EDILIZIA - 025

INSEDIAMENTI ZOOTECNICI INTENSIVI - Considerazioni in ordine alla loro (in)compatibilità con le zone agricole degli strumenti urbanistici locali

        Alcuni strumenti urbanistici vigenti in Lombardia limitano gli insediamenti zootecnici ammessi nelle zone agricole a quelli “collegati alla conduzione del fondo”,  escludendo invece “gli allevamenti intensivi di qualsivoglia natura non collegati alla conduzione del fondo ... ”, allevamenti che sono trattati, quanto alla loro insediabilità, come insediamenti industriali.

        La suddetta qualificazione ha rilievo, in materia urbanistica, non solo per la disciplina d’uso del suolo ma anche in tema di obbligo contributivo ai sensi dell’art. 17 d.P.R. n. 380/2001. La menzionata qualificazione, generalmente condivisa nell’arco di alcune decine d’anni, viene oggi, da taluno, messa in discussione in relazione all’innovazione introdotta, nell’art. 2135 c.c., dall’art. 1, primo comma, D.Lgs. n. 228/2001.

        In proposito, va però rilevato che non può però essere condivisa la pretesa di trasferire nel campo dell’urbanistica le innovazioni, invero di portata non chiara, introdotte nel titolo II del libro V del codice civile “del lavoro nell’impresa” per definire l’impresa agricola e per distinguerla dalle imprese commerciali e da quelle soggette a registrazione, definizione e distinzione utilizzate per regolamentare diversamente e separatamente i due tipi di impresa in materie quali quelle del diritto del lavoro e del fallimento. Altre sono infatti le esigenze e gli interessi propri della materia urbanistica, cosicché è del tutto legittimo che la definizione di attività e di insediamento agricolo non si adegui integralmente alla definizione civilistica dell’impresa agricola, ammesso che nella stessa possa essere ricondotto anche l’insediamento intensivo non collegato in alcun modo alla conduzione del fondo.

        D’altra parte, anche nella materia ambientale, che ha specifica rilevanza nella disciplina dell’uso del territorio, le attività zootecniche ed in particolare quelle di “allevamento intensivo di pollame o di suini” sono da tempo incluse tra le attività industriali almeno quando comportano la presenza di “più di: a) 40.000 posti pollame; b) 2.000 posti suini da produzione (di oltre 30 kg), o c) 750 posti scrofe”. In questo senso vanno, da molti anni, le direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio relative appunto agli effetti delle attività industriali. Questo vale per la direttiva n. 2010/75/UE oggi vigente il cui allegato I annovera appunto le menzionate attività di allevamento intensivo di pollame e di suini tra le attività industriali. Altrettanto facevano le precedenti direttive n. 2008/1/CE e n. 2000/76/CE. Anche le norme nazionali vigenti in materia di VAS, di VIA e di Autorizzazione Integrata Ambientale comprendono gli allevamenti intensivi con un numero di capi maggiore rispetto alle medesime soglie sopra ricordate tra le “attività industriali” (punto 6.6 Allegato VIII al D.Lgs. n.152/2006). Altrettanto faceva l’allegato I al D.Lgs. n. 59/2005 di attuazione della direttiva n. 96/61/CE.

        Quanto sopra serve a mettere in evidenza che la qualificazione dell’attività di allevamento intensivo non collegato alla conduzione del fondo agricolo dipende dalle caratteristiche proprie dei relativi insediamenti e dagli effetti dagli stessi prodotti sull’ambiente. E’ per questo che, ad esempio, la Sezione VI civile della Corte di Cassazione ha, con ordinanza n. 15333 del 12.7.2011, affermato che “l’allevamento di cavalli da polo non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ai sensi dell’art. 2135 c.c. e, per la sua autonomia rispetto allo sfruttamento del terreno, non presenta alcun collegamento con l’utilizzazione del fondo secondo la pratica agricola e zootecnica(*) tanto che la controversia avente ad oggetto la restituzione di un fondo dato in affitto è stata attribuita alla competenza del Tribunale ordinario e non delle sezioni specializzate agrarie.

