EDILIZIA - 006
Corte di Cassazione, sez. VI penale, 24
giugno 1999, n. 8194
(presidente Pisanti, estensore Ambrosini)
Sussiste il reato ex art.
323 codice penale (abuso d'ufficio) per il soggetto che rilascia una concessione
illegittima in consapevole violazione delle norme di P.R.G. - Le norme
del P.R.G. costituiscono norme di legge o di regolamento la cui violazione è idonea quale
presupposto del reato.
(omissis)
La Corte d'appello di Roma con sentenza 5 novembre 1998 confermava la sentenza 28 novembre 1997 del Tribunale della stessa città che condannava Fravili Maurizio alla pena di mesi 6 di reclusione per il reato di cui all'art. 323 codice penale.
Il Fravili, assessore all'urbanistica del Comune di Mentana, aveva rilasciato una concessione edilizia per una cubatura superiore a quella consentita dal P.R.G. della zona interessata al fine di favorire il beneficiario del provvedimento, (e ciò nonostante diverse denunce pervenute all'amministrazione comunale circa l'illegittimità della richiesta di variante in corso d'opera e il parere negativo dell'ufficio tecnico comunale).
Ricorre la difesa dell'imputato:
a) per violazione della legge processuale, non essendo stato rispettato il termine di sette giorni liberi, previsto a pena di inammissibilità dall'art. 468, comma 1, codice di procedura penale, per la presentazione delle liste testimoniali da parte del pubblico ministero - eccezione respinta sia in primo che in secondo grado per erroneo computo nel termine stesso del dies a quo;
b) per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione al fatto che l'imputato ignorava essere la zona interessata classificata come «parco naturale», il provvedimento era stato emanato a seguito di parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale e non sussisteva il dolo trattandosi di errore tecnico-amministrativo.
Con motivo aggiunto la difesa si duole della violazione dell'art. 323 codice penale e della carenza e illogicità della motivazione della sentenza in relazione a detta norma, con conseguente pronuncia di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, in quanto la nuova formulazione dell'art. 323 codice penale richiede la violazione di norme di legge o di regolamento, che nella specie non sussisterebbero, non potendosi ritenere tali le prescrizioni del piano regolatore e gli altri strumenti urbanistici dei Comuni.
Motovi della decisione
1. Il termine fissato a pena di inammissibilità dall'art. 468, comma1, c.p.p. è riferito a sette giorni liberi, in base al disposto dell'art. 172, comma 5, c.p.p. Sul punto la giurisprudenza di questa Suprema Corte è assolutamente costante (fra le altre, Sez. III, 2 marzo 1994, Proietto).
Sotto questo profilo la prima doglianza della difesa appare in tesi fondata, nel senso che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto, in primo come in secondo grado, che il dies a quo dovesse essere computato nel termine.
Vero è - però - che la doglianza, astrattamente condivisibile, appare del tutto generica poiché non indica quali siano i testi e quali le deposizioni viziate di inutilizzabilità.
La genericità del motivo comporta la sua inammissibilità.
2. Il secondo motivo appare egualmente inammissibile perché relativo a questioni di
fatto, correttamente ed esaurientemente affrontate dalla Corte di merito.
L'ignoranza dell'imputato circa la classificazione della zona come parco naturale, in
relazione alla quale era competente nella sua qualità di assessore all'urbanistica del
Comune di Mentana, è del tutto irrilevante e comunque ascrivibile ad una sua
inammissibile negligenza.
Se taluno, infatti, intende svolgere funzioni pubbliche non può vantare il diritto di
ignorare quali siano le norme che presiedono alla sua attività e l'eventuale parere
favorevole (non vincolante) della Commissione edilizia comunale non può considerarsi
scriminante, posto che il controllo politico-amministrativo spetta proprio al titolare
della carica politica e ne costituisce l'aspetto pregnante.
Se di errore tecnico-amministrativo si è trattato - come ritiene la difesa dell'imputato
- l'amministratore (politico) in virtù di una posizione qualificante del suo operare non
può invocare una incompetenza tecnica, salvo con ciò tradire il ruolo di cui è stato
investito (e che ha in qualche modo ricercato nel momento in cui si è proposto prima
all'elettorato e poi all'interno della maggioranza risultata vincente).
