EDILIZIA - 019
Consiglio di Stato, sez. V, 30 ottobre 2000, n. 5828
Comune di Castel Focognano (FI)
In edilizia la nozione di pertinenza ex art. 7 del decreto-legge n. 9 del 1982 è meno ampia di quella civilistica.
A tale nozione sono riconducibili solo i manufatti di dimensioni modeste rispetto al fabbricato cui ineriscono.
La precarietà di un manufatto che rende superflua la concessione edilizia dipende non dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio, con esclusione delle strutture destinate ad un’utilità prolungata nel tempo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 518/1995 ,proposto dalla S. s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. O.F., con domicilio eletto in Roma, in ...., presso lo studio del dott. G.G.;

contro

il Comune di Castel Focognano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento e/o la riforma, in parte qua,

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Toscana, Sezione II, n .238, in data 2 marzo 1994;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Cons. Pier Giorgio Trovato;
Udito alla pubblica udienza del 4 luglio 2000 l'avvocato B., su delega dell’avvocato O.F. per l'appellante;
Ritenuto in fatto e in diritto;

FATTO

1.
La soc. S. gestisce in Castel Focognano un esercizio commerciale (Albergo Ristorante ........).
I locali commerciali prospettano, nella parte posteriore, su una corte interna delimitata dal fabbricato stesso, da una terrazza e da un vecchio muro in pietra.
In detta corte la ditta venne autorizzata (atto sindacale n. 544 del 6 maggio 1989) ad istallare, in via precaria (a carattere stagionale) una tenda mobile da sole.
La ditta realizzava invece una copertura del cortile con «una struttura autoportante prefabbricata costituita da pannelli in lamiera con materiale isolante interno delle dimensioni di circa mt. 6,15 x 3,00 e intelaiatura per infissi in alluminio anodizzato».
Il Comune, ritenuta l’abusività delle opere, ne ordinava la demolizione (atto 16 marzo 1991, n.12).
L’atto era impugnato dalla ditta avanti al T.A.R. Toscana (ricorso n. 537/91).
Il Comune in seguito respingeva un’istanza in sanatoria e dava avvio alle operazioni per la demolizione d’ufficio, attraverso una serie di atti, che erano impugnati dalla ditta avanti al T.A.R. Toscana con ricorsi n. 84/92, n. 313/92 e n. 1161/92 .
Una ulteriore istanza della ditta, intesa ad ottenere l’autorizzazione ad istallare una struttura mobile metallica era respinta con atto sindacale n. 267, in data 9 gennaio 1993, che era impugnato avanti al T.A.R. Toscana con ricorso n. 724/93.
Seguiva un nuovo avviso di procedura demolitoria d’ufficio (atto n. 4311/93 in data 7 maggio 1993), che era impugnato avanti al T.A.R. dalla ditta S. con ricorso n.1633/93.
2. 
Il T.A.R., con sentenza n. 238, in data 22 giugno 1994:
- dichiarava inammissibili i ricorsi n. 84/92, n. 313/92, n. 1161/92 e n.1633/93;
- respingeva i ricorsi n. 537/91 e n. 724/91.
3.
Relativamente a questa ultima parte la sentenza è stata appellata dalla S.
Quanto all’ordinanza di demolizione si deduce violazione dell’art. 7 comma 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 sostenendosi che nella specie, stante la natura pertinenziale della copertura, era richiesta solo una autorizzazione e quindi non vi erano i presupposti per l’ordine di demolizione; a sostegno di tali tesi si richiamano anche le conclusioni della sentenza del Pretore di Arezzo n. 462/1994, passata in giudicato il 17 ottobre 1994. Quanto al diniego – afferma l’appellante - esso si fonda su presupposti erronei (la struttura ha caratteri di precarietà, mobilità ecc, che il diniego illegittimamente travisa) e non reca le indicazioni di cui all’art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
4.
Il Comune non si è costituito in giudizio .
5.
Alla pubblica udienza del 4 luglio 2000, il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.
Nell’odierno grado di giudizio la vertenza riguarda due atti del Sindaco di Castel Focognano:
- l’ordinanza n. 12, in data 16 marzo 1991, con la quale è stato ingiunto alla società S. di demolire opere abusive consistenti nella copertura di una corte;
- l’atto n. 267, in data 9 gennaio 1993, con il quale è stata negata un’autorizzazione a realizzare una struttura mobile in sostituzione di quella preesistente e abusiva.

2. Quanto al primo atto, l’appellante deduce violazione dell’art. 7 comma 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rilevando che, nella specie, stante la natura pertinenziale della copertura, era richiesta una autorizzazione e quindi non vi erano i presupposti per l’ordine di demolizione.
Come riferito in narrativa, in punto di fatto risulta che:   
- la soc. S. gestisce in Castel Focognano un esercizio commerciale (Albergo Ristorante ..............);
- i locali commerciali prospettano nella parte posteriore su una corte interna delimitata dal fabbricato stesso, da una terrazza e da un vecchio muro in pietra;
- in detta corte la ditta venne autorizzata (atto sindacale n. 544 del 6 maggio 1989) ad istallare, in via precaria (a carattere stagionale) una tenda mobile da sole;
- la ditta realizzava invece una copertura del cortile con «una struttura autoportante prefabbricata costituita da pannelli in lamiera con materiale isolante interno delle dimensioni di circa mt.6,15 x 3,00 e intelaiatura per infissi in alluminio anodizzato».
In punto di diritto vengono in considerazione, avuto riguardo al momento in cui sono stati adottati gli atti in vertenza:
- l’art. 7, comma 2°, del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9 convertito in legge, con modificazioni, con legge 25 marzo 1982, n. 94, a norma del quale sono, tra le altre, soggette ad autorizzazione gratuita, purché conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti, e non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 "le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti";
- l’art.10 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in forza del quale l'esecuzione di opere in assenza dell'autorizzazione prevista dalla normativa vigente comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria;
- l’art. 7 della stessa legge n. 47/1985, che prevede la più grave sanzione demolitoria o acquisitiva per le opere da assentirsi con concessione ed eseguite in assenza di essa.
Ai fini del decidere, si tratta di stabilire se il manufatto realizzato dalla S. concreti o meno una pertinenza, sottoposta a regime autorizzatorio e, nelle ipotesi di abuso edilizio, a sanzione pecuniaria.
Osserva il Collegio che, per nozione generale, la pertinenza è un bene strumentale che, pur conservando una propria individualità ed autonomia, è posto in un durevole rapporto di subordinazione con altro (principale) preesistente, per renderne più agevole e funzionale l'uso, in modo tale che l'uno sia posto a servizio durevole o ad ornamento dell'altro (cfr. art. 817 cod. civ.).
In materia edilizia, con riferimento all’art. 7 del decreto-legge n. 9/1982, la nozione è stata precisata dalla giurisprudenza, sottolineandosi che ad essa sono riconducibili solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte (al pari degli impianti tecnici espressamente menzionati) rispetto alla cosa (fabbricato) cui ineriscono.
La nozione qui rilevante di "pertinenza" - è stato sottolineato - è meno ampia di quella civilistica e va definita sia in relazione alla necessità ed oggettività del rapporto pertinenziale sia alla consistenza dell'opera, che deve essere tale da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio (cfr. Cons. Stato sez. V, 27 dicembre 1988 n. 882; idem 13 ottobre 1993, n. 1041 e 27 maggio 1993, n. 633; idem 23 marzo 2000, n.1600 ).
Alla stregua dei principi testé enunciati, il manufatto in vertenza non appare qualificabile come pertinenza.
In proposito va osservato che la struttura ha attitudine a creare spazi, da destinare alla sistemazione di nuovi posti per il ristorante. In questa prospettiva la ditta aveva a suo tempo chiesto l’autorizzazione ad installare la tenda mobile da sole (cfr. la relazione tecnica 17 marzo 1989 allegata alla richiesta di autorizzazione a suo tempo presentata al Comune).
Per dato oggettivo, una tale attitudine, a maggior ragione, ha anche il locale abusivamente realizzato (con modalità diverse, per maggiore stabilità, da quelle a suo tempo assentite, facilmente amovibili e stagionali, della tenda da sole ).
Le dimensioni del nuovo locale sono d’altra parte sufficienti a concretare una trasformazione territoriale, con una superficie utile a realizzare alcuni posti aggiuntivi alla sala da pranzo del ristorante. Esattamente il T.A.R. ha osservato che l’opera "coprendo per intero uno spazio scoperto delimitato da un muro, costituisce una nuova volumetria, non tecnica, e una superficie libera calpestabile, per la quale è indispensabile una concessione ad aedificandum, ... invero l’intervento abusivo si configura come un ampliamento dell’edificio preesistente con destinazione (somministrazione) uguale a quella delle preesistenti parti coperte contigue". Tali osservazioni evidenziano, in particolare, l’assenza di un nesso di "servizio" del nuovo locale rispetto a quelli preesistenti, vale a dire di un elemento fondamentale del rapporto pertinenziale.
È stato affermato, al riguardo, in giurisprudenza che non può ricondursi alla nozione di pertinenza la costruzione, in elusione della normativa urbanistica, di un corpo di fabbrica ampliativo di un edificio preesistente e non ontologicamente diverso da esso (cfr. Cass. pen. 6 maggio – 11 giugno 1999, n. 7544).
In appello, la S. ha sostenuto che il piccolo locale in vertenza è destinato a ripostiglio, richiamando una sentenza pretorile che, in relazione agli stessi fatti oggetto dell’odierno giudizio amministrativo, ha assolto l’amministratore unico della società dal reato di cui all’art. 20 lettera b) della legge n. 47/1985.
Osserva il Collegio, che tale deduzione appare formulata solo in appello e che, in primo grado, la destinazione a ripostiglio non è stata in alcun modo dedotta. Essa appare in ogni caso contrastante con gli atti di causa (cfr. in particolare la già citata relazione tecnica in data 27 marzo 1989). La destinazione stessa appare quindi non dimostrata o quanto meno successiva al momento di adozione dell’atto in vertenza (momento rilevante ai fini di valutare la legittimità dell’atto stesso).
D’altra parte le diverse conclusioni pretorili non sono vincolanti nell’odierno giudizio. Come già affermato in giurisprudenza, l'art. 654 c.p.p. va, infatti, interpretato nel senso che la sentenza penale che abbia accertato la sussistenza di fatti materiali ha autorità di cosa giudicata nel giudizio amministrativo qualora l'amministrazione in esso intimata si sia costituita parte civile nel processo penale e in quella sede abbia potuto formulare le proprie difese; pertanto, se l'amministrazione non si è costituita parte civile (come nel caso di specie) i suoi poteri istituzionali non possono risultare incisi da valutazioni o da accertamenti posti in essere dal giudice penale in un processo al quale essa è rimasta comunque estranea (cfr.ad esempio, Consiglio Stato sez. VI, 21 agosto 1997, n. 1192).

3. Come accennato, il secondo atto oggetto di vertenza in questo grado di giudizio è il diniego ( n. 267, in data 9 gennaio 1993) opposto dal Comune di Castel Focognano alla istanza della società intesa ad ottenere l’autorizzazione ad installare nella corte retrostante al ristorante una struttura mobile sostitutiva di quella a suo tempo assentita e da quella (come detto abusiva) realizzata.
Il diniego è motivato, con richiamo al parere della Commissione edilizia n.163 in data 29 dicembre 1992, come segue : "la struttura non dimostra di possedere i requisiti di mobilità richiesti e pertanto rientra nei casi di costruzione di nuovo volume contrastando pertanto con le norme tecniche di attuazione della variante al P.d.F. vigente riguardante il centro storico di Rassino".
Sostiene l’appellante che l’Amministrazione ha travisato le modalità esecutive del manufatto (ancoraggio non al suolo ma alla muratura esterna dell’edificio, con intelaiatura portante a sbalzo) e non ha tenuto conto delle sue caratteristiche di mobilità.
Ad avviso del Collegio , la precarietà (mobilità) di un manufatto che rende non necessaria la concessione edilizia dipende non già dal suo sistema di ancoraggio, ma dalla sua inidoneità a determinare una stabile trasformazione del territorio. Il detto carattere va quindi escluso quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 15 giugno 2000, n. 3321). Non sembra dubbio, allo stato degli atti, che la struttura progettata dalla società (in sostituzione di quella pregressa abusiva) ha, al pari di questa ultima, caratteri di stabilità e una conseguente attitudine a creare nuovi volumi, in contrasto con le norme di piano richiamate nel diniego.
Sostiene ancora il ricorrente che l’atto impugnato è viziato per violazione dell'art. 3 comma 4, legge 7 agosto 1990 n. 241, in forza del quale occorre indicare in ogni atto il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere.
Come esattamente osservato dal T.A.R., l'omissione di tali formalità può influire, al più, sugli effetti del provvedimento conclusivo e sulla decorrenza del termine per la sua impugnazione, ma non anche sulla sua legittimità (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 20 ottobre 1998, n. 1508; sez. IV, 27 ottobre 1998, n. 1392).

4. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non essendosi costituita l’Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. 
Nulla per le spese di questo grado di giudizio.

Ordina che la suestesa decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.