AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI
DETERMINAZIONE DEL 28 dicembre 1999, n. 13
Contratti misti
(G.U. n. 107 del 10 maggio 2000, s.o. n. 71)

Con alcuni esposti a questa Autorità veniva sottoposta questione riguardante le procedure di affidamento di barriere spartitraffico nelle sedi autostradali.

Va dato atto del rilievo delle questioni interpretative prospettate che consigliano gli opportuni approfondimenti. Va, poi, considerato che la questione interpretativa relativa alla individuazione della normativa applicabile all'esaminata fattispecie va risolta tenendo conto, innanzitutto, di quanto disposto dal 1° comma dell'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 18 novembre 1998, n. 415. Lo stesso, in particolare, stabilisce che «nei contratti misti, di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendano lavori accessori, si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano rilievo economico superiore al 50 per cento».

Va ancora tenuta presente, poi, la norma di cui all'art. 3, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, nel testo risultante dalle modifiche apportatevi dal comma 75 dell'art. 9 della stessa indicata legge n. 415 del 1998. Disposizione secondo cui «gli appalti che, insieme alle prestazioni di servizi, comprendono anche l'esecuzione di lavori, sono considerati appalti di servizi qualora i lavori assumano funzione accessoria rispetto ai servizi, siano complessivamente di importo inferiore al 50 per cento del totale, e non costituiscano l'oggetto principale dell'appalto».

Dalle norme ora indicate si desume che il legislatore nazionale ha operato una scelta univoca al fine di individuare il regime giuridico da osservare, sia nel caso di contratti misti di lavoro, forniture e servizi sia nel caso in cui i lavori siano accessori rispetto a forniture o servizi, che costituiscano, invece, oggetto principale del contratto. Si precisa, al riguardo, che i contratti misti anzidetti, sono quelli in cui sono previste prestazioni di lavoro, forniture e servizi.

In entrambe le ipotesi ora indicate, nell'ordinamento italiano il criterio dell'accessorietà contenuto nelle direttive comunitarie 92/50 e 93/36 è integrato - o è meglio dire - specificato con il criterio della prevalenza economica, che costituisce nella normalità dei casi, concreta evidenziazione della sussistenza di una situazione di accessorietà.

Le relative disposizioni, in tal modo interpretate, possano ritenersi compatibili con quanto previsto, per i contratti misti, dalle direttive comunitarie 92/50 e 93/36 relative, rispettivamente, agli appalti pubblici di servizi ed agli appalti pubblici di forniture.

E' pur vero, infatti, che le direttive stesse fanno riferimento, per la individuazione della disciplina applicabile a tali contratti, al solo criterio della accessorietà della prestazione, per cui, i lavori compresenti in un contratto di servizi «non possono giustificare la classificazione dell'appalto come appalto pubblico di lavori nella misura in cui (essi) sono accessori e non costituiscono oggetto dell'appalto» (16° considerando della direttiva 92/50); ed analogamente, deve considerarsi di fornitura anche l'appalto che prevede «a titolo accessorio lavori di posa in opera ed installazione» (art. 1, direttiva 93/36).

E' altrettanto vero, tuttavia, che il criterio della accessorietà richiamato dalle indicate direttive, anche alla luce della prevalente dottrina, non va inteso come correlato ad una soggettiva e discrezionale valutazione di strumentalità o secondarietà di una prestazione rispetto ad altra, da parte delle amministrazioni appaltanti. Si deve, invece, ed in coerenza con l'indisponibilità della disciplina pubblicistica dei relativi settori da parte delle amministrazioni medesime, a tale criterio attribuire una obiettiva valenza funzionale che non può non riferirsi anche all'effettiva consistenza economica delle singole concorrenti prestazioni.

Perciò non può ritenersi confliggente con l'enunciazione in sede comunitaria dell'indicato principio di accessorietà una previsione normativa interna - quale è, appunto, quella di cui al secondo periodo del 1° comma del richiamato art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 - che ha provveduto ad integrarlo, ponendo, nel caso di contratti con prestazioni eterogenee, un limite invalicabile (50 per cento) all'apprezzamento soggettivo dell'amministrazione appaltante circa l'incidenza, nella configurazione complessiva del contratto, del valore della prestazione di lavori che, qualora economicamente ad altre prevalente, non può essere ritenuta alle stesse funzionalmente subvalente al fine della individuazione della normativa complessivamente applicabile.

Ciò non esclude, tuttavia, proprio in base all'individuato principio della obiettiva valenza funzionale del criterio dell'accessorietà, che dato della prevalenza economica che ha funzioni di evidenziatore della accessorietà di altra prestazione, non conservi valenza determinante in fattispecie non disciplinate nel nostro ordinamento in cui il contratto che prevede lavori e forniture e servizi ma in special modo lavori e forniture possa essere considerato misto solamente in senso improprio.

Ci si riferisce ai casi in cui l'oggetto del contratto sia sostanzialmente un lavoro pubblico. Ciò si ha quando la sua funzione, cioè il risultato che dallo stesso l'amministrazione pubblica intende conseguire, è quella della realizzazione dell'opera pubblica, che costituisce l'oggetto principale del contratto. In questa ipotesi, pur se sono previste forniture di materiali o di componenti, come consentito dalla moderna tecnica, di valore economico prevalente rispetto agli oneri di lavorazione, queste forniture conservano una funzione meramente strumentale, non acquistano valenza di autonoma prestazione che si affianchi a quella concernente lavori, il contratto non diviene misto, la fornitura costituisce mera componente dell'unitaria prestazione di lavoro pubblico, prestazione - si ripete - intesa a che sia realizzata l'opera pubblica.

Conclusivamente, si deve quindi ritenere che al contratto di fornitura e posa in opera di beni (nella specie inerenti la sicurezza della circolazione stradale) qualora implicanti prestazione di lavori assumenti rilievo economico superiore al 50 per cento del complessivo contratto ed ancorché la prestazione relativa ai lavori sia funzionalmente ritenuta subvalente rispetto alla fornitura del bene, deve trovare applicazione la normativa di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni. Questa normativa si applica anche nei casi in cui la fornitura, quale ne sia l'entità economica, abbia una valenza meramente strumentale rispetto alla unitaria funzione del contratto che, per essere inteso alla realizzazione di un'opera pubblica costituisce un contratto in senso proprio unitario e concernente lavori pubblici.

Il Presidente


DETERMINAZIONE DEL 28 dicembre 1999, n. 14
Applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 gennaio 1991, n. 55.
(G.U. n. 107 del 10 maggio 2000, s.o. n. 71)

1. Il Collegio Costruttori Edili della Provincia di B. segnalava, con atto pervenuto il 4 novembre 1999, che il bando di gara, per l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione della residenza universitaria I., di importo a base d'asta di lire 4.395.000.000, conteneva le seguenti prescrizioni in tema di requisiti dei partecipanti alla gara:

a. fatturato per lavori di ristrutturazione non inferiore a L.7.000.000.000 per ciascun anno;
b. elenco dei lavori di ristrutturazione svolti e relative referenze da parte delle committenze, che attestino che i lavori di ristrutturazione eseguiti dall'impresa sono stati svolti in modo soddisfacente.

2. Il Collegio dei Costruttori Edili sosteneva nell'atto citato che il bando innanzi detto era illegittimo perché in contrasto con il d.p.c.m. 10 gennaio 1991 n. 55, recante disposizioni per garantire omogeneita' di comportamenti alla stazione committente relativamente ai contenuti dei bandi, avvisi di gara e capitolati speciali, nonche' disposizioni per la qualificazione dei soggetti partecipanti alle gare per l'esecuzione di opere pubbliche.

L'art. 4, comma 2, del citato d.p.c.m. dispone, infatti, che per gli appalti di importo superiore ad un milione e inferiore a cinque milioni di ECU, quale l'appalto in esame, l'ente committente può richiedere, oltre al certificato dell'Albo Nazionale dei Costruttori, ulteriori requisiti afferenti alla cifra d'affari in lavori, variabile tra 1 e 1,50 volte l'importo a base d'asta, il costo del personale dipendente, non inferiore allo 0,1% della cifra d'affari richiesta nel limite anzidetto, nonché, per gli appalti di importo pari o superiore 3,5 milioni di ECU, l'esecuzione di lavori nella categoria prevalente per un importo complessivo variabile tra 0,30 e 0,40 volte l'importo a base d'asta.

3. La stazione appaltante A., cui il Collegio dei Costruttori aveva richiesto con nota 10 settembre 1999 n.1020/D.1 la modifica del bando, non contestava l'asserito contrasto con il d.p.c.m. n. 55 del 1991, ma sosteneva, che per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 9 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificato dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, l'applicazione del d.p.c.m. citato non era più un obbligo ma una mera facoltà della stazione appaltante.

Secondo l'A., infatti, l'espressione «la partecipazione ... è altresì ammessa in base al d.p.c.m. 10 gennaio 1991, n. 55», usata dal legislatore della legge n. 415 del 1998 in luogo di quella del testo previgente dell'art. 9: «la partecipazione ... è regolata dal d.p.c.m. 10 gennaio 1991, n. 55» avrebbe l'effetto di privare il citato d.p.c.m. dell'efficacia propria di norma d'ordine pubblico, e di ridurlo invece ad un insieme di regole meramente dispositive.

La stazione appaltante esponeva quindi i motivi per cui non aveva ritenuto, per il caso in esame, di fare ricorso alla facoltà di applicare il D.P.C.M. citato, indicandoli nella particolare complessità della natura dell'intervento e nel particolare rilievo urbanistico della zona interessata dai lavori.

4. La tesi della stazione appaltante non può essere condivisa.

Va osservato, in primo luogo, che la norma di cui all'art. 9 della legge n. 109 del 1994 nella sua formulazione definitiva, fa espresso riferimento anche alla legge 10 febbraio 1962, n. 57. Tale circostanza che, secondo le indicazioni interpretative sostenute da detta stazione, porterebbe ad escludere perfino l'obbligatorietà della stessa iscrizione all'A.N.C., contribuisce in realtà a chiarire il significato dell'espressione contenuta nel testo novellato dell'art. 9, comma 1, della citata legge n. 109 del 1994.

La disposizione in esame va, infatti, letta, in conformità ai generali principi di ermeneutica, nell'intero contesto della legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998.

Così operando, vengono in rilievo le modifiche apportate al testo di altro articolo, l'8, che prevede la possibile operatività del nuovo sistema di qualificazione, anche anteriormente al 31 dicembre 1999.

Il legislatore della novella del 1998, col precisare che la partecipazione è "ammessa in base" e non più è "regolata", ha voluto consentire che la disciplina della partecipazione stessa potesse rinvenirsi anche nel d.p.c.m. n. 55 del 1991, pur se emanata la normativa sul nuovo sistema di qualificazione.

Le norme in tema di requisiti di partecipazione di cui alla legge 10 febbraio 1962, n.57 e del d.p.c.m. 10 gennaio 1991, n.55 conservano, pertanto, piena efficacia fino a detta data del 31 dicembre 1999, salve le particolari disposizioni transitorie che potranno essere emanate in ordine al passaggio dal precedente al nuovo sistema di qualificazione delle imprese.

Il Presidente


DETERMINAZIONE del 28 dicembre 1999, n. 15
Previsione nei bandi dei requisiti relativi alla capacità tecnica e finanziaria
(G.U. n. 107 del 10 maggio 2000, s.o. n. 71)

1) L'Associazione costruttori edili della Provincia di B. segnalava, con atto del 25 agosto 1999, che in un bando di gara pubblicato dal Consorzio di B., avente ad oggetto la costruzione di un canale di gronda, per un importo a base di gara pari a L. 3.817.145.123, erano contenute delle prescrizioni non conformi alla normativa che disciplina i requisiti che le imprese devono possedere per poter partecipare alle gare. In particolare l'Associazione evidenzia che i requisiti di cui all'elenco che segue, sono relativi ad affidamenti sopra la soglia dei 5 milioni di Ecu e, pertanto, non potevano essere richiesti nel bando:

a) referenze bancarie;
b) cifra di affari globale ed in lavori, nell'ultimo triennio, da attività diretta od indiretta rispettivamente di 8 e 6 miliardi;
c) esecuzione, nell'ultimo quinquennio, di lavori analoghi per la categoria G8 per 3 miliardi;
d) esecuzione, nell'ultimo quinquennio, di uno o due lavori nella categoria G8, per un importo di 2 miliardi (se un solo lavoro) e di 3,4 miliardi (se due lavori);
e) elenco attrezzature, mezzi d'opera, equipaggiamento tecnico;
f) organico medio annuo e numero dei dirigenti negli ultimi tre anni, con costo del personale dipendente almeno pari allo 0,10 della cifra d'affari in lavori.

2) Sostiene l'esponente che i requisiti indicati possono essere richiesti solo per appalti pubblici di importo pari o superiori ai 5 milioni di Ecu, così come previsto dagli articoli 20 e 21 del Decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406 e dall'art. 6 del d.p.c.m. 10 gennaio 1991, n. 55, mentre per la gara in questione avrebbe dovuto trovare applicazione, quanto ai requisiti comprovanti l'idoneità tecnica e finanziaria, il comma 2 dell'art. 5 del d.p.c.m. n. 55 del 1991.

Sostengono sempre gli esponenti che, a seguito dell'introduzione nel bando delle richiamate prescrizioni, la stazione appaltante avrebbe illegittimamente operato un'arbitraria restrizione circa il numero dei possibili concorrenti all'appalto.

3) Con riferimento alla prima questione prospettata dall'esponente, assume rilievo l'art. 9, comma 1 e 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche. Tale disposizione detta norme in materia di partecipazione alle gare che rimarranno in vigore fino all'introduzione del nuovo sistema di qualificazione delle imprese, previsto per il 1° gennaio 2000.

La disposizione in parola effettua un richiamo espresso alla disciplina contenuta nel d.p.c.m. n. 55 del 1991, cosiddetto bando tipo, che, congiuntamente alla legge istitutiva dell'A.N.C., regola l'ammissione alle gare fino al 31 dicembre 1999.
Il sistema individuato dal d.p.c.m. n. 55 del 1991, come noto, indica quali sono i requisiti il cui possesso dovrà essere accertato dalla stazione appaltante, diversificati secondo l'importo dell'appalto (articoli 5 e 6).

L'enunciazione della norma consente, dunque, all'ente appaltante di affidare l'opera da realizzare a soggetti con requisiti predeterminati dalle disposizioni del decreto in commento e che verranno ammessi alla procedura di gara provando la propria capacità tecnica e finanziaria mediante la dimostrazione del possesso dei requisiti stessi.

D'altronde, il fine perseguito dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, di cui il d.p.c.m. n. 55 del 1991 rappresenta la disciplina attuativa, è quello di garantire l'omogeneità di comportamenti delle stazioni appaltanti in ordine ai contenuti dei bandi ed alla qualificazione dei soggetti partecipanti alle gare.

E' evidente, dunque, che di fronte ad un'elencazione di requisiti che il concorrente deve dimostrare per potersi qualificare in una procedura ad evidenza pubblica, l'ente appaltante non potrà prevedere nel bando disposizioni maggiormente onerose rispetto a quelle previste da fonti normative.

Ciò non solo per evitare un inutile aggravio della procedura di gara, ma soprattutto nel rispetto di un principio generale, mai smentito dalla giurisprudenza che tende a garantire la partecipazione del massimo numero di concorrenti.

Confermata la piena efficacia delle norme contenute nel decreto sul bando tipo, si rileva che a sanare l'illegittimità del bando di gara non è certo sufficiente la dichiarazione della stazione appaltante di non aver tenuto conto delle previsioni del bando stesso contrarie alle norme di riferimento, nel momento in cui ha effettuato la qualificazione delle imprese. Ciò in quanto, a seguito della pubblicazione del bando contenente le prescrizioni di cui al punto 1, ne è conseguito, di fatto, ad imprese non in possesso degli ulteriori requisiti richiesti, un ostacolo alla partecipazione alla gara, con ciò concretizzandosi una illegittima restrizione del mercato.

Il Presidente: Garri
Il segretario: Verde