Deve essere affermato a chiare lettere che colui il quale affronta una competizione
elettorale per ottenere poteri di amministrazione (anche, e soprattutto) sul piano locale,
non può poi arroccarsi su di una posizione di apparente neutralità, pretendendo di
delegare ai "tecnici" senza assunzione di responsabilità diretta le decisioni
su questioni che riguardano con immediatezza la sua funzione pubblica.
3. Più complessa è la questione concernente la violazione dell'art. 323 codice penale (oggetto del motivo
aggiunto), sotto il profilo che la nuova formulazione della norma (ridisegnata dall'art. 1
della legge 16 luglio 1997, n. 234) esige la «violazione di norme di legge o di
regolamento».
Il punto di riferimento necessario è costituito da numerose norme di legge in materia
edilizia e urbanistica.
4. Vengono anzitutto in considerazione le disposizioni del codice civile, in particolare l'art. 869
secondo cui «i proprietari d'immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori
devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle edificazioni o
modificazioni delle costruzioni esistenti».
La norma ha come destinatari diretti i "proprietari" di immobili i quali,
peraltro, non sono liberi di operare pur attenendosi alle prescrizioni dei piani
regolatori, in quanto le costruzioni, edificazioni o modificazioni sono subordinate al
rilascio della licenza da parte delle autorità amministrative locali.
E' di tutta evidenza che, se il proprietario deve attenersi alle prescrizioni dei piani
regolatori nel presentare il progetto da sottoporre a licenza e nell'eseguire l'opera a
licenza ottenuta, a maggior ragione sono tenuti alle stesse prescrizioni gli
amministratori all'atto di concedere la licenza edilizia. Diversamente opinando si
verificherebbe una situazione abnorme,in base alla quale male agisce il proprietario che
edifica in violazione delle prescrizioni dei piani regolatori pur avendo ottenuto licenza
dall'autorità amministrativa, e bene agisce l'amministratore pubblico che quella licenza
violatrice delle prescrizioni dei piani regolatori ha rilasciato.
L'art. 871 precisa che le regole da
osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi
comunali e l'art. 872 aggiunge che «le
conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate
dall'articolo precedente sono stabilite da leggi speciali».
Il quadro di riferimento quale evidenziato, non soltanto per gli aspetti civilistici del
problema, è di natura esclusivamente legislativa nel senso che il precetto relativo alla
violazione delle prescrizioni dei piani regolatori (non importa se approvati con norme
regolamentari) discende sia dal codice civile, sia dalle norme di leggi speciali da
quest'ultimo richiamare.
5. Quanto alle leggi speciali il punto di riferimento è la legge urbanistica (17
agosto 1942, n. 1150), coeva al codice civile salve le successive modifiche, che all'art. 10 stabilisce le regole generali per
l'approvazione dei piano regolatore generale ed all'art. 31 determina le condizioni per
l'ottenimento della licenza di costruzione da parte del Sindaco del Comune in cui l'opera
deve essere eseguita.
Al pari di quanto osservato in ordine alle norme del codice civile, la richiesta della
licenza presuppone che il richiedente osservi le prescrizioni contenute nei piani
regolatori generali e, a fortiori, che il Sindaco (o il suo delegato) osservi le
medesime prescrizioni: tutto ciò al fine di evitare la già evidenziata discrasia - ove
si assuma un diverso orientamento interpretativo - fra una richiesta del privato contra
legem, come tale illegittima, e una licenza concessa egualmente contra legem,
ma indifferente giuridicamente.
6. il quadro è completato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla edificabilità dei
suoli, che esplicita normativamente quanto desunto a livello interpretativo dalle norme
finora menzionate.
L'art. 1 della legge n. 10 del 1977
stabilisce che l'esecuzione delle opere comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio è subordinata a concessione da parte del sindaco ai sensi della stessa
legge, mentre l'art. 4 dispone che la
concessione è data dal sindaco al proprietario dell'arca o a chi abbia titolo per
richiederla con le modalità, con la procedura e con gli effetti di cui all'art. 31, legge 17 agosto 1942, n. 1150 e
successive modifiche e integrazioni «in conformità alle previsioni degli strumenti
urbanistici e dei regolamenti edilizi».
