LAVORI PUBBLICI - 007 - GARA
Documentazione – Obbligo di fornire prova di avvenuto sopralluogo da parte del concorrente a pena di esclusione – Illegittimità – Possibilità – Limiti

QUESITO

Questa amministrazione ha indetto una gara mediante licitazione privata per l’aggiudicazione dei lavori di esecuzione di un’opera pubblica, per un importo a base di gara inferiore alla soglia comunitaria.

Nella lettera di invito, tra i documenti di rito da presentare da parte dei concorrenti, è stato inserito il seguente "Attestato dell’avvenuto sopralluogo in sito e della presa visione degli atti progettuali e dei loro allegati, su apposito modulo fornito dall’amministrazione al momento del sopralluogo e controfirmato dal responsabile del procedimento".

La presenza di questo documento è in genere richiesta espressamente a pena di esclusione.

Alcuni aspiranti concorrenti hanno avanzato delle rimostranze sostenendo che tale richiesta è illegittima in quanto non prevista da alcuna norma di legge. Ho però notato che per molte gare indette da diversi altri comuni, i bandi per pubblici incanti e lettere di invito per licitazioni private contengono una clausola come quella illustrata, anche se formulata in modi leggermente diversi e, quasi sempre, accompagnata dall’imposizione al rappresentante legale dell’impresa o suo incaricato munito di delega, di effettuare il sopralluogo in sito, la visione dei documenti e il ritiro del modulo fornito dall’amministrazione, da unire poi all’offerta, compilato e vistato, in originale.

Si vorrebbe conoscere se è legittima l’introduzione di una simile clausola, la cui fonte giuridica sembra individuabile nell’articolo 1 del capitolato generale d’appalto approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1963, con l’obbligo da parte dei concorrenti di effettuare i richiesti sopralluoghi e prese visioni, e il conseguente obbligo di documentare formalmente tali adempimenti.

RISPOSTA

La domanda non consente una risposta immediata; è necessaria, quale premessa, una rilettura delle norme che interessano il punto controverso:

a)- l’articolo 1 del Capitolato Generale d’appalto, approvato con d.P.R. n. 1063 del 1962, il quale dispone che per essere ammessi alle gare "gli imprenditori devono presentare la documentazione di idoneità giuridica, tecnica e morale che la stazione appaltante prescriverà, in conformità alle disposizioni generali vigenti … e una dichiarazione con la quale essi attestino di essersi recati sul luogo dove debbono eseguirsi i lavori, di avere presa conoscenza delle condizioni locali … e di aver giudicato i prezzi medesimi nel loro complesso remunerativi e tali da consentire il ribasso che saranno per fare";

b)- l’articolo 3, comma 1, della legge n. 57 del 1962, che indica le modalità di partecipazione: "L’ammissione agli appalti dello Stato e degli enti pubblici degli iscritti nell’albo ha luogo senza bisogno di altre attestazioni oltre al certificato generale del casellario giudiziale … e al certificato della cancelleria del tribunale …(ora del registro delle imprese presso la Camera di commercio – n.d.r.)";

c)- l’articolo 3, comma 4, del D.P.C.M. n. 55 del 1991, ultimo periodo, che recita: "Qualora la presentazione dell’offerta richieda adempimenti preliminari particolarmente complessi per ragioni tecniche o per altri motivi, i termini per la presentazione devono essere fissati in modo adeguato";

d)- l’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo n. 406 del 1991, che per le licitazioni private prevede: "Quando le offerte possono essere fatte soltanto a seguito di una visita dei luoghi o previa consultazione sul luogo di documenti allegati al capitolato d’oneri, i termini di cui al comma 3 devono essere adeguatamente prorogati"; del medesimo tenore l’articolo 13, comma 4, dello stesso decreto, relativo ai pubblici incanti;

e)- gli schemi allegati al D.P.C.M. n. 55 del 1991 e al decreto legislativo n. 406 del 1991, ai quali, come prescritto dall’articolo 3, comma 7, del primo provvedimento, e dall’articolo 12 del secondo, devono essere uniformati gli avvisi, i bandi e le lettere di invito.

Non direttamente riferite ai lavori pubblici, ma agli stessi applicabili in quanto principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico, vanno poi citati:

f)- l’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, così formulato: "La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria";

g)- ultimo, ma certamente primo per importanza, il troppo spesso dimenticato articolo 23 della Costituzione, secondo il quale "Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge".

