispecie costituisce un principio di carattere generale
che viene al più confermato dalla disciplina in parola; per altro verso la
necessità di una specifica disciplina deriva dalla circostanza che gli articoli
31
e seguenti della legge del 1985 si applicano essenzialmente ai casi di illeciti
urbanistici di carattere sostanziale. Si deve infine osservare che, sul piano
della ragionevolezza, sarebbe palese la disparità di trattamento, con
riferimento alla tutela delle bellezze naturali, a favore di chi abbia
realizzato un abuso prima dell’ottobre del 1983, anche in spregio alla
normativa urbanistica, ed a discapito di chi abbia realizzato un identico
intervento, nel rispetto della normativa medesima, in un periodo successivo.
Elementi ostativi all’ammissibilità di un’autorizzazione successiva non
possono infine trarsi dalle prescrizioni di cui agli articoli 4, 7, 9 e 10 della
citata legge n. 47/1985, atteso che le relative disposizioni, diversamente dal
caso all’attenzione del Collegio, riguardano o lavori appena iniziati oppure
opere non sanabili dal punto di vista urbanistico o per le quali non è stato
chiesto tempestivamente l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13
della stessa legge.
Priva
di fondamento appare infine la preoccupazione, espressa dall’amministrazione,
circa la possibilità che il cd. "condono ambientale" metta nel nulla
la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Al riguardo la Sezione non condivide il punto di vista, espresso incidentalmente
dalla sentenza di prime cure, alla stregua del quale l’autorizzazione postuma,
per effetto della verifica di compatibilità ambientale, precluderebbe in
toto la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui
all’art. 15 della legge n. 1497/1939.
Reputa invece il Collegio, alla stregua dei rilievi innanzi svolti, che la
ritenuta ammissibilità di un’autorizzazione postuma ai fini ambientali,
valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai
sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, non pregiudichi, ma al contrario
indirizzi vincolandolo nell’esito, il residuare del potere-dovere
dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di
cui all’art. 15 della legge n. 1497/1939. Infatti, la circostanza che
l’amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso
articolo 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da
un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica,
dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente
dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario
per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale.
Il
Collegio non ha motivo in subiecta materia per discostarsi
dall’orientamento recentemente espresso dalla Sezione (decisione 2 giugno
2000, n. 3184), ad avviso del quale la sanzione pecuniaria di cui all’art. 15
della legge n. 1497/1939, nonostante il riferimento al termine "indennità",
non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta
una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali,
ovvero in caso di compromissione dell’integrità paesaggistica, sia in ipotesi
di illeciti formali, quale è da ritenersi, con riguardo la caso di specie, il
caso di violazione dell’obbligo di conseguire l’autorizzazione preventiva a
fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di
protezione. La Sezione, infatti, prendendo le mosse dal tenore letterale
dell’art. 15, ha osservato che la norma in commento non distingue dunque tra
violazioni sostanziali, cioè produttive di un concreto ed effettivo danno
ambientale, e violazioni meramente formali, consistenti cioè nella mera
inosservanza di obblighi o ordini, senza produzione di un danno ambientale. In
sostanza, la previsione della misura dell'indennità pecuniaria per qualsivoglia
tipo di violazione, sia sostanziale che formale, e dunque la funzione
deterrente, oltre che ripristinatoria, della misura medesima, costituisce un
primo indice della natura sanzionatoria e non risarcitoria della indennità in
questione.
"Che l’indennità di cui all’art.15 costituisca una vera e propria
sanzione amministrativa, e non una forma di risarcimento del danno ambientale,
emerge" – prosegue la citata decisione - anche "dal criterio
legislativo di commisurazione della stessa. Secondo l’art. 15, l’indennità
è pari <<alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto
conseguito mediante la commessa trasgressione>>. Il concetto di
<<danno arrecato>> viene in rilievo, nella norma, solo al fine della
quantificazione della sanzione, e dunque in sede di quantum debeatur e
non di an debeatur. Il danno, inoltre, non è criterio esclusivo di
commisurazione della indennità, essendo alternativo al profitto conseguito
dalla violazione.
