EDILIZIA E URBANISTICA 008
IL CONDONO EDILIZIO E LA
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE:
NULLA DI NUOVO, NONOSTANTE LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE.
Con la sentenza n. 196 del
28 giugno 2004 la Corte Costituzionale torna ad occuparsi del riparto di
competenze normative tra Stato e Regioni, da un lato aggiungendo nuovi tasselli
concettuali al quadro interpretativo già delineato con le sentenze precedenti,
dall’altro specificando principi già individuati.
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 32 (“Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni delle aree demaniali”), impugnato in più commi, e dell’art. 49-ter, del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003 (“Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, in G.U. n. 229 del 2 ottobre 2003, S.O. n. 157) convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 (in G.U. n. 274 del 25 novembre 2003, S.O. n. 181) nonché dell’Allegato n. 1 di quest’ultima.
Il complesso delle
suddette disposizioni normative prevede e disciplina il nuovo condono edilizio
esteso a tutto il territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale
rispetto all’istituto di carattere generale e permanente del “permesso di
costruire in sanatoria”, disciplinato dagli
artt. 36 e 45 del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia), ancorato a presupposti in parte diversi e
comunque sottoposto a condizioni assai più restrittive.
L’eterogeneità delle eccezioni di incostituzionalità poste a fondamento dei
numerosi ricorsi presentati dalle Regioni non consente una disamina completa, in
questa sede, della sentenza in esame, ma soltanto dell’interrogativo centrale
che la Corte ha dovuto affrontare: la violazione del sistema costituzionale
delle competenze con riferimento ai commi terzo e quarto dell’art.
117 e all’art. 118 Cost. oppure, limitatamente alla regione Friuli Venezia
Giulia, con riferimento all’art. 4, numero 12, e all’art. 118 della legge
costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli Venezia
Giulia).
Prima della riforma
introdotta dalla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, l’art. 117 nell’attribuire alle
regioni specifiche competenze in materie analiticamente indicate, fra le
rientrava la competenza per l’urbanistica, introduceva un duplice ordine di
limiti alla indicata autonomia: il primo era costituito dai principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato; il secondo dall’ “interesse”
nazionale ovvero dall’ “interesse” di altre Regioni.
Con la riforma dell’art. 117 ad opera della legge Cost. n. 3/2001, la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali.
Sono individuate le materie nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva e
quelle di legislazione concorrente, nelle quali spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato.
Tutte le altre materie rientrano nella competenza regionale.
Tra le materie a legislazione concorrente non si parla più di urbanistica, ma di governo del territorio. Un primo gruppo di Regioni, pertanto, ha sostenuto che la disciplina impugnata dovrebbe essere collocata nell’ambito della materia “edilizia”, la quale non essendo “nominata” tra le materie dell’art. 117 Cost. ricadrebbe automaticamente nella competenza legislativa residuale delle regioni. Ciò basterebbe per ritenere la normativa costituzionalmente illegittima, in quanto dettata in un ambito nel quale lo Stato non avrebbe alcuna potestà legislativa.
Tale soluzione
comporterebbe, tuttavia, problemi non indifferenti, poiché ogni Regione potrebbe
disciplinare in modo autonomo, svincolato da ogni parametro generale valevole su
tutto il territorio, una materia così delicata quale quella della tecnica delle
costruzioni posta a presidio della sicurezza ed incolumità pubblica.
Un secondo gruppo di Regioni, invece, pur riconoscendo che la normativa oggetto
dell’impugnazione dovrebbe essere collocata nell’ambito di una materia affidata
alla competenza concorrente di Stato e Regioni (la materia del “governo del
territorio”), ne sostiene comunque l’illegittimità costituzionale perché, in
contrasto con il terzo comma dell’art. 117 Cost, detterebbe una disciplina di
dettaglio; inoltre, a causa della circostanza secondo la quale la stessa idea di
condono edilizio, in quanto disciplina eccezionale, non sarebbe idonea ad essere
qualificata quale principio fondamentale della materia.
La Regione Friuli Venezia Giulia sostiene che, disponendo essa di competenza
legislativa primaria in materia urbanistica, l’autonomi regionale in tale ambito
potrebbe essere legittimamente vincolata esclusivamente dalla Costituzione, dai
principi generali e dalle norme fondamentali delle leggi di grande riforma
economico – sociale, tra le quali non potrebbe essere annovera la previsione di
un condono edilizio quale disciplinato dall’art. 32.
Infine, parte della disciplina impugnata contrasterebbe anche con l’art. 118
Cost. in quanto la sua applicazione, oltre a vanificare gli interventi di
pianificazione e controllo locale, darebbe luogo alla necessità di apprestare
appositi strumenti urbanistici e soluzioni di governo del territorio che tengano
conto delle conseguenze della disciplina statale. In questo modo le Regioni e
gli Enti locali sarebbero costretti a subire, anziché governare, le destinazioni
urbanistiche del territorio e le correlate funzioni amministrative sarebbero
esercitate ad un livello non adeguato, quello centrale, in violazione del
principio di sussidiarietà.
La Corte riconosce parzialmente fondati i suddetti rilievi e costruisce la propria motivazione su tre fondamentali principi:
1) il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale e dispone di assoluta discrezionalità in materia “di estinzione del reato o della pena o di non procedibilità”, mentre in tema di sanatoria amministrativa, pur potendola astrattamente prevedere in parallelo a quella penale, i vincoli imponibili alle Regioni, ordinarie e speciali, non possono essere che quelli ammissibili sulla base delle disposizioni contenute nell’art. 117 e negli statuti speciali.