Nel merito della questione è necessaria una seconda premessa. Gli atti progettuali, nella loro completezza, sono pubblici per definizione, oltre che perché approvati con deliberazione, quindi chiunque ne abbia interesse può consultarli, anche mediante richiesta informale. Si può discutere se un’impresa non ancora invitata ad una licitazione privata abbia "un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti" (articolo 2, comma 1, d.P.R. n. 352 del 1992), certamente essa ha "l’interesse connesso all’oggetto della richiesta" (articolo 3, comma 2, d.P.R. citato). Altrettanto certamente quest’ultimo interesse dev’essere riconosciuto ad un impresa che vuole documentarsi per chiedere di essere invitata ad una licitazione privata o per presentare l’offerta al pubblico incanto. Lo stesso si deve dire per le imprese che, indipendentemente dal metodo di gara e dal ricevimento dell’invito, volessero associarsi temporaneamente con altre (come noto l’associazione può essere costituita anche dopo la pubblicazione del bando e, secondo recenti pronunce del giudice amministrativo, anche dopo la lettera di invito, purché prima della presentazione dell’offerta); oppure di imprese che, pur sconosciute all’ente appaltante, vogliono documentarsi per accettare di essere indicate quali aspiranti subappaltatrici da parte di concorrenti ordinari.

Come si vede si configura un diritto talmente generalizzato e diffuso alla consultazione dove qualsiasi restrizione, ostacolo, complicazione o limitazione, frapposti dall’amministrazione all’accesso agli atti, come nel caso in oggetto, viene a scontrarsi con gli articoli 22, 23 e 24 della legge n. 241 del 1990, con gli articoli 2 e 3 del d.P.R. n. 352 del 1992 e, per gli enti locali, con l’articolo 7, comma 3, della legge n. 142 del 1990.

Si accenna solo alla decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, 19 marzo 1996, n. 279, (che si è rifatto al parere dell’Adunanza generale, 11 maggio 1992, n. 75, in tema di accesso informale), dalla quale, in sintesi, emerge che:

- in via generale il capitolato speciale è un atto pubblico al pari degli altri atti di gara e, di conseguenza, chiunque vi abbia interesse può legittimamente prenderne conoscenza;

- non vi sono ostacoli a che gli atti di gara siano consultati anche prima della lettera di invito;

- non è fondatamente sostenibile che per acquisire copia dei documenti in questione sia necessario esperire un particolare procedimento;

- l’interessato può semplicemente recarsi nell’ufficio dell’amministrazione e prendere visione, senza particolari formalità, dei documenti che gli interessano.

Anche per quanto riguarda il sopralluogo in sito, esiste una estesa platea di potenziali interessati, oltre alle imprese principali, ad esempio quelle aspiranti all’associazione, quelle candidate al subappalto, quelle che poi rinunciano a partecipare, i loro tecnici e consulenti, i noleggiatori di attrezzature. Se tutto questo è vero, non si comprende perché le imprese che parteciperanno effettivamente alla gara in prima persona debbano sottostare ad una procedura più gravosa e complessa della generalità degli aventi interesse; nemmeno risulta comprensibile il senso di uno stringente controllo burocratico, posto che esso non può essere esteso ai soggetti citati. Inoltre non risponde a ragionevolezza impedire che l’impresa partecipante si avvalga delle informazioni legittimamente assunte in precedenza (quando l’ufficio non si è ancora attrezzato con "l’apposito modulo") oppure tramite gli altri soggetti interessati o in altre sedi (ad esempio presso il progettista o presso un’altra amministrazione competente per i pareri o le autorizzazioni esterne), costringendola a presentarsi agli sportelli dell’ente appaltante.

Nelle gare indette col sistema del pubblico incanto, l’impossibilità di conoscere in anticipo quali soggetti parteciperanno alla gara rende problematica la stretta osservanza della clausola contestata: non conoscendo a priori i soggetti partecipanti, la documentazione dovrà essere esibita (e il sopralluogo consentito e curato) a qualunque impresa si presenti. Vero è che in sede di gara si potrebbe comunque verificare se i concorrenti hanno eseguito l’adempimento richiesto, tuttavia il diritto di accesso generalizzato (garantito dall’ordinamento come già detto in precedenza) non può essere compresso con adempimenti burocratici introdotti arbitrariamente. Inoltre nulla impedisce ad un’impresa che ha effettuato sopralluogo e visione, di rinunciare a partecipare trasmettendo (legittimamente) le informazioni ad altra impresa che poi presenti offerta senza più alcuna necessità di propri sopralluogo e consultazione degli atti; si vede bene che in tale frangente la clausola in discussione diventa pressoché vessatoria. Non c’è alcun motivo per ritenere che le procedure per il pubblico incanto e quella per la licitazione privata debbano rispondere a criteri diversi in materia di documentazione da presentare e di qualificazione dei concorrenti, visto che questa differenza non è rintracciabile nell’ordinamento (rinviamo sempre agli schemi citati in premessa).