Ne consegue che in ipotesi di realizzazione di un’opera senza la prescritta
autorizzazione paesistica, ove detta opera sia in concreto conforme alle
prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno alcuno, l'indennità
verrà commisurata al profitto conseguito dall’abuso.
E, dunque, l'indennità sarà dovuta anche in mancanza di un danno ambientale, e
sarà commisurata al diverso criterio del profitto.
In sintesi, l’alternatività del criterio del danno rispetto al criterio del
profitto, quale parametro di commisurazione dell’indennità, denota che
l’indennità è dovuta anche in mancanza di danno, e in tal caso sarà
commisurata al profitto: di talché non può non concludersi che il danno
ambientale, nella logica dell’art. 15, legge n. 1497 del 1939, non è l’oggetto
della tutela, ma solo il criterio di commisurazione della sanzione pecuniaria.
D’altro canto, l’ordinamento appresta un diverso, specifico strumento per il
risarcimento del danno ambientale: ed è l’azione di risarcimento del danno di
cui all’art. 18, legge 8 luglio 1986, n. 349". (conf. Cass., S.U., 10
agosto 1996, n. 7403; Cass., S.U., 18 maggio 1995, n. 5473; C. Stato, sez. V,
21 novembre 1985, n. 419; C. Stato, sez. II, 29 ottobre 1997, n. 2065; C. Stato,
sez. II, 29 ottobre 1997, n. 2066; 4 giugno 1997, n. 2479/1996).
Le considerazioni svolte nella decisione in esame con riguardo alla disciplina
originaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497/1939 risultano confermate, e
per certi versi rafforzate, dalla nuova disciplina dettata dall’art. 164 del
decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, recante il Testo unico delle disposizioni in
materia di beni culturali ed ambientali: "In caso di violazione degli
obblighi e degli ordini previsti da questo Titolo, il trasgressore è tenuto,
secondo che la Regione ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione
dei beni indicati nell’art.138, alla rimessione in pristino a proprie spese o
al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato
ed il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata
mediante perizia di stima".
La nuova formulazione, sostitutiva dell’art. 15 della normativa del 1939,
conferma gli indici dai quali si è ricavata la caratterizzazione sanzionatoria
e non riparatoria della fattispecie (mancata specificazione del riferimento ad
illeciti sostanziali, quantificazione dell’importo in relazione al profitto
oltre che al danno); in più, avendo riguardo al semplice pagamento di una somma
di denaro, la norma è spogliata dal riferimento al termine "indennità",
che si è visto essere argomento, peraltro non decisivo, a conforto della
matrice necessariamente sostanziale degli illeciti considerati.
La Sezione ha altresì concluso nel senso della applicabilità della sanzione
anche in caso di condono edilizio di opere abusive che ricadono zone
paesaggisticamente vincolate, e per le quali l’Autorità preposta alla tutela
del vincolo abbia espresso , ai sensi del citato art. 7 della legge n. 47/1985,
parere favorevole alla condonabilità dell’abuso. "L’assunto non è
smentito dall’art.2, comma 46, legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive
modificazioni, a norma del quale: <<Per le opere eseguite in aree
sottoposte al vincolo di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e al
decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, il
versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennità
risarcitoria prevista dall'articolo 15 della citata legge n. 1497 del 1939. Allo
scopo di rendere celermente applicabile la disposizione di cui al presente comma
ai soli fini del condono edilizio, con decreto del Ministro per i beni culturali
e ambientali, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, da emanare entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione,
sono determinati parametri e modalità per la qualificazione della indennità
risarcitoria prevista dall'articolo 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, con
riferimento alle singole tipologie di abuso ed alle zone territoriali oggetto
del vincolo>>.
