Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie
Circolare 15 novembre 2001, n. 12727
Divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo l'aggiudicazione
(G.U. n. 8 del 10 gennaio 2002)

IL MINISTRO PER LE POLITICHE COMUNITARIE

1. Con parere motivato, reso il 23 marzo 1998 all'indirizzo della Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, la Commissione CE ha sottoposto a censura il comportamento di un'amministrazione pubblica che, all'esito di una licitazione privata, ha proceduto, dopo il ricevimento delle offerte, a rinegoziarne i contenuti relativi a termini e prezzi con l'impresa risultata aggiudicataria (procedura d'infrazione n. 95/4646).

2. Con circolare del 23 febbraio 2000, in adesione all'orientamento espresso dalla Commissione europea, questo Dipartimento ha affermato che in sede di gare d'appalto disciplinate da procedure aperte o ristrette non può darsi luogo a forme di rinegoziazione delle offerte pervenute. A sostegno dell'assunto si e' osservato che ad una rinegoziazione di tal fatta ostano, per un verso, la lesione dei principi in materia di par condicio tra i concorrenti e di trasparenza dell'azione amministrativa e, per altro verso, la contrarietà ai principi comunitari di una procedura che si sostanzia nella trasformazione del procedimento di evidenza pubblica in una scelta negoziata non preceduta dalla pubblicazione del bando e non confortata dalle ricorrenze dei presupposti contemplati dalle direttive europee ai fini del ricorso alla trattativa privata.

3. L'acquisizione di notizie relative alla persistente ricorrenza della prassi di richiedere, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, la disponibilità dell'aggiudicatario a concedere un ulteriore sconto sul prezzo di aggiudicazione, ha indotto a sottoporre la questione, di rilevante attualità, al vaglio consultivo del Consiglio di Stato.

4. Con parere reso dall'adunanza della Commissione speciale il 12 ottobre 2001, l'organo consultivo ha confermato l'indirizzo espresso dal Dipartimento con la succitata circolare. 

5. Segnatamente il Consiglio ha osservato che:

a) la rinegoziazione dell'offerta, in un tomo temporale successivo all'aggiudicazione, può indurre l'impresa aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo negativamente sulla qualità del servizio o del prodotto fornito e ponendosi in contrasto con la ratio della disciplina legislativa in materia di controllo del fenomeno delle offerte basse in misura anomala;
b) lo stesso meccanismo proprio delle procedure c.d. ad evidenza pubblica è fisiologicamente diretto all'individuazione del miglior contraente possibile, ossia di colui che ha formulato l'offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse ad effettuare il servizio o la fornitura richiesti;
c) una eventuale rinegoziazione si pone in contrasto con la procedura originariamente individuata e sulla cui base sono state specificamente formulate le offerte, ponendosi in contrasto con i limiti posti dal legislatore europeo al fine di delimitare la possibilità di ricorso alla procedura negoziata.

Tutto ciò premesso, nel ribadire il contenuto della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie del 23 febbraio 2000, si rappresenta che il divieto di rinegoziare le offerte nelle gare pubbliche deve intendersi esteso anche alla fase successiva all'aggiudicazione, in quanto la possibilità di rinegoziazione tra la stazione appaltante e l'impresa aggiudicataria, modificando la base d'asta, finisce, seppure indirettamente, con l'introdurre elementi oggettivi di distorsione della concorrenza, in violazione dei principi comunitari in materia.

Si invitano, pertanto, le amministrazioni interessate ad uniformare la loro condotta ai principi espressi nella citata circolare e confortati dall'avallo del Consiglio di Stato.

Si segnala che la persistenza di condotte di segno opposto rischia di esporre lo Stato italiano all'attivazione di procedure comunitarie di infrazione ed alle conseguenti pronunce di condanna.

Roma, 15 novembre 2001 - Il Ministro: Buttiglione

Registrato alla Corte dei conti il 21 dicembre 2001
Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 14, foglio n. 166

Allegato - CIRCOLARE DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

A - Divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare.

1) Con parere motivato indirizzato alla Repubblica italiana ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE il 23 marzo 1998, procedura d'infrazione 95/4646, la Commissione CE ha sottoposto a vaglio critico il comportamento di un'amministrazione pubblica italiana che, nel corso di una procedura ristretta, licitazione privata, ha proceduto, dopo il ricevimento delle offerte, a rinegoziarne i contenuti relativi a termini e prezzi con l'impresa risulta aggiudicataria.

2) Deve essere condiviso l'orientamento negativo così espresso dalla Commissione CE; invita, quindi, le amministrazioni pubbliche e gli altri soggetti aggiudicatori destinatari della disciplina in materia di appalti pubblici di lavori (dir. 93/37/CEE), forniture (dir. 93/36/CEE), servizi (dir. 92/50/CEE) e "settori esclusi" (dir. 93/38/CEE) a non dare corso, in sede di gare d'appalto disciplinate da procedure aperte o ristrette, a forme di sostanziale rinegoziazione delle offerte pervenute.

