EDILIZIA - 002
Consiglio di Stato, Sezione V, 23 giugno
1997, n. 699
Concessione e autorizzazione edilizia - Opere nelle parti comuni del
condominio - Assenso dei condomini ai fini del rilascio del titolo abilitativo comunale -
Non necessita - Autorizzazione edilizia per
formazione di canna fumaria nel muro perimetrale comune
Diritto - L'appello del Comune di Milano è infondato.
La questione dedotta in giudizio si risolve nel decidere se l'autorizzazione edilizia per la realizzazione, in un muro perimetrale di un edificio, di una canna fumaria, possa esser rilasciata al singolo condomino, proprietario dell'unità condominiale che la canna fumaria è destinata a servire, come ha ritenuto il T.A.R., ovvero debba essere rilasciata al condominio o al condomino previo assenso dei condominio, come sostiene l'amministrazione appellante.
Va premesso che, stante l'ampia e generica formulazione dell'art. 4, comma 1, della legge 10 del 28 febbraio 1977 (la concessione è data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla) la legittimazione a chiedere la concessione, e la considerazione vale anche per l'autorizzazione edilizia, compete a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori oggetto del progetto.
Ciò posto, il Collegio condivide la conclusione cui è pervenuto il giudice di primo grado.
In tal senso depongono sia il disposto dell'art. 1102 codice civile relativo all'uso della cosa comune da parte dei comunisti (Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto ), sia la regola sancita dal successivo art. 1105, sull'amministrazione della cosa comune (Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere all'amministrazione della cosa comune ), sia, infine, nella materia del condominio negli edifici, la cui caratteristica è la compresenza di parti di proprietà esclusiva (unità immobiliari) e di parti necessariamente comuni, la specificazione apportata ai suddetti principi generali in materia di comunione dall'art. 1122 codice civile, secondo cui «Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio»: letta in forma positiva, la norma conferisce al condomino una sorta di disponibilità ordinaria delle parti comuni dell'edificio pertinenti alla sua unità immobiliare.
Le suddette regole e principi lasciano concordemente dedurre che è in facoltà dei condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni, siano strettamente pertinenti, sotto il profilo funzionale e spaziale, alla sua unità immobiliare, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere, a nome proprio, l'autorizzazione o la concessione edilizia relativamente a tali opere.
Siffatta conclusione resiste alle obiezioni dell'amministrazione appellante.
L'osservazione che con il rilascio dell'autorizzazione al singolo condomino si consentirebbe di attuare una modificazione strutturale dei bene all'insaputa dei comproprietari dello stesso, costituisce una petizione di principio, perché la questione da risolvere è appunto se l'autorizzazione possa essere data indipendentemente dall'intervento degli altri condomini.
Neppure è vero che, se si prescindesse dal consenso degli altri condomini, questi ultimi sarebbero passibili di sanzioni amministrative per le eventuali difformità realizzate in corso d'opera, giacché le sanzioni sono a carico degli autori dei comportamenti illeciti e l'autore della costruzione in difformità dalla concessione o autorizzazione va individuato, normalmente, nel titolare della stessa; è vero, semmai, che esigendo che gli altri condomini condividano la domanda di autorizzazione si pretende che essi assumano una responsabilità priva di sostanziale giustificazione.
Quanto al fatto che l'opera possa esser contestata dagli altri condomini, l'assenza di danno altrui è un limite sostanziale che, per la sua natura negativa, è connessa con valutazioni soggettive ed esula, comunque, dalle possibilità di accertamento della pubblica amministrazione, la quale deve limitarsi al titolo formale di disponibilità della porzione immobiliare e rilascia le autorizzazioni sempre con salvezza dei diritti dei terzi (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, n. 1341 dei 20 dicembre 1993).
D'altra parte, l'istituzione delle autorizzazioni edilizie comunali, come già prima quella della concessione edilizia, nulla ha aggiunto ai rapporti di carattere civile tra i titolari dei diritti sui beni immobili, né ha trasformato il diritto che si ha di opporsi all'opera da altri intrapresa, in una potestà di veto; sicché, resta escluso, anche per tale via, che la regola dei citato art. 4 della legge 10/1977 si traduca nell'obbligatorietà dei preventivo assenso degli altri condomini.
E, se è vero che all'amministrazione comunale non può e non deve essere fatto carico di dirimere le controversie civili, come giustamente afferma l'amministrazione appellante, neppure può esser fatto carico al privato di dimostrare preventivamente l'assenza di contestazioni, munendosi, così come richiede il Comune di Milano, di assenso con firma autenticata dell'amministratore e delega con firma autenticata degli altri condomini.
In conclusione l'appello, con le precisazioni che precedono, dev'essere
respinto.
Le spese dei gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. V) respinge
l'appello proposto dal Comune di Milano.
Condanna l'amministrazione appellante a rifondere alla resistente le spese dei grado di
giudizio, liquidate in lire 4 milioni. (Omissis).
Segnalata dall'avv. Luigi Reccagni del comune di Capriolo (BS)