    Con riferimento ad un allevamento con una presenza media nel ciclo di 4.900 suini, la Sezione I del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 838/2010, ha respinto la tesi della ricorrente secondo la quale “la modifica dell’art.2135 c.c.” avrebbe “eliminato il collegamento esistente con il ‘fattore terra’, cosicché ... l’allevamento in questione non potrebbe essere considerato industriale”. Il T.A.R. ha ritenuto questa prospettazione superata, oltre che da alcune norme tecniche dello specifico strumento urbanistico, dal fatto che “l’All. I al D.Lgs. n. 59/2005 ricomprende tra le attività industriali quelle di allevamento intensivo di suini riferito a 2.000 suini di oltre 30 kg od a 750 scrofe”.

    Anche la Sezione I del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 1302/2010, ha affermato che “non è precluso che l’ordinamento mantenga più parallele nozioni di ‘impresa agricola’ in ragione delle diverse finalità per cui detta nozione viene definita; l’esenzione dal contributo di costruzione si collega ragionevolmente al ritenuto minor impatto sul carico urbanistico che, ovviamente, potrà assumere caratteristiche del tutto differenti a seconda della natura più o meno intensiva dell’attività e, conseguentemente, del maggiore o minore impatto ambientale che essa comporta, a prescindere dalla sua qualificazione come ‘attività agricola’ ai fini propri del diritto commerciale”.

        Anche la tecnica usata nell’allevamento ove non sia “espressione di tipica attività agricola” costituisce elemento connotativo sufficiente a qualificare l’attività insediata come “una vera e propria attività industriale”. In questo senso si è espressa, affrontando proprio il problema della qualificazione industriale di un allevamento intensivo, la Sezione V del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1051/2007 nella quale viene escluso che la nuova formulazione dell’art. 2135 c.c. introduca innovazioni tali da incidere sulla possibilità di insediamento di allevamenti intensivi in zone classificate come agricole dallo strumento urbanistico.   

        Insomma, lo specifico interesse pubblico avuto di mira nella materia urbanistica come in quella ambientale porta a considerare legittima la qualificazione di un allevamento intensivo in zona agricola come industriale: ciò tanto sotto il profilo dell’insediabilità quanto sotto il profilo dell’onerosità, profilo quest’ultimo che non può affatto essere trascurato e che è strettamente connesso con la natura agricola o meno dell’attività che si va ad insediare.

        Le considerazioni sopra svolte consentono di concludere che la destinazione a verde agricolo non ammette, specie ove la materia sia disciplinata dallo strumento urbanistico, l’insediamento di vere e proprie macchine industriali quali sono gli allevamenti intensivi avicoli o suinicoli che superino determinate soglie quantitative e che comunque siano privi di un adeguato collegamento con la conduzione del fondo. Si tratta del necessario punto di arrivo di una lunga elaborazione ormai affermata in tema di autonomia della disciplina urbanistica e di quella ambientale rispetto alle definizioni proprie del diritto civile o di discipline normative di settori diversi, autonomia necessariamente connessa alla peculiarità dell’interesse pubblico perseguito.  (**)

Milano, 27.7.2013
Mario Viviani  

(*)  Con una lettura coerente con l'art. 9 del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173 che qualifica come «... imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, anche coloro che esercitano attività di allevamento di equini di qualsiasi razza, in connessione con l'azienda agricola.» (n.d.r.)
(**)  Resta inevasa una domanda: dove possono essere insediati gli allevamenti zootecnici intensivi, se è inibita la zona agricola (come motivatamente argomentato), come conciliare altre ubicazioni con il divieto di cui all'art. 216, secondo comma, del R.D. n. 1265 del 1934 che impone per tali tipologie insediative (insalubri di prima classe ex  lett. C) del d.m. 5 settembre 1994) di «essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni» ? (n.d.r.)