3) Ostano, infatti, a un tale comportamento:

a) il fatto che, rinegoziando l'offerta in sede di gara, si viene, in effetti, a trasformare una procedura aperta o ristretta in una negoziata, neppure preceduta a tal fine, dalla pubblicazione di un bando e in difetto, dunque, dei presupposti previsti dalle citate direttive comunitarie per procedere in tal senso e, comunque, con ingiustificato contrasto con il modulo procedurale concretamente prescelto e sulla cui base sono state specificamente formulate le offerte;
b) il fatto che, consentendo ad un unico offerente di migliorare la propria offerta, si viene a determinare una ingiustificata lesione dei principi della par condicio tra i concorrenti e della trasparenza dell'azione amministrativa.

4) L'illegittimità, sul piano comunitario, del comportamento in esame si collega, poi, anche alla dichiarazione comune Consiglio-Commissione pubblicata in Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L 210/ del 21 luglio 1989, con la quale si esclude che, nel corso di procedure aperte o ristrette, le amministrazioni aggiudicatrici possano negoziare con i partecipanti alle gare di appalto elementi fondamentali del contratto suscettibili di avere un'influenza sulla concorrenza e, in particolare, sui prezzi.

5) Si ricorda, infine, che i soggetti aggiudicatori possono soltanto inviare i concorrenti a integrare o chiarire la certificazione e i documenti presentati in relazione all'assenza di cause di esclusione alla iscrizione nei pertinenti registri professionali, oppure alla prova del possesso delle necessarie capacità economico-finanziarie e tecniche.

B - Gare sub-comunitarie per la fornitura di veicoli.

1) La Commissione europea ha anche avviato, nei confronti della Repubblica italiana, una procedura di infrazione ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE (nota 24 luglio 1988, n. SG(98)D/6312), in quanto talune amministrazioni locali hanno pubblicato avvisi di gara per la fornitura di autocarri, per importi sub-comunitari, richiedendo automezzi di marca e modello predeterminati ed escludendo la possibilità di fornire modelli equivalenti di differente marca.
In particolare la Commissione europea ha osservato che gli articoli 30 e seguenti del Trattato sanciscono il principio della libera circolazione delle merci all'interno del territorio comunitario, a norma del quale è fatto divieto di qualsiasi restrizione quantitativa all'importazione o misura di effetto equivalente nel commercio tra Stati membri.
Ebbene, la richiesta che siano forniti solo autoveicoli di una marca e un modello particolare, escludendo la possibilità di fornirne altri di caratteristiche equivalenti, corrisponde, per la Commissione, ad un diniego assoluto di accesso al mercato di prodotti di marche differenti; ciò che costituisce adozione di una misura suscettibile di ostacolare, in violazione del predetto art. 30, gli scambi comunitari e la libera circolazione delle merci.

2) Deve essere condiviso l'orientamento critico come sopra espresso dalla Commissione CE.

Fermo, quindi, quanto previsto, per le gare che si collocano al di sopra della soglia comunitaria, del testo unico 24 luglio 1992, n. 358, si invitano, per le gare di importo sub-comunitario riguardanti le forniture di veicoli, tutte le amministrazioni aggiudicatrici a non richiedere la esclusiva fornitura di veicoli di marca e modello predefinito, ma solo di veicoli aventi caratteristiche tecniche predeterminate.

In analogia, peraltro, con quanto previsto, in attuazione della disciplina comunitaria in materia di pubbliche forniture, dall'art. 8, comma 6, del decreto legislativo n. 358/1992, le amministrazioni interessate potranno, ove ricorrano i presupposti ivi previsti, fare riferimento anche a una marca o modello predefinito; in tal caso, peraltro, nel bando deve espressamente ammettersi anche la presentazione di modelli di altre marche aventi caratteristiche tecniche equivalenti.

CONSIGLIO DI STATO

Adunanza della Commissione Speciale del 12 ottobre 2001

Prot. n.1084/2000

Oggetto: Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il Coordinamento delle Politiche Comunitarie.

Quesito concernente la possibilità o meno della rinegoziazione al ribasso dell’offerta aggiudicativa dopo l’aggiudicazione nelle gare pubbliche.

Vista la relazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie (settore legislativo) – trasmessa con nota prot. n. 10086 del 20/10/2000 con la quale viene richiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al quesito indicato in oggetto;
Vista la pronuncia interlocutoria della 1 Sezione n.1084/2000 in data 8/11/2000 ed il successivo adempimento da parte dell’Amministrazione (nota prot. n.5119 del 9/5/2001);
Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n.51 in data 25/7/2001 con il quale la cognizione dell’affare è stata deferita alla Comissione Speciale;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore Cons. Giuseppe Faberi;

PREMESSO:

Riferisce l’Amministrazione che la Federazione delle associazioni Regionali Economi e Provveditori, con nota 1/9/2000, premesso di rappresentare numerose aziende fornitrici delle ASL, chiede se il divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare di appalto di servizi pubblici debba valere anche dopo avvenuta l’aggiudicazione.