2) I settori dell’urbanistica e dell’edilizia sono senz’altro ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di “governo del territorio”, tuttavia la normativa sul condono edilizio di cui all’art. 32 impugnato, non si esaurisce in tali ambiti specifici ma coinvolge l’intera e ben più ampia disciplina del “governo del territorio”, comprensiva di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività (cfr. sentenza Corte Cost. n. 307/2003).
3) I Comuni, in forza del principio di sussidiarietà, sono normalmente titolari delle funzioni di gestione amministrativa (art. 118 Cost) e le normali entrate dei Comuni devono consentire di “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite” (art. 119 Cost.).
Di qui, fermo restando la competenza statale nella disciplina in esame, sia per la parte relativa agli aspetti penalistici sia per la parte relativa alla determinazione dei principi fondamentali sul governo del territorio, l’illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni del testo legislativo che escludono il legislatore regionale da ambiti materiali ad esso attribuiti, sulla base delle disposizioni costituzionali e statutarie. E il riconoscimento alle Regioni di adeguati poteri legislativi, da esercitarsi in termini congrui, rafforza indirettamente anche il ruolo dei Comuni, dal momento che questi possono influire sul procedimento legislativo regionale in materia attraverso i vari strumenti di partecipazione previsti dagli statuti e dalla legislazione delle regioni.
Pertanto dovrà essere la legge regionale, entro un congruo termine fissato dal legislatore statale, a:
1) determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1 del D.L. n. 269 del 2003;
2) stabilire eventuali limiti volumetrici inferiori a quelli indicati dalla legge, ancorché riguardanti beni demaniali o di proprietà dello Stato;
3) stabilire diversamente gli effetti del silenzio, protratto oltre il termine previsto nell’art. 26 dell’art. 32, del Comune cui gli interessati abbiano presentato la documentazione richiesta;
4) determinare la misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento.
Inoltre il
legislatore nazionale dovrà ridefinire i termini previsti, per gli interessati,
nei commi 15 e 32 dell’art. 32, nonché nell’allegato 1 al d.l. 269 del 2003, di
recente prorogati dal d.l. n. 82 del 2004 (convertito dalla legge n. 141 del
2004), facendo salve le domande già presentate.
La Corte definisce “doverosa” l’attività legislativa delle Regioni in materia,
invocando il principio della leale cooperazione che deve caratterizzare i
rapporti tra Stato e Regioni; se ciò non avvenisse troverebbe applicazione la
disciplina dell’art. 32 e dell’allegato 1 del d.l. 269 del 2003, come convertito
dalla legge n. 326 del 2003.
Ora, al di là
dell’effettiva concreta attuazione del principio sopra citato, in cui alcuni
autori legittimamente non credono per l’elevata litigiosità nell’attuale
panorama politico bipolare, ciò che lascia perplessi nella motivazione della
sentenza è il sostanziale silenzio della Corte sulla reiterata violazione da
parte del legislatore statale di valori primari nel nostro ordinamento come la
certezza del diritto, la tutela del paesaggio e l’equilibrato assetto
territoriale, offesi in forza del principio di equilibrio dei conti pubblici.
E quello che lascia increduli della motivazione della Corte Costituzionale è la
giustificazione formale che essa dà del condono edilizio reintrodotto dal d.l.
n. 269 del 2003, quando afferma di non ravvisare nella scelta del legislatore,
“pur opinabile nel merito” (sic!), elementi di irragionevolezza tali da viziare
di incostituzionalità il testo normativo impugnato.
Pur ammettendo di
aver ammonito in altre occasioni il legislatore statale (cfr. sentenze n.
427/1995 e n. 416/1995) che il condono edilizio non avrebbe superato il vaglio
di costituzionalità in caso di ulteriore reiterazione sostanziale della
preesistente legislazione degli anni ottanta, la Corte non affonda il colpo e
anziché stigmatizzare le scelte del legislatore e la mancanza di adeguati
controlli amministrativi a livello locale, giustifica ancora una volta lo
scellerato ricorso allo strumento della definizione agevolata delle violazioni
edilizie.
A cosa serve allora imporre la riscrittura della normativa impugnata, se il
fondamento che ne ispira le disposizioni resta inalterato? Come potranno le
Regioni e gli Enti locali garantire il regolare svolgimento dello sviluppo del
territorio, il cd. governo del territorio, se, nonostante i nuovi articoli 117,
118 e 123, non si dichiara apertamente e senza possibilità di interpretazioni
“interessate” che il condono edilizio è incostituzionale?
Alla disciplina ordinaria in materia edilizia si sta oggi affiancando una
disciplina, non più straordinaria, contrapposta alla prima, che, se non recisa
con forza, produrrà incertezza ed indolenza sia nel cittadino nei rapporti con
il Comune sia nell’operatore comunale, consegnando sempre di più il territorio
all’utilizzo affaristico dei “furbi”.
Per ora la Corte ha fatto ricorso, nonostante la nuova Costituzione, ad un vecchio principio: cambiare tutto per non cambiare nulla!
Che si debba ricorrere a questi mezzi per evitare le occupazioni abusive?
di Claudio
Biondi
Segretario Comunale di Tavazzano con Villavesco, Casalmaiocco e Marudo (LO)