Intuitivamente è facile pensare che la clausola in oggetto abbia una certa utilità per l’amministrazione, in quanto tesa ad evitare che il concorrente (magari aggiudicatario) presenti un’offerta "casuale", senza conoscere né il luogo di esecuzione né i prezzi contrattuali (cose che sono successe non di rado), ma è da ingenui pensare che essa non abbia anche una finalità assolutamente illegittima: quella di scoraggiare i concorrenti geograficamente lontani, costringendoli a più trasferimenti; francamente spesso sorge il dubbio su quale sia la finalità vera e quale quella meramente accidentale.

Si pensi anche al concorrente che richiede e ottiene regolarmente la documentazione a mezzo posta (facoltà prevista espressamente dalle norme e che non può essere esclusa con atto amministrativo) per il quale diventa automaticamente illogico attestare una presa visione dei documenti; eppure in assenza di quest’ultimo attestato (inutile) e con un’interpretazione rigorosa del bando egli dovrebbe essere escluso dalla gara, salvo prevedere nello stesso bando la relativa ipotesi di eccezione; si vede bene che così agendo le complicazioni e gli equivoci (e quindi i motivi di contenzioso) vengono moltiplicati a dismisura.

Lo stesso sopralluogo in molti casi non ha alcuna utilità per l’impresa (se il bando è stato redatto correttamente i concorrenti conosceranno la località esatta di esecuzione, forse ci abitano di fronte o ci sono passati accanto cento volte, oppure una fognatura in via Rossi è uguale in via Verdi), essa peraltro in molti altri casi potrà fare il sopralluogo nei tempi e nei modi che ritiene più opportuno (ad esempio per i cantieri su aree libere, per i lavori stradali o di fognatura), per cui la costrizione di farli dipendere dalla disponibilità dei funzionari comunali è quantomeno illogica. Non si può inoltre sottacere che alla luce dei precisi e doverosi contenuti progettuali previsti dall’articolo 16 della legge n. 109 del 1994, il sopralluogo preliminare perda molta della sua importanza pratica.

E che dire poi delle perplessità che suscita la formazione di un dossier, presso l’ente appaltante, contenente l’elenco di quelli che parteciperanno alla gara, con la certezza che nessun concorrente, se non è inserito in quell’elenco ristretto, potrà presentare offerta. Questo fa venire meno qualsiasi possibilità di ricorrere al pubblico incanto, che sarebbe snaturato, ed è facile sostenere che la procedura così arbitrariamente instaurata viola apertamente il divieto di cui all’articolo 22, comma 1, lettera a), della legge n. 109 del 1994 ed evoca pericolosamente l’articolo 326 del codice penale.

Per farla breve, nella pratica una clausola come quella contestata introduce un elemento di confusione e turbativa che annulla qualsiasi presunzione di una sua utilità.

Per quanto riguarda la legittimità, sono giustificate le rimostranze delle imprese, dato che nessuna norma tra quelle citate in premessa prevede un adempimento come quello richiesto, anzi, tali norme tendono ad escludere la necessità di ulteriore documentazione oltre a quella strettamente prevista dalla legge. Già questo dovrebbe essere sufficiente per far ritenere l’ente appaltante sfornito di potere in merito e di qualificare la previsione di esclusione dell’impresa che omette l’attestato richiesto non coperta da riserva di potestà amministrativa, con la conseguente illegittimità della clausola.