Sostiene in particolare la Federazione che è una prassi diffusa richiedere la disponibilità del fornitore aggiudicatario a concedere un (ulteriore) sconto sul prezzo di aggiudicazione "senza modificazione qualitativa/quantitativa delle prestazioni contrattuali".

Osserva l’istante che la negoziazione successiva non altererebbe la concorsualità del procedimento e la par condicio dei concorrenti, che si sono pienamente realizzati nel corso del procedimento.

La questione ha già formato oggetto di una circolare del Ministro per le politiche comunitarie del 23/2/2000, che si è espresso in senso negativo.

Riproposta la questione, nelle vie brevi, alla Commissione europea, questa ha parimenti confermato che il divieto di rinegoziare le offerte è da intendersi esteso anche alla fase successiva all’aggiudicazione, anche se non espressamente previsto della normativa comunitarie.

Peraltro, secondo il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, le fasi posteriori all’aggiudicazione non sono coperte dal diritto comunitario ma dalla legislazione nazionale (che nulla prevede in proposito) e anche le dichiarazioni congiunte a processo verbale del Consiglio – Commissione relative alle direttive 93/37/CE e 93/38/CE si limitano a vietare la rinegoziazione delle offerte con candidati e offerenti.

Pertanto il richiedente Dipartimento, riesaminata la questione, anche nei suoi risvolti finanziari sottolineati dalla succitata Federazione, propenderebbe per la soluzione contraria all’applicabilità del divieto, anche in considerazione di taluni orientamenti giurisprudenziali in materia (cfr. T.A.R. Campania I, 9 marzo 1999, n. 681; C.Stato, V, 8 luglio 1995, n. 1029).

Viene quindi richiesto, sulla questione, il parere del Consiglio di Stato.

Con pronuncia interlocutoria n. 1084/2000 in data 8/11/2000 la Prima Sezione di questo Consiglio di Stato ha richiesto, oltreché il testo della dichiarazione congiunta del 21/7/1989 del Consiglio e della Commissione Europea, anche il parere del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (che si è espresso sia pur dubitativamente in senso possibilistico ad una eventuale soluzione affermativa al quesito).

All’adempimento di cui sopra è stato dato corso con nota della Presidenza del consiglio dei ministri, prot. n.5119 del 9/5/2001.

CONSIDERATO:

In ordine al quesito proposto si ritiene che una eventuale soluzione positiva non può certamente basarsi sulla semplice considerazione che, nell’ambito dello svolgimento della gara, una volta intervenuta l’aggiudicazione, la possibile rinegoziazione non risulterebbe oramai suscettibile di alterare la "par condicio" dei concorrenti giacché quel che invece deve anzitutto venire in rilievo al riguardo è il possibile peggioramento del servizio o della qualità del prodotto fornito in quanto in linea di fatto – come è noto – l’impresa aggiudicataria dovrebbe in qualche modo "scaricare" lo sconto ulteriore effettuato nei confronti dell’Amministrazione.
Ed invero è lo stesso meccanismo proprio delle procedure c.d. "ad evidenza pubblica" (a parte o ristrette) che deve portare all’individuazione del miglior contraente possibile, ossia di colui che ha formulato l’offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l’impresa, in linea di principio, non ha più interesse ad effettuare il servizio o la fornitura richiesti.

Del resto, rinegoziando l’offerta dopo l’aggiudicazione, si viene - in definitiva – a trasformare una originaria procedura aperta (ovvero ristretta) in una negoziata, passando così sostanzialmente allo schema della trattativa privata.
Una siffatta scelta di rinegoziazione (come peraltro in un primo tempo osservato dalla stessa Presidenza del consiglio dei ministri – Dipartimento delle politiche comunitarie – con la circolare ministeriale sull’argomento in data 23 febbraio 2000) "risulterebbe in contrasto con la procedura originariamente prescelta e sulla cui base sono state specificatamente formulate le offerte", non rispondendo peraltro neppure ai requisiti normativamente previsti per la stessa procedura negoziante.
Si introdurrerebbe, in sostanza, un elemento distorsivo della stessa funzione della gara, nella misura in cui i concorrenti verrebbero indotti ad inglobare nelle offerte il rilievo economico insito nel successivo meccanismo della rinegoziazione.
Ad una tale conclusione non sembrano, in ogni caso, ostativi i precedenti giurisprudenziali (apparentemente di segno contrario) citati dalla stessa Presidenza del Consiglio.