L’art. 2, comma 46, legge n. 662 del 1996, chiarisce, infatti, che "la
inapplicabilità, a seguito del condono edilizio, delle sanzioni amministrative,
sancita in termini generali dall’art. 38, L. n.47 del 1985, non si estende alle
sanzioni in materia paesistica di cui all’art.15, legge n. 1497 del 1939, anche se
l’abuso edilizio sia stato ritenuto condonabile dall’Autorità preposta alla
tutela del vincolo.
L’art.2, comma. 46, legge n. 662 del 1996 non va dunque inteso nel senso che la
indennità di cui all’art. 15, legge n 662 del 1996 (recte:
legge n. 1497 del 1939), è una forma di risarcimento
del danno e non una sanzione amministrativa, ma nel senso che si tratta di una
sanzione amministrativa che rimane applicabile nonostante il concesso condono
edilizio".
Facendo
applicazione al caso di che trattasi delle coordinate ermeneutiche tracciate
dalla Sezione con riferimento al condono di cui all’art. 31 e seguenti della
legge n. 47/1985, si deve ritenere che, diversamente da quanto opinato dai primi
Giudici con la decisione di primo grado, la cui motivazione va sul punto
modificata, che la sanzione pecuniaria amministrativa di cui all’art. 15,
legge n. 1497 del 1939 prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale. Ne
consegue altresì che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la
conseguente favorevole definizione del procedimento di cui all’art. 13 della
legge n. 47/1985, non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; al
contrario si può dire che in presenza di una valutazione di tal fatta
l’amministrazione avrà il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria,
rimanendo preclusa ovviamente, alla stregua di un elementare principio di non
contraddizione, la possibilità di applicare la misura della demolizione e
residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei
criteri cristallizzati dall’art. 15.
La esposta soluzione garantisce appieno l’autonomia dei procedimenti di cui
trattasi ed il rispetto della disciplina di cui alla legge n. 1497/1939 che, in
relazione alle opere costruite abusivamente, impone l’applicazione delle
sanzioni di cui all’art. 15 (Cons. Stato, sez VI, n. 421/200).
Il sistema non è in sé contraddittorio, perché se da un lato si consente la
sanatoria di abusi edilizi in zone protette, se compatibili con l’ambiente,
dall’altro lato il condono edilizio riguarda, appunto, e soltanto, gli abusi
edilizi, e non quelli paesistici.
L’illecito paesistico che sia compatibile con l’ambiente, se consente la
sanatoria dell’abuso edilizio, non viene in altri termini sanato integralmente
dalla sanatoria edilizia, e deve perciò trovare sanzione con le misure di cui
all’art. 15, legge n. 1497 del 1939, e, segnatamente, con il pagamento della
sanzione amministrativa pecuniaria (cfr., pur se con riferimento al condono ex
art. 31 della legge n. 47/1985, sez. VI, n. 3184/2000).
Si deve in definitiva ribadire che l’autorizzazione postuma, non inibita e per
certi versi intrinseca al sistema, non costituisce un pieno equipollente
dell’autorizzazione tempestiva ex art. 7 della legge n. 1497/1939, in quanto,
diversamente da quest’ultima, non preclude ma anzi impone
all’amministrazione l’esercizio del potere-dovere di applicare la sanzione
pecuniaria di cui all’art .15 della stessa normativa.
Le
considerazioni che precedono dimostrano la legittimità dell’autorizzazione
rilasciata dalla Regione in via successiva ai fini della definizione del
procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985 e, per
l’effetto, l’illegittimità del provvedimento con il quale il Ministero è
pervenuto all’annullamento dell’autorizzazione in parola nell’assunto
dell’inammissibilità di autorizzazioni ex post. L’appello deve
essere quindi respinto; la sentenza di primo grado va confermata nel dispositivo
ma corretta sul piano motivazionale nella parte in cui ricava dalla legittimità
dell’autorizzazione a posteriori il non condivisibile corollario della non
applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all’art.15 cit.
La mancata costituzione in giudizio dell’ente appellato esime il Collegio
dalla statuizione sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe indicato e conferma con diversa motivazione la sentenza appellata. Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.