Non possono essere chiamate a supporto le disposizioni in premessa che parlano di offerte fatte soltanto a seguito di una visita dei luoghi o previa consultazione sul luogo dei documenti. E’ facile rilevare da una loro semplice lettura e dalla loro collocazione nel contesto della norma che esse sono poste a garanzia dei concorrenti e non introducono per loro alcun obbligo. Al contrario esse si limitano ad imporre all’ente appaltante di garantire dei termini di scadenza adeguati, superiori a quelli ordinari, quando questi preveda (e non certo prescriva) con proprio apprezzamento tecnico che l’offerta non possa prescindere dal sopralluogo. La disposizione non lascia sottintendere l’introduzione di alcun nuovo adempimento oltre a quelli espressamente previsti.

Anche la dichiarazione resa dall’appaltatore ai sensi dell’articolo 1 del capitolato generale, di aver preso conoscenza dello stato dei luoghi ove devono essere eseguiti i lavori e di averne valutato i riflessi ai fini dell’esecuzione degli stessi, non autorizza a verificarne, con una procedura dal vago sapore poliziesco, la veridicità formale. Tale dichiarazione non può essere considerata una clausola di stile, essa è idonea di per sé ad escludere ogni responsabilità del committente per preteso difetto di informazione sullo stato dei luoghi (in questo senso Corte di Cassazione, Sez. I civile, 21 dicembre 1996, n. 11469). In ogni caso secondo le regole generali sulla responsabilità contrattuale, essa proviene da una delle parti e pertanto fa fede contro di essa; in presenza di una simile dichiarazione, anche presumendola non veritiera (fermo restando che la sua falsità è praticamente indimostrabile, come illustrato all’inizio), nessun pregiudizio legale ne viene per l’amministrazione la quale, di conseguenza, non ha alcun interesse giuridicamente rilevante a contestarne la veridicità.

Non si può escludere, ma solo in casi assolutamente eccezionali, una deroga, parziale e motivata, a quanto sopra esposto, coi seguenti limiti:

a)- i luoghi di intervento non sono normalmente aperti al pubblico (ad esempio per la ristrutturazione di un museo o di alloggi popolari abitati, l’ampliamento di un impianto di depurazione custodito, una casa di riposo in funzione, una caserma dei carabinieri, ecc.) per cui è giocoforza che l’impresa per accedere all’interno ed effettuare il sopralluogo debba raggiungere degli accordi preliminari con i responsabili; tuttavia questo non ha nulla a che vedere con la clausola contestata e deve essere sempre visto in funzione della agevolazione ai concorrenti ad assumere cognizioni dirette, non certo ad una loro schedatura o all’obbligo, sanzionato con l’esclusione dalla gara, si effettuare il sopralluogo;

b)- l’offerta, in quanto preordinata al contratto, debba essere, senza possibilità di opzione diversa, preceduta dal sopralluogo per la presenza di situazioni fisiche assolutamente eccezionali se non uniche, non riconducibili ad esperienze ordinarie, che sfuggono a qualunque tipologia classica delle lavorazioni.

Nel secondo caso la deroga dev’essere adeguatamente motivata, volta per volta, supportata da valutazioni tecniche non opinabili; in questo stesso caso non si può procedere col pubblico incanto, per le incompatibilità col sistema già descritte all’inizio, ma solo mediante licitazione privata.

E’ inammissibile comunque un generico e sistematico obbligo di sopralluogo e di consultazione come quello imposto con la clausola in oggetto; a maggior ragione sono inammissibili sia la "schedatura" obbligatoria dei concorrenti sia la sanzione dell’esclusione per non aver ritirato o compilato moduli o stampati imposti illegittimamente. Un simile modo di procedere si scontra insanabilmente con il già ricordato divieto per l’amministrazione di aggravare il procedimento, posto dall’articolo 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990, salvo straordinarie e motivate esigenze, all’interno delle quali trovano qualche spazio le eccezioni appena ricordate.

In conclusione, che l’obbligo di sopralluogo in sito e di presa visione della documentazione presso gli uffici comunali siano prestazioni personali è fuori dubbio. Pare altrettanto chiaro che tali prestazioni non sono imposte da alcuna legge né da alcun altro atto emanato in base ad una disposizione di legge. Lo stesso dicasi del potere, che l’ente si attribuisce senza che si rinvenga alcuna fonte giuridica, di limitare l’esecuzione dei richiesti adempimenti ad alcuni soggetti e per contro di obbligare questi ultimi ad aderire; l’ente è altresì totalmente sfornito del potere di imporre che quanto richiesto venga formalizzato con modalità rigide, delle quali mantiene un controllo esclusivo e ingiustificato.

Tutto il complesso procedurale lamentato non può che essere definito arbitrario e illegittimo.