Ed infatti la decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n.686 del 20/9/1990 (che costituisce il precedente delle sentenze richiamate dalla richiedente Amministrazione) si riferisce non già ad una fattispecie di ulteriore sconto rispetto al prezzo stabilito in sede di aggiudicazione, ma, al contrario, stabilisce il diverso principio che – in sede di trattativa privata "di origine" (ancorché preceduta da una c.d. "preselezione informale") e non essendo irrigidita l’azione amministrativa di uno schema "stricto sensu" concorsuale – l’Amministrazione pubblica una volta indirizzata la scelta, "ben potrebbe addirittura esperire ulteriore trattativa con la ditta prescelta, per ricercare condizioni ancor più favorevoli".

Parimenti la decisione n. 1029/95 in data 8/7/1995 , sempre della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, pronunciata in occasione di un’analoga fattispecie, ha affermato la legittimità della facoltà dell’amministrazione, ma sempre a seguito dell’individuazione del contraente a trattativa privata, di negoziare clausole ulteriormente migliorative rispetto all’offerta originaria (inserendo solo come mero "obiter dictum" – peraltro evidentemente riportato per effetto di una imprecisione nella redazione della massima relativa alla sopraccitata decisione n.686 del 29 settembre 1990 della stessa Quinta Sezione – l’affermazione che "del resto va ammessa la facoltà dell’Amministrazione, una volta individuata l’aggiudicataria, di esperire una ulteriore trattativa con quest’ultimo, per conseguire condizioni più favorevoli".

Per quanto concerne, poi, la sentenza del T.A.R. per la Campania , Sez. I, n. 681 del 9 marzo 1999 – anche a prescindere dalla consistenza che, evidentemente, non si tratta di giurisprudenza propria di questo Consiglio di Stato - si rileva che la fattispecie ivi considerate (nella quale è stata ritenuta, tra l’altro, la legittimità del comportamento dell’Amministrazione che, in sede di aggiudicazione a seguito di licitazione privata si era successivamente avvalsa dell’offerta, da parte dell’aggiudicatario, di un ulteriore ribasso del prezzo già definito) è stato peculiarmente giustificato dalla considerazione dell’approntamento, per l’Amministrazione appaltante, in presenza di condizioni di prezzo "evidentemente fuori mercato" di non ricorrere, dopo l’aggiudicazione, al pur legittimo "annullamento della gara" con contestuale indizione di una nuda procedura (ristretto o negoziato)" limitandosi invece – nel particolare caso di specie – ad avvalersi della manifestata disponibilità dell’aggiudicatario medesimo a riequilibrare le condizioni del rapporto , "al fine di impedire il travolgimento della intera gara" qualora al nuovo prezzo (non ritenuto, in ogni caso "anormalmente basso") trovi la sua giustificazione in un "significato mutamento di mercato verificatosi dopo la presentazione delle offerte".

Il che, come è del tutto evidente, costituisca una situazione anomala, in ogni caso non riconducibile allo specifico oggetto del quesito, relativo invece alla legittimità o meno della "prassi diffusa" di richiedere, da parte delle Amministrazioni aggiudicatrici, la disponibilità del fornitore aggiudicatario a concedere un(ulteriore) sconto sul prezzo di aggiudicazione.

Da ultimo si rileva ancora che, dalla (esibita in atti) dichiarazione congiunta Consiglio – Commissione delle comunità europee sull’argomento (nella quale si afferma che, nelle procedure aperte o ristrette, è escluso "touta negociation avec les condidats on les coummissionaires portant sur des elements fondamentaux des marches dont la varation est suscetible de fausser le jeu de la concuvrenee et notamment sur les prix") non può certo inferirsi – argomentando dalla circostanza che, una volta intervenuta un’aggiudicazione, non può più parlarsi di violazione della "par condicio" concorrenziale – che (come invece prospetta la richiedente Amministrazione) il divieto ivi indicato sarebbe comunque limitato alla fase precedente alla stipulazione del contratto.

Vero è invece, al contrario, che il divieto di rinegoziare le offerte deve razionalmente intendersi in linea di principio (come del resto successivamente precisato, seppure nelle vie brevi, in sede di Commissione europea) anche come successivo all’aggiudicazione, in quanto la possibilità di rinegoziazione tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario, modificando la base d’asta, finirebbe (seppure indirettamente) coll’introdurre oggettivi elementi di distorsione della concorrenza, violando in tal modo i principi comunitari in materia.

Attesa la portata del quesito rappresentato per le intuibili implicazioni e la rilevanza della soluzione sopra prospettata, appare opportuno che del presente parere venga data adeguata pubblicità.

P.Q.M.

Nelle esposte considerazioni è il parere.

Per estratto dal Verbale:
IL SEGRETARIO DELLA COMMISSIONE (Licia Grassucci)

Visto: IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE (Paolo Salvatore)