Si pone, a questo punto, il quesito se il piano regolatore generale debba considerarsi
regolamento o strumento urbanistico; quesito dalla cui soluzione dipende la più generale
questione che qui rileva in ordine all'applicazione dell'art. 323 codice penale
nell'ipotesi in cui la licenza edilizia venga concessa in violazione del piano regolatore
generale.
7. Che il piano regolatore non sia regolamento è questione risolta più volte da
questa Suprema Corte.
La sentenza 2 ottobre 1998, Tilesi e altri, di questa sezione - che pure assume
conclusioni diverse in ordine al problema se le norme del piano regolatore generale
possono essere recepite dalla legge e come tali determinanti per l'applicazione dell'art.
323 codice penale nel caso di illegittima concessione della licenza edilizia - afferma che
al potere regolamentare, un tempo inteso come manifestazione della discrezionalità
amministrativa e quindi legittimamente autodisciplinato dai soggetti emananti, sono state
date basi e disciplina legislativa nei confronti delle autonomie locali (deputate appunto
alla materia delle concessioni edilizie) dall'art. 5 della legge n. 142 del 1990.
Il regolamento deve intendersi connotato dal carattere della tipicità e perciò tale da
poter essere riconosciuto soltanto nei casi in cui la sua emanazione sia espressamente
consentita dalla legge.
Il primo requisito dell'atto è del resto che il soggetto emanante lo qualifichi come
regolamento, facendo dichiaratamente uso del relativo potere con riferimento alla fonte
legislativa abilitante.
L'uso della denominazione regolamento è infatti espressamente disposto dall'ultimo comma
dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, con una di quelle norme cui viene riconosciuta
portata generale. L'emanazione comporta la deliberazione da parte del consiglio comunale e
il controllo di legittimità da parte del comitato regionale di controllo, elementi che
sono comuni agli atti amministrativi generali, ma comporta altresì, in modo tipizzante,
la pubblicazione e l'assunzione di obbligatorietà il quindicesimo giorno successivo (art. 10 disposizioni preliminari al codice civile).
La sentenza 16 ottobre 1998, Lo Baido, di questa sezione, che offre una soluzione diversa
rispetto a quella appena ora ricordata, si pone sulla medesima linea nell'escludere che il
piano regolatore possa considerarsi norma regolamentare.
Il dato può dirsi acquisito, tanto da non doversi aggiungere ulteriori considerazioni a
quelle prima evidenziate, così da potersi ribadire senza ulteriori argomentazioni che il
piano regolatore generale non rientra nella categoria dei regolamenti.
8. Che il piano regolatore generale sia strumento urbanistico, anzi lo strumento
urbanistico per eccellenza, appare di tutta evidenza alla luce delle norme della legge 17
agosto 1942, n. 1150 e successive modifiche, in particolare dell'art. 7 che dispone che il
piano deve considerare la totalità del territorio comunale e, per quanto riguarda il
contenuto, deve indicare le localizzazioni di opere e impianti pubblici; la divisione del
territorio in zone con la precisazione di quelle destinate all'espansione dell'aggregato
urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna di esse; i
vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico. Sotto questo
profilo esso contiene prescrizioni di immediata applicazione, pur potendo assumere anche
carattere programmatorio di scelte generali.
La essenzialità del piano regolatore generale come strumento urbanistico è tale per cui,
ove i Comuni non abbiano provveduto a munirsene, la legge stessa (art. 41-quinquies, primo comma, legge
n. 1150 del 1942) vi supplisce ponendo una serie di limitazioni alla edificabilità.
Lo stesso articolo, nei commi successivi, stabilisce altre regole sia in relazione ai
Comuni già dotati di piano regolatore, sia a quelli che devono approvarlo, sia a quelli
che intendono rivedere il piano preesistente.
9. Dal complesso delle disposizioni normative riportate si evince con assoluta
sicurezza che la concessione edilizia data dal Sindaco deve conformarsi alle previsioni
degli strumenti urbanistici (in primis il piano regolatore).
Il rinvio della legge agli strumenti urbanistici fa sì che la condotta illecita dei
Sindaco (concessione data senza il rispetto del piano regolatore) si configuri come
violazione di legge.
10. Resta da verificare se tale "violazione di legge", per essere rilevante
ai fini dell'applicazione dell'art. 323
codice penale, non violi il principio di stretta legalità.
La Corte costituzionale, con la sentenza 11 giugno 1990, n. 1282, ha chiarito il tema
affermando che iI principio di stretta legalità vigente nella materia penale può
ritenersi soddisfatto, sotto il profilo della riserva di legge, allorquando la legge
determini con sufficiente specificazione il fatto cui è riferita la sanzione penale,
essendo necessario che la legge consenta di distinguere la sfera del lecito e quella
dell'illecito, ponendo a tal fine una indicazione normativa sufficiente ad orientare la
condotta dei consociati.
Non contrasta, perciò, con il principio della riserva, sia la funzione integrativa svolta
da un provvedimento amministrativo rispetto ad elementi normativi del fatto sottratti alla
possibilità di un'anticipata individuazione particolareggiata da parte della legge, sia
l'ipotesi in cui il precetto penale assume una funzione lato sensu sanzionatoria
rispetto a provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa ove sia la legge ad
indicarne i presupposti, contenuto, caratteri e limiti, in modo che il precetto penale
riceva intera la sua enunciazione con l'imposizione del divieto.
La norma dell'art. 323 codice penale, richiedendo per la sanzionabilità della condotta
del pubblico ufficiale che la stessa sia caratterizzata dalla inosservanza sostanziale,
non essendo sufficiente quella formale o procedimentale, di norma introdotte da leggi (o
da regolamenti) e sia per il necessario nesso causale produttiva di ingiusto vantaggio
patrimoniale (nella specie non posto in discussione), procede alla definizione tipica
della fattispecie per parte, con elementi naturalistici determinati da espressioni e modi
di uso comune, e per parte con rinvio alla valutazione posta da norme di legge (o di
regolamento) che fungono da mediazione per la delimitazione materiale e di fatto,
eliminando ogni incertezza della fattispecie: norma che deve risultare violata.
Nel caso di specie la mediazione conoscitiva e tipizzante, effetto del rinvio operato con
i termini "violazione di legge", a partire dall'attività concessoria svolta dal
pubblico ufficiale in materia edilizia, è certa per il contenuto e incidente
esaustivamente sulla connotazione materiale della condotta vietata.
Infatti, per disposizione di legge, qui definita in senso proprio, a fronte del dovere di
chi voglia edificare di munirsi della concessione edilizia, sussiste il dovere dei Sindaco
di provvedere a norma dell'art. 4 della legge
n. 10 del 1977. La concessione è data dal Sindaco con la procedura e con gli effetti
di cui all'art. 31 della legge n. 1150 del 1942.
Sulla base di questi dati normativi questa Corte (sez. VI, 16 ottobre 1998, Lo Baido)
ha chiaramente affermato che «il principio discriminante la condotta lecita da quella
illecita è fissato con precisione non soggetta ad interpretazioni ambigue o incerte. Esso
deriva dalla imposizione della volontà statuale a mezzo dello strumento della legge e in
questa, quanto alla norma di mediazione, fa riferimento ad elementi descrittivi
dell'obbligo di comportamento che rinviano non ad altri elementi normativi propri, ma a
presupposti di fatto, in questo caso gli strumenti urbanistici esistenti.
Si deve ritenere che questi ultimi partecipano soltanto alla determinazione del contesto
applicativo materiale della attività del pubblico ufficiale, pienamente descritta, sotto
il profilo della doverosità della condotta, da specifica norma di legge, la quale
soltanto costituisce l'oggetto della violazione, contemplata dall'art. 323 codice penale,
ai fini della sussistenza dell'elemento materiale del reato in esame».
Di conseguenza, consumandosi la mediazione dell'elemento normativo, fissato dalla legge perle concessioni edilizie, all'interno di un circuito normativo di fonti primarie, l'apparato prescrittivo degli strumenti urbanistici si definisce in funzione di presupposto di fatto della norma di legge violata che delimita la possibilità di concessione edilizia (da parte del concedente) alla conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, così che non possono restare margini di incertezza sulla individuazione della condotta vietata.
11. Le considerazioni fin qui svolte determinano il rigetto del ricorso anche in relazione al motivo aggiunto proposto dalla difesa.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente alle spese processuali.
Per questi